Non mi serve. Non è per i 349 euro, è che non ho spazio. E non lo userei come andrebbe usato. Però..
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Non mi serve. Non è per i 349 euro, è che non ho spazio. E non lo userei come andrebbe usato. Però..
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I quasi nani che si ammazzano in palestra per crescere almeno in orizzontale, sono uguali uguali in tutti i paesi del mondo.
Mi dicono: giovedì prossimo qui è festa nazionale e non si lavora. Quindi tutti facciamo ponte con venerdì. Tu che fai? Che faccio? E non lo so cosa faccio, non ci avevo pensato: vagherò per la città a spiare gli indigeni? Ma non lo dico. Dico che non lo so, che organizzerò certamente qualcosa, chè è quello che vogliono sentirsi dire.
La stazione della metro vicino casa è alla Commissione Europea. Non “vicino” alla Commissione Europea, ma proprio lì. Solo che quando la prendo io – la metro – la Commissione è deserta. Però c'è sempre qualche turista che si fa la foto sotto la scritta “Commissione Europea”. A volte c'è un cinese solitario che vuole che gli scatti la foto. Cinese, ti fidi di me a darmi sta macchinetta fotografica da millemila euri? E quindi da milioni di milioni di yuan? E se scappo come in quel film che non mi ricordo il nome? Ma No tranquillo, ti scatto la foto dove tu fai la parte del Felice sotto la scritta Commissione Europea. Poi vado via, ché devo comprare un vestito per un matrimonio. Ciao, cinese.
C'è una segretaria che ogni volta che passo dal suo tavolo, si incurva tutta sulla sedia e mi dice che le sembro impegnato, o che sto bene, o che sembro incazzato. Mi deve dire sempre qualcosa. Lo storyboard del mondo di oggi vorrebbe che io ne approfittassi, ma a me viene il male universale, a pensare di far parte del prevedibilissimo storyboard del mondo.
Domani sono ad un compleanno in Germania.
Nel 1958 Pierre Culliford stava pranzando con un suo amico.
Voleva chiedere al suo amico “passami il sale” ma si era dimenticato la parola “sale”. Noi diremmo passami il “coso”, che devo “cosare”. Lui invece disse passami lo “schtroumpf”. E poi continuò a parlare in francese con il suo amico sostituendo nomi e verbi con ““schtroumpf”, che poi più tardi si era trasformato in “smurf”.
Per esempio: dobbiamo “smurfare”, questa cosa mi “smurfa”.
In italiano “smurf” è stato poi tradotto con “puffo”. Pierre Culliford, nato a Brussélle e anche conosciuto come Peyo, è stato l'inventore dei Puffi. E ieri (sapevàtelo) è stata la giornata mondiale dei Puffi. Quanto a me, io più che altro sbadigliavo, ma ero ipnotizzato da Gargamella.
E appunto dicevo, se mi ringraziano in pubblico finisco per arrossire. Però a tutto ci si abitua.
Oggi ho detto addio ad uno dei posti dove lavoro e per la terza volta mi hanno ringraziato in pubblico. Mi sono sforzato di pensare ad altro, e non sono arrossito. Non è timidezza: infatti parlo in pubblico tutto impettito. È mancanza di barriere contro le cose belle. Non sono cosebellofobo. Mi hanno regalato una bottiglia di champagne, ho detto beviamola insieme dopo sta bottiglia di champagne, per esempio con i dolci che vi ho portato.
Non ci siamo riusciti, e oggi per la prima volta in vita mia dormirò con una bottiglia di champagne nella camera da letto (ché lasciarla in cucina con Spitty Cash & co potrei ritrovarla piena di mozziconi di sigaretta).
Sono giorni da Addio ai Monti, però è tutto piatto, non ci sono i monti. Ci sono solo gli addii.
