andato a vedere

Andato a vedere Gran Torino di Clint Eastwood, un film che se lo vedi in lingua originale i farfugliamenti di Clint non riesci a coglierli fino in fondo – mentre i barbari invece Sì, perchè loro c’hanno i sottotitoli in barbaro – e mi sono trovato un paio di volte nel bel mezzo di una platea che esplodeva in una risata fragorosa e coordinata, mentre io impassibile ciucciavo Coca Cola da una cannuccia gialla troppo stretta. Comunque è un film dove nel finale la metà delle persone piange senza ritegno, un terzo compreso il sottoscritto ha gli occhi lucidi, la restante parte non lo so.        

Ho un giacchettino primaverile bellissimo che siccome la primavera non arriva, non posso mettere mai. Dopo un mese filato di non primavera l’ho rimesso per guardarmi nel bagno e confermare la mia bellissimità.  

Ho trovato casa, ma la storia merita di essere approfondita a parte.    

Mi piacciono le ciambelle uguali identiche alle donuts di Homer, e mangiarne una quantità esagerata di mattina tardissima, aggravata dal cambio dell’ora, coi miei quattro peletti di barba incolti, mi sento molto Homer pure io.  

Vorrei degli amici che non devi organizzarti prima per andarli a trovare, che puoi passare sotto casa e citofonare all’improvviso, ma forse questi sono irrealizzabili desideri anni novanta.

credevi sarebbe stato facile

Invece proprio per niente. Breve rivisitazione delle recenti mie esperienze alla ricerca di una nuova camera qui in Paese Basso. Un breve riassunto che tiene conto del fatto che le mie esperienze non sono mica finite, ho da continuare ad esperare chissà per quanto. Espera e spera che poi si avvera, direbbe il saggio.

Casa numero uno. Tristezza cosmica. Casa che si preannuncia lugubre già all’ingresso, con una montagnetta di scarpe abbandonate appena dietro la porta di ingresso. Soggiorno illuminato da luce fioca cimiteriale e tavolino rotondo attorniato da tre sedie degne dei miei incubi peggiori. Sensazione di Hansel e Gretel. Uno degli inquilini è ben vestito e mi scruta sorridendo senza sosta, viene da pensare che da un momento all’altro dica che si tratta di uno scherzo, che non è vero che vogliono affittare la camera. Poi mi indicano un corridoio che sarebbe la cucina, e praticamente di fianco al fornello c’è una porta, e dietro la porta, il cesso. Più tardi qualcuno mi spiegherà che questa cosa di associare cucina e cesso oggi non è più legale, in Paese Basso. Un altro coinquilino esce dalla sua camera per presentarsi, ha una strana escrescenza sulla fronte, occhiali spessi a montatura nera e si spaccia per illustratore “free lance”. La mia camera è al piano di sopra. Scopro che essa, la camera, non è una camera ma in realtà sono due micro camere, in una c’è il letto, nell’altra la scrivania. Non avevo mai preso in considerazione l’ipotesi di sdoppiare così la mia vita – sebbene qui poi non si fa altro che sdoppiare e sdoppiare e sdoppiare. La sera stessa mi inviano un sms per dirmi che hanno scelto un altro. Ma pensa, dico io. Io leggendo l’sms ripenso all’escrescenza dell’illustrator “free lance” ed ho un brivido. 

Casa numero due. Mi accoglie una damigiana bionda che mi presenta alla sua coinquilina, la brutta copia della brutta copia di Kate Winslet in quel film, come si chiama, Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Dev’essere per la tinta dei capelli. Qui la camera sarebbe anche buona, supera i 15 metri quadri – che da ste parti è un lusso –  ma la cucina è nel corridoio, senza porte, di nuovo di fianco al cesso. Scopro che hanno avuto 70 richieste e che io sono uno dei fortunati Quattordici ad essere stato invitato. In quel momento me la gioco con una matricola che sputacchia saliva mentre parla della sua confraternita universitaria Pace e Amore. Kate intanto fuma quattro sigarette in mezz’ora, e secondo me la pelle del suo braccio è troppo bianca per essere vera, pare ricotta, potrebbero addirittura vedersi le ossa. Alla fine io vado via prima degli altri perchè mi è parso di aver lasciato la Meisje da sola a casa attorniata da una combriccola di motociclisti omosessuali. Il giorno dopo mi fanno sapere che non sono il prescelto. I motociclisti non erano omosessuali. Peggio.  

