la Ragazza del Cesso di Fronte

Ragazza del cesso di fronte, mi rivolgo a te.

A te, che fai la cacca nel bagno di fronte al mio bagno.

Io ti vedo, lo sai?

Ogni mattina ed ogni sera (Uo –Uò) io ti vedo seduta sul cesso, e non vorrei.

Non vorrei vederti – seduta sul trono supremo – ma ti vedo.

Perché ti vedo?

Perché tu credi che il vetro della finestra del tuo bagno, ruvido e sfocato, non faccia vedere all’esterno, e infatti è così. Ma quando sei vicinissima al vetro, ciò che dovrebbe apparire sfocato non è più sfocato, e io vedo tutto benissimo, ma davvero bene. E cos’è che è vicinissimo al vetro, in quella casa? Il cesso.

Ragazza del cesso di fronte, sei la prima cosa che vedo la mattina, lo sai?

Apro la finestra e con la speranza di un giorno migliore guardo il cielo, e nel cielo – manco fosse una pubblicità dell’acqua minerale – ci vedo le rondini. Poi sposto lo sguardo al palazzo di fronte, e  vedo te che sei  posizionata sul cesso, e che ti gratti la testa. Poi ti vedo che seduta sul cesso, alzi un braccio, e metti in mostra l’ascella. Io già quando si arriva a questo punto, mi sento male, e vorrei tornare a letto per dormire – e comunque non dormirei – ma se pure dormissi, farei incubi inquietanti ed ascellosi.

Tu col braccio alzato e l’ascella rivolta al mondo, porti l’altra mano verso l’ascella, ed inizi a grattarla con perizia, su e giù su e giù, e smetti solo quando poi ti devi alzare dal cesso. Io a quel punto sono aggrappato alla finestra e cerco le rondini nel cielo con lo sguardo, per farmi forza.

Il mio cervello a quel punto è in loop sul concetto di ascella, e continua a ripetere Ascella Ascella Ascella.

Ma ecco che tu ti alzi dal cesso, e il concetto cambia repentinamente, e diventa il tuo Culo.

Culo Culo Culo. (nudissimo) Culo.

Ragazza del cesso di fronte, io lo so che non sei sempre la stessa Ragazza.

L’ho capito che in quella casa ci vivete in tre o quattro, tutte ragazze ( e ciò significa tre o quattro culi e circa sei-otto ascelle) ma io non vi distinguo l’una dall’altra, per me siete tutte uguali. Soprattutto, i vostri culi sono per me assolutamente uguali.

Rotondi uguali, mappamondosi uguali.  

Sono uscito di casa stamattina che facevi la cacca.

Mentre tornavo in auto dalla facoltà , ed ero fermo al rosso del semaforo, una tipa si è accostata con la sua macchina e mi ha sgamato mentre mi grattavo le palle, mentre credevo di non essere visto. Allora ho pensato a te, che ti sgamo sempre quando pensi di non essere osservata. Mentre giravo la chiave nella toppa della porta di casa mi sono detto Ma non esagerare, che non è Mica Vero, che la sgami sempre. Ho buttato lo zaino in un angolo, mi sono avvicinato alla finestra, e ti ho vista, che eri lì.

Che facevi la cacca, con l’ascella alzata.

Mi fai sentire come un soldato in caserma.

I soldati la mattina fanno l’alzabandiera con una marcia militare di trombe in sottofondo. Io la mattina invece faccio l’AlzaAscella con il sottofondo dei Belle & Sebastian.

Ragazza del Cesso di Fronte, non te la prendere se scrivo così.

In fondo tu diresti lo stesso di me, se mi potessi vedere attraverso i vetri del mio cesso ( e non è così, perché noi ci mettiamo le tendine, dietro il vetro, Noi). Diresti lo stesso di me, se mi vedessi mentre espleto la funzione, che tengo l’arnese mirato nel cesso e nel frattempo canto guardando l’intonaco del muro che si stacca.

Anche adesso, sono qui che picchetto sul portatile che ho poggiato sulle gambe, e lì fuori ti vedo, e sembra tutto fatto apposta, perché qualche minuto fa quando ho iniziato a picchettare sul Pc, tu non c’eri. Adesso ti trovo lì, seduta.

Seduta.

Ti alzi.

Torni, e ti siedi. ( mah!)

Di nuovo seduta.

Ti alzi.

Tiri su le mutande.

Rosa, sono rosa.

Belle, sono nuove?

Non le avevo ancora notate.

frappè

Tornavo a casa a piedi e se non erano le tre di notte, allora erano quasi le tre di notte.

In queste strade del centro non è mai tardi, che un po’di marmaglia ce la trovi sempre, qualcuno che sghignazza ce lo trovi sempre, qualcuno che urla “dai dammi una sigarettaa!” ce lo trovi sempre. E poi ci sono quelle volte che a sghignazzare ed a urlare sei proprio tu, in queste strade del centro, in orari della notte indefiniti ma che con giusta approssimazione possiamo dire all’incirca verso le tre.

