quando organizzi una festa che va bene, poi il giorno dopo ti salutano tutti.

Fuori dal cancello di casa, l’altra sera durane La Festa, c’erano chilometri di macchine parcheggiate sul ciglio della strada. E quando dico chilometri intendo davvero quella parola che per abbreviarla si usa scrivere, per comodità, “Km”.
Chilometri.

La festa, il casino, la folla, la vasca da bagno di casa zeppa di ghiaccio e bottiglie di rum e gin. Trenta litri di sangria che veloci hanno preso le vie degli esofagi degli invitati. Il deejay che tra i Prodigy, gli Smiths, i Massive Attack e i Phoenix, ha avuto il buon senso di evitare Seven Nation Army dei White Stripes. Un santo. Mio fratello il Medio che si faceva scattare foto con a fianco il bagno chimico che abbiamo noleggiato per l’occasione. Io che apro la finestra della mia stanza e ci trovo il bagno chimico, sotto, addobbato con le luci di Natale. Il mio fucile caricato a rum e cola si è svuotato spruzzando sulle tonsille dei presenti.

Il cuggino rasta che –ovvio – si infratta nella campagna. Poi ti viene a raccontare quali sono i segreti per ottenere –infallibilmente –del sesso orale. C’è una procedura , dice, che va seguita:

1 : massaggiare tra i capelli appena sopra la nuca. La tipa si distrae.
2 : esercitare una adeguata pressione con le dita sulla nuca. Va trovato il punto esatto di pressione.
3 : portarla fino all’ombelico. Se si riesce a portarla fino all’ombelico, il Maestro dice che “è fatta”, perché da lì in giù è questione di un attimo. Ci vuole solo il guizzo.

Poi il giorno dopo ti salutano tutti.  

Poi il giorno dopo, in un bar sulla costa, si avvicina una bambola gonfiabile dotata di parola, e mi dice: “Io ieri ero alla tua festa, e adesso ti ritrovo qui. Non è un segno del destino, questo? No?” e poi mi massaggia la nuca. Sono perplesso. Devo chiedere delucidazioni al maestro. Cosa si fa in questi casi? Finisce che andiamo tutti di nuovo a casa mia, la Bambola e le sue amiche, gli amici presenti, la chitarra. La bambola usa la parola “Formentera” come fosse un avverbio. Del tipo: “Raffi (Raffi?) mi dici dov’è il bagno che ci devo Formentera andare assolutamente?”.

Mentre una tipa piscia, l’altra aspetta fuori. Guarda nella stanza di mio fratello il Piccolo e ci trova mio fratello in mutande sul letto. Mio fratello il Piccolo si mette in posa e dice, con la bocca impastata dal sonno: “Eh? Che bronzo di Riace che sono, no?” C’ha ancora sul comodino gli orecchini della sua tipa che ieri, alle sei della mattina, è dovuta andare via da casa facendo la nana come Benigni ne “il Mostro” per non farsi sgamare da mia madre, che era già sveglia.

Se finisce agosto, sono salvo.

lettera ad un arcodamore troppo corto

Ricordo che uscivamo la sera e tu c’avevi ancora i capelli sporchi di acqua di mare.

Non avevi il trucco sul viso e indossavi spesso una tuta nera. Dicevi: non mi va di cambiarmi. Io pensavo: Madonna quanto sei bella così, senza preparativi, senza rossetto, senza niente. Tutti mi dicevano: Quant’è bella lei.
Io pensavo a quant’eri bella e non pensavo mai al fatto che con te non c’entravo niente.

Perché io e te non c’entravamo un cazzo.

Una sera ti dissi: “Dai, andiamo in libreria.”Volevo regalarti qualche libro, perché poi sarei dovuto partire e non ci saremmo visti per un po’. Mi dicesti : “Dai, andiamo.” Però già c’avevi negli occhi un filo di noia che non colsi. Arrivammo in libreria e tu ti dirigesti verso lo scaffale dei libri di cucina. Con tutti i libri che c’erano. Sei rimasta lì tutto il tempo. Io non sapevo cosa fare. Ti regalai un romanzo semplice semplice con una dedica sulla prima pagina che per scriverla ci ho messo due ore. Tu lo leggesti e dicesti: bello. E poi lo hai prestato in giro. Il libro con la dedica. Ho visto un mio amico uscire dal cesso dopo una cacata che c’aveva in mano il libro che ti avevo regalato. Con la mia dedica. Quel giorno in libreria ti regalai anche il Piccolo Principe, che lo so che è un regalo scontato, ma mi pareva assurdo che non lo avessi mai letto. Non lo leggesti mai, comunque. Mi hai detto: non avevo il tempo, per leggerlo. Il Piccolo Principe, trenta pagine. Non avevi il tempo.

