il magone

Il magone e la tristezza in questi giorni sono alimentati soprattutto da una consapevolezza raggiunta, dall’aver compreso che tutto lo StudiareStudiare fin qui fatto servirà davvero a poco, nel futuro prossimo. Tutto lo StudiareStudiare che tu lo avevi fatto perchè ti avevano detto Studia! E’ importante! – nei primi momenti – per poi accorgerti – in un secondo momento – che sta cosa alla fine dei conti ti piaceva pure.

Adesso invece comprendi che non ti servirà a nulla, o che ti servirà a poco. E tu – che studiare ti piace – ogni tanto ti rimetti seduto e addirittura apri i libri e prendi appunti, sottolinei le cose importanti, giri le pagine. Lo fai perchè una cosa hai fatto negli ultimi anni, quello sei abituato a fare, e lo fai. Solo che ogni volta l’impeto di mettersi a sedere davanti ai libri è più lieve, ogni volta più leggero, perchè ti guardi attorno e capisci che è tutta una bufala, sta cosa dello StudiareStudiare. Tu che per anni sei andato a dormire presto e hai evitato le notti per strada e il mischiarsi fra gli studenti impazziti per la libertà da fuori sede, per conderti poi saltuarie follie e ubriacature da metterci la crocetta sul calendario. Ti è venuto di fare così, però adesso ti sembra che abbiano sempre avuto ragione loro, quelli che stavano lì tutte le notti a cincinnare sotto i portici con i bicchierozzi di doppio malto in mano. E comunque tu volevi sempre tornarci prima, a casa, ché se proprio dovevi far tardi preferivi leggere qualche ora fra le lenzuola. Tu, ti capita ancora – qualche volta – di sederti a studiare, ma è una cosa che pian piano si spegne, anche se tu non vorresti. Come fosse una relazione che si spegne gocciolando, la lasci andare via, tu gli dici Ti Voglio Bene e lei ti risponde Fanculo.

l'ultima generazione di puri

Io ad averci il computer nuovo, finisce che comincio a ragionare in termini di gigabyte e memoria della scheda video. Che uno dice Evvabè è Normale, sei nel 2007. Io però, a ragionare in termini di gigabyte e microprocessori, succede che all’improvviso mi torna in mente quel mio vicino di casa di quando ero pischello, che nella tromba delle scale ingoiava forzatamente e ripetutamente aria nella pancia e poi era capace di recitare –  ruttando senza sosta – intere quartine delle poesie imparate a scuola. Io succede che a parlare di wireless e gigahertz mi ritornano in mente queste scene di quando ero pischello e i computer non erano così importanti, e per carità – sia chiaro – non è che voglio mettermi a fare scenate amarcord in tema Ragazzo della Via Gluck (La dove ceeèra leeèrba ora ceeeeeè, una città – ha haaa) perché io stavo bene a quei tempi quando la tecnologia informatica era ancora dietro l’angolo, e sto bene pure adesso che mi collego in video dal tavolo della cucina con gli amici lontani. Stavo bene prima, sto bene adesso, sia chiaro. Viene solo da pensare – al sottoscritto – a quel ragazzino che ingoiava aria e che poi la riemetteva sotto forma di poesia Leopardiana, sti passatempi che uno se li doveva proprio inventare, che c’era proprio bisogno di passarlo – sto tempo – nei pomeriggi sprovvisti di messenger e chatta chatta. 

E viene da pensare – e sta cosa me la rimugino da tempo – che noi siamo l’ultima generazione di puri.   

Noi siamo l’ultima generazione di puri che sappiamo ancora com’era prima, ce lo ricordiamo bene tutto il cambiamento, e adesso che ci hanno messo nel futuro noi nel futuro ci troviamo pure bene, ma se andiamo a guardare nei cassetti c’abbiamo nascoste le foto del compleanno che non erano digitali, e che però adesso siamo capaci di salvarle sull’hard disk. Noi siamo l’ultima generazione di una specie di Matrix che ci ricordiamo di quando non c’avevamo il cavo infilato nella nuca e le canzoni le si registrava dalla radio se lo speaker smetteva di parlare sulla musica. Noi siamo gli ultimi, poi dopo di noi ci sarà  solo chatta chatta e tivùfonini.

