mocciology

Che poi se parliamo di Moccia – e se ne parla solo un’altra volta e poi basta – il problema non è il libro di merda. Voglio dire, non il libro di merda in sé. Che per quanto mi riguarda, se uno pischello legge, e se legge un libro qualsiasi, è comunque una cosa buona e giusta, e in momenti di declino culturale come questi bisogna accontentarsi di poco. Se tra guardare Maria de Filippi e leggere cose mocciose, il pischello preferisce leggere cose mocciose, insomma, io sono pure contento. Il problema di Moccia – se vogliamo proprio dirlo – è che ti produce certi libri che poi ogni volta ne viene fuori un film. Tempo tre mesi e Trac, ecco che ti esce il film. E poi succede che ti ristampano il libro con le facce degli attori sulla copertina. Si crea tutto un legame Parola-Immagine, in queste opere mocciose, che secondo me non va per niente bene. Voglio dire, la pischella chiusa nella sua cameretta ti legge le cose mocciose e non stimola quasi per nulla l’immaginazione, perchè non si deve sforzare di immaginare il viso o gli occhi del personaggio di turno, perchè tanto il personaggio di turno avrà la faccia e gli occhi di Scamarcio. E quindi ci saranno milioni di bambine che vorranno Scamarcio. E lo so che questi libri mocciosi non sono i primi libri da cui si fa un film, ma qui la connessione è un po’ più veloce di altri, mi pare.

E se io da pischello – molto prima di arrivare a Bologna – io Bologna già la conoscevo perchè l’avevo masticata e ipotizzata coi libretti di Brizzi da solo nella mia stanzetta, io adesso a ricordare queste cose preistoriche della mia vita sono contento di me stesso. Mi ritengo fortunato ad aver vissuto certe esperienze libresche in determinati momenti della mia vita, e poter continuare a fare questo tipo di esperienze ancora adesso. Mi ritengo fortunato, ecco cosa. E allora mi dispiace pensare alla massa di pischelli che ste cose gliele tolgono coi filmetti e i diari per la scuola con le facce di Scamarcio e Raoul Bova.

Questo il primo motivo.

Il secondo motivo è che puoi pure sforzarti, ma CiccioBombo Moccia non ce lo vedi a fare il rubacuori al liceo. Piuttosto te lo immagini seduto in disparte con il dito nel naso che rimugina sugli amici galletti che lo prendono pugni nei fianchi durante la ricreazione o che toccano il culo alle compagne mentre lui col dito nel naso ricopia sul quaderno i dialoghi de Il Tempo delle Mele. E quindi ti insospettisci e ti viene da credere ad una artificialità estrema in certi romanticismi scribacchiati nei suoi libri, in certi romanticismi da Vorrei Ma Non Posso, che poi sarebbe meglio dire Avrei Voluto Ma Non Potevo E Allora Lo Scrivo.

Dopodichè potresti pure rivalutarlo, se scovi un video dove il nostro CiccioBombo ha una accesa  discussione con il NullaFattoBarba Andrea Rivera, visto che il secondo non lo sopporti a tal punto che se ti mettessero su un palco Andrea Rivera e un tappo di sughero, tu tiferesti comunque per il tappo di sughero, ma proprio a mani alzate e voce grossa.

Dopodichè potrebbe starti pure simpatico, CiccioBombo, se addirittura la santissima Wikipedia ti informa che il primo libro gli è stato pubblicato – così c’è scritto – dopo vari tentativi “per sfinimento”. Davanti a ste cose, cosa vogliamo dire, tanto di cappello.

due piccioni con una fava

Quel lumacone di Moccia che si autoparagona contemporaneamente a Muccino (e vabbe’) e a Nick Hornby (seee, certo) nel tempo di una sola dichiarazione. Del resto ce lo vedo proprio bene Nick Hornby che ti intitola il prossimo libro “I am sorry but I call you love”. Comunque, siccome i paragoni sono gratis, facciamo che oggi mi sento il nuovo Will Smith, anzi No, il nuovo Francois Mitterand, anzi No, il nuovo Ciccio di Nonna Papera.

volevasi segnalare

Sì, sì, bello l’ultimo disco di Lorenzo. Solo, volevo dire, il singolo che va in giro in questi giorni, con quel ritornello pieno di S zeppolate alla Muccino prima maniera, non fa un po’ troppo Povia? No? Lo ascolti sovrappensiero e ti aspetti che da un momento all’altro ti parta un bambino che fa Oh, Che Meraviglia Che Meraviglia.