Poi una cosa che mi è spuntata addosso all'improvviso è che mi faccio volere bene. La gente improvvisamente pensa che sono una nice person. In realtà non è così – non credo – la realtà è che invece sono io che ho sempre avuto un istinto nel riconoscere e avvicinare le persone buone. Volete persone buone? Cercate tra le persone con cui parlo di più. Tra le persone che con me durano di più.
E siccome sono giorni da Addio ai Monti ci metto tantissimo ad andare in qualsiasi luogo. Faccio lunghi giri con la macchina per prendere nota. Ci ho messo il triplo del tempo per andare in un posto che potevo trovare vicino a casa, solo per comprare dei tappi di gomma per le orecchie. Al ritorno, ho preso una strada alternativa che costeggiava un canale. Ad un certo punto ho dovuto fermare la macchina, le anatre volevano attraversare la strada.
(clicca sulla foto per ingrandire)
Dopo aver conosciuto lui su youtube ho deciso che devo ricominciare a studiare la lingua barbara.
Ho ricominciato.
Il problema è che se vuoi veramente una cosa, la fai. Se la desideri davvero, allora fai in modo di raggiungerla. Però prendiamo la lingua barbara: non mi piace. Mi devo sforzare tanto per parlare poi una lingua che non mi piace? Diamo un esempio di lingua barbara per dare un’idea ai telespettatori a casa.
Non mi piaccio: sono vendicativo nei confronti delle falene che si intrufolano in camera. Falene, voi entrate? Voi entrate e frullate con le vostre ali per ore contro i muri, contro i vetri, sul mio naso, e non mi fate concentrare? Falene, io vi lascio morire qui in camera mia. Si chiama selezione naturale della camera mia. Siete portatrici di informazioni genetiche fastidiose che vi spingono ad entrare in camere di persone tranquille e posate come me – nonostante solo un piccolo pertugio sia aperto, e tutto il resto chiuso. Voi la vostra informazione genetica non potete tramandarla alla prole. Io desidero un mondo di falene educate che al limite – se proprio vogliono entrare – poi sanno trovare da sole la via d’uscita.
Questa domenica se uno si trovasse dalle mie parti dovrebbe fare qualcosa per lui. Si tratta di mettere una crocetta. Io c’ho un duemila chilometri circa ad impedirmelo. Ma allora sei comunista? Mai stato, e non credo di cambiare oggi. E’ solo che uno ascolta le parole, vede i fatti, e finisce per crederci. E se poi dovesse rivelarsi tutta una finzione, allora sarà stata una crocetta per quello che ha saputo fingere meglio.
E quindi non dormo abbastanza. Gia’ so di avere le occhiaie prima di tirarmi su dal letto. Dietro la porta il nuovo coinquilino tedesco dice: qui invece ci vive un ragazzo italiano. E poi una voce femminile che ride. Dev’essere la nuova coinquilina indonesiana. Io gli indonesiani onestamente non ce la faccio piu’. La puzza di cucina indonesiana pensavo di avere chiuso, e invece No.
Eppoi almeno in italiano dici indonesiano, che suona bene, in inglese invece dici indoníscia, aggettivo indoniscian, che non suona tanto elegante. Cerco casa. Mi chiamano per una casa. Ti piace la camera? mi chiede sto bovino barbaro. Mi piace. Anche senza pavimento? (non c’é il pavimento) senza intonaco, senza frigorifero e lavatrice e piano cucina (che non ci sono, li devi comprare a parte e metterli vicino al letto). Sí sí mi va benissimo, dico io. Dividerai il water – solo il water, eh! – con quello che vive di la’. Comunque é per poco, perché poi lo mandano via. Anzi, adesso é pure in galera. Ma va’? Vuoi la sua camera? Te la faccio vedere, li’ pero’ c’é il pavimento.