( e queèlla casa in mezzo allèrba ormaaai, dove saraà – ha – ha)

finalmente

finalmente il computer nuovo, lì che mi attende lucido e con le pellicole da staccare sul tavolo. E succedeva che mi chiedevano: Cosa ti è successo? Mi sembri più paziente, da qualche tempo a questa parte. E succedeva di pensare, come risposta: Paziente? Pa-zien-te? Vorrei vedervi voi, a vivere una vita a 256 mb di Ram. Vorrei vedervi voi, mi succedeva di pensare, a vivere con 256 mb di Ram.

insomma io mi accontenterei

Insomma io mi accontenterei di un lavoretto qualunque – per il momento – che mi faccia guadagnare quei quattro soldi utili a comprare i biscotti per la colazione e la carta igienica. Un lavoretto a tempo parziale per poter continuare a fare il tirocinante a costo zero in clinica e che mi lasci il tempo di StudiareLeggerePonderare mentre porto avanti la ricerca di occupazioni più serie. Io mi accontenterei di quattro soldi, mica voglio la luna.    

Però sono laureato, e sta cosa è un problema mica da poco. Che io sono onesto, e nel mio curriculum ce lo scrivo, che sono laureato. Ma se continua così – se continua che mi propongo ogni giorno per i lavori più umili e degradanti e quelli neanche mi rispondono – se continua così allora confeziono un bel curriculum sgrammaticato dove dichiaro che ho preso la terza media coi punti della benzina, e vediamo se non va meglio.   

Secondo me, può solo andare meglio.    

Che io lo dico a tutti, la mia vita va bene così, se non fosse che c’ho una laurea. Voglio dire, ho la salute, in famiglia stanno tutti bene, ho cose e persone stupende attorno a me che non potrei desiderare di meglio. Però c’ho una laurea. Qui sta il problema. Averci la laurea significa averci tante aspettative di contorno che rovinano tutto. Se avessi tutto quello che ho – meno la laurea – sarebbe molto meglio, sarei un pirla qualunque come ce ne sono tanti. E invece sono laureato.   

Che io, davvero, mi accontenterei di qualsiasi cosa, per il momento. Datemi un posto da spalatore di cacca part time, e io lo accetto. Così posso comprare il detersivo per i pavimenti al profumo di limone, per dire. Datemi un lavoro da staccatore di chewing um dai pavimenti delle strade italiane, ed io mica lo rifiuto, davvero. Un posto da dipendente comunale per andare a fare Sciò ai piccioni in piazza. Lo scacciatore di piccioni, io ci vado subito, mica mi formalizzo. Sciò Sciò Sciò! Sono bravo, no?   

Oggi poi.   

Oggi poi su internet fra le proposte di lavoro saltuario leggo l’annuncio di un tipo che – richiedendo massima serietà – cerca una ragazza per essere preso a calci e a pugni. Possibilità di lavoro continuativo, dice. Non scherzo, eccolo qui l’annuncio. Io che purtroppo non sono una ragazza propongo all’amica Xxxna di metterci in società, lei si impegna a sferrare i calci e io la proteggo da esuberanze dei folli come un body guard, e poi ci dividiamo la somma. Lei ovviamente rifiuta la proposta, mica è scema. Però, insomma, uno ci prova sempre.

e comunque

E comunque, in questa casa tanto grande e tanto bella noi non abbiamo uno schiaccianoci che sia uno – è vero – ma abbiamo invece una splendida macchinetta per il caffè degli anni 80, enorme e color panna, ma proprio enorme, e soprattutto non funzionante. Una macchinetta che davvero non ha mai prodotto un caffè da quando è arrivata, neanche uno, ed è pure arrivata tanto tempo fa; la portò a casa Billigiò assicurando che prima o poi l’avrebbe fatta funzionare ma ancora adesso è ferma lì che copre i suoi due metri quadrati di muro. Che uno potrebbe dire, vabbè non funziona però insomma, considera i lati positivi: è degli anni 80, è quasi vintage. Insomma, sopportala ancora un po’di tempo a coprire i due metri quadrati di muro di casa e vedrai che poi ti diventa completamente vintage, che per adesso è solo un vintage così e così, un vintage quasi quasi ma non proprio.     

