e poi ci sono quelli

E poi ci sono quelli che nelle conversazioni sembrano ascoltare chi sta parlando, sembrano interessati a quello che viene detto – come anche tutta la gente attorno a loro – ma poi quando prendono la parola riescono a portare la discussione su sé stessi nel giro di pochi secondi.

Quindi se qualcuno sta raccontando di propri successi o sofferenze o desideri, questi individui appena possibile – ovvero appena ci sarà uno spiraglio di silenzio – pronunceranno cose del tipo:

“hai ragione, a me per esempio è capitato che…” 
“sono d’accordo con te, io normalmente faccio così..”
“ho pensato la stessa cosa, ieri quando stavo…”

… e così introdurranno una nuova conversazione incentrata su sé stessi, sostituendosi forzatamente al soggetto della discussione.

Capiamoci: il parlare di sé stessi è uno sport ampiamente praticato, e ci sono dentro nel momento in cui scrivo queste righe. Quello che non riesco a sopportare è l’imposizione di sé stessi anche quando l’interesse è altrove; non riesco a sopportare la voglia incontenibile di sovrapporsi al prossimo.

Qualche giorno fa mi è capitato di assistere ad una conversazione tra due persone durante le quale ognuna parlava di sé senza tenere conto delle parole appena pronunciate dall’altra persona: ognuna delle due cominciava la frase con “Io…”, fino a quando l’altra non interrompeva con un’altro “Io…”.  Visto che non era la prima volta – ché era successo diverse volte, nel giro di poco tempo – sono sbottato e ho lasciato cadere la forchetta e ho chiesto, per favore, di rendersi conto di quello che stavano facendo, ché ognuna stava solo parlando di sé ignorando completamente le parole dell’altra. Di provare – perdio – a concepire un soggetto di conversazione che non fosse la propria stessa persona. Ché quella non era comunicazione, è piuttosto imporsi davanti alle telecamere dell’esistenza come fanno i disturbatori dei telegiornali dietro gli intervistati (quest’ultima non l’ho detta, l’ho pensata ora, lo ammetto).

Mi è stato risposto che quello è un modo normale di parlare.

dieci anni

In questo lungo periodo di maggese del blog, questo blog, nella forma in cui lo conosciamo, ha compiuto dieci anni.

Come gia’ scritto odio celebrazioni e anniversari, pero’ forse odio soltanto le celebrazioni e anniversari collettivi. Dove tanta gente, tutta assieme, e’ convinta di potersi sincronizzare sui festeggiamenti di qualcosa; di poter condividere, tutte assieme e nello stesso momento  la stessa identica emozione. Questa celebrazione invece e’ mia soltanto, ci penso da quando ho deciso che la data di nascita ufficiale sarebbe stata quella  indicata dal contatore di Shynitstat (21 maggio 2005). In realta’, come la nascita di Cristo, questa e’ solo una data arbitraria, che’ il blogghe esisteva gia’ da tempo, sicuramente dal 2004. Il contatore fu installato su excite, ai tempi in cui Excite era curato da Zoro, ma ancora prima avevo una pagina su una piattaforma sconosciuta.

Ad oggi sono sicuro un paio di cose.

La prima e’ che averci avuto un posto in cui scrivere ha influenzato quella che e’ stata la mia vita fino a qui. Non ho la prova del  contrario, eppero’ sono sicuro che certe cose non le avrei fatte, certe persone non le avrei conosciute, certi posti non visitati, certe consapevolezze non le avrei acquisite. Credo che assieme alla lettura,  lo scrivere (e lo scrivere velocemente su internet, lo scrivere per catturare l’attenzione con poche righe) abbia trasformato la mia comunicazione verbale. Che e’ diventata piu’ fluida ed efficace. Come effetto collaterale, sono diventato intollerante ai linguaggi fumosi e zoppicanti. Ma sono anche passati dieci anni, e potrebbe essere anche soltanto il frutto – mioddio – della maturita’.

La seconda cosa e’ che ho tantissimo da scrivere ma mi trovo davanti un ostacolo giornaliero, che e’ appunto quello di mettersi a scrivere. C’e’ tantissima roba che andrebbe registrata, eppure la capacita’ di focalizzarsi va diminuendo. Il fatto di lavorare scrivendo davanti ad un computer non aiuta molto, del resto, se nel tempo libero poi ti rimetti a scrivere davanti ad un computer. C’e’ il problema dell’essere onesti, che e’ il fondamento di tutto. Si puo’ essere onesti ma di nuovo la maturita’ – mioddio – aggiunge molto calcare alla tua voglia di dire esattamente quello che pensi, soprattutto se scrivi di te stesso. Le pose, la tentazione di attenuare e abbellire, sono sempre dietro l’angolo. Il rifiuto delle pose e’ cio’ che oggi distingue noi ultimi mohicani dei blogghe dalla comunicazione di facebook. Cosi’ come non sfruttare il facile successo del sarcasmo violento ci differenzia da Twitter.

E insomma, sono dieci anni, si continua.