Però eri bella. E venivi con me la sera senza trucco e con i capelli sporchi di mare.
Io vedevo solo questo, ma dovevo vedere pure tutte le altre cose. Non le ho viste.

Ci siamo lasciati come era giusto che fosse. Certe volte penso che è stato due anni fa e mi sembra invece che sia stato due vite fa. Sei uscita di scena senza lasciare traccia né rimpianti.

Adesso ti vedo per strada e sembri di plastica. Sei come un telefonino a cui non è ancora stata tolta quella pellicola di plastica che copre il display. Con un fondotinta esagerato che ti nasconde la bella pelle che c’hai. Gli occhi truccati. I capelli con i boccoli biondi, curatissimi, lucidissimi. I tuoi vestiti da bomboniera. Le borsette. Le amiche tue simili, conciate come te.  Sei un’altra persona. Per questo non mi manchi affatto. Eppure sei lì. Forse adesso, almeno, sei più sincera.
Sei quello che volevi essere.     

“…quando magari ha solo un particolare che ti piace, anche solo dei capelli o degli occhi che ti piacciono, o la voce o il modo di muovere le mani, e parti da lì per farti piacere tutto il resto. Anestetizzi il tuo senso critico. (…) E meno conosci uno, più ti sembra che possa nascondere cose interessanti. C’è questo fascino dell’ombra, no? “

Andrea De Carlo      Arcodamore.

allora

Questa mattina  Silvano ha cominciato presto a rompere le palle con i suoi versi da foresta tropicale urlati per la casa, fino a quando non mi sono arreso e l’ho portato in bagno a farsi la doccia.
Si è rotolato sotto il getto lieve dell’acqua come più o meno fanno i passerotti nelle pozzanghere, se li avete mai visti. Con la differenza che i passerotti hanno il senso della misura e Silvano no, così finisce che poi si bagna troppo e non riesce più a volare. E allora ti fa la faccia triste che è come se dicesse: ti prego vienimi a prendere, che sono nei casini.

Il Cuggino rasta torna da un vicolo dove si era nascosto con una tipa conosciuta tre minuti prima, ed ha la maglietta sporca di sperma in più punti. Borbotta contrariato che al giorno d’oggi le tipe non praticano più il sesso orale come una volta.

Nei prossimi giorni sono attesi gli arrivi di nuove Special Guest, ospiti in questa casa di malati. Si vocifera del ritorno di un cubano, che già era stato da queste parti tempo fa, e di una brasiliana, assolutamente una new entry.

Domenica prossima qui nella casa dei malati, con tutte le Special Guest possibili, avrà luogo un festone (festazzone, festolone, festocchione, festaccione..) con musica, alcool, bruschette al pomodoro e rucola, e tante altre cose buone e giuste che organizzeremo più in la’.
Chi si trova al tacco per quella data è invitato, l’importante è farsi vivi prima, con la mail a lato.

passo e chiudo

tre millimetri sopra il nulla

Su di un muro scrostato alla periferia del paesello, trovo scritto: Sabrina ti amo, io e te Tre metri sopra il cielo. Un gatto pezzato, forse con la rogna, si gratta con insistenza. Il parcheggio antistante è bruciato dal sole. Le automobili sono parcheggiate alla rinfusa, che tanto di spazio ce n’è a sufficienza e non c’è bisogno di fare economia.
Su di una parete di cinta, che delimita il passaggio della ferrovia, dove di treni ne passano forse due o forse nessuno, trovo scritto con uno spray blu : Giovanni e Luisa forever : Tre metri sopra il cielo.  