La porta é chiusa. Il bovino – é una bovina – infila una mano nella finestra, dal balcone, e sposta la tenda. Un tugurio, ma enorme, e col pavimento. Col pavimento! Ci mettiamo a discutere: secondo te lo portano via, il pavimento, prima di lasciare la camera? Va be’, dico mi piace di piu’ quella di prima, Sí Sí tranquilla – bovina! – mi piace tantissimo. Poi invece quando torno a casa parcheggio la macchina, affloscio la testa fuori dal finestrino, ci penso due minuti e infine le mando un sms dicendo che mi dispiace, ma forse é meglio di No. Oh, fa lei – eri la mia prima scelta. In quel momento, dall’altra parte della strada, una ragazza si affaccia a intervalli regolari dalla finestra e chiama qualcuno, non capisco chi, ma dal tipo di nome dev’essere – lo spero per lui – al limite un gatto.
Io non ce la faccio. Io non ce l’ho il Facebook, va bene? Non ce l’ho e sono pure anni che cavalco sta cosa del blogghe, quindi internet diciamo che un po’ lo conosco. Ci sguazzo, dentro internet, da un po’. E quindi non sono uno che non sa di cosa parlo.
Internet, io so di cosa parlo se mi metto a parlare di internet. Ma Facebook non ce l’ho. E non è che tutti sti Facebookkiani per me sono dei pazzi. Facebookkiani, vi rispetto. Accetto la vostra esistenza, fate quello che volete (a proposito, cosa fate con sto bendetto Facebook?) ma perfavore lasciatemi in pace quando vi rispondo che io Facebook non ce l’ho. Non ce l’ho. Provo a darmi una ragione per averlo, e non la trovo. La storia dei compagni di classe perduti per strada non regge. Per me è cosa buona e giusta che siano perduti per strada. Provo a focalizzare l’immagine di qualcuno di loro, invecchiata di quindici anni e penso: meno male, che esiste la strada, e che ci si può perdere, lungo la strada.
Dopodichè, i contenuti. Io non lo so, ma alla fine internet è sempre quella cosa dove migliaia di blogghe nascono e muoiono e nel frattempo tra nascere e morire ci trovi solo canzoni copiate e incollate, o citazioni, o fotografie copiate e incollate o altre cose copiate e incollate. Oppure le mail a catena, dove uno si mette a costruire un power point simpatico (punto interrogativo) e poi centinaia e migliaia si inoltrano la mail piena di Fwd Fwd Fwd. Ora, già lo sappiamo che internet è uno strumento potente, così potente che dato in mano a gente poco potente, finisce inevitabilmente per essere povero di contenuti. Detto questo (si può negare?) la nascita di Facebook come fenomeno a propagazione mooolto più ampia dei blog, era largamente prevedibile.
Io per esempio fra le chiavi di ricerca di sto blogghe, ci trovo da mesi sempre qualcuno che cerca su Google “cose carine da mettere sui blog”. Ogni mese. Ogni mese. Voglio dire, se c’è tanto bisogno di contenuti per riempire uno strumento potente, ecco che ti arriva Facebook, dove ci metti la faccia, non c’è bisogno di altro, e hai finito. Io esisto. Non so bene cosa dire, ma esisto. Eccomi qua.
Poi alla scuola media, per esempio, c’erano quelli che sul diario copiavano compulsivamente le frasi di Jim Morrison. Io il nome Jim Morrison l’ho scoperto così, a undici anni. Oppure scrivevano (brivido lungo la schiena mentre ci ripenso) cose del tipo «come la barca lascia la scia/io ti lascio la firma mia». Solo io ce lo vedo la connessione fra tutte ste cose? Forse sì. Pazienza.
Per sta cosa di Jim Morrison copiato compulsivamente, comunque, io poi Jim Morrison non l’ho mai potuto sopportare.
Qual’è il futuro dei giovani in Italia.
Questi momenti così kitsch e palpitanti, a metá fra l’istituzionale e l’attesa per il miracolo di San Gennaro, ogni volta è come la prima volta.