Io di ste cose inutili portate in casa non mi posso proprio lamentare, io che solo una settimana fa ho tirato su dal bidone della spazzatura una splendida bilancia degli anni 70 in perfetto stato di conservazione – c’era soltanto da ripulire la semipalla di vetro che copre la lancetta dei chilogrammi – bilancia che adesso giace in un angolo del pavimento della mia camera, io che non mi peso mai che tanto non ingrasso e non dimagrisco, sono sempre lo stesso figurino da tanti anni.    

In generale, quanto a cose tirate su dal bidone della spazzatura, noi in questa casa non ci possiamo proprio lamentare, e raccontare tutte le cose che abbiamo tirato su dalla spazzatura nel corso degli anni adesso non c’ho tanta voglia, e questo sarebbe pure un argomento interessante se si considera che la sedia dove siedo adesso fu tirata su dal bidone circa sei anni fa. Potrei parlare di quella volta che i miei coinquilini ubriachi trascinarono a casa un enorme televisore rotto portandoselo in spalla come fosse una bara, ma questa forse la racconto un’altra volta. Potrei raccontare di quella volta che andai ad un compleanno di una sconosciuta israeliana amica di amici di amici, e trovando il bagno  occupato decisi giustamente di andare a far la pipì per la strada nascondendomi dietro ad un bidone, e potrei raccontare di come in quell’angolo quella sera scovai un paio di stampelle legate fra loro con un fiocco da regalo, e di come quella notte me le portai a casa, e del perché quelle stampelle ancora adesso sono qui da qualche parte, ma pure questa la racconto un’altra volta.

già, il V-day

Trascorso qualche giorno dal V-Day di Grillo, senza stare a dire IoSonoAFavore o IoSonoContro – che non mi sembra il caso e non mi pare neanche interessante – l’idea che mi sono fatto di questa grande manifestazione che tra l’altro ho incontrato per caso mentre scarpinavo per Bologna, è quella di un enorme massa di persone che si muovono eccitate seguendo un credo che potrebbe essere riassunto con qualcosa del tipo “Noi Siamo la Parte Migliore di Questo Paese di Merda” dove la voglia di essere parte migliore – e di raccontarla in giro, questa appartenenza, e di farla vedere – sembra sorpassare di molto la voglia di migliorarlo davvero, il suddetto paese di merda.

Questo in linea generale, e con le dovute eccezioni, sia chiaro.

ma quanto fa

ma quanto fa Bronx cercare di notte un parcheggio per la tua macchina, e il parcheggio non trovarlo per mezzora, e poi finalmente trovarlo in un luogo buio e tetro, aprire la portiera sui cocci rotti di una bottiglia di birra e due metri più in là scovare una prostituta nigeriana – di quelle coi capelli come fili di rame – che seduta sul marciapiede si prende una pausa dal lavoro sfumacchiando una sigaretta?

mh?

come

Come si aprono le noci quando sei sprovvisto di uno schiaccianoci? Le noci non si aprono e basta, ho concluso. Ho provato a schiacciarle con la caffettiera sul tavolo, ma ho rischiato di spaccare il tavolo. Ho provato a schiacciarle a due a due con le mani, ma ho rischiato di spaccarmi le mani. Ho cercato consigli sul webbe, e il webbe non mi ha convinto per nulla. Poi ho provato ad aprirle con un enorme pinza metallica – e qui credevo davvero di aver partorito l’idea geniale – ma ho scoperto che le noci pressate dalla pinza semplicemente esplodono. Puf! e vai a raccogliere i cocci della noce sulle mattonelle del balcone. Anzi, meglio: Scrunc! (e vai a raccogliere i cocci eccetera eccetera).