Casa numero tre. L’intervista me la fa un turco che subito mi fa sapere che lui non vive lì. Chi ci vive, allora? Altri, dice. Ad un certo punto passa di lì un nano capelluto ed il turco si rianima e mi dice, ecco lui, per esempio, vive qui. Il nano ride e si presenta. Il momento più bello è quando vogliono mostrarmi la doccia. Per di la’, mi dicono, e mi indicano un tunnel nero – giuro, era nero – e mi incitano, se vai oltre, si può accendere la luce. Io faccio tre passi nel buio più totale e torno indietro. Per quanto mi riguarda potrei risvegliarmi John Malkovic. Il turco sparisce nel tunnel e infine accende la luce, perchè la luce c’era davvero. Ed io che non mi fidavo. La cumpa allegra di turchi, nani e ballerine, comunque ha imbrogliato sulla metratura della camera, è almeno la metà di quello che avevano detto. Al posto dei mobili ci sono due bauli da isola del tesoro. Uno dei lati è lungo quanto il letto, l’altro lato sono tre passi e mezzo dei miei. Improvvisamente mi sento un criceto, dico che ci devo pensare, che al massimo entro la serata farò sapere se mi va bene, nonostante l’imbroglio sulla metratura. Ed è proprio quello che farò, appena finisco di scrivere qui, mandare sta benedetta mail e dire al turco col nome che comincia e finisce per U che mi dispiace, sono contento che mi abbiano invitato – frase che ruffianissimo ripeto sempre – ma non se ne parla proprio di fare il criceto, nei tempi prossimi venturi.

tira vento buono, e pensieri buoni

Altrimenti non si spiegherebbe come mai – dopo che mi hanno rubato la bicicletta, dopo che il computer mi si sta squagliando sotto i colpi di un virus simpaticissimo, dopo che ho preso un raffreddore che mi fa sentire un vermetto infilzato nell’amo – io sia qui tranquillissimo a costruire pensieri sul sole che alla sera taglia di traverso i rami degli alberi.

si diceva di Parigi

Parigi ci abbiamo camminato tantissimo. Lo so non é italiano, ma suona bene. Parigi ci abbiamo camminato tantissimo, io e la Meisje, che poi mi sono venuti due polpaccioni alle gambe che di solito non ho. Due polpaccioni cosí evidenti che al ritorno, in un autogrill da qualche parte nel Belgio, li ho scoperti tirandomi su il bordo dei pantaloni facendo lo scemo sulla porta del bagno delle donne, mentre la Meisje faceva le smorfie allo specchio.      

Parigi praticamente pullula di francesi. Parigi praticamente scopri che i francesi, a differenza degli altri europei, li piace il capello spettinato e la sciarpa la portano diversamente dagli altri europei. Capisco che potrebbe essere poco interessante – ché ste cose per notarle bisogna girare per l´Europa e fare i confronti – ma loro i francesci la sciarpa non la attorcigliano piú volte attorno al collo come gli italiani, ma la girano sul collo e poi la fanno cadere lunga sul davanti o sul didietro. Tipo Piccolo Principe per capirci. Sono francesi.      

A Parigi c´erano strade attorno al Tour Eiffel che ti rendevi subito conto di non essere nella barbaria architettonica del Paese Basso, ma con buona approssimazione avresti potuto credere di essere perfino a Lecce. L´architettura parigina ti provocava una forte sensazione di impero romano d´occidente. C´erano i russi che assaltavano il negozio di profumi di un brand particolare che fuori dalla Francia non si trova, e tu che ti sei spruzzato addosso quello sbagliato la notte ti sei poi dovuto alzare dal letto per sciacquare via l´odore. C´erano un cameriere – a proposito di russi – che servendoti il pranzo al Quartiere Latino ti ha chiesto se eri russo o polacco, invalidando in un microsecondo l´effetto suggestivo (credevo io) della mia nuova coppolina francese. C´erano turisti del Colorado che dicevano Sí Sí, sei est europeo, si vede benissimo. No guardi io sono terrone, ho risposto, altro che est europeo. C´era poi la Meisje che si vantava di non essere scambiata per turista nelle stradine della cittá. C´erano quelli del Colorado che peró dicevano tu sei est europeo mentre lei si vede che é italiana. Evidentemente da seduta sembri piú italiana, le ho detto io. C´erano due personaggi – ovvero noi due – che andavamo a fare una visita turistica al quartiere multietnico di Belleville, motivati da ragioni letterarie (che come al solito se le conosci ok, se non le conosci, inutile spiegare).