la tristessa

La tristessa per l’evento politico freschissimo è tale che non c’avresti nemmeno le parole sulle dita per metterle sul blogghe, ma poi succede che scrivi lo stesso. La tristezza che poi non è solo tristezza, arrivati a questo punto diventa quasi Preoccupazione per tutti gli amici e i parenti che sono lì dove succedono tutte ste cose. Come venire a sapere di un terremoto che ha sgretolato le case di un paesello dove ci abitano persone a cui vuoi bene. Non è che puoi pensare Chissenefrega, io qui non c’ho Mastelli e Gasparri a cui dar retta. Non è che puoi pensare la monnezza è lontana, la puzza non arriva fino a qui. Anche da lontano ci sono pensieri amarognoli e previsioni catastrofiche con le quali scendere a patti.

E poi fatemi capire: quest’uomo ha solo 59 anni?

al supermercato vicino casa

Al supermercato vicino casa ti vendono certe zuppe di riso giapponesi col pollo, che poi le apri e scopri l’Operazione Simpatia del produttore: dentro la busta non c’è il riso e non c’è nemmeno il pollo, e se li vuoi ce li devi mettere tu. Metterli come, e metterli in quale ordine lo scopri leggendo le istruzioni dal punto 1 al punto 7 che ovviamente sono in olandese e senza figure. Con la busta di zuppa congelata sulla scrivania, ti aggrappi a Google Translate per capire cosa c’è scritto sulla busta. Poi però al punto 4 ti stanchi e c’è pure la busta che si sta scongelando vicino al mouse, perciò procedi in freestyle dal punto 4 in poi producendo una cosa commestibile che forse è nociva e forse No, però comunque sopravvivi fino a scrivere di sta cosa sul blogghe, sapendo bene che l’immagine di te stesso con la busta che si scongela vicino al computer sarà una dei tanti aneddoti da raccontare ai nipoti.

la prassi ogni mattina

La prassi ogni mattina è uscire di casa che il cielo è ancora tutto nero, e poi fare la mia mezzora di strada cantando le canzoni dei Travis con ampi sbracciamenti che prontamente si interrompono ai semafori per timore del giudizio altrui. Certe mattine poi giungo al lavoro che ho un calamento di palpebra coatto, un fenomeno così coatto e irresistibile, una cosa che non ci posso fare nulla ma sento la palpebra che mi scende e vorrei avere a disposizione quello strumentino perverso di Arancia Meccanica che ti tiene gli occhi aperti contro la tua volontà.

Questo problema della palpebra che crolla possiamo pure scherzarci sopra ma di fatto è un problema serissimo, anche se limitato alla prima ora, ora e mezza della giornata. Ci sono mattine che arrivo con certe palpebre di due chili l’una e vengo messo al centro di discussioni interessantissime su cose incomprensibili tipo il documento che si è perso, la firma che manca. Io davvero ci metto tutto l’impegno che posso, mi mordo la lingua per stare sveglio, mi do pizzicotti fortissimi sulle cosce.  Che poi il problema non è tanto stare sveglio, il problema vero sarebbero le palpebre, perchè a restare sveglio io sarei pure capace. Il problema sono le palpebre da due chili l’una: se non fosse scandaloso mi piacerebbe davvero poter seguire tutte queste interessanti discussioni con gli occhi chiusi facendo Sì Sì con la testa, come fanno certi preti quando ascoltano le confessioni dei fedeli. Sì Sì, certo certo. Sì Sì. Il problema poi è che a fare la faccia interessata e rilassata, diventa più difficile tenere le palpebre sollevate. Il problema è che mi trovo costretto a fare delle facce preoccupate, perplesse, una di quelle facce che devi aggrottare la fronte, perchè ho scoperto che in questo modo ci sono una serie di muscoli facciali in contrazione che ti permettono di tenere la palpebra sollevata come un impalcatura.  

Vabbè.
Poi cos’altro.

Non voglio che cade il governo.

Billigiò mi informa di un nostro conoscente che è entrato nella casa del grande fratello.

Poco fa al supermercato ho incontrato il sosia di Benicio del Toro e uno squatter scalzo e in cannottiera con la cresta fucsia. Io ho comprato le patate già tagliate per il forno e una cosa melmosa e gialla che non so cosa sia. L’attuale politica nel fare la spesa è questa: mi permetto un venti percento di sperimentazione sul totale e poi come va, va.

Speriamo che va.