Ma non stavolta.

Tornavo a casa – dicevo – e mi imbatto in un gruppetto di individui mediamente marmaglioso e mediamente sghignazzante, di quel tipo di individui che adesso mettermi qui a spiegare non c’ho voglia, ma chi è passato qualche volta da Bologna avrà sicuramente notato, che Bologna ne è piena, e se pure non mi va di spiegare posso dire che rientrano con molta approssimazione all’interno di quella parola – poco descrittiva ma tanto abusata- che è freak.

Sghignazzavano e marmagliavano, i freak(s).

Ecco che all’improvviso una finestra del palazzo di fronte ai freaks si spalanca violentemente, ed esce fuori una testa spelacchiata, a cui probabilmente era pure attaccato un corpo – che io non ho visto – e questa testa, con una palpebra chiusa per tre quarti e l’altra chiusa per quattro quarti, apre la bocca ed urla:

– Uè, che noi qui si vorrebbe pure dormire, eh! –

Io resto ammirato dalla chiusura circolare dell’imprecazione, assolutamente geniale, per la scelta di aprirsi con un e chiudersi con un Eh!. Uno dei freak con una sghignazzata mi da’ l’impressione di aver apprezzato anche lui  l’imprecazione ( e avrei voluto avvicinarmi per chiedergli: l’hai notata pure tu la geniale chiusura circolare?) e poi, alzando al cielo la sua Peroni, ha urlato con la voce rauca da cento milioni di Diana Rosse, rivolto alla testa spelacchiata:

– Uè, che noi qui si lavora per la nuova Avanguardia! –

Ed ha brindato con la Peroni assieme al suo compagno freak che applaudiva convinto. A me in queste situazioni vengono in mente le parole “Frappè Cerebrale”, ma di volta in volta mi viene in testa una nuova definizione. Ho fatto tre passi belli lunghi e girato l’angolo ero già sulla strada di casa.

Ho pensato che tornare a casa che sono le tre di notte o quasi, e non sentire affatto freddo, e sentire invece i propri passi al buio che con gli infradito appena sfoderati fanno Shniak Shniak sull’asfalto, e sentire quei due tipi che ho sgamato a mugolare e leccarsi seduti in equilibrio su di uno scooter, ho pensato che tutte queste cose prese singolarmente magari non c’hanno senso, e invece prese tutte assieme mi dicono Estate, proprio questo mi dicono, e da adesso in poi ne cacherò a bizzeffe di post imprecanti contro quest’ Estate che avanza decisa verso di me e io non sono pronto.

La vedo che avanza, maledetta.

Improrogabilmente.

Ineluttabilmente.

Irrimediabilmente.

Inesorabilmente.

(Avverbi del cazzo che siete)

non si vive di sole Sistoli

In un punto imprecisato della Via Emilia, tra Bologna e Imola, in un prato al bordo della strada, c’è infilzato un palo con un cartello pubblicitario di una Agenzia Immobiliare, che dice:

           CChiù Spaziu Pi’ Tutti.

Geniale.

Ma cambiando argomento.

Il cuore – si sa- fa pum pum.

Intendo il cuore in senso letterale materiale, cioè quella cosa di carne che quando funziona – e che se non funziona son cazzi- fa pum pum, oppure per essere più precisi, fa P-pum P-pum.

Il cuore funziona in un altalena di Sistole e Diastole.

Mo vi spiego.

La Sistole è quando il cuore si sforza, si contrae, si impegna, per pompare il sangue. La Diastole invece è quando il cuore si rilassa, si allarga, si riposa, si tranquillizza in attesa di una nuova Sistole.

Tensione, contrazione,impegno … e poi rilassamento, leggerezza tranquillità.

P-pum P-pum P-pum.

Questo per dire cosa.

Questo per dire che- parlando per metafore coniate appena adesso- sono in un momento di troppe Sistoli e poche Diastoli. Anzi niente Diastoli e solo Sistoli. Adesso non ci vuole il cardiologo Professor Cippa Lippa per capire che in una situazione così uno fa appena in tempo a contare fino a tre, ed è già schiattato.

E allora la domanda è: Stai schiattando?

La risposta è : No, anzi, sto davvero bene, in questa Sistole continua priva di rilassamenti.

La seconda domanda allora è: E allora cazzo vuoi, se stai bene?

La risposta è : Probabilmente da un momento all’altro potrei impazzire, e allora volevo dirvelo adesso, perchè poi dopo – chi lo sa – magari non ne sono più capace. Così poi potrò dire: Ve l’avevo detto.

La domanda è: Cosa?

La risposta è : Che sarei impazzito, no?

dove spendo il mio tempo

Il Pirla col-libro-davanti è rimasto solo in facoltà.