indossare i pantaloni al giorno d'oggi

I giovani sbarbati di tendenza indossano i pantaloni calandoli giù fino a lasciare scoperte buona parte delle natiche. Il bordo dei jeans taglia per metà le mutande, e le chiappe restano di fuori nella loro porzione superiore. Ormai è così, portiamo pazienza. Le chiappe dei giovani sbarbati di tendenza –  restando scoperte  – vengono generalmente rivestite da mutande linde, di tessuto pregiato e magari anche firmate. Non me ne sono accorto solo io, giusto? Questa è la tendenza, prendiamone atto. Qui non si tratta di fare lo scoop, di dire se è bello o non è bello. Qui si tratta solo di una presa d’atto. Di una notifica. Di una certificazione. Come si portano i pantaloni nel 2007? Scesi a metà mutanda.

Benissimo.

Ora, la questione è:  posso io prescindere da questa tendenza generale? Posso io remare contro questa predisposizione dell’intera collettività giovincella? Posso io, di fronte a tutto ciò, fare finta di nulla? Posso io ignorare il popolo dei giovani d’oggi e restare impassibile davanti a questa armata di giovinetti col culo di fuori?

Eh, posso?

La risposta è: non lo so. Voglio dire, la tendenza generale sarebbe quella di ignorare il popolo sbarbatello in ogni sua manifestazione. Del resto, incontrare un giovinetto con le mutande all’aria mi provoca un senso di fastidio istantaneo, oltre al pensiero incombente “se fossi tuo padre, col cacchio che ti farei scendere per strada coi pantaloni calati!”. Il punto però è: non sono affatto suo padre. Il punto è anche un altro: non sono neanche un pischello sbarbato. Io sono da qualche parte nel mezzo, sperduto in un punto indefinito fra il pischello e suo padre. Sono lì, da qualche parte.

Da ciò consegue che.

Da ciò consegue che io con le natiche scoperte non uscirei mai di casa. Questo è certo. D’altra parte, se provo a tirarmi su i pantaloni a coprire tutte le mutande fino quasi ad altezza ombelico, sento che ciò non va bene, che qualcosa non va, che sono troppo fuori dal mio tempo, con derive alla Steve Urkel. Diventa una questione sociologica, non so se mi spiego. Non voglio essere troppo fuori dal mio tempo. Allora va a finire che i jeans vengono tirati un po’ in giù. Leggermente. Senza dare nell’occhio. Per stare un po’ qua e un po’ di là. Un po’ pischello e un po’ No.

Disclaimer: questa politica del compromesso col mondo pischello giovanile non è da attuarsi – come già dichiarato in passato – al fenomeno del telefono cellulare appeso al collo.

festivalbrrr

Il presentatore Silvestrin – quello tempo fa che conduceva Brand New su Mtv chiacchierando di musica rock alternativa sprofondato in un divano sdrucito – è comparso poco fa sul palco indossando una maglietta della Corona’s. Il sottoscritto, che nel ‘92 registrò alcune puntate del Festivalbar e rivide la cassetta tante e tante volte, nei tempi che a casa non avevo neanche un disco, adesso si sente come uno che ha fatto una cosa di cui vergognarsi ma lo ha scoperto solo adesso dopo tanto tempo, come essere stato scoperto coi pantaloni calati al centro di una festa di compleanno e averlo capito solo ora – per fare un esempio – o come essersi fatto la cacca addosso il giorno della prima comunione e averlo saputo solo oggi – per fare un altro esempio – e non so se si capisce la sensazione.