Che poi mi chiedo se i preti che parlano con gli occhi chiusi gli ho incontrati solo io o se è un fenomeno comune.

Speriamo che va.

cosa ho fatto

Cosa ho fatto oggi? Ho preso una violenta craniata contro un mobile in cucina, piccolo taglio sul cranio e sangue che lo tengo bloccato dentro di me  premendo con il dito sulla testa. Prima di sta piccola tragedia, mi ero fatto assalire da uno dei miei momenti di operosità: Faccio, Pulisco, Sistemo. Ve li raccomando, i miei momenti di operosità. Ma comunque niente, il momento è stato breve perché ho cominciato col Pulisco, e per andare a gettare una confezione di biscotti in cucina ho preso sta craniata che ho bestemmiato in dialetto serbocroato. Quando ho smesso di tenere il dito premuto sulla capoccia, non ho continuato col Faccio e Sistemo ma sono uscito a correre nel freddo gelido fra le papere e i laghetti, che questa è una di quelle cose che sul momento non le gradisci però poi quando ritorni a casa sei contento, c’è una soddisfazione low cost tutta particolare, ché il freddo gelido non c’è più, che non devi correre più e ti puoi infilare tutto ansimante sotto l’acqua della doccia. Che poi sarebbe come andarsi a cercare la Quiete dopo la Tempesta, ma in termini molto più banali e contemporanei.  

ogni giorno che passa faccio la sottrazione

Ogni giorno che passa faccio la sottrazione fra tutti i motivi che ho per rimanere a lavorare qui, e tutti i motivi che avrei per non rimanere. Il risultato, cerco di fare in modo che sia ogni volta positivo. Questa si chiama ostinazione positiva. Scriviamolo sulla lavagnetta: Ostinazione Positiva. Così ogni volta poi decido di rimanere. Purtroppo credevo sarei venuto qui a fare chissà cosa, mi ritrovo a fare il burocrate segretario, con la prospettiva di diventare capo burocrate segretario. E la colpa alla fine è tutta mia che ho capito male, mica è loro, la colpa. La colpa è mia. Scriviamo sulla lavagnetta di chi è la colpa: mia. 

Ogni volta cerco di bilanciare la delusione e la disillusione e l’umiliazione con i lati positivi. Il punto è che ci sono tutta una serie di lati positivi che mi arrivano addosso che per adesso l’idea di mollare viene pesantemente respinta. Mi dispiace per il lettore ma da ora in poi ste pagine diverranno anche una specie di taccuino dove segnare tutti sti lati positivi, che da quando c’è il blogghe ho perso tanti quaderni e taccuini mentre il blogghe mica è di carta, quello è difficile perderlo. Il blogghe resta lì. Dunque, lati positivi:     

– Ieri mattina c’avevamo una riunione che io mi sono presentato col taccuino ma poi dopo tre minuti di discorso abbiamo finito per brindare con un bottiglione di champagne e il capo ha pure fatto un regalino stupido a tutti i presenti.

– Non devo timbrare alcun cartellino, entro ed esco più o meno quando mi pare. Non esco mai prima del dovuto per senso del dovere. Che bravo.

– Da un paio di giorni lavoro con l’ipod alle orecchie. Anche la mia capa fa così e pure la collega del tavolo avanti a destra. 

– C’è un gruppetto di persone che ogni giovedì lasciano tutte le carte sul tavolo, si infilano la tutina aderente ginnica e vanno a correre fra i boschi. Poi tornano con le guance rosse e ricominciano a lavorare. Con la tutina e le scarpette da corsa.  

– La città. Bella e rilassante. Gente con la faccia felice.   

  La città. Anche fosse brutta, non potrei mare tornare dove non sanno nemmeno raccogliere la spazzatura.

– A Bologna adesso sarei a distribuire cartoline oppure a fare il cameriere. 

– Pur volendo andare via: dove vado? Cosa faccio? Dove vado?  

– Essere costretti a svegliarsi presto la mattina che è ancora buio ti fa vedere le cose in modo diverso. Scegliere una direzione quando sei in vacanza per mesi che ti tiri dal letto a mezzogiorno è una cosa, scegliere una strada che devi tirarti su alle sette e lavorare tutto il giorno, è un’altra. E’ come se qualcuno ti prendesse per l’orecchio e ti dicesse: dai, su, scegli, fai, prendi una direzione, su’, fai presto, su’, veloce! 