Ogni giorno che passa faccio la sottrazione fra tutti i motivi che ho per rimanere a lavorare qui, e tutti i motivi che avrei per non rimanere. Il risultato, cerco di fare in modo che sia ogni volta positivo. Questa si chiama ostinazione positiva. Scriviamolo sulla lavagnetta: Ostinazione Positiva. Così ogni volta poi decido di rimanere. Purtroppo credevo sarei venuto qui a fare chissà cosa, mi ritrovo a fare il burocrate segretario, con la prospettiva di diventare capo burocrate segretario. E la colpa alla fine è tutta mia che ho capito male, mica è loro, la colpa. La colpa è mia. Scriviamo sulla lavagnetta di chi è la colpa: mia.
Ogni volta cerco di bilanciare la delusione e la disillusione e l’umiliazione con i lati positivi. Il punto è che ci sono tutta una serie di lati positivi che mi arrivano addosso che per adesso l’idea di mollare viene pesantemente respinta. Mi dispiace per il lettore ma da ora in poi ste pagine diverranno anche una specie di taccuino dove segnare tutti sti lati positivi, che da quando c’è il blogghe ho perso tanti quaderni e taccuini mentre il blogghe mica è di carta, quello è difficile perderlo. Il blogghe resta lì. Dunque, lati positivi:
– Ieri mattina c’avevamo una riunione che io mi sono presentato col taccuino ma poi dopo tre minuti di discorso abbiamo finito per brindare con un bottiglione di champagne e il capo ha pure fatto un regalino stupido a tutti i presenti.
– Non devo timbrare alcun cartellino, entro ed esco più o meno quando mi pare. Non esco mai prima del dovuto per senso del dovere. Che bravo.
– Da un paio di giorni lavoro con l’ipod alle orecchie. Anche la mia capa fa così e pure la collega del tavolo avanti a destra.
– C’è un gruppetto di persone che ogni giovedì lasciano tutte le carte sul tavolo, si infilano la tutina aderente ginnica e vanno a correre fra i boschi. Poi tornano con le guance rosse e ricominciano a lavorare. Con la tutina e le scarpette da corsa.
– La città. Bella e rilassante. Gente con la faccia felice.
– La città. Anche fosse brutta, non potrei mare tornare dove non sanno nemmeno raccogliere la spazzatura.
– A Bologna adesso sarei a distribuire cartoline oppure a fare il cameriere.
– Pur volendo andare via: dove vado? Cosa faccio? Dove vado?
– Essere costretti a svegliarsi presto la mattina che è ancora buio ti fa vedere le cose in modo diverso. Scegliere una direzione quando sei in vacanza per mesi che ti tiri dal letto a mezzogiorno è una cosa, scegliere una strada che devi tirarti su alle sette e lavorare tutto il giorno, è un’altra. E’ come se qualcuno ti prendesse per l’orecchio e ti dicesse: dai, su, scegli, fai, prendi una direzione, su’, fai presto, su’, veloce!
E questo si chiama Bilancio Provvisorio.
E adesso da bravi, scriviamolo sulla lavagnetta: Bilancio Provvisorio.
Sto cercando casa su in Olanda. Questa è una ricerca disperata e senza sosta. Rispondo a decine di annunci e ricevo rarissime risposte. Una delle poche risposte mi arriva ieri da un cinese, che d’ora in poi chiameremo il Cordialissimo Cinese. Ecco la traduzione della mail del Cordialissimo Cinese.
Caro Rafeli,
potresti dirmi qualcosa di più su di te? Sei quel tipo di ragazzo/ragazza che hanno sempre bisogno di compagnia? Noi in questa casa siamo molto indipendenti l’uno dall’altro e ci piace fare le cose ognuno per conto nostro. Sei un maschio o una femmina? Per quanto tempo ti servirebbe la camera? A presto.