Sono a Bologna, valigie ancora da aprire.

appena prima di partire

I dialoghi delle signorotte anzianotte che si lamentano dei malanni fisici seguono sempre gli stessi schemi, si lamentano con la mano posata sui lombi e dicono sempre le stesse cose, e di certo non mi metto io a scriverci su, delle signorotte che si rimbalzano verbalmente i malanni, di questo argomento che più volte ha salvato cabarettisti con improvvisi vuoti di fantasia. Anche le signorotte locali si rifugiano in questi argomenti con sommo godimento – riflettevo stamattina all’uscita da un ufficio postale – con la differenza che il più famoso SignoraMia – che pure qui viene usato qualche volta – viene sostituito dal tipico CummareMia o dal più semplice Signò; il verbo Essere invece viene spesso ignorato a favore del più comune Stare. Per cui ne deriva: 

– CummareMia come sto gonfia.

Oppure:

– CummareMia come sto allergica.

Quello che mi sfugge è il momento esatto, l’istante in cui da persona lucida e razionale ci si trasforma improvvisamente (o gradualmente? bah!) in esseri cerebralmente svaniti che parlano confusamente e a ruota libera. Quello che mi sfugge è se ste signore che vedo con la busta di plastica ripiena di cicorie sono sempre state così o se un bel giorno le loro sinapsi si sono attorcigliate autonomamente fra di loro lasciandole inebetite da questa lobotomia repentina. Uno ste cose se le chiede, perché a 60 anni la demenza senile dovrebbe essere ancora solo un’ipotesi. E però, poi, sulla porta dell’ufficio postale:

Signò come sto gonfia. Che il dottore mi dice, mi dice che sto allergica, che sto allergica a tutto, a tutto Cummare mia, a tutto, che il dottore mi dice che sto allergica ai medicinali, al cibo, alla verdura, al cibo, agli antibiotici, alla verdura, alla salame, ai medicinali, al cibo. Che sto allergica, sto allergica.

(teste che annuiscono con smorfie di dolore e frasi ripetute allo spasimo, mentre i concetti di insieme e sottoinsieme imparati alle elementari si sbriciolano lentamente) 

Che uno arriva a pensare che la causa di tutto ciò sia l’aria che si respira, che forse una causa potrebbe essere l’atmosfera pesante, l’atmosfera carica di troppa umidità a determinare sti effetti. Che poi uno per strada rivede all’improvviso un compagno di scuola delle elementari, e lo sbircia per un secondo al ciglio della strada praticamente trasformato in un vecchio ingobbito e spelacchiato – eppure c’ha la tua stessa età, rifletti  – e davvero cominci a pensare che sia tutta una questione di umidità e pressione atmosferica, tutta una questione di parametri idrometrici e percentuali di gas nell’aria, per cui ti affretti a tirare su il vetro della macchina e ad accendere l’aria confezionata. 

E poi correre a casa a fare la valigia che domani si torna a Bologna.

tipo aprire un negozio di fiorellini in olanda

col passare del tempo le mie idee sul prossimo futuro lavorativoformativo si fanno sempre più intricate e confuse. Le persone che incontri – quegli adulti che decenni fa vinsero concorsi pubblici – arrivano addirittura a chiederti Ma a Te Cosa Piacerebbe Fare? Ma Tipo Cos’è che Avresti Voglia di Fare? e tu il cosa Ti Piacerebbe fino a questo momento non lo avevi considerato minimamente, al limite avevi considerato il Cosa Posso Fare, il Cosa Potrei, per non parlare del più scarno Faccio Quello Che Trovo, con la variante Quello Che Trovo Mi Prendo. Tra tutte le opzioni possibili, quella di scegliere qualcosa che magari ti piace, non l’avevi per nulla presa in considerazione.

Ma proprio per nulla.

