stesi a pancia in sù

Stesi a pancia in sù, io e la Meisje a discutere sul titolo di Baricco, Oceano Mare, che secondo lei suona bene e non da fastidio, secondo me invece non vuol dire nulla, come non significherebbe nulla Imbarcazione-Nave o Pianta-Albero.             

Di tanto in tanto si sentono di giovani in salute che all’improvviso si accasciano e muoiono. Io sta cosa mi fa diventare isterico, che è un tipo di morte che la vedo bene addosso, e dopo poi mi devo informare e voglio sapere cosa è successo esattamente, e voglio conoscere i dettagli dell’autopsia. Non ho particolari vizi, e il mio equilibrio diventa sempre più stabile. È normale quindi che un’ isteria, ogni tanto, devo pure farmela venire.             

La Meisje monta l’albero di Natale, io la aiuto e aspiropòlvero via i frammenti di albero sintetico sul pavimento. Seguirà certamente foto. La declinazione aspiropòlvero è un’invenzione del momento, e me ne complimento con me stesso.            

Pensavo che quelli dell’Ikea – va bene, multinazionale eccetera eccetera – alla fine non fanno pubblicità ingannevole, le foto dei divani sono uguali ai divani che ti monti (non come le pubblicità dei panini, o dei gelati), se serve sostituiscono qualsiasi cosa e i costi sono quelli per davvero, non come i piani telefonici o le maionesi dei fast food.                

Chi ha messo la foto di Samuele Bersani sulla pagina di wikipedia, gli vuole male, ché sembra un geco con la miopia. E con l’anemia. Baricco direbbe Patologia Ematica-Anemia. E si vede infatti che ha tutta un’altra poesia.

update: foto.

paura, eh?

Allora, ormai sono giorni che corriere.it insiste su sta storia del calamaro gigante scambiato per qualcos’altro, che però poi si scopre non era affatto altro ma era proprio un calamaro. Nel video si vede cosa? Un calamaro. Un po’ piú lungo, forse appartenente ad una specie nuova – io non me ne intendo di calamari – ma chiaramente un calamaro. Diamine, è un calamaro. E loro invece prima titolano “mistero nel mare del Messico” e poi dopo qualche giorno – come se nel frattempo nel mondo si fosse scatenata l’ansia di sapere cos’ è in realtá quel calamaro che sembra un calamaro ma dicono non essere un calamaro – se ne escono con la notizia che, insomma, potete stare tranquilli, è solo un calamaro. Ma va’?

Però, siccome sono bacati fin dentro la coscienza, non si fermano qui ma esagerano. Spumeggiano. Il titolo è addirittura “Paranormale: sembrava un alieno ma era un calamaro” . Un alieno, capito? Tu vedi un calamaro in fondo al mare e cosa pensi? Che è un alieno.  Esagerazione nel titolo? No, perchè poi subito sotto scrivono che gli osservatori, in Messico, hanno creduto di trovarsi di fronte ad un “marziano”. Quindi non un alieno qualsiasi, ma proprio un marziano. Del resto si vede benissimo che quei tentacoli e quel capoccione da calamaro non possono essere di Saturno. Sono fisionomisti, quando si tratta di mostri alieni, i petroliferi messicani. E sta cosa del marziano, non è una battuta del titolo, poi la ripetono anche nel video. Quello che poi fa pensare è che cercando in giro su Google, la notizia è riportata in modo molto piú sobrio da tanti altri siti (in sostanza, dicono: forse è una specie nuova per via del numero dei tentacoli e del movimento particolare). Però evidentemente dalle parti di Corriere.it hanno delle fonti di informazioni speciali, qualcuno che è andato da loro – e solo da loro – a spiegare che un calamaro in fondo al mare è stato veramente scambiato per un marziano (perche’ non vogliamo credere si inventino le notizie a cacchio, giusto?). Qui il video del marziano.

mantenere la concentrazione

Ho un nuovo paio di jeans che se mi metto le mani in tasca e spingo nelle tasche, mi si apre la cerniera sul davanti. Siccome se parlo o ascolto mi perdo in me stesso e non penso a quello che faccio, succede che invece di parlare e ascoltare sto attento a non spingere nelle tasche, così la cerniera non si apre ma intanto non ho capito nulla di quello che mi viene detto.  

Poi invece poco fa salgo in cucina, e come succede spesso in questa casa portodimare, incontro qualcuno che non conosco, e come ogni volta dico Ahi, oppure Ehi, e cominciamo a parlare. Stavolta dovevo lavare numero un piatto e numero una forchetta nel lavandino, ma nel frattempo parlavo con una ragazza mai vista prima, che parlava giuliva e mi spiegava della sua scivolata in bicicletta sul ghiaccio (siamo in Olanda, e fa freddo) e dei supermercati in Perù che non è come qui, lì sono aperti fino a tardi. Il collegamento fra scivolata e Perù l’ho perso a causa delle sue orecchie, due orecchie improponibili su di un ragazza in fondo anche carina. Due orecchie enormi e pendenti verso il basso. Non orecchie a sventola, che sarebbe troppo facile, ma qualcosa di espanso. Carne espansa nello spazio circostante. Mentre parlava la guardavo in faccia, in un punto preciso fra i due occhi, e mi sfrozavo di non guardarle le orecchie. È stato molto difficile. Ce l’ho fatta. Ma alla fine, anche in questo caso, cerniera oppure No (in questo caso No) non ci ho capito nulla. E comunque i supermercati in Perù – sennò chiudo un pezzo e non ho fornito nemmeno un messaggio che sia uno – chiudono tardi, più tardi che qui. E qui, invece, sappiatelo, in bicicletta di questi tempi sul ghiaccio, si scivola.

non so voi

Ma qui fiocchissimi di neve si conficcano negli occhi controvento.   

