I posti della tua vita sono quelli in cui vivi, mentre immagini come sarebbe vivere altrove. Le persone della tua vita sono quelle che hai attorno, mentre ipotizzi come sarebbe condividere il tempo con altre, e ne recrimini l’assenza. Il lavoro della tua vita è quello per cui ti impegni ogni giorno, e i giorni all’improvviso diventano anni senza accorgersene, mentre ti chiedi se forse dovresti cambiarlo. Il sapore della tua vita sono le difficoltà che ti fanno diventare una persona migliore, mentre nel frattempo desideri un’esistenza vita più facile.

E in fondo va bene così, incluse tutte queste domande, purché tu riesca ogni tanto a fermarti a respirare l’istante, e avere la consapevolezza che quell’istante che comprende tutto, è la tua vita. Averne la consapevolezza, e non sottovalutare niente, non minimizzare niente, ma celebrare tutto, e dare importanza a tutto, perché quello che ti scorre sotto gli occhi è davvero tutto: una mano che tocca il tessuto della tasca e accartoccia lo scontrino, la pioggia sul naso, la fame quando arriva ora di cena, l’attesa ad un semaforo, il tuo respiro quando sali le scale per tornare a casa.

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Poor listener

Una cosa  di me stesso che ho imparato in età adulta è che sono un poor listener. L’ho imparato da fatti oggettivi e da analisi comportamentali precisine e dettagliate alle quali mi hanno sottoposto.

Poor listener significa che perdo l’attenzione facilmente, che non ascolto con attenzione per lungo tempo. Teoricamente sarei in grado di farlo ma la mia testa non lo sopporta. Uno dei motivi principali è la mia intolleranza alla lentezza logica: è come se nella mia testa fosse montata una RAM particolarmente potente che non mi fa sopportare i flussi logici della maggioranza delle persone – della maggioranza, non di tutte. Quindi con la testa vado oltre giungendo a conclusioni in attesa delle conclusioni del mio interlocutore (quasi sempre identiche alle mie, mentre vorrei tanto essere sorpreso o smentito), oppure penso ad altro. Quasi sempre penso ad altro.

Però questo non è disinteresse. Anzi mi interessano molto le persone. Tutte le persone. Tanto che perdo l’attenzione anche perché – appunto – mi interessano le persone, sono curioso di loro, della loro figura, piuttosto che affascinato da quello che dicono.

E se quindi mi trovo – per esempio – in una riunione con una persona, e questa persona parla, allora mi capita di non ascoltare quello che dice ma di pensare ad altro provocato dall’immagine di questa persona che parla.

Mi distraggo speculando sulle cose che questa persona ama, su chi possa avergli stirato il colletto della camicia, o quando ha scelto quella gonna: che giorno era, con chi era. Mi distraggo pensando cosa i suoi genitori speravano diventasse, questa persona, quando era ancora piccola e piena di potenzialità. Mi distraggo pensando se la persona ne ha ancora, di potenzialità nascoste da qualche parte, o se e’ tutto già finito per lui/per lei. Mi distraggo pensando come potrà essere spendere molto tempo con questa persona, all’interno della stessa casa, se piacevole o spiacevole, e in entrambi i casi, in che senso, entro quali limiti. Quali saranno state le sue gioie più grandi, e quali motivi siano dietro alla sua soddisfazione del momento. C’e’ qualcosa che lo fa/la fa fremere davvero? Per cosa si incazza? Come sottolineava i libri da studente? Con la matita o con l’evidenziatore? C’e’ qualcuno che prova dell’interesse sessuale genuino nei suoi confronti? Cosa mangia a colazione? Resta con gli occhi aperti a pensare prima di dormire? Come saranno le sue mani da vecchio? Dov’era il giorno che ha imparato ad andare in bicicletta?

Le metropolitane impaccate di gente delle metropoli, con i passeggeri pressati guancia a guancia. E più in generale i posti con altissima densità di persone, dove le facce sono così tante che osservi copie delle stesse persone o perlomeno dello stesso tipo di persone.

Quanto meno importanti ti paiono le parole dette o le sensazioni sentite, in posti come questi, e molto meno uniche, perché delle parole e delle sensazioni sei certo – è evidente – ne esistono tante copie così come esistono tante copie di labbra, taglio di capelli e vene sul dorso delle mani.

tutta l’infelicità dell’uomo

Viene attribuita a Blaise Pascal la frase

Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dall’incapacità di starsene nella sua stanza da solo.