Poi, mentre stai pensando a tutte ste menate del Prendere e Fare, ti arriva una telefonata dell’amico neoccupato precario Bollo, che da Bologna sta partendo in autostrada alla volta della Slovenia, e ti informa che il piano A di questa sua trasferta – per quanto lo riguarda – sarebbe di tirare dritto dritto fino a Budapest, qui vendere la Punto dei suoi genitori al primo che capita, e coi soldi ricavati cercare di sopravvivere nell’Est europeo per qualche mese, in attesa di ispirazioni per il futuro a venire. Solo che – mi spiega – crede di non avere le palle per mettere in atto tutto ciò, e quindi probabilmente dopo qualche giorno a Lubiana tornerà in Italia a lavorare in quel suo lavoro che come privilegio gli pagano i pranzi in giro per la provincia Bolognese – se lui ricorda di conservare lo scontrino – e che una volta per questo privilegio mi feci offrire un panino da quattro euro in un baretto sotto i portici.

che a questo punto – mi viene da pensare – allora io me ne scappo in Olanda e apro un negozio di fiorellini per le signore grasse che vanno a fare la spesa. Un negozietto di fiori particolari con la bicicletta parcheggiata appena fuori, un negozietto con le pareti colorate di tinte accese, tipo arancione scuro e verde pisello tendente al cetriolo. Ecco, questo forse potrebbe rientrare nel Cosa Mi Piacerebbe Fare, per dire un cosa. Una bottega di fiori con lavanderia a gettoni annessa, per fare un esempio. Anzi No, una bella bottega di tulipani con pizzeria al taglio annessa. Anzi No, l’amico neoccupato precario Bollo mi dice che pizzeria al taglio forse è meglio di No, che le pizzerie alla fine sono sempre in mano alla mafia, pure in Olanda. Allora un negozietto di fiori e caramelle con lavanderia a gettoni annessa. Col pesce rosso sul bancone. La bicicletta parcheggiata fuori al negozietto, una bicicletta col campanello che fa drin drin e che non hai bisogno di catena e lucchetto per lasciarla appoggiata al muro. Facciamo che per adesso questo lo battezziamo piano A, poi dopo si vedrà.

acqua e sapone e louis vuitton

Il titolo di un articolo di Velvet recita così: Top Model – Donne Fatali in sfilata, acqua e sapone nella vita. Il nocciolo dell’articolo sarebbe in pratica una galleria di fotografie dove vengono messe a confronto l’aspetto elaborato e artificiale della modella nel contesto della sfilata con l’aspetto più semplice della stessa modella fotografata nella vita di tutti i giorni. La galleria è tutto un confronto tra top model sulla passerella – top model sotto la passerella. La modella sotto la passerella viene quindi definita la versione “acqua e sapone” della ragazza in questione. L’articolo scrive – testuali parole – : In sfilata, donne fatali con chili di makeup e tacchi vertiginosi. Nella vita di tutti i giorni, ragazze acqua e sapone.

Ora, qua ci sarebbe da aprire tutto un dibattito sul concetto di acqua e sapone. Ci sarebbe proprio da farne una discussione lunga e articolata, secondo me. Perché ste ragazze alte e con gli stivali, col pellicciotto smanicato e la borsa firmata, col cihuahua in braccio e la sigaretta fra le dita col polso molle di sbieco (vedi una certa Anja Rubik) ste ragazze conciate così non ce la faccio a definirle acqua e sapone. Ma proprio No. Ci porterei piuttosto l’esempio di certe signorine che ho incontrato in pigiama in tante case di studenti negli ultimi anni, certe signorine sbadiglianti che ho visto passeggiare in corridoio col pigiama sdrucito e la caccole negli occhi, coi capelli tenuti su dalla molletta, con le pantofole spugnose di Minnie e certe occhiaie cinematografiche, franate col culo sulla sedia della cucina mentre sfogliano Cosmopolitan mangiandosi le unghie del pollice. Ci porterei piuttosto l’esempio di quelle signorine della casa di fronte. Ma queste stangone proprio non mi viene di chiamarle acqua e sapone.

Ho avuto seri problemi a scrivere cihuahua, porcaccia la miseria. Ho tirato a indovinare con le H. Speriamo bene.