C´era il sole.

C´era la Meisje che comprava le calze in un negozietto gestito da una signora mesopotamica con la suocera coperta dal velo. C´era il mercato dei pappagalli. C´era la Senna enorme. C´erano le comitive di studenti in gita, e fra loro gli italiani che insomma é definitivo, sono i peggiori di tutti. C´era una crepes al caramello e gelato che dovevamo prenderne due invece di una. C´era poi alla fine l´incontrovertibile consapevolezza che era stato molto meglio andarci, a fare sta cosa, piuttosto che No.

c'è quell'amico tuo

C’è quell’amico tuo di quando eri bambino che adesso non lo vedi mai, e che un giorno ti aveva detto: non lo dire a nessuno, mi sposo. E tu gli avevi detto Bene! anche se non sopportavi il fatto che quando aveva una ragazza attorno diventava tutto serio e non scherzava, o scherzava come fanno quelli seri, o scherzava in un modo che non era scherzare affatto. O peggio ancora, non si faceva vedere per nulla: Sì Sì ci vediamo, e poi non ci si vedeva mai. Tu non lo sapevi perchè diventava così docile e remissivo, con la ragazza attorno, forse era colpa di lei, che era così severa nello sguardo. Tu non lo sapevi ma ti dicevi Vabbè pazienza, mi accontenterò delle volte che lo incontro senza ragazza attorno. Ma adesso si sposa, porca miseria, quando credi di incontrarlo di nuovo senza ragazza? Poi invece un giorno lo incontri senza ragazza e ti dice che si è lasciato, andiamo a bere una birra che ti racconto. Cosa fai domani? Ci vediamo? Facciamo? Vediamo? Una giostra senza il perno centrale, ti era sembrato in quei momenti, una cosa che non vedevi da anni, e tu che pure fai una vita tranquilla, ti eri perfino spaventato. Poi di nuovo, qualche mese dopo lo trovi con un’altra ragazza, una nuova, te la presenta, perchè deve, li hai trovati per strada, e di nuovo fa la faccia seria, ride alle battute col piglio cauto di chi ti vorrebbe dire per favore non mi far fare figure di merda. Pure lei una faccia seria, e tu  ti sei chiesto se sta cosa della faccia seria è proprio necessaria. Infine, stasera vieni a sapere di nuovo che si sposa, ti chiede al telefono se vieni, anche se sa bene che essendo lontani, è molto difficile, e poi insomma, ci possiamo anche salutare quando scendi. Tu chiudi il telefono pensando che adesso pazienza, non lo vedi più, ma poi in fondo come si dice in questi casi, nessuno scappa al proprio destino, e vorresti scriverlo meglio ma ti viene solo fuori così.  

tre cose veloci

Una macchina va a cadere nello stagno qui davanti a casa, dove per "qui davanti a casa" non intendo "nei pressi" o "da queste parti", ma proprio qui, fuori dalla finestra. La macchina ha fatto pluf nel fiume, e io mi chiedo quanto ancora mi serve per abituarmi a questi corsi d’acqua dappertutto, e a queste papere che in coppie la mattina attraversano la strada sculettando, a questi gabbiani ad altezza di balcone.    

Cossiga, scrivendo un libro intitolato "Gli italiani sono sempre gli altri" ha detto in una riga praticamente tutto, al punto che non ci sarebbe bisogno di aprire il libro e non ci sarebbe proprio bisogno di aggiungere altro. Facendo finta di non conoscere questo rigo rivelatore, è molto interessante il risultato di sto sondaggio secondo il quale solo il 4% degli italiani ammette di aver usufruito di una raccomandazione.   

Domani mattina si va a Parigi con la Meisje, a fare finta di essere alta società che si nutre di baguette per qualche giorno. Aprite le finestre di tanto in tanto per cambiare l’aria, mentre sono via sennò poi torno e mi assale il tanfo.

tanto per cambiare

Tanto per cambiare cerco casa. E siamo a cinque, con questa. Da settimane rispondo alle inserzioni su internet – qui non esistono volantini incollati al muro come nelle cittá universitarie italiane – ma nessuno mi risponde. Nessuno. Il mio messaggio non va bene? Sono troppo educato e formale? Ma che ne so. Decido di cambiare il messaggio, lo riformulo da assonnato e sprofondato nella poltrona mentre penso ad altro e ho una doccia in sospeso. Non rileggo quello che scrivo. Premo invio. Siccome siamo in un paese di folli, finalmente qualcuno mi risponde. Vado a rivedere cosa avevo scritto nel mio messaggio, e confermo: siamo in un paese di folli. 