Non so dire se “tutta l’infelicità” ma certamente è causa del molto del perdere tempo con gente che non vorresti vedere, molto socialnetworkismo molesto, molti amori che non sono amori, molti interessi che non sono interessi ma che in fondo servono soltanto a stare insieme.

E d’altra parte, ad essere capace di restare tranquillo in una stanza da solo – come sei sempre stato e come sei capace soprattutto adesso – si finisce ad essere esclusi da tanti bisogni mainstream e delle loro conseguenze di socialità compulsiva. Non cerchi gli altri con insistenza. Non ne hai bisogno. Non ti capaciti di come la gente sia disposta a perdere tempo pur di evitare la stanza da soli. All’ora di pranzo attendi che si faccia abbastanza tardi per non trovare nessuno che conosci ai tavoli, così da poter mangiare da solo o magari sfogliare il libretto che ti hanno regalato, nascosto tra piatto e bicchiere.

Per scrivere di più e in modo più incisivo, avrei bisogno soprattutto di qualche insoddisfazione o dolore, che al momento non ho. Eh, quanto ispirano le insoddisfazioni e i dolori. Oppure al contrario di gioie insopportabili, che al momento – se pure arrivassero – schiverei con cura. E’ questa dunque la saggezza? Essere capace di restare impassibile agli eventi ma più o meno soddisfatto? Come una linea continua orizzontale? Come un semaforo inceppato sull’arancione?

Ma solo a me le facce speranzose e impegnate dei palestranti di Gennaio – quelli che spariscono a Febbraio ma ricompariranno al Gennaio successivo – un po’ fanno sorridere ma soprattutto fanno diminuire la fiducia nel genere umano e quindi di conseguenza – per associazione, per esagerazione – pure nella democrazia? Solo a me viene in mente il delirio divertentissimo di togliere il diritto di voto ai palestranti di Gennaio?

ciao aspirante studente universitario

Ciao aspirante studente universitario che di solito in questo periodo ti lamenti dell’esistenza dei test di ammissione universitaria, che secondo te non dovrebbero esserci, che secondo te tutti tutti tutti dovrebbero avere il diritto di studiare quello che vogliono, che secondo te non e’ giusto che la vita di una persona si decida tramite un centinaio di risposte date in pochi minuti, che secondo voi e’ un test anonimo che vi priva della vostra identità eccetera eccetera.

A parte il non senso dell’affermare che la selezione verso i vostri sogni non dovrebbe essere all’ingresso, ma dopo, cioè una volta laureati e inseriti nel mondo del lavoro, visto che nel favoloso mondo del dopo esiste un plotone di gente come te (ma qualche anno più grande e con una laurea in tasca) che si lamenta di non riuscire a trovare qualcosa di adatto al proprio profilo formativo (brrr..).

A parte il fatto che produrre gente che si lamenta non e’ affatto gratis ma costa molto (no, non parlo delle tue tasse universitarie, quelle coprono solo una piccola parte dei costi totali) e il beneficio di questo sforzo economico per lo Stato – attualmente – e’ solo avere in giro ulteriore gente che si lamenta e che nei casi peggiori pretende una soluzione. A parte che nessuno si lamenta seriamente della mancanza di laureati, tranne i folli compilatori di tabelle comparative tra l’Italia e altri Paesi. A parte il fatto che negli anni ho conosciuto tantissimi studenti stranieri che hanno cambiato nazione pur di inseguire il proprio sogno, l’ultimo giusto la settimana scorsa, un trentaduenne israeliano che si e’ fatto il culo per anni in una fabbrica per mettere da parte i soldi e perfezionare una lingua e un alfabeto a lui sconosciuti ed ora – a trentadue anni – e’ orgoglioso di essere al primo anno di medicina, e te lo racconta con le palpebre che gli calano visto che nel frattempo continua a farsi il culo e lavorare per sopravvivere.

A parte tutto questo, e anche ipotizzando che quanto appena scritto sia tutto sbagliato, e ignoriamolo per un momento.

Ecco, resta il fatto che nella vita e’ assolutamente normale trovarsi in momenti cruciali,  momenti nei quali la tua vita viene decisa in pochi istanti, ed e’ normale che alcuni arrivino impreparati e non ce la facciano, ed e’ anche normale che alcuni arrivino preparati ma poi si caghino addosso dalla paura, fallendo causa assenza di sangue freddo. Ed e’ normale che il sangue freddo – o le “palle”, il “polso” o come vuoi chiamarla sta cosa – nel corso di una vita ti faccia andare più avanti di altri.  Ed e’ anche normale fallire – seppure fino ad ora ti hanno raccontato tutt’altro. Quindi No, non e’ assolutamente ingiusto, o irreale, o spersonalizzante: e’ soltanto un piccolo assaggio di realtà che ti viene offerto, caro aspirante studente universitario, prima di cominciare una pausa (dalla realtà) che durerà qualche anno.