E questo si chiama Bilancio Provvisorio.
E adesso da bravi, scriviamolo sulla lavagnetta: Bilancio Provvisorio.

babbei

Siete solo dei babbei, degli ignoranti e dei pezzenti culturali. Siete la speranza fallita di un paese che se si deve appoggiare a voi, non ha alcuna speranza. Siete annebbiati dalla rabbia e calpestate la libertà con scarpe sporche di merda. C’avete i libri sotto il braccio ma di fatto ragionate da ultrà, scimmiottando gesti e parole che neanche comprendete. Cercate lo scontro ad ogni occasione per scimmiottare la trincea, e non sapete cosa è la libertà, e adesso ve lo ripeto che sennò non lo capite: non sapete cos’ è la libertà. Non avete un briciolo di concetto di libertà. Siete pieni zeppi di libertà, perchè potete fare tutto, e per questo non la apprezzate e non la difendete. La porzione di cervello deputata all’elaborazione intellettuale è minuscola, insignificante. Per il resto, ragionate per frasi fatte e dogmi che non capite nemmeno tanto bene. Siete solo dei babbei, degli ignoranti e dei pezzenti culturali, e non sapete cos’è la libertà. dave

http://tv.repubblica.it/flashplayer/player_embed.swf

che munnezza di gente

I napuletani sono mariuoli fin dentro il midollo, eccetera eccetera. Sono nella merda fino agli occhi e chissà se ne verranno mai fuori eccetera eccetera. Appena possono farlo ti inculano eccetera eccetera. Ma vogliamo parlare delle persone perbene con la faccia  da persone perbene? Eh, ne vogliamo parlare?

Dunque: il capo del governo chiede a tutte le regioni di prendersi un po’ della merda di Napuli per cercare di superare l’emergenza, per evitare che tutta la massa di spazzatura venga smaltita illegalmente nelle discariche controllate dalla camorra, che quelli – i camorristi – cercano proprio l’emergenza per proporsi come risolutori del bordello. Cosa fanno allora i presidenti di Regione? Alcuni dicono Sì, altri dicono No. Benissimo, perfetto. Poi però c’è quel bel faccione di Formigoni presidente Lumbardo che afferma (e porca miseria non trovo l’articolo che riporta le dichiarazioni ma giuro di averlo visto coi miei occhi dire ste cose al tiggì): 

“Noi potremmo anche dare la nostra disponibilità a smaltire una parte dei rifiuti di Napoli, ma comunque i nostri impianti sono costruiti per smaltire rifiuti già differenziati, non la spazzatura come quella che si vede in televisione, lasciata a marcire per due settimane per strada”   

Innanzitutto facciamo uno scrosciante applauso al faccione di Formigoni, che a milano hanno raggiunto il 100% di raccolta differenziata, una cosa che manco in Svezia sono riusciti a fare. Sono così avanti che praticamente se gli dai una busta di bucce di banane miste a scatoli del latte, quelli non sanno dove metterla. Non come i napoletani che la portano per strada. Non è che sono razzisti, noo, capiamoci: quelli a milano sono così avanti che pure se si dichiarano fervidi cattolici (e quindi caritatevoli, solidali eccetera eccetera ) per quanto sono avanti – avantissimo! – non sanno come fare a smaltire una busta di bucce di banane.

Secondo me Formigoni con il suo faccione milanese da cummenda e panetùn si sta rivoltando tutte le notti nel letto perchè – poverino – lui ha studiato sul vangelo che dobbiamo aiutare il prossimo nostro, amarlo come fossimo noi stessi, però con sta cosa che sono avantissimi più avanti di tutti, rischiano di commettere un peccato. Lui che è tanto devoto che si era pure dichiarato vergine solo qualche anno fa, adesso non sa cosa fare per aiutare il prossimo suo. 

Che io dico, porca miseria: l’onestà intellettuale non conta nulla? Voglio dire: quanto è moralmente più avanti un Borghezio che appicca il fuoco alla stuoia dell’immigrato che dorme sotto al ponte? Che almeno sai perfettamente con chi hai che fare. Ma sta ipocrisia da faccia bella e golfino di cachemire col colletto della camicia precisino proprio non si può vedere, ti viene di andare lì a gettare un secchio di mandarini fra le strade di Lecco solo per vedere come vanno nel panico.

lipdub

No so cosa dire, sta cosa mi fa impazzire. E’ meravigliosa. Voglio essere assieme a loro. Voglio abbracciarli e cantare e zompare con la cravatta storta. Voglio fare una festa e invitarli tutti. Magari lo propongo ai miei amichetti del lavoro. Io voglio fare la parte di quello con la maglietta blu che striscia sul pavimento. Potremmo far partecipare anche i pavoni, no? Che ne so, potremmo sfruttare il loro miagolìo su un pezzo adatto. Qualcosa si trova.

