Mine Vaganti di Ozpetek è un film eccessivamente melodrammatico, grottescamente panomosessuale (esiste sta parola?) però ti mostra certe bellezze come per esempio il centro storico di Lecce sempre con il sole, per esempio una Nicole Grimaudo coi capelli corti statuaria e insopportabile, che alla fine anche se torni a casa tardi e quando accendi la tv il film è quasi finito e tu già sai come finisce, lo stesso ti riguardi il finale, come un babbeo.

Ma non potrebbe essere semplicemente che mentre alle elezioni nazionali gli elettori  non conoscevano i candidati grillini – o solo in pochissimi li conoscevano – e dunque se li immaginavano migliori proprio perché non li conoscevano, mentre alle amministrative (elezioni locali) dove a volte il candidato e’ il tuo vicino di casa, il tuo ex compagno di banco che sai benissimo com’é fatto, e se proprio non lo conosci lo ascolti parlare nel comizio in piazza e quindi pure con tutto l’ottimismo del mondo non puoi immaginartelo migliore?

vengo a scoprire

Vengo a scoprire anni dopo che un brano vecchissimo di questo blogghe è stato inserito all’interno di un corso di italiano per spagnoli. Nella lezione sul connettivo generico.

Delle righe scritte annissimi fa, ancora prima di splinder, robe che sono ormai perse per sempre – o che credevo perse per sempre, salvo poi ritrovarmele in questo modo. Cose scritte ai tempi dell’Erasmus mentre tornavo a Bologna forse per un esame, e guidavo tra le Alpi dell’Austria.

italianoamemipiace

Immagini quelle coppie di attori o cantanti famosi, che passeggiano davanti ai fotografi negli eventi importanti, e proprio davanti ai fotografi – come se fosse davvero il posto più adatto – quelli si baciano.

E siccome si baciano, ci sono tantissimi flash, e poi le foto fanno il giro del mondo, e quindi capisci perché hanno deciso – anche se non ne avevano voglia – di baciarsi proprio lì davanti a tutti quei fotografi sudati e urlanti, con tutto il make up da non rovinare, con tutti gli sforzi per far venire il vestito benissimo nelle immagini, lo sforzo per evitare il doppiomento, eccetera eccetera. Queste coppie di attori famosi che si sforzano per tutto questo, te le immagini poco prima di uscire davanti al pubblico, quando sono dietro una tenda, o coperti dai vetri oscurati di una automobile, in quel momento che precede lo show, in cui truccatissimi e bellissimi  spiano la passerella che percorreranno davanti ai fotografi e si mettono d’accordo su quanti passi fare prima di fermarsi, come baciarsi, in quale posizione, che faccia fare, se chiudere gli occhi oppure No. Te li immagini in quel momento del poco prima, e ti piace pensare che per un istante si rendano conto dell’assurdità, che li venga da ridere, o che poco prima di andare per farsi coraggio se ne scambino uno vero di bacio, che però non vede nessuno.

m’ha preso sta mania

M’ha  preso sta mania della casa nuova, pur non avendo davvero bisogno della casa nuova.

E cercando case nuove – e non avendo fretta,  e permettendomi di essere addirittura choosy – scopro cose di me stesso, delle mie pretese estetiche, che ignoravo. Mi accorgo che pretendo porte e infissi bianchi. Mi accorgo che sopporterei solo determinati colori di parquet, e che non sopporterei di non camminare sul legno, nonostante le mie origini mediterroniche dove la fredda mattonella di ceramica regna incontrastata da sempre.

E poi – seppure tutte queste cose fossero rispettate -se anche  la bellezza interiore fosse accettabile, deve essere accettabile pure la bellezza esteriore (oddio: e’ una metafora?) e quindi, se uscendo di casa non dovessi vedere neanche un albero, quella non potrebbe essere la mia casa.

Averci un blog significa pure tenere il polso delle proprie evoluzioni – cose non possibili per i twittaroli e facebookkini. Per esempio scrivendo queste righe mi viene in mente questo pezzo del 2006.

qui sotto: una opzione depennata perché in una strada che mi metteva tristezza.

uno dei problemi

Uno dei problemi principali di Brussélle – devo ancora decidere se considerarlo il numero uno, due o tre – è la gente che poi se ne va. In due anni posso già contare un certo numero di persone con cui ho scambiato parole birre messaggi attenzioni battute e che adesso, ecco, non sono più qui, sono andati altrove. Il problema della gente che poi se ne va è comune a tutte le capitali, ed è comune a tutti quelli che vivono da dislocati come il sottoscritto, perché a vivere da dislocati si finisce per avere a che fare con altri dislocati. E questi dislocati hanno la tendenza a considerare tutto il mondo come un potenziale mercato del lavoro – e se non proprio tutto il mondo, perlomeno l’Europa. E l’Europa è grande.