Le scarpe nuove e le borse le comprate per piacere a voi stesse. Cancellate la timidezza e la sostituite con un modo di fare spigliato che credete serva per stare meglio al mondo – e forse in effetti, serve.

Ma c’è la dolcezza, porcalamiseria, che certi occhi di maschi mettono davanti a tutto. E se solo sapeste quanto è fondamentale, forse passereste la vita a difendere la dose di dolcezza che vi è stata assegnata alla nascita. A sfuggire tutto ciò che la danneggia.

Non qualcosa di stucchevole o eclatante: basterebbe poterla intuire nello sguardo, nei modi di ascoltare e di parlare. Il semplice fatto di intuirla – per certi occhi – è irresistibile. E’ una promessa di cose buone a lungo termine.

e poi mi piacciono

E poi mi piacciono quelle coppie che quando si scambiano un’osservazione, quando si fanno una domanda, quello a cui tocca rispondere, prima di rispondere, prende una pausa e aspetta. E nel frattempo riflette e pensa. E mentre pensa continua ad osservare l’altro, oppure l’altra.

Le separo da quelle dove ad una domanda segue immediatamente una risposta, senza pensarci neanche – immagina il me stesso pregiudizioso – cioè dove si risponde con la prima cosa che viene in mente, senza dedicare neanche un poco di attenzione alle parole.

Questa cosa dell’aspettare e riflettere prima di rispondere – e di guardarsi negli occhi nel frattempo – mi fa pensare alla pace nel mondo, alla solidità, ad una cucina ordinata, alle piante annaffiate con regolarità e non solo quando si afflosciano, a poca polvere sotto i tappeti.

Immagini quelle coppie di attori o cantanti famosi, che passeggiano davanti ai fotografi negli eventi importanti, e proprio davanti ai fotografi – come se fosse davvero il posto più adatto – quelli si baciano.

E siccome si baciano, ci sono tantissimi flash, e poi le foto fanno il giro del mondo, e quindi capisci perché hanno deciso – anche se non ne avevano voglia – di baciarsi proprio lì davanti a tutti quei fotografi sudati e urlanti, con tutto il make up da non rovinare, con tutti gli sforzi per far venire il vestito benissimo nelle immagini, lo sforzo per evitare il doppiomento, eccetera eccetera. Queste coppie di attori famosi che si sforzano per tutto questo, te le immagini poco prima di uscire davanti al pubblico, quando sono dietro una tenda, o coperti dai vetri oscurati di una automobile, in quel momento che precede lo show, in cui truccatissimi e bellissimi  spiano la passerella che percorreranno davanti ai fotografi e si mettono d’accordo su quanti passi fare prima di fermarsi, come baciarsi, in quale posizione, che faccia fare, se chiudere gli occhi oppure No. Te li immagini in quel momento del poco prima, e ti piace pensare che per un istante si rendano conto dell’assurdità, che li venga da ridere, o che poco prima di andare per farsi coraggio se ne scambino uno vero di bacio, che però non vede nessuno.

da morire

Un poco mi affascinano queste notizie di uomini che si suicidano per il dolore di rapporti che sono finiti male. O che stanno per finire male. L’ultimo caso ieri, una notizia piccola persa tra altre più importanti. Succede spesso.

E’ provato che sia tanto più frequente tra gli uomini. Fra tutte le possibili  interpretazioni, si potrebbe scegliere quella per cui certi uomini non sono in grado di gestire i sentimenti, e le perdite, che poi sarebbe lo stesso motivo dei delitti passionali quando le cose prendono una piega peggiore. Sarebbe pure un’interpretazione plausibile, quella della debolezza.  Oppure si potrebbe scavalcare tutte le spiegazioni e contemplare soltanto il romanticismo shakespeariano di questi romei che ad un certo punto, non ce la fanno.