Il campetto da calcio in una zona del paesello che è ancora campagna, ma solo per poco, ha un muro privo di intonaco che lo accerchia. Pensionati cavalcano motorini anni ottanta, di quelli che i piedi li poggi sui pedali e nelle salite, se giri i pedali, ti puoi aiutare quando il motorino non ce la fa più. Trovo scritto, tra i vari Pamela perdonami a caratteri cubitali e rossi, e le varie combinazioni di Forever ( Luigi e Marina Forever, Claudia Forever, Luca e Piccolina Forever etc..) trovo scritto pure, con malcelata ambizione graffitara, un inflazionatissimo Per sempre io e te Tre metri sopra il cielo.

Tenuto conto che un ragazzetto, quando si innamora, in teoria dovrebbe avere il massimo dell’originalità che gli sgorga dal cuore ansioso e pompante. In teoria, un ragazzetto innamorato, dovrebbe averci per la capa dozzine di pensieri melensi che girano e girano senza farlo respirare.

In teoria.

Tenuto conto che una citazione ci sta benissimo, se il ragazzetto a causa dell’innamoramento o a causa delle scuole diroccate  che c’abbiamo qui, risulta inabile alla sintassi. Ci sta benissimo, la citazione.
Ma cazzo, così No.

In tivvù mandano certe televendite delle scarpiere, che mi chiedo preoccupato come ho fatto a vivere fino ad oggi senza una scarpiera da infilare dietro la porta. Provo un fortissimo desiderio di scarpiera verticale per nove paia di scarpe, io che di scarpe ne ho due paia in tutto, e comunque da metà luglio giro imperterrito in infradito.

Al mio paesello si è verificata una valanga di matrimoni. Si sposano coppie di giovanissimi dove nessuno dei due lavora, o magari lavorano malino e i soldi non ci sono, e dove non c’è nessun bebè in vista. Però costruiscono case con l’aiuto dei papà, e poi con le loro fedi d’oro all’anulare, spazzano orgogliosi i pavimenti di proprietà.

Il fatto è che qui, estremo baluardo dell’Africa Settentrionale, la parola convivenza fa ancora zompare le commari sulla sedia.
Il fatto è che qui si diventa commari molto ma molto presto.

Torno or ora da un tramonto condito con birra, in un posto sulla scogliera a due passi da casa. Avevo di fianco Giuliano dei Negramaro che il Cuggino rasta si ostinava a chiamare chissà perché Graziano dei Negramaro. Poi ha fatto la sua entrata l’ormai leggendario Silvio Muccino – paglietta in testa e sorriso pubblicitario – che a quanto pare è alla ricerca di spose da traviare qui nel Salento costa occidentale.

Ho scritto qualcosa come “estremo baluardo” e quindi è meglio che per oggi ne faccio Basta, di scrivere

francesca

Mentre mi passo lo spazzolino sui denti, in bagno, vedo camminare Francesca – placida – in corridoio.
Francesca è il mio pitbull. E’ un cane buono e dolce, ma ha alcuni problemi comportamentali. Soffre di carenza d’affetto. E crede di essere un uomo.
Cioè, una donna.

Siccome crede di essere una donna, vuole vivere in casa, e non nell’immenso giardino che ha a disposizione. In casa – abbiamo deciso – non deve starci. E’ questa la tradizione che si tramanda per i cani di questa famigghia. La casa comunque No. L’ultimo cane che ha avuto il permesso di vivere in casa è stato un grosso pastore belga nero che ( narra la leggenda ) usava dormire sotto la mia culla, ormai un quarto di secolo fa. Un quarto di secolo ed un anno fa, ad essere precisi (sob).

Francesca però qualche volta se ne fotte delle regole di questa casa, quanto a cani, e in casa ci entra lo stesso. Quando viene sgamata, sfodera una faccia strappalacrime che a confronto Lassie recitava come Alessia Merz in Jolly Blu. Quando viene sgamata, Francesca, tira fuori una faccia da cane bastonato con la differenza che nessuno l’ha bastonata, a lei , e pure volendo servirebbe del coraggio, perché grossa com’è incute timore a tutti.

Francesca, quando dorme, molla degli scorreggioni paurosi.

Francesca si ricorda di essere un cane quando vede un gatto. Se vede un gatto, non abbaia. Se vede un gatto, Francesca, praticamente ruggisce. Se riesce a prenderlo, il gatto è fregato, è già sottoterra. E con questo intendo che “il fu gatto” viene davvero interrato, piantato nel terreno come fosse una pianta. Anche questo cozza contro la tradizione di questa casa, dove per anni cani e gatti hanno dormito gli uni sugli altri, durante gli inverni,  per darsi calore a vicenda.