Solo significa davvero solo solo, cioè significa che su mille e più studenti che normalmente affollano questo posto, il Pirla col-libro-davanti è l’unico ancora seduto su di un tavolino che continua a girare le pagine, a sottolineare, a tradurre concetti indigeribili, e soprattutto a smadonnare contro lo scheletro di un cavallo che lo guarda da dentro la teca di vetro lì vicino.

Il Pirla col-libro-davanti ad un certo punto della serata in solitaria, lo stavano per cacciare fuori dalla facoltà. La signora nana delle pulizie, dopo aver finito di pulire i cessi, ha scoperto il nostro Pirla, che un po’ leggeva e un po’ smadonnava contro l’impassibile cavallo, ed ha urlato dal fondo del corridoio:

– Eh, io vado via, eh? La chiudo dentro, eh? Ha capito, eh?-

Tra i denti la risposta del Pirla è stata:

– Ma non mi rompa li coliòni! – ma a voce bassa, così bassa che la nana non ha capito niente, e il solo che si trovava abbastanza vicino da poter sentire questa frase era forse il cavallo, ma abbiamo già detto che è solo uno scheletro, ed in quanto scheletro, è per definizione mancante di padiglioni auricolari.

– Come ha detto, eh? Non ho capito, eh! – urla la nana col suo grembiule, spingendo il carrellino zeppo di detergenti e buste di plastica nere.

– Dicevo che non c’è problema, poi riesco ad uscire lo stesso, grazie!-

– Vabbene , Vabbene, buona sera.-

E se ne va.

Il Pirla, invece, resta seduto sulla seggiola ( che è un termine capace di evocare maggiori tristezze della parola "sedia") e fino a quando gli arriva dalla finestra po’di luce, continua a sfogliare li cazzo di libri.

Poi fa buio, e decide di andare via.

Direi che con la Terza Persona può bastare, che lo si è capito benissimo che è sto Pirla.

Dicevo.

Sono rimasto al buio, mi hanno chiuso dentro, praticamente. Sapevo come uscire ma non sono uscito – almeno non subito- ed ho deciso invece di camminare per la facoltà deserta e buia. C’eravamo soltanto io e il silenzio. Questi posti dove di solito c’è il casino, il rumore, e che ad un tratto li vedi deserti e silenziosi, a me fanno sempre uno strano effetto. Mi sono detto: cos’è questa strana sensazione che c’ho addosso? Sarà forse che con tutto questo buio e questo silenzio, mi sto cagando un po’ addosso? Eh?

Mannò, mi son detto.

Però lo stesso ho iniziato a camminare con uno stile davvero cowboy, con le mani larghe sui fianchi pronte ad afferrare ipotetiche pistole. E a muovere le dita, ondeggiandole, perché qualche film sui cowboy l’ho visto pure io.

Il buio, il silenzio, ed il Pirla-cowboy.

Poi è stato come una scossa elettrica nel culo, nel mezzo del silenzio e del mio camminare con le mani larghe sui fianchi, sento il Biiiììììp Biiììììp!!! del telefonino in tasca, col vibro e le lucine e tutto il resto. Numero sconosciuto.Testo:

 

ciao! ho organizzato per mercoledì a bardolino cena con le finlandesi e i compagni e poi disco! se mi chiami ti dico tutto. ciao

Dilemma Uno: a Bardolino? Cazzo è Bardolino? Dilemma Due: chi sono le finlandesi? E poi, chi sono questi " compagni"? Dilemma Tre: com’ è possibile che ci sia qualcuno che si rivolge a me con una chiusura di frase del tipo " E poi Disco" ? Ma soprattutto : chi sei tu che mi scrivi?

Sono uscito dalla facoltà molto meno cowboy, ma cercando di scrivere qualcosa del tipo: Grazie dell’invito, ma chi sei? E dopo un’ora una certa Giulia di Ala mi ha scritto :

 

Sono Giulia di Ala.

Chi cazzo è Giulia di Ala? Cazzo è "Ala"?

Vabbe’. I dilemmi dal numero Uno al Tre rimangono intatti.

Ripensandoci potrei scriverle, più conciliante:

Dì la verità, hai sbagliato numero, vero?

Fa niente, non c’è problema.

Piuttosto, queste finlandesi?

nell'aria:

C’è odore di docce appena fatte e di aspettative per la serata.

Sono appoggiato ad una colonna che aspetto paziente di prendere qualche pìcciolo dal Bancomat – che sono rimasto senza – ma la fila è lunga, che di gente prima di me ce n’è tanta, che vuole prelevare qualche pìcciolo dal Bancomat, perché è venerdì sera e le aspettative per la serata sono tante.

Aspetto paziente e mi infilo un dito nel naso, e attendo così il mio turno, col dito indice infilato nel naso.

Me ne accorgo e lo tiro fuori, e forse questa cosa del dito nel naso è la mia reazione di fronte a tutto questo odore di docce appena fatte e camice stirate e collanine d’oro e capelli in ordine che vedo davanti a me, nei tipi e nelle tipe che aspettano prima di me di avere un udienza dal signor Bancomat.