Il problema del famoso libro di roberto saviano – scritto bene, dettagliato e pungente eccetera eccetera – è che se te lo leggi la sera prima di andare a nanna, poi la mattina quando ti svegli e metti i piedi giù dal letto, e fissi il pavimento per cercare la forza di cominciare la giornata, se il libro lo hai posato dalla parte della copertina allora tutto ok, ma se per caso lo hai lasciato girato dall’altra parte, ecco, per un momento ti prendi uno spavento mica da poco.

insomma, voglio dire

Andare a vedere una camera in affitto e trovarci una nigeriana pure simpatica che ti fa capire che la camera se la voglio è senza arredamento ma anche senza termosifone, e che se pure ti compri il termosifone poi ti devi fare il contratto del gas, ecco, tutto questo, diciamolo, può costare molto.

Consumare il pranzo davanti al computer che vuoi fare vedere quanto sei bravo a finire il lavoro entro il pomeriggio e il panino che ti si incolla sul palato e per un istante credi di morire – già vedi gli articoli sul giornale – morto per un panino al salame, sto salame – e poi invece scampare la morte, ecco, tutto questo può costare molto. 

Tornare a casa la sera e capire che il corridoio del tuo palazzo puzza nei giorni pari di polpette e marijuana e nei giorni dispari di spezie musulmane e ascella asiatica, ecco, tutto questo può costare davvero molto. 

Però. 

Però vedere la faccia del tuo collega James Blunt quando gli mostri le immagini della guerra della monnezza nel tuo Paese, e vedere l’interrogativo enorme sulla sua faccia, e tu che ti senti un profugo scampato alla guerra civile con i proiettili che ancora ti inseguono le natiche, ecco, tutto questo, non ha prezzo.

Sigla.

ultimamente mi tiro su dal letto

Ultimamente mi tiro su dal letto che c’ho una porzione di cranio ricoperta di capelli ritti. Si drizzano solo da un lato – e generalmente questo lato cambia sempre – e non vogliono tornare giù. Devo passare la capoccia sotto il rubinetto dell’acqua calda, solo dal lato coi capelli rizzati. Questa operazione si chiama lo shampoo laterale, e l’ho inventato una settimana fa. Questo è l’elemento più tangibile dei miei sogni irrequieti e delle mie notti insonni.

Il pavone comincia a diventare un elemento preponderante di questo luogo. Il pavone davvero bussa alla finestra per farsi dare il pane. Il pavone davvero si ingozza con certi pezzi di pane che neanche il mio cane. Il verso del pavone – l’ho scoperto ieri mentre ero a colloquio con la mia capa – è un miao felino molto più acuto e stirato di quello del gatto. Ero di fronte alla mia Capa e all’improvviso da dietro la finestra: Miaoooooo!

Ora tu lettore diffidente dirai: eh, dici così per fare il simpatico, figurati se il pavone miagola. E invece No, giuro che è così. 

L’inquietudine di cui già detto qualche giorno fa resta inquietudine, però ci sto lavorando su. Gli elementi che mi aiutano in questo senso sono:

– La lenta costruzione di una Prospettiva. Sta cosa per adesso non la posso spiegare. Ci sto lavorando su, alla mia Prospettiva. Ci sono ricerche da fare sul webbe con la gola che si asciuga e la sensazione di averci la febbre. Ma ci sto lavorando su.
– Aver sbirciato quanti soldini riceve la mia Capa per una sola ora di consulto. Io a quella cifra non ci arrivavo neanche con tre settimane del caro vecchio lavoro di distributore di cartoline, e io sono il suo assistente, e queste son cose.
– La signorina.
– La consapevolezza che se non stringo i denti adesso, allora vuol dire che non valgo niente.

E comunque dalla regia mi avvertono che il pavone non miagola, bensì paupula.

grossi come meloni

Son giornate di scoramento e pensieri a lungo termine, queste giornate qua. Certi pensieri a lungo termine che vanno lontano lontano e poi fanno Plof da qualche parte, così lontano che non senti neanche il rumore del Plof. Dubbi grossi come meloni che se non fosse per la città stupenda e le persone gentili che trovi al lavoro, ti verrebbe da lasciare perdere tutto e andare via.    