Il gatto viene tumulato nella terra rossa salentina, ad eccezione della coda. C’ha sto difetto, Francesca, che lascia fuori le code dal terreno. Soffre di una rara patologia, definita T.I.G. ( Tumulazione Imperfetta di Gatto) per la quale non esistono cure.
Così poi succede che mia madre va a stendere i panni da asciugare, e trova queste code di gatto che spuntano fuori dal terreno. Allora si corre da Francesca a urlare, e lei che già sa di cosa si tratta, diventa la Mario Merola dei cani, e ti fa la faccia di quella che si dispiace, che davvero non voleva, che solo questa volta e poi non lo fa più.

Avendo scritto sto post mi devo scusare con, nell’ordine:

il mio vicino di casa, quello che aveva il persiano bianco giocherellone con gli occhi azzurri. Sono cose che succedono, scusa.
Alessia Merz  : vabbè che recita male, ma almeno ha dei begli occhi, come quelli del persiano bianco.
il mio vicino di casa quello che aveva il gatto tigrato arancione (lo stesso di cui sopra)
Dario Cassini: anche lui attore in Jolly Blu, un giorno siamo andati a pranzo assieme. Il film era una merda, ma tu recitavi bene. E poi non posso dire altrimenti, dopo che ci hai offerto tutto il limoncello che c’era disponibile in quel ristorante sul mare. Anche tu c’hai gli occhi azzurri, che combinazione. Ma un po’meno di Alessia Mertz e un po’ più del persiano bianco.
Francesca che se gli togli sta mania gatticida e le scorreggie, è un bravo cane. Se poi anche lei prendesse coscienza che è un cane, allora, sarebbe perfetta.

certe notti, quando si fa molto tardi, tramonta pure la luna.

Cerco l’ottimismo tra i corridoi e gli spigoli della mia coscienza, come fosse un gatto che si è perso. Non lo trovo e non lo trovo, ma faccio finta che Si.

Certe notti mi rendo conto, quando ormai è troppo tardi, che forse era meglio restare a casa. Magari con un vecchio film di Nino D’Angelo su di una rete locale, per sbadigliare in poltrona con un bicchiere mezzo vuoto di aranciata in mano.  Me ne accorgo quando ormai i chilometri che separano la poltrona dalla macchina che mi porta via diventano troppi, per voler tornare a casa a piedi.
Mezzo vuoto, ho detto?
Appunto.

Mi hanno chiesto Allora Che Fai, Vieni? Ed io, serio, ho risposto: Datemi prima un termometro, che secondo me c’ho la febbre. Di febbre non ne avevo, e l’ho riferito in tedesco alla ragazza di mio fratello Il Medio, perché lei in questi giorni, mezza tedesca e mezza costaricana com’è, mi funge da maestra di lingua germanica, nei momenti morti delle giornate.
Mi sono depositato in auto e ho pensato, ma non l’ho detto: Fate, Fate, andate, portatemi, fate. Andate.

Sulla strada mi sento un pacco postale per lunghi tratti. Quando mi risveglio dal mio paccopostalismo, guardo fuori nel cielo grigio, che sarebbe notte fonda ma il cielo è grigio, perché ci sta una luna che pare un sole, nel cielo, e illumina i bordi delle nuvole spezzettate. Poi se sono davvero sveglio, ascolto Chris Martin che mugola dall’autoradio e allora cerco di inseguirlo con vocalizzi arabi assieme alla Maestra, solo che lei è intonata ed io No.
Poi sbuffo e torno pacco postale.

Certe notti la strada non conta, quello che conta è sentire che va .

Certe notti mi girano le palle, perché più che altro la strada va e ancora va, e non si arriva mai al dunque, e il dunque in queste certe notti pare essere solo un dettaglio, trascurabilissimo.