Penso che io di aspettative neanche una. Non c’ho voglia di far niente, stasera.

Penso che davvero più asociali del sottoscritto, di questi tempi, è difficile.

Penso che sulla carta di identità c’ho scritto Segni Particolari Nessuno ma che quasi quasi potrei andare in Comune e farmi scrivere dal Sindaco Segni Particolari : Asociale.

E allora mi dico : non esco, non esco, non esco, stasera.

Non esco.

Poi invece esco.

Ma solo per un po’, giusto il tempo di portare in giro la vita a fare la pipì.

Giusto il tempo di passare – io e il mio coinquilino BilliGiò – dal solito market pakistano per le provvidenziali birre d’esportazione a buon mercato. Giusto il tempo di perderci nell’alveare di persone che affollano la strada sotto casa, chè io c’ho il culo di vivere davvero nel centro del centro, di questa città.

Quindi ci dirigiamo sicuri verso la casa del nostro caro ex-coinquilino, colui che ci ha lasciati per andare a convivere con la tipa. Una casa che ancora non avevo visto e che davvero ero curioso di vedere. Una casa che – a dirla così sembra non avere senso- c’ha veramente l’atmosfera di una casa.

Una mansarda col tetto obliquo che ad ogni momento c’è il rischio di prendere una sonora craniata, ma col parquet lucido sul pavimento che davvero da’ l’idea di essere stato messo lì due giorni prima.

Il mio ex-coinquilino mi fa vedere orgoglioso il divano nuovo, che gli è appena arrivato, e mi fa fare il giro delle stanze ( e questo è il bagno, e questo è la stanza da letto, e qui forse ci mettiamo delle mensole..) in un modo che fino ad ora avevo osservato solo in gente che io consideravo irrimediabilmente adulta, quelle volte che con i miei genitori si andava a far visita a casa di qualcuno che aveva appena traslocato.

E mentre penso questa cosa mi rendo conto che ancora adesso faccio una netta distinzione tra la concezione di me stesso e il concetto di adulto.

Mi porta a vedere il microbalcone della mansarda da cui si vedono i colli. Mi dice :

– E insomma, questa è la casa.-

– Be’ , complimenti, mi piace. – E dico davvero, mentre mi arriva sulla faccia un filo di vento molto garbato.

Penso che magari su questo microbalcone non si potrà organizzare una festa, ma di certo si può venire a porgere le chiappe al cielo sellato, una di quelle sere d’estate che non c’hai voglia di sudare tra le lenzuola.

– Ti piace?- mi dice. E poi, un secondo dopo mi fa:

– Occazzo! –

– Che succede?-

– Mi sono dimenticato! Se torna lei e se ne accorge, mi uccide!-

Entra in casa e subito torna sul microbalcone con un bicchiere d’acqua che va a versare in un vaso dove c’è del basilico.

– Dovevo innaffiare il basilico!- mi dice.

senza titolo # due

Anto’.

Fa’ Caldo.

Anto’?

Anto’ mi senti?

Fa’ caldo.

Bibliotecari che state lì a pigiare i pulsantini del vostro pc da dietro al bancone, io vi invidio porca la miseria. Io ve lo invidio sto lavoro che al massimo, il peggior casino che vi può capitare, è che si perda un libro. Che al massimo, se proprio la giornata gira storta, vi si inceppa la carta della fotocopiatrice.

Io vi vedo che tornate a casa e vi chiedono Be’ Come è Andata Oggi Al Lavoro?

E voi: Guarda Lasciami Stare che sono Incazzato Nero che verso le due sono finite le graffette della ciappatrice e allora ciappare non si poteva più, e tutti sti fogli che dovevamo ciappare tra loro, adesso sono tutti sparsi, tutto in confusione, tutto un casino. Ci abbiamo provato, ad incollarli tra loro con sputazze catarrose ma niente, non funziona. Poi la Carla ha provato col suo smalto delle unghie e per un po’ ha funzionato, ma non è la stessa cosa, non è come quando si ciappa come Dio comanda. Adesso abbiamo nascosto tutti i fogli sotto i vecchi numeri di Donna Moderna, che se ci scopre il Capo so’ cazzi amari, a quello li prende un colpo a vedere i fogli che invece di essere ciappati sono ognuno per i fatti loro.

Fa’ Caldo.

La mia finestra è spalancata e da fuori sento voci che hanno un non so che di femmineo e gallinaceo. Anche loro avranno lasciato le finestre spalancate. Si riesce a sentire anche lo sbatacchiare dei piatti sulla tavola. Adesso mi sa che smetto di fare ticchi ticchi sul Pc e vado sul balcone a controllare cosa succede.

Adesso vado.

Vado.

senza titolo

Uscire dalla facoltà alle otto e mezza di sera – dopo dodici ore filate e appiccicose di sudate carte – e fuori dalla facoltà alzare il naso al cielo, e nel cielo trovarci ancora il sole bello piazzato come un tuorlo d’uovo di un uovo immenso, e le nuvole blu tutte attorno, e poi abbassare il naso e sentire l’aria che per dire che è calda non è calda ma quasi, tutto questo che mi trovo addosso appena uscito dalla facoltà vuol dire solo una cosa.