Hello! my name is Raffaele. I am a graduate in Veterinary Medicine from Italy, studying and working in Utrecht. 
I am tolerant and clean, I had many experiences of living with other students and workers, in different countries and with different type of people.
I don’t make problems, I can cook dinners, I can tell stories, I can sing songs, I can stay silent, I can disappear when required, and if you call me for the room, I could also convince you that I am able to fly. Sure!
My interests are music and literature. But if you don’t like, I can also change them.
For further info, photos or anything else, just mail me! 
I really hope to hear from you soon.
Thank you.

alla fine gliel'ho detto

Alla fine gliel’ho detto al mio coinquilino gay, ecco a chi assomigli, tu sei sputato a Bon Jovi. La Meisje dice Sì, però lui anche meglio, di Bon Jovi, quello li’. Io le permetto ste considerazioni in quanto l’oggetto della discussione é apertamente gay; non lo fosse, da bravo meridionalo viulento la coricherei di mazzate e poi le applicherei al naso quegli anelli di metallo che si mettono ai buoi, senza nemmeno sterilizzare prima dell’operazione, cosi se poi ci sono delle infezioni, tanto meglio, che le rimane il ricordo ad indicarle la retta via.

ma per esempio come bisogna fare

Ma per esempio come bisogna fare con quelli che ridono tantissimo delle proprie parole? Si deve ridere? Non si deve? Voglio dire, se ridono, e tu non ridi, sembra che li odi. Tu non li odi, è solo che non ti fanno ridere. Eppure dovrebbero capirlo, visto che ti limiti a fare eh, eh, giá …e poi distogli lo sguardo. No, invece non lo capiscono. Ti raccontano banalitá  con quel tono Anvedi cosa ti Racconto, e poi invece non ti raccontano niente di che. Ridono, e verso la fine della risata, emettono pure quel suono acuto (aaaaaaahhh o iiiiiihhh) che è proprio della soddisfazione di una risata pasciuta. Quegli acuti che nelle vere risate ti manca il respiro. Loro te lo propongono giornalmente. A te è capitato tipo dieci volte in vita tua, loro te lo propongono giornalmente. 

vivere in una casa con altre otto persone

Vivere in una casa con altre otto persone significa che finisce il detersivo dei piatti e non sai bene con chi te la devi prendere. E significa anche scoprire che il sapone per le mani funziona bene uguale, se ci metti l’impegno giusto.

Bisogna sapersi adattare, come fa l’avventuriero nella tivú via cavo che cattura a mani nude il coccodrillo e lo squarta con il coltello per poi mangiarlo davanti alla telecamera, mentre la Meisje in poltrona si copre gli occhi per lo schifo. E poi significa pure scoprire gli stampini per fare i cubetti di ghiaccio a forma di cazzo conservati con cura nel mobile dei piatti.

La pioggia mi sbatte sulla faccia mentre la Meisje siede sul portapacchi e sussulta sottolineando le irregolaritá dell´asfalto. Attorno è buio e lei dice che non tornerebbe mai a casa da sola, con un buio cosí. Poi parlando di cinema, invece di dire Mereghetti dice MereNghetti (ma come sbagliato! è tutta la vita che dico cosí!) ed io piú tardi, poco prima di dormire le chiederó se non è per colpa del parco africano del Serengeti, che si è confusa in questo modo. Lei dice ma figurati, quante volte si puó aver ascoltato la parola Serengeti, in una vita? Due volte? Quattro? Le dico per quanto mi riguarda, io ci sono cresciuto, con le zebre del Serengeti, anni e anni prima di sapere del Mereghetti. Lavorare sui propri spigoli per smussarli è un lavoro lungo, ma poi lo spigolo smussato su cui puoi fare appoggiare un´altra persona senza farle del male sarebbe una conquista, non credi? Io credo di Sí, pure se non te lo dico, e pure se non me lo ripeto abbastanza spesso.