Certe notti – come ieri – facciamo una sosta in questo paesello piccolissimo che però c’ha un baretto che ti fa i cocktail a prezzi cinesi, e non si può non approfittarne. Io per far notare la mia estraneità al mood della serata, non approfitto dei prezzi cinesi e mi attacco ad una MorettiPiccola, e mi siedo con posa da pensionato su  di una sedia di plastica, appena fuori dal baretto.
Billigiò invece non può farsi sfuggire l’occasione, e ordina in blocco tre campari gin. La barista si rivolge a Billigiò chiedendo: Volete pure il limone nei campari gin? Billigiò mi racconta di questo involontario Plurale Maiestatis , ridacchiando, coi tre bicchieri in mano e le tre cannucce in bocca.
Io nel frattempo controllo il traffico che non c’è, dalla mia sedia di plastica.
La Maestra mi si avvicina e mi dice, pizzicandomi la guancia: Il Mio Cognato!  
Penso che è la prima volta che mi chiamano Cognato. Penso che la prima volta, guarda un po’, mi doveva capitare con accento latinoamericano.

Arriviamo al dunque, ma del dunque non mi va di parlare. Che questi raduni di musica reggae in spiaggia mi provocano un eritema sul cervello, per il fastidio e per la noia, definito da me appunto Eritema da Reggae. Il più contento era ovviamente il Cuggino Rasta, che quando è arrivato ha cercato di esprimere la sua volontà di trascorrere un periodo di purezza e castità, affermando: Quest’estate è all’insegna dell’Anno Sabbatico. Poi però, un litro di vino rosso più tardi, è sparito tra le dune di sabbia con una milanese amica sua, che secondo me è arrivata da Milano giusto per quello. Probabilmente mentre scrivo è ancora lì, tra le dune, che dorme con la faccia nella sabbia.

Certe notti guardi la luna a più riprese, e vedi che si muove.

Ho guardato la luna nel cielo e poi ho abbassato lo sguardo alla spiaggia. Attorno a me avevo una costellazione di individui col palmo aperto ad altezza bacino, rivolto all’insù. Accendino che lavora furtivo per squagliare il tocchetto di fumo. Odore inconfondibile nell’aria. E’ stato in quel momento, percependo la prevedibilità, l’ineluttabilità e l’ovvietà della situazione, che ho pensato a Nino D’Angelo, ai libri che c’avevo sul comodino, al bicchiere d’aranciata.

Certe volte mi sento come ET, solo che non so dove puntare il dito per dire Casa.

In queste notti, quando la luna tramonta, allora esce il sole.
Torno a casa che è luce, barcollo.
Mia madre già lava i piatti della sera prima.

sonnecchianti parole tanto per dire qualcosa

Lo casse dello stereo della macchina mandano fuori un ritmo in levare.
La macchina procede lenta sulla stradina che costeggia la costa.
La stradina che costeggia la costa è incorniciata da schizzi verdi di fichi d’india.
I nostri piedi, nella macchina che procede lenta, sono incrostati di quella sabbia testarda che pure se insisti, quella rimane lì.
Le guance sono bruciate dal sole.
La macchina la guida il Cuggino, è la macchina del babbo, e lui ci tiene a mantenerla pulita. Dietro siedono l’amico Frollo e la consorte sua straniera, che sta iniziando a masticare l’italiano.

– Chi è questo che canta nello stereo? –
– Giuliano Palma.-
– Ah…-
– … –
– Ed è italiano? –
– No, è giapponese. –
– Giapponese? –
– … –
– Ah, be’ –
– …-
– Sicuramente, per il nome che c’ha, deve avere origini italiane.-
– Ma infatti.-
– Sicuro.-

Guardo fuori dal finestrino, guardo la mia faccia col naso rosso nello specchietto retrovisore. Certe volte ho come l’impressione, quando percorro queste strade bruciate dal sole, di essere stato catapultato in Messico. Questo lo scrive uno che in Messico non c’è mai stato, e pure volendo immaginarlo, il Messico, non saprei come immaginarlo. L’unica cosa che mi viene in mente, se penso al Messico, sono quei due tipi col cappello largo largo della pubblicità del The, quando uno dice all’altro: Mira il ditooo!

L’altra sera il pappagallo di mio Zio, poco prima che ci sedessimo a tavola per la cena, ci ha detto: Buon Appetito.

In giro mi dicono: sembri davvero un tedesco.
Io dico: cazzo, con questa pelle magrebina? Ma come tedesco?
Mi dicono: massì, sei così alto. Gli occhi chiari. Sembri proprio un tedesco.
Vorrei dire: Ecco perché mi sembra di stare in Messico. Tutti così bassi. Così scuri.