Vuol dire che è tempo di infradito.

E siccome poi in macchina premo il pulsantino della radio, e la radio passa Battiato sembra aver capito chi sono, e siccome in conseguenza di tutto ciò – o forse in conseguenza di non so cosa- vengo assalito da uno di quei strani conati di felicità ingiustificata, e siccome è inutile stare a spiegare il Perché e il Percome, che non ne sono capace, mi metto a spiegare – che mi pare più semplice –  il Quanto.

E allora: Quanto?

Ecco, non tantissimo, ma Abbastanza.

Poi per strada il traffico che dovrebbe esserci, non c’è. Ci sono invece questi greggi di ragazzine dai polpacci nudi e sodi che mi fanno capire bene come –  ad una certa età – l’essere femminile sia incapace di camminare nel senso letterale del termine, ma deve inevitabilmente un po’ saltellare.

Come delle gazzelle nella savana, solo che non c’è la savana ma c’è l’asfalto, e sono tanto saltellanti che mi verrebbe da abbassare il finestrino e urlare: Ueilà gazzelle che non siete altro!

Poi penso che se ci sono le gazzelle allora ci dovrebbe essere pure il leone, ma il leone non c’è, e di farla io la parte del leone proprio non mi viene, in questo momento storico, perché come ho già detto la Primavera stavolta mi è scoppiata storta.

Sono le nove meno venti e quel tuorlo di sole è ancora nel cielo, e dunque sui viali di Bologna farà buio più tardi , da oggi in poi, e questo significa che le signorine che lavorano sui viali usciranno più tardi di casa – ma sempre ben truccate- e con la bella stagione non prenderanno freddo a stare tutta la notte con le coscie oblique sul marciapiede.

Come scriveva la Ballestra nel Compleanno dell’Iguana, le prustitute.

Che a me a sempre fatto ridere quella u messa dove invece ci andrebbe la o.

cose del venerdì sera

Ste femmine che al semaforo rosso tirano fuori la cazzo di scatolina dei trucchi e si impiastricciano la faccia, davvero non lo so.

Non lo so.

Ste femmine che le vedi al semaforo rosso – che io quando il semaforo è rosso giro la testa di lato per spiare il mondo intiero – tirano fuori sta cazzo di scatolina con il fondotinta e se lo passano veloce sulla faccia che la differenza tra il prima e il dopo la notano solo loro.

Ste femmine che il venerdì sera le vedi che sono tutte belle cariche perché inizia la pacchia del week end  e si vede benissimo che sono andate a farsi la lampada il giovedì per essere belle croccanti per il week end.

Ste femmine che il venerdì sera le vedi che se sono in macchina da sole, allora ad ogni semaforo si danno una restaurata alla faccia, ma se sono in coppia sghignazzano eccitate muovendo il busto avanti e indietro che chissà se non prendono una capocciata al cruscotto, e fumano fumano fumano.

Vanno in giro con la Smart, e masticano gomme con la bocca semiaperta, e fanno dondolare orecchini eclatanti dai lobi, mentre un braccio pende fuori dal finestrino, e nel frattempo fumano fumano fumano.

Ste femmine che lo so che non sta bene dire femmina ma adesso mi viene così, che a pensarle donne non mi viene, che mi danno l’impressione di essere dei manichini ai quali è stato appena tolto il cellophane.

Ma vabbè lascio perdere che ci sarebbe materia per scriverne dieci, di post su sta cosa delle femmine ferme al semaforo.

Ero a cena – ad una cena che sono arrivato giusto giusto per la frutta – e mi ero assentato per andare al bagno a pisciare. Quando sono tornato dal pisciare, dallo stereo usciva fuori Capossela a volume bassissimo, ed una tipa californiana di San Diego (come dicono loro “Califournia”) riconosce il pezzo e mi fa:

– Ah, ma tu sei salentino! Dai ballami la pizzica!-

– Ma cosa dici, califourniana di San Diego, non è possibile. Punto Uno questa non è pizzica e Capossela non è salentino (sebbene pare si ubriachi tutta l’estate dalle mie parti ndr ) Punto Due ballare la pizzica non sono capace, e se proprio devo provarci allora dovete darmi un mezzo litro di rosato come si deve. Punto Tre: tu come diavolo è che conosci la pizzica che vieni DaDoveHaiDettoCheVieni? Punto Quattro: dov’è la birra?-

Poi vabbe’, ho trovato la birra, ho  spiegato alla califourniana che i Negramaro, quelli sì, sono salentini davvero. E allora siccome lei conosceva pure i Negramaro, ha voluto sapere a tutti i costi cosa significa “L’Idea che Ormai Ho di Te, Verde Conijo” e le ho detto che sta frase non ha senso, che Verde Coniglio non ha davvero senso, che potevano dire pure Guarda Mio Figlio oppure Fai lo Sbadiglio che era uguale, ma chissà perché hanno voluto dire Verde Coniglio. Allora lei ci pensa un attimo e mi fa:- Potevano dire pure Gallo Giallo o Cavalla Viola?- 

Be’ si, suona di merda, ma ci può stare.

un genio nonostante tutto.