Caro Cinese Cordialissimo,
io non sono affatto quel tipo di ragazzo/ragazza che ha sempre bisogno di di compagnia, ci mancherebbe altro. Io sono un ragazzo, dove per ragazzo si intende un maschio. Come si dice maschio in cinese? Non lo so. Per il resto, io non ho sempre bisogno di compagnia, anzi, se vedo qualcuno in casa mi spavento tanto e corro a piangere sul letto sbattendo i piedini. Alle volte, per evitare di vedere persone in casa, entro in camera dalla finestra e non mi cibo per settimane intere. Cordiali (poco cordiali, intendiamoci) e virili saluti.
Già so che a scrivere queste righe, farò una foto di me stesso che di sicuro avrò voglia di tornare a curiosare nei tempi a venire, quando non so ancora se il blogghe esisterà ancora, quando forse avrò una faccia diversa e pensieri diversi.
E allora voglio ricordarmi che oggi ero un ragazzo con una felicità intermittente, con le mani che tremano per notizie in arrivo e una storia da raccontare. Quindi mi rivolgo al me stesso di domani e gli dico: sappi che oggi eri felice e tremante, e che hai passato la scopa a tirar via la polvere dal pavimento del corridoio, e che hai un letto con le lenzuola disfatte e un paio di scarpe troppo consumate ai piedi per il tanto camminare, e una foto sulla scrivania di una persona a cui vuoi bene. Oggi c’eri tu, le tue ansie ondulatorie e le cose che hai fatto negli anni per arrivare fino a qui, tutte appiccicate sulla faccia a lasciarti un odore che a volte è forte e a volte meno, e alcune piccole cicatrici asfaltate dal passare del tempo. Oggi sei contento di te stesso – anche questo lo pensi in modo ondulatorio e incerto – e ti abbracci con questa consapevolezza come fosse una compagna di strada che comunque resterà sempre lì a gioronzolarti attorno.
Due giorni fa sei stato in un Paese pieno di biciclette e canali d’acqua, sei sceso dall’aereo appallotolando il quotidiano che ti raccontava tutte le schifezze della tua nazione. Lo hai lasciato sul sedile per farlo portare via alle hostess bionde e corpulente. Hai visto cose, potresti spendere qualche parola in più per spiegarti meglio, ma la sostanza è che hai visto cose. Hai visto strade con quasi nessun lussuoso macchinone, molti meno di quanti ne vedresti in mezzora passeggiando nel tuo paesello, e hai parlato con persone disponibili al punto da farti vergognare. Hai avuto parole di incoraggiamento senza chiedere nulla, e hai visto coppie di anziani tenersi per mano, e giovani biondi che avevano già un pargolo da sistemare sul seggiolino della bici.
Ma senza girarci troppo attorno, la cosa è questa.
La cosa è che tra poco qui si lascia tutto e si va via. C’è da fare tanti pacchetti e caricare la macchina, poi dire ciao a Bologna e salire su in Olanda dove ti aspetta un lavoro, e felicità intermittenti e ansie ondulatorie proprio come hai fatto fino a qui. Ci sono cose da fare e cose per cui preoccuparsi, e tanto vento in faccia da prendere.
La cosa – signorimiei – è questa, e adesso qui si comincia a cercare la corda da tirare per far scorrere il tendone rosso sul palcoscenico.
Dovrei restare in silenzio per motivi miei scaramantici ma: posso dirlo? Un poliziotto uccide un ragazzo in autostrada e la nazionale italiana scende in campo col lutto al braccio? Eeeeehhh?!?! Tutti pensano: normale, una cosa è la conseguenza dell’altra. Posso dirlo? Normale una cippa! Un poliziotto uccide un ragazzo in autostrada e la nazionale italiana scende in campo col lutto al braccio. Sarebbe come dire – che ne so – che domani esplode una lavastoviglie a Varese e di conseguenza asfaltano una strada in provincia di Ascoli Piceno. Come se un contadino morisse investito da una vacca impazzita a Como e di conseguenza la nazionale di basket scendesse in campo con una sciarpa al collo.
E comunque, ai botteghini, primo posto per "Matrimonio alle Bahamas", secondo posto "Come Tu mi Vuoi".