Vivere da dislocati in una capitale, dunque, peggiora il problema. In questo tritacarne sociale, si finisce per diventare scaltri. E dunque se pure uno ancora non se ne è andato – ma ti fa capire dalle parole o dai gesti che potrebbe essere uno di quelli che poi se ne va – nella tua testa in pochi minuti lo trasformi in un fantasma. Ci parli, ma già lo vedi sparire, tipo Patrick Swayze in Ghost.

C’è questa grande casa in affitto qui vicino. Dalle ampie finestre, si vedono gli alberi, e dietro gli alberi, un laghetto. Laghetto e alberi, nel pieno centro di Brussélle. Al centro del laghetto, un getto di acqua e una grotta artificiale. Le anatre ci si addormentano sopra. Forse costa troppo. Ne scrivo per farmi passare la voglia.

update: ecco, per dire.

da morire

Un poco mi affascinano queste notizie di uomini che si suicidano per il dolore di rapporti che sono finiti male. O che stanno per finire male. L’ultimo caso ieri, una notizia piccola persa tra altre più importanti. Succede spesso.

E’ provato che sia tanto più frequente tra gli uomini. Fra tutte le possibili  interpretazioni, si potrebbe scegliere quella per cui certi uomini non sono in grado di gestire i sentimenti, e le perdite, che poi sarebbe lo stesso motivo dei delitti passionali quando le cose prendono una piega peggiore. Sarebbe pure un’interpretazione plausibile, quella della debolezza.  Oppure si potrebbe scavalcare tutte le spiegazioni e contemplare soltanto il romanticismo shakespeariano di questi romei che ad un certo punto, non ce la fanno.

se mi offrissero

Devo spesso rispondere alla domanda: “se ti offrissero un lavoro in Italia, torneresti?“. Ogni volta devo rispondere utilizzando argomenti e logiche sconosciute da chi ascolta (ché spesso la domanda mi arriva da chi non è mai partito, neanche per brevi periodi).

La questione non è cercare tra tutti il luogo più bello del mondo e andare a vivere in quello. Oppure cercare il luogo più bello del mondo, il lavoro più bello del mondo, e cercare di combinare le due cose. Viviamo nell’epoca dei compromessi: chi non lo ha ancora capito piange alla tivvù nei programmi di denuncia, perché lavora come editor in una casa editrice che sta fallendo, mentre nel frattempo ha messo al mondo due figli che non sa come mantenere. Viviamo nell’epoca degli adattamenti e dei compromessi, e chi non lo capisce, nella scala evolutiva,  io lo vedo come un dodo che si rifiuta di imparare a volare, quando è ovvio che gli sarebbe necessario.

Se ricevo la domanda, cerco di infarcire la risposta con immagini concrete che possano essere visibili a chi ascolta.

Racconto che il posto dove mi trovo attualmente mi offre delle cose belle e incredibili, praticamente inimmaginabili qualche anno fa; ha pure dei lati negativi che però – lo ripeto sempre –  I can handle . Se mi offrissero un posto a Bologna, Verona o Firenze (e recentemente mi era pure successo), oltre ad accettare di guadagnare la metà e lavorare tante più ore al giorno, mi ritroverei a vivere in un luogo bello oltre certi limiti. Voglio dire, di un bello oltre un limite per cui – una volta arrivati a quel livello – sarebbe difficilissimo tornare indietro.

Se tutto questo poi un giorno venisse a mancare – di questi tempi queste mancanze improvvise sono la regola, con un futuro che promette nuvole nere – e se dovessi trovarmi di nuovo a smontare tutto e ricominciare altrove, per il me stesso di qualche anno più vecchio tutto questo sarebbe drammatico. Se poi dovessi ritrovarmi per bisogno a vivere chessò, a Dusseldorf, a Manchester o di nuovo in Paese Basso, o in determinata Scandinavia, ma pure a Londra, ecco, sarebbe impossibile da sopportare. Questo non è l’unico motivo, ma è uno dei motivi, e purtroppo a me riesce di spiegarli solo uno alla volta, con spiegazioni lunghissime, tanto che certe volte non vorrei affatto cominciare a farlo.

Per riformulare tutto in pochissime parole: sarebbe come stare con una ragazza bellissima che però lo sai da subito, è una che cambia facilmente idea.

Le cose che ho scoperto oggi guardando la tv con un occhio – mentre con l’altro facevo altro. Che certi gruppi emergenti del concertone, ti auguri non emergano mai, anzi che anneghino. Che ormai in qualunque programma devono pronunciare la parola hashtag. Che poi su twitter di fatto si scatena la cattiveria peggiore: per un programma tv oggi, lanciare un hashtag, significa in pratica ricevere palate di merda. Che Paolo Nori pare stare più o meno bene, perché ad un certo punto sale sul palco. Che il grafico della Rai evidentemente non lo conosce affatto, perché il titolo in sovraimpressione poi dice Paolo Neri. Che mi sono piaciuti i Toromeccanica, e il loro simulate entusiasmo urlato al pubblico (pure loro salentini e non lo sapevo).