Questa l’ha detta proprio oggi quel Silvio lì che prima era presidente e adesso non lo è più:

-Bambino, quanti anni hai? –

-Tredici –

– Io alla tua età già ne avevo quindici! –                 (Fonte: Ansa)

Questo è cabaret di qualità, questo è cabaret fatto bene.

Volevo dire che su queste pagine se si parlerà del Berlusca se ne parlerà solo in bene, perchè se devo scegliere tra l’insofferenza per il nano pelato – che pure c’è ed è cristallina – e l’insofferenza per il Fare Quello Che Fanno Tutti ( in questo caso sfottere il Berlusca) allora sono sicuro che riesco a sopportare meglio il nano pelato.

Quindi se ne parlerò sarà solo in bene oppure – ed è cosa buona e giusta – non se ne parlerà affatto.

gente di bologna

Siamo seduti su di una panchina ad ascoltare sta ragazza bionda ma veramente bionda, che parla col suo italiano stropicciato di come le piace viaggiare e di come è bella l’Italia, che è proprio bella quest’Italia, e che le piace stare a Bologna, che è proprio bella Bologna, con i portici e tutto il resto, che tutto è bello e lei è veramente contenta.

Lei è belga, e considera l’italiano come un appendice del francese, così dice Mavalà credendo che sia la traduzione letterale del Voilà francese, e noi glielo diciamo che non è così e lei dice Ah, ma Davvero? E poi cerca di correggersi ma non le riesce e allora rimaniamo lì a tenerci la panza dalle risate ad ogni Voilà e Mavalà.

Poi dice: c’è una cosa che non capisco.

E noi : cosa c’è che non capisci?

Voilà, e ce lo spiega.

Dice: non capisco come è che ci sono tuti questi puncabèstia in giro, tutti questi ragazzi ggiovani che non si lavano la faccia e vanno in giro coi cani, e sembrano sporchi che uno pensa che dormono per terra, in mezzo alla strada, e poi se glielo chiedi ti dicono che No, loro la casa ce l’hanno, e ci vanno a dormire anche.

E allora uno li vede e pensa: ma perché i puncabèstia vogliono vivere così?

E come glielo si spiega, a sta ragazza belga e molto bionda, cos’è un punkabbestia?

Ci proviamo: Sai, questa storia di andare in giro per strada sporchi, è come una moda.

Lei accavalla le gambe e dice perplessa: moda?

Non attacca.

Ma perché, voi lì in Belgio non li avete, i punkabbestia?

No, niente puncabèstia, in Belgio.

Allora ci penso un attimo e mi rendo conto che in tutte le città in cui sono stato in giro per l’Europa, di punkabbestia non ne ho visti. Anche quando stavo a Londra – ed ho vissuto in certi posti che non vi raccomando – di gente che giocava a fare i senzatetto non ne ho trovata. E allora ho pensato: ma guarda un po’ sti poveri punkabbestia, che giocano a fare gli eversivi con le catene al culo, che giocano a fare gli anarchici spruzzettando con le bombolette le cabine telefoniche, che proprio loro stanno diventando una cosa tipicamente italiana, come i maccheroni e la Torre di Pisa e Pulcinella.

Che magari tra un po’ arriveranno i turisti giapponesi che si vorranno fare la foto col punkabbestia più caratteristico, che vorrano portarsi a casa un pezzo delle loro catene del culo, per poter dire ai loro parenti giapponesi: Sai, sono stato a Milano, sono stato a Bologna, guarda qua che punkabbestia Quattro Stagioni che ho trovato al Duomo.

E magari i punkabbestia sta cosa la sfrutteranno anche, perchè quando si mettono in strada col bicchiere di plastica per chiedere le monete, nessuno li caga. Si posizionano col flauto in bocca e fanno Pii Pii e il flauto non lo sanno suonare, e i soldi te li chiedono uguale.

Qui a Bologna poi non possono neanche infilarsi nel florido business del furto di bicicletta, perché quello è gia territorio dei tossici. Non possono infilarsi nel business dello spaccio, che quello è monopolio dei nordafricani, che il loro lavoro lo fanno bene, e se per caso trovano il punkabbestia che fa il furbo col fumo e le pasticche, lo prendono e lo annodano con i suoi rasta al lampione.

Ma cos’è che volevo scrivere quando ho iniziato a scrivere? Non me lo ricordo più. Volevo scrivere di Bologna, forse. Ho scritto dei punkabbestia, invece.

Vabbè.

Comunque Bologna è zeppa di punkabbestia, questo lo si è capito.No?

questione di carne e di carezze

L’ho rivista che fumava una sigaretta sghignazzando non so di cosa.