Mio fratello il Piccolo ( D.Pennac All rights reserved) si ostina a lasciare le sue mutande sul pavimento del bagno. Io faccio finta di non incazzarmi ma poi mi incazzo lo stesso. Ogni giorno trovo le sue mutande. Ogni giorno. Per terra.
Ci mettiamo a discutere della differenza tra territorio privato ( la propria stanza) e territorio comune (il bagno) e di come uno può fare tutto quello che vuole, nel territorio privato, pure tenerci un pinguino gay che fa da appendiabiti col becco, ma che nel territorio comune ci sono delle regole da rispettare, e lui che studia da giurisprudente dovrebbe saperlo, e che se queste regole non le rispetti, poi succede che il fratello grande si incazza.
Ho appeso le sue mutande a tre metri d’altezza,nel salone, come protesta simbolica. I soffitti delle case antiche da queste parti sono costruiti a volte molto alte. Lui non capisce questa protesta simbolica e minaccia di incendiarmi il letto. Io un po’ ci credo, che con i baffi che si è scolpito sulla faccia due giorni fa, c’ha davvero l’aspetto di un narcotrafficante sudamericano.

Mentre dallo stereo della macchina esce il ritmo in levare di Giuliano Palma, dico alla combriccola:

– Questo qui suona da queste parti, tra un paio di giorni.-
– Questo qui Chi?- mi chiede il Frollo, come al solito fuori dal mondo.
– Quello che senti cantare in questo momento.-
– Il giapponese?-
– Lui.-
– Giancarlo Paletta? –
– Quello.-
– Andiamo a sentirlo?-
– Andiamo.-

Quindi stasera siamo lì, al concerto in levare dei BlueBeaters e di Giuliano Palma. Sullo stesso palco ieri c’era il Cuggino Bassista, con un pubblico enorme che pareva di stare a Woodstock. A fine concerto il signore Iddio ha mandato dal cielo un acquazzone che ha inzuppato tutti, ed ha smorzato le sbronze estive dei ragazzetti zompanti.
Io, col mio solito Culo d’Agosto, ho trovato parcheggio di fianco al palco, e sono tornato a casa asciutto.

vivo

Dopo chili di cozze nere e crude ingurgitate ieri sera, forse sarei dovuto morire, forse dovrei essere già morto, forse in realtà sono davvero morto e non me ne rendo conto, forse morirò a breve, ma se continuo a grattarmi la spalla per il sale che si è incrostato con l’acqua di mare, se a grattarmi provo tutto questo fastidio che è un fastidio molto terreno, allora vuol dire che non sono morto, che sono vivo, e infatti scrivo, da vivo come sono.

Era quasi il tramonto, ieri sera, quando tornavo al porto con la barca, dopo un’oretta di gongolamenti sotto il sole obliquo del tardo pomeriggio. Ho dato il timone della barca a questa austriaca lunga lunga che si trovava lì con noi, e lei tutta contenta ha sentenziato che guidare la barca è una ficata.

Mi sono seduto dietro, col Cuggino, che aveva i rasta grondanti di acqua di mare e gli occhi grondanti di pensieri impuri sul culo dell’austriaca lunga lunga. Mi sono seduto dietro con lui, a guardare gli alberi sulla costa, e gli scogli a picco sul mare che conosco come fossero le facce di un parente molto prossimo.

Al largo abbiamo incontrato una mezza anguria galleggiante.
Per dire.

Mi faccio un po’ schifo – ma è una sensazione lievissima, che non da’ fastidio – per tutto questo gongolamento e per questo mare, per questa pelle magrebina che mi è venuta fuori, per queste birrette ghiacciate bevute di notte durante i concerti nell’entroterra, per queste orate arrostite che ormai mando giù a giorni alterni.

Siccome mi faccio un po’ schifo – ma come ho detto, è qualcosa di molto lieve – eccomi qua a tradurre alcune pagine che mi sono state date in regalo da quei geniacci della megamultinazionale.
E questa cosa di avere carte tra le mani, di scrivere, leggere qua e la’, mi da’ come l’impressione che sto lavorando.

Ma anche questa è una sensazione molto lieve, che non da’ fastidio.