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Quando il cameriere viene a portare altro vino bianco smettiamo per un momento di parlare. Lei ha molti anni meno di me e quasi non la conosco. Viene dalle coste del Mar Nero, studia cose che hanno a che fare coi soldi e quindi in pratica vuol dire che viene da un mondo diverso. Eppure la conversazione procede liscia. Siamo andati a finire sull’essere o meno analitici o osservatori. Ha cominciato lei ed io la seguo. Mi aspetto però che non dica la verità: si è vestita troppo bene – è evidente che vuole fare bella figura, e se vuoi fare bella figura l’onestà è spesso soltanto un’eventualità.  Ad un certo punto divento anziano.

“Anni fa ero orgoglioso come te di scovare i dettagli, di riuscire spontaneamente ad analizzare minuziosamente le persone e le situazioni. Oggi penso che sia allo stesso tempo un vantaggio ed uno svantaggio. Quando i dettagli ti saltano agli occhi più facilmente che agli altri, quando anche non volendolo analizzi la realtà più a fondo rispetto agli altri, succede pure che giungi a conclusioni molto più velocemente degli altri, e a quelle conclusioni gli altri – a volte – non ci arrivano per niente. A quel punto ti puoi fermare e fare notare agli altri tutte le cose che non hanno visto, e quindi farli arrivare alle tue stesse conclusioni. Una volta fatto questo gli altri saranno d’accordo con te e forse ti osserveranno con occhio ammirato.  Ma prima, ecco, prima di questo sforzo, tu sei da solo. Questo talento che hai ti trascina continuamente alla solitudine.”

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Ho fatto un movimento brusco e ho urtato il bicchiere che è caduto. Il liquido si è allargato sul pavimento assieme ai cubetti di ghiaccio. Quella non era casa mia però sapevo dove trovare un rotolo di carta per pulire. Lei mi diceva di lasciar perdere, io continuavo il mio discorso:

“Perché se ci rifletti bene, è quasi impossibile trovare delle canzoni struggenti scritte da donne. Voglio dire, dei pezzi veramente struggenti che parlino di delusioni dolorosissime e che siano capaci di trasmettere questo messaggio in modo credibile. Non solo nella musica, puoi pure cercare nella poesia. E non vale che ci metti le omosessuali, altrimenti uno potrebbe citare Virginia Woolf, o la Nannini. Pensaci, mentre di poesie e di canzoni di questo tipo te ne vengono tantissime, soprattutto nella tradizione italiana di donne quasi niente. Adesso è tardi, se mi concentrassi qualcuna la troverei pure, però in questo momento non mi viene in mente. Uno può essere d’accordo oppure No, ma diamine, l’evidenza parla chiaro. E se uno accetta l’evidenza, non mica è per puntare il dito: non si vuole accusare, è solo per descrivere in modo circostanziato una differenza proprio biologica, costituzionale. Se ci rendessimo conto di questa differenza in giovane età, vivremmo vite più facili. Non credi?”

nelle automobili

Nelle automobili si trascorre molto tempo. Si pensa molto. Si pronunciano tante parole.

Tantissimi paesaggi scorrono a lato mentre si parla con qualcuno. Ci si ferma a lato per la strada per litigare. Si va altrove (vabbé, robe del decennio scorso) per altro. Si torna a casa ripensando alla serata appena trascorsa. Ma soprattutto: quante parole, e quanti pensieri mentre si viaggia.

Osservo un camion che trasporta una decina di automobili nuove pronte per essere vendute. Una di fianco all’altra, una sopra l’altra. Ognuna deve ancora conoscere chi siederà al posto di guida.

Provo a calcolare quanta vita potenziale ci sia dentro. E’ una quantità enorme, quella che impregnerà i sedili. Se ci pensi – se immagini il potenziale – la somma totale di questa vita che sarà, questo camion che passa fa quasi paura.

non solo gli inglesi

Non solo gli inglesi guidano sbagliato, misurano le cose mediante misure sbagliate, e negli alberghi a volte ci trovi un rubinetto per l'acqua fredda E uno per l'acqua calda (così che se vuoi l'acqua tiepida, be', l'acqua tiepida non esiste) ma usano pure delle parole che tu non ce la fai. 

 

Per esempio.

 

“Caffé o te, sir?”

(sono io il Sir, che ci crediate o No)

“Caffè”

“Ah lovely”

“….”

“numero di stanza?”

“734”

“lovely”

 

Fermati un attimo essere umano britannico.

 

Lovely deriva da love, amore. Ma tu lo sai quanto sudore e cretinate e impegno e delusioni e telefoni disubbidienti e unghie mangiate e palpebre che tremano per il nervoso e delusioni e mi lavo la faccia che non si vede e mutande e delusioni e asincronismi dilanianti e madonna non ci credo e altre cazzate ci stanno dietro? E tu – davanti a tutto questo – se ti dico caffé, mi rispondi “lovely”?