Mi fa: Ah, ma sei tornato?

Faccio io: Eggià.

Poi passo oltre che c’avevo da fare non so cosa, e lei sghignazzava di non so cosa, e il nostro sguardo obliquo e reciproco sarà durato, chenneso, un secondo e mezzo.

Anche meno.

Mentre salgo le scale per andare a fare non miricordocosa , penso che con Lei sarà durato forse due settimane, e poi niente più. Un arco di tempo così ristretto ma poi anche così dilatato nella mia capoccia, che ancora non ci credo sia durata solo una manciata di giorni.

Due settimane.

Prima di ciò, non ci cagavamo.

Dopo di ciò, non ci siamo più cagati.

Ma nel mezzo, patapim e patapam.

L’ho rivista qualche ora dopo, quando io non andavo più di fretta, e lei non aveva nulla di speciale da fare, non ci siamo neanche fermati a chiacchierare, perchè come ho detto siamo ancora nella fase Post Patapim e Patapam dove non ci caghiamo molto, ci siamo beatamente indifferenti, e sono anni che ci ritroviamo e parliamo del traffico per le strade e dell’esame da fare e da non fare, e mai che la parole cadano su quelle due settimane, non c’è neanche l’imbarazzo, è davvero come se quelle due settimane non ci fossero mai state.

E va bene così.

Però ci sono state.

Come successe lo ricordo solo come frammenti di pellicola arrugginita. Le birre bevute erano già tante e in quel locale di merda il Tunz Tunz era assordante e la poltiglia di gente neanche si muoveva, perché nei locali giusti di Bologna chi balla è un cretino, bisogna solo stare in piedi col drink colorato in mano e la camicia dall’alto colletto bianco che contrasta con la carnagione colore della diarrea di cane comprata a dieci euri al Solarium.

Noi pezzenti si era entrati perché non so come c’avevamo il nome in lista, ma finita la consumazione obbligatoria volevamo continuare a bere qualcosa, e allora si continuava ad uscire per andare al parcheggio, dove tenevamo il nostro frigo bar dei pezzenti: la busta di plastica con le birre in lattina da 50 cl nascoste sotto un camion. Lì fuori faceva freddo quel tanto che bastava a non far riscaldare le birre eccessivamente, poiché è noto che la birra di merda fa meno schifo se la bevi ghiacciata.

Lei disse che forse stava bevendo troppo e mi chiese di prenderla in braccio e di riportarla dentro al Tunz Tunz , se non mi dispiaceva, e a me Certo non dispiaceva, visto che pesava poco più della busta di plastica con le birre dentro, e allora la presi in braccio e la portai dentro, ma i buttafuori toccandosi l’auricolare nero dissero che così non potevamo entrare, così lei scese, che ancora si reggeva in piedi, e ubriaca non lo era per niente, ma proprio per niente, ma questo l’ho capito dopo.

Dentro alla bolgia di colletti bianchi, dopo qualche minuto, ci stavamo baciando, ed era una cosa assurda, una cosa che non c’entrava un cazzo, perché non c’era stato nessun preavviso, non c’era stato niente.

E invece.

Quindi sono seguiti i giorni del chiederci Ma Cosa è Successo L’Altra Sera, e a dirci sicuri e sorridenti Ma Niente, non è successo niente. Ma sei sicuro? – mi scriveva nei messaggi del telefono- Facciamo Che Vengo Lì e ne Parliamo di Persona? Ed io a casa che già sapevo come sarebbe andata a finire, se fosse venuta. Che già lo sapevo, che dovevamo dirci che non era successo niente, e invece poi stava succedendo troppo.

E poi sono venuti i giorni del Passo Da Te Più Tardi, e le notti che non ci capivo niente, e le mattine che mi svegliavo con gli occhi da coreano per andare a lezione. E lei che la lasciavo a dormire come se ci conoscessimo così bene da sempre. Poi tornavo e trovavo le lenzuola incasinate che dovevo sistemarle da me.

Le notti che Non Posso Venire che Ho da Fare, ed io a dirle: Ok ti lascio le chiavi, quando finisci vieni pure, apri la porta e ti infili nel letto. E lei che non me lo sarei mai aspettato, ma davvero Apriva la porta e si infilava nel letto cercando di non svegliarmi.

E ancora le Mattine, quelle che mi guardavo nel riflesso del vetro del bus e mi dicevo a voce bassa: Questo si Chiama Sesso Caro Mio, ed è solo così che lo potevo chiamare, che altri nomi non mi venivano. E pensavo che fino a quel giorno il Sesso privo di ogni altra cosa pensavo fosse cosa da animali, che fosse solo esercizio fisico, come una corsa, come una nuotata.