Per chi si chiedeva cosa faccio. Il mio lavoro consiste nel controllare carte e archiviare cose burocratiche, qualcosa per cui la mia laurea non serve a nulla. E io già lo sapevo che non sarebbe servita a nulla, però trovarsi di fronte alla concretezza delle cose, è tutta un altra storia. E vedersi circondati da laureati come te, dove il chimico lavora da chimico e l’ingegnere lavora da ingegnere, finisce che ti senti un cretino, perchè tu sei un niente che si arrabatta per fare qualcosa di cui non sai e che neanche ti interessa.   

La Signorina è partita questa mattina prestissimo, e ci siamo svegliati alle quattro per arrivare ad Amsterdam che non era nemmeno l’alba. Adesso ho due belle tovagliette per farci la cena e un tappetino del bagno a forma di stella blu. Due cose che se non fosse stato per lei, io non avrei mai preso, che io quando faccio l’emigrante finisce che mangio sopra ai fogli di giornale. Vedere la stellina blu sul pavimento nel bagno – bisogna ammetterlo – fa sentire bene, e non aggiungo altro.

Fa sentire bene.  

Sono andato a vedere una camera in affitto, poco fa. Mi hanno convocato con una telefonata mentre scolavo la pasta. Il padrone di casa era Rupert Everett incrociato col cantante dei Travis. Aveva una pelliccia bagnata e gli stivali sado-maso. La camera era enorme e vuota, e la casa puzzava di muffa. In cucina c’erano duecento piatti sporchi e nel bagno una cornice con la fotografia di una sosia di Condoleeza Rice che tiene sottobraccio un cagnetto. O forse era la zia morta di qualche coinquilino della casa. Ma la zia in bagno, ho pensato, non è probabile. Sarà la sosia di Condoleeza Rice. Ho detto a Rupert Everett che gli avrei fatto sapere entro un paio di giorni, poi sono andato via e al terzo passo ho schiacciato un gelato alla vaniglia che però era già morto sul marciapiede da qualche ora.

seduto alla mia scrivania

Seduto alla mia scrivania – la scrivania che mi hanno assegnato al lavoro – guardo fuori la finestra un enorme pavone che mette il becco nel prato e un galletto con la coda rizzata che lo segue poco distante. Il pavone – mi viene da pensare – è proprio un uccello anni 80. Quelle piume, quei disegni. Avrebbe bisogno di un restyling ma è solo un uccello, purtroppo per lui.   

Al lavoro – perchè adesso abbiamo cominciato con sto benedetto lavoro – condivido la stanza con altri personaggi che perlopiù non ricordo come si chiamano, ché i primi giorni sono di assestamento e nelle prime ore già ti dicono tanti nomi che li dimentichi praticamente all’istante. Nella mia stanza c’è il fratello di James Blunt che se non è il fratello allora è il cugino, e un capetto con gli occhi a mandorla con un cervello da sette chili e mezzo che è sempre contento e lavora anche mentre mangia. C’è pure un italiano coetaneo e gentilissimo che se non fosse stato per lui, adesso non potrei usare neanche la posta sul computer. Per fargli percepire la mia gratitudine l’ho riaccompagnato a casa in macchina per evitargli la biciclettata di quindici chilometri nel freddo della madonna.   

Posso bere tanto caffè e tante tazze di the quante ne voglio, al lavoro, e nessuno protesterà mai perchè pare che sia un mio diritto. Ho pure una sedia comodissima che scivola con le rotelle. Se poi vogliamo parlare del lavoro, cosa dire del lavoro. Cosa dire. Qualche ora fa avevo un umore nerissimo che avrei voluto mollare tutto per vendere frittelle per strada, poi mi sono calmato. Poi di nuovo mi hanno infilato in una riunione che ho capito il 3% di quello che hanno detto ma non se ne è accorto nessuno, ché io sono bravo a sfoderare le facce interessate e concrete senza alcun fondamento. Poi all’uscita volevo di nuovo scappare piangendo col pavone sotto braccio. Poi però sono rimasto.     

Il destino degli indecisi in fondo è questo: se non sai scegliere un lavoro, è il lavoro che sceglie te, e a quel punto c’è solo da stringere i denti e tenere botta. Con l’espressione “tenere botta”  si capisce bene che io – seppure tanto terrone – ho vissuto tanti anni al nord. E questa ultima digressione è solo un artifizio stilistico per cambiare argomento all’improvviso ed evitare di cadere in considerazioni lacrimevoli. Fregati.