 

Siamo due culture diverse.

e poi se uno deve partire

E poi se uno deve partire, allora meglio partire subito invece di aspettare. Perche' in tutto quel tempo che aspetti sei solo un fantasma.

 

Prendi me per esempio, che sono fantasma oggi in un posto di lavoro da cui tra poco andro' via, saro' fantasma domani in un altro posto di lavoro da cui tra poco andro' via, e sono fantasma a casa da cui tra poco andro' via (e meno male).

 

Compro bottiglie di olio di quelle piccole, tanto poi andro' via.

 

Presto saro' in Italia per una decina di giorni ma anche li' saro' temporaneo, quindi saro' un fantasma, perche' appunto dopo dieci giorni andro' via. Tornero' alcuni giorni in Paese Basso, e di nuovo saro' fantasma. In tutto questo c'e' Brusselle, dove mi posero' non so per quanto tempo, e in quel luogo saro' invece meno temporaneo, ma e' un luogo che ancora non conosco.

Sono piu' temporaneo nei luoghi che conosco, e meno temporaneo nei luoghi sconosciuti. Wake me up when April ends, proprio.

 

Quando mi dicono grazie in pubblico io ancora arrossisco.

mi piace che

Mi piace che i colleghi vengano a bussare alla porta per andare in mensa assieme, solo che a me non piace andare in mensa assieme ai colleghi.

Mi piace mangiare da solo leggendo cose su internet anche se ciò non fa bene alla salute.

Quindi ricapitolando: mi piace il gesto, ma non la conseguenza. Vorrei che venissero a bussare e chiedere: vieni in mensa? Ed io che rispondo grazie! Gentile! E poi quello se ne va mentre io continuo a fare quello che facevo.

Dice, sei sociopatico. Certo, sociopatico, ma non completamente. Ché mi vengono in mente tante persone che se ci pranzassi assieme, parlerei tantissimo. C’è gente che sa. Chi mi conosce se passa da qui può testimoniare.

Solo che se parlo e mi lascio andare, esco fuori dal mood del lavoratore che cerca di acquisire autorità. Ritorno ad essere quello che sono.

E quello che sono non coincide con l’ambiente lavorativo. Allora se vengo a pranzo con te mi devo sforzare di non essere me stesso. Quindi lavoro anche mentre mangio. Quindi se resto davanti al computer a mangiare – cosa barbara lo so, ma si usa tantissimo qui – io alla fine resto più fedele a me stesso.

Per esempio, considera queste righe che ho appena scritto. Queste righe sono me stesso. Io la penso così, ma soprattutto, io penso in questo modo. Con questo stile.

Se durante il pranzo io ti racconto qualsiasi cosa con questo stile, esco fuori dal mood del lavoratore che aspira a guadagni decenti e le camice gliele stira qualcuno pagato apposta per quello. E

siste un attrito tra me e il resto. Se mai diminuirà non lo so. Per adesso mi distraggo spiando fuori dalla finestra e mi chiedo perché vi comprate berline bmw nere tutte uguali.

c'è una luce nel bagno di uno dei posti dove lavoro

C’è una luce nel bagno di uno dei posti dove lavoro, che mi guardo allo specchio e mi vedo verde.

Io le giornate che devo passare con la camicia nei pantaloni sono giornate che partono con lo svantaggio.

Poi scopro che nella palestra di uno dei posti dove lavoro – che abbiamo pure la palestra, a circa 60 metri dal mio studiolo, andando sempre dritto – scopro che hanno una luce diversa, sono meno verde di quello che credevo. Sembro pure più alto. Io sono alto, ma qua sono tutti alti, e quindi.

A pranzo scopro collega preciso che ha un millimetro di barba, penso che allora posso pure io magari crescermi sti due millimetri di barba, che senza millimetri di barba é come le camicie nei pantaloni, la giornata parte con lo svantaggio.

Io mi faccio calcoli del genere. Penso che ho sbagliato la considerazione, di poco prima, perché collega preciso è davvero preciso anche su altre cose, ha le scarpe molto lucide e gli occhiali senza la montatura (insomma quelli, come si chiamano?) quindi nel complesso il millimetro di barba non lo vedi nemmeno. Io invece ho la camicia che non la stiro bene, eppure mi impegno tantissimo.