Nel riflesso del vetro del bus c’era lo stupore – e anche il ghigno soddisfatto – dello scoprire che invece No, non è così, che il Sesso se ci togli tutto il contorno non è cosa da animali, ma c’ha una tenerezza che se lo vuoi gliela puoi lasciare addosso, e se deve durare solo qualche giorno è una ragione in più per fare le cose nel modo giusto, e che se dura solo qualche giorno allora non hai scuse per risparmiare su di una carezza. O su di una parola.

Che poi tutto finisce.

sono in quaresima

E il mio culo assume velocemente la forma di una sedia.

Premessa: io sono un secchione di merda.

Io sono uno che la cosa che ho fatto di più in questi anni a Bologna è stato studiare. Io sono uno che c’ho la media del ventinove virgola qualcosa periodico. Io sono uno che alle liste d’esame si iscrive per primo. Io sono uno che quando c’è da studiare si studia e basta, e non rompete i coglioni con la tivvù ad alto volume. Io sono uno che adesso rileggo quello che ho appena scritto e mi rendo conto che Si, senza dubbio, sono proprio un secchione di merda.

Anzi, di mmerda, con due emme.

Poi durante la vita universitaria del Secchione Medio di Mmerda, può capitare che ci siano quei due o tre esami che ti rendi conto che pure se ti impegni, non sai se ce la fai. O meglio, sai che se ti impegni ce la fai eccome, però devi sputare sangue e passare le notti coi libri uno sull’altro davanti alla faccia come sacchi di sabbia in una trincea di guerra. Di quelle notti che la scrivania non basta e i libri sono sparsi sul pavimento e  li vado a consultare camminando a quattro zampe. Di quelle notti che poi vado a dormire e c’ho ancora il pigiama addosso dalla mattina. Di quelle notti che quando spengo la luce penso: Non si Può Andare Avanti Così e poi quando mi sveglio la mattina invece vado Avanti  proprio Così, e pure peggio.

Tipo adesso, è uno di quegli esami.

Ho guardato la sedia, mi sono massaggiato il culo.

Ho fatto combaciare la sedia al culo ed ho visto che c’erano delle incongruenze – e dopo sei mesi di Erasmus lo posso pure capire – ma ho detto al mio culo: fai il buono e adattati, che per i prossimi tempi io e te si rimane qui insieme.

Se vi dovesse capitare di incontrare un pazzo che barcolla per strada con grossi libri in mano, che se per caso gli chiedete la via per arrivare in stazione vi risponde Linfoma Multicentrico e se gli chiedete di accendervi la sigaretta vi dice  Blocco Atrioventricolare e poi vi accende la sigaretta col fuoco che esce dalle narici, ecco, quello sono io. Di solito i miei occhi sono verdi, ma durante questi periodi di quaresima possono pure diventare rossi.

Il consiglio è : indietreggiate lentamente, moolto piano. Poi quando siete abbastanza lontani, voltatevi, e fuggite via veloci.

Veloci, mi raccomando.

femmine col telecomando in mano.

Poi dicono che gli uomini – i maschi – pensano sempre alla stessa cosa. Che pensano sempre a quella cosa lì, avete capito quale.

Quella lì.

Sono seduto a picchettare sui tasti del pc con la faccia rossa del poco sole che ho preso in riva al lago, e nella stanza assieme me ci sono cinque ragazze – cinque femmine- che guardano il concertone del primo maggio in Tivvù, e siedono sprofondate sul divano come sanno sedere le ragazze, con le gambe attorcigliate sotto al culo, quando hanno un telecomando in mano. Sul palco sale l’australopiteco Piero Pelù e cominciano i borbotii.

– Ma che culetto che ha , quest’uomo!-

– Cosa? Vuoi dire che ti piace?-

– E certo, ha un culetto!-

– Bello, peloso e puzzoso, bello com’è lo seguirei ovunque.-

– Ma cosa dici, si è pure tagliato i capelli.-
– E guarda che gambe che ha, e che culetto!-

Il tempo di cambiare posizione alle gambe attorcigliate sotto al culo, il tempo di qualche risatina femminea eccitata, e sul palco salgono i Negramaro.

– Questo si, che è bello! –

– Bello? Ma sei pazza? –

[zoom della regia sul capoccione del cantante]

– Be’ forse no, comunque è bello di profilo-

Io continuo a ticchettare sul Pc, e intanto dalla Tivvù si sente cantare Ligabue uno di quei suoi pezzi che ogni volta non si capisce bene se sono pezzi vecchi oppure nuovi.

– Ecco, per esempio Ligabue, lui mi è indifferente. –

[telecamera che indugia sul chitarrista, del Ligabue]

– Be’, il chitarrista però, non è da buttare via.- 

E poi dicono che i maschi – i ragazzi – pensano sempre a quella cosa lì. Che poi in realtà sarebbe pure vero, questa cosa della fissa su quella cosa lì. Posso dire che io di questi tempi non ci penso poi tanto, si potrebbe dire che non ci penso per niente. Si potrebbe dire che non so com’è ma a quella cosa lì ci penso poco o niente.

Si potrebbe dire che quest’anno la Primavera mi è scoppiata storta.