Percorro in questi giorni l’intera filmografia di Monicelli – sempre per quella storia dell’essere italiano «da lontano» – e molti di questi film sono ambientati negli anni 60. E allora stavo pensando: fossi nato negli anni 60? Sarebbe stata una tragedia, ho pensato. Ma una tragedia.
Già oggi, con tutta la prospettiva storica che si dovrebbe avere dopo quasi dieci anni nel millennio nuovo, i miei coetanei mi fanno vergognare di un certo numero di cose, dal conformismo integralista all’alternativismo militante. Ma fossi nato negli anni 60 sarei morto all’istante, praticamente. Ascoltavo le canzoni dei Rokes (ma che colpa abbiamo noi se non siamo come voi) e dei Nomadi (chi vi credete che noi siam per i capelli che portiam) e giungo alla conclusione – ed ero giunto a queste conclusioni già tanto tempo fa ogni volta che ste canzoni sono state passate alla radio – che il conformismo giovanile italiano ha proprio radici profonde. E’ proprio radicato dentro la cultura, scavato e cementato. Piazzato al centro. Una colonna di certezza irremovibile.
Gli anni 60 hanno proposto lo stereotipo del giovane italiano che non dice niente, che è il nulla, solo che si cresce i capelli e suona la chitarra e che si scaglia contro ipotetiche critiche lanciate al suo indirizzo.
Quando per strada noi passiam
Voi vi voltate per guardar
Ci vuole poco a immaginar
Quello che state per pensar
Che poi è un po’ come quelle ragazze che "vuoi dire che ho il culo grosso? ma guardati te, guardati!" quando ancora non hai aperto bocca. Di canzoni autoreferenziali sulla stessa solfa ce ne sono tantissime. Ma proprio a pacchi. Dove c’è il giovane che si lamenta di ipotetiche esclusioni e derisioni della società. Solo che lo fa in prima serata sulla televisione di Stato democraticacristiana. Che è un po’ come dire, per fare un esempio, quei ragazzi che battono le mani nel pubblico delle trasmissioni, quelli che servono a fare la parte dei giovani, ecco bravi mettetevi qua vestiti da giovani, magari con una cresta e un orecchino al sopracciglio ma sempre sorridenti e puliti, così i pensionati da casa sprofondati in poltrona pensano quanto sono giovani questi giovani. E infatti poi ste canzoni erano tutte fondate sul Noi, Voi, Voi credete che Noi siam, se non siamo come Voi, Noi Voi, se non pensiamo come Voi, che colpa abbiamo Noi.
A vedere queste cose si capisce che un Paese conformista non lo si costruisce in un attimo, serve il lavoro certosino che parte da lontano. Servono i giovani disposti a recitare la parte dei giovani (vi chiamiamo capelloni, e santiddio non voglio vederne nemmeno uno coi capelli corti, capito?!?) e poi magari qualcuno che ti mette un po’ paura (ma sempre entro i limiti) al pensionato che guarda la tv a casa con il tovagliolo a bavetta per non sporcarsi di pastasciutta. E le cose non cambiano mai, un Dj Francesco che zompa vestito da pirla è un po’ come il batterista dei Nomadi che si sforza di fare le smorfie davanti alle telecamere. Poi i puristi si indignano ma insomma, il video dice tutto. Si può dire che questa è storia, che sono miti della musica, ma le immagini del batterista dei Nomadi davvero non sono paragonabili – quanto a giovanilismo sforzato – nemmeno al peggior Jovanotti dell’epoca d’oro.
E poi negli anni le cose continuano sempre allo stesso modo: nei miei anni 80 da bambino ricordo che a carnevale i genitori ti vestivano da «punk». Ti strappavano un paio di jeans al ginocchio e ti drizzavano i capelli col gel. I punk, capito? Perchè un paese-balena irremovibile è capace di masticare digerire e cacare tutto. Tutto sotto controllo. Tutto che diciamo noi come dove e quando. Poi inviti Brian Molko e quello giustamente ti spacca tutto davanti al pubblico di incravattati, e per un momento vedi il cortocircuito fra due culture troppo diverse.
Dice: ma che cazzo ti è preso oggi con sta storia dei giovani? Non lo so, non lo so. Sto pensando ai monaci tibetani uccisi per le strade, davvero. Giuro, sto pensando ai monaci tibetani. Ci sono proteste in Italia, adesso, per tutti sti monaci trucidati? Pare di no, vero? Sto pensando a cosa ha scritto Leonardo su questa cosa, e oggi mentre tornavo a casa c’era un sole che si specchiava sull’asfalto bagnato e non mi faceva vedere nulla. E ho partorito tutta una serie di pensieri che poi andavano a finire – non so come, mischiandole con Monicelli – a queste considerazioni. Mi ricordo solo il punto di partenza e il punto finale, ma non tutto quello che c’era in mezzo.
Pazienza.