Tornando a casa c’era un arcobaleno come quello dei cartoni animati, arcobaleno proprio come dice la parola – almeno per quanto riguarda l’arco, era un arco, il baleno non lo so ma dire pure quello – e mi immaginavo che avrei guidato fino a passarci di sotto.

E inseguendo l’arcobaleno pensavo si spendono tantissime parole su come e quanto si cambia, e  che la gente che si spaventa che cambia, e quanto cambia, e si meraviglia di ciò. Io troppo spesso mi meraviglio di quanto nonostante gli anni sto cambiando pochissimo. E’ una giovinezza patologica che devo mascherare ogni mattina.

(quasi) come il sole a mezzogiorno

Un altro dei vantaggi nel non avere FB, é che il giorno del tuo compleanno ti fanno gli auguri quelli che se ne ricordano perché se ne ricordano, e non perché c’hanno il reminder elettronico, o almeno si spera. Dopodiché devo ricordarmi di quello che diceva la Meisje qualche giorno fa scrutando il mio cranio, notando che sulla stessa superficie del mio cranio in questo momento storico riescono a coesistere allegramente un brufolino in faccia ed un capello bianco sulla tempia.  

una delle caratteristiche dell'emigranza avanzata

Una delle caratteristiche dell’emigranza avanzata, come è quella che vivo, consiste nell’ignorare i tuoi connazionali che incontri per caso in terra straniera. L’emigrante immaturo invece si meraviglia nello scoprire che quello davanti a lui é italiano. Aaahh, italiano pure tu! ti dice. Aaahhh, e di dove? E cosa fai qui?!? E dimmi dimmi, e senti senti. E bla bla. 

L’emigranza matura porta invece con sé il giudizio. Non c’é motivo di meravigliarsi degli italiani incontrati in giro. Anzi, ci si ignora tranquillamente. C’è per esempio questa pizzeria al taglio a due passi dall’università, gestita da italiani. Il titolare è un gradino sotto alla bonanima di Mino Reitano, quanto a italianità, e poi lui e i suoi compari lo fanno proprio apposta, sorridendo e ammicando, ciarlando a voce alta, con quegli “occhi allegri da italiano in gita”, con certi ricciolini in testa, certi nasi. Qui posso ordinare tranquillamente in italiano, e se ordino in italiano la risposta “tre euro e cinquanta” mi viene formulata in italiano. Ma loro sono abituati a queste schegge italiane di passaggio, e io pure mi sono abituato a fare la scheggia, dopo tutti sti anni, per cui non sci i dice nient’altro se non Ecco il Resto, e ognuno poi fa la sua strada, io con la pizza in bocca, loro a strofinarsi le mani sul grembiule. 

Poi fra gli altri c’è questo pizzaiolo che non deve parlare con nessuno, lui fa solo le pizze. È più giovane degli altri, e lo hanno messo davanti al forno a fare le pizze. Da sempre considero il pizzaiolo – soprattutto quelli organizzatissimi, che devono solo strappare il biglietto e prendere manciate di mozzarella dalle coppe – una professione intellettuale. Non per la fabbricazione delle pizze in sé, ma per l’automaticità dei gesti, ché io ne sono certo, a fare tutto il giorno quei gesti sicuramente si finisce per pensare tanto, e chissà cosa, e chissà quali pensieri ti provoca il contatto quotidiano con le olive e le scatole da montare ogni volta con quei gesti sicuri. E comunque c’è questo pizzaiolo, che sta lì a fare la pizza, quelle poche volte che parla esibisce un accento siciliano intatto. E davanti al forno ha un’enorme vetrata che da’ su uno spiazzo dove passano tutti i giorni le studentesse bionde suine di questa università del Paese Basso. Lui le osserva, siciliano, e strozza l’impasto della pizza con le dita. Credo che sia ormai assuefatto a questa vista continua – ogni giorno si alza e ne vede passare a centinaia – e io lo guardo, e penso a quelle tigri degli zoo che dietro il vetro appena arrivate ruggiscono ai visitatori, poi ancora e ancora, e infine si abituano, e quando il millesimo visitatore urla con lo zucchero filato in mano, quelle al massimo tirano fuori la lingua per leccarsi il naso. E poi lo guardo, e così siciliano a pelle scura, mentre fuori ci sono le nuvole e i vichinghi a passeggio, e mi pare pure un orso polare che lo hanno portato in uno zoo dove non c’entra niente, lo hanno portato, chessò, a Cosenza.  

Poi finisco la pizza – sempre di frettissima – infilo le cuffie anche quando so che non ascolterò nulla, e vado via.