La mia mediterronicità si misura con il ritorno dell’inverno nordeuropeo. I tetti si imbiancano ed io mi spavento a pensare di dover guidare sulle strade sputacchiate di neve – strade peraltro sicurissime. Le strade sono lunghe, in Paese Basso, ma mai troppo, e dopo cento chilometri di solito sei arrivato dove avevi intenzione di arrivare.

Ascoltano musica anni 80, gli abitanti del Paese Basso, è come se si fossero cristallizzati in quell’epoca e non vogliano evolversi.La radio lungo l’autostrada sputtacchiata di neve manda per l’ennesima volta I want to know what love is. Che non lo sai se ti piace. Forse non ti piace. Però se avessi avuto diciotto anni negli anni 80, ti sarebbe piaciuta.   

Al ritornello verrebbe da prenderli in giro, sti olandesi fissati con gli anni 80. D’altra parte oggigiorno ci sono i concerti di Rhianna, e allora per essere al passo coi tempi dovresti andarci, a sti concerti di Rhianna. Invece tu, in preda allo sconforto musicale di non sapere cosa ascoltare oggiogiorno, ti porti in giro nel lettore l’album Freak di Samuele Bersani, e passi il tempo a scoprire i pezzi che a quei tempi non diventarono famosi. Belli.  

facebook, il manifesto

Premesso che un iscrizione a Facebook non è da escludersi, ma solo in un ipotetico futuro, se mai Facebook dovesse diventare indispensabile alla mia vita su questo pianeta.     

Premesso che parlare di Facebook non è cosa da poco, perchè significa parlare di comunicazione e di quello che sta diventando oggi la comunicazione, e di come tutto questo influenzi la nostra concezione di comunicazione (per noi che esistevamo anche prima di Facebook) senza contare che questo sarà più o meno il modello di riferimento per quelli che verranno dopo di noi (perchè non sapranno com’era la vita prima del social networking).        

Dichiaro che la mia opposizione a Facebook è dettata dai seguenti motivi:

Se non ci fosse, non ci sarebbe assolutamente bisogno di inventarlo.         
FB non aggiunge niente a quello che già c’era. Vuoi comunicare con qualcuno in particolare? Vuoi comunicare col mondo? Oppure solo con una ristretta cerchia di amici? Bene, hai la mail, Skype, Messenger, i blog (privati, o pubblici), gli spazi web gratuiti, i siti per caricare fotografie e video, siano essi privati o pubblici. Te li scelgli tu, come piacciono a te. La differenza è che con FB è tutto integrato in una sola cosa. Che poi vuol dire, in altre parole: ci sono molti più vincoli. Ma soprattutto: è un bisogno che ti è stato proposto. Non ne avevi bisogno, poi te lo hanno proposto ed hai pensato: cacchio, ne ho proprio bisogno! Lo voglio! Come i telefoni zeppi di optional che poi alla fine non usi. Non ne avevi bisogno, ma poi lo hai comprato lo stesso perchè era troppo bello. E adesso con FB i vostri dati sono tutti lì, non più sparpagliati nella marea di internet, ma belli incasellati e pronti per la consultazione. Contenti voi.        

Io di amici ne ho al massimo, ma proprio volendo stare larghi, una quindicina.           
Con FB invece si raggiungono le centinaia, se ci si lascia andare a considerare “amici” anche vecchie conoscenze, colleghi e il fratello della fidanzata della zia morta vent’anni fa in Lussemburgo. Una cosa bella di FB è che pure non essendo iscritto, posso vedere chi sono gli amici delle persone che conosco. Ed io so benissimo che alcuni fra quelli che vedo non sono nemmeno lontani conoscenti. Alcuni proprio si odiano. Il numero di “amici”, poi,  è una delle prime informazioni che ti danno, e sta sempre lì in evidenza.. Tizio ha tanti amici, mentre Caio qualcuno di meno, ma promette bene. Nasce il sospetto che per il Facebokkiano diventi una gara ad accumularne sempre di più. Nella mia vita normale non mi sono mai posto il problema di pensare quanti amici ho – tranne in questo momento – o quante persone conosco. È irrilevante. È qualcosa che fa parte dei telefilm americani, dove si parla della ragazza pon pon “popolare” confrontata con la “sfigata” che sta sempre nell’angolo che ha solo due altre amiche sfigate come lei.       

Ma che fine hai fatto? E come stai? E dove stai? Ma pensa te.      
E poi niente più. Voglio dire, puoi pure ritrovare il vecchio amico che non sentivi da dieci anni – questo lo concedo, può succedere, che bello – ma quanti degli amici ritrovati ti eri impegnato a cercare? Chi cerca trova: tu hai cercato? Li hai aggiunti ai tuoi amici perchè FB ti ha fatto nascere il bisogno di «cercare amici perduti» o davvero ci avevi provato in passato, di ristabilire un contatto con loro, e non ci eri riuscito? E quando li hai trovati, hai poi ristabilito un rapporto con loro oppure ci scambi frasi smozzicate in chat? Li hai poi chiamati al telefono, questi amici ritrovati? E adesso vi sentite come prima o è stata solo una carrambata di una sera? E se è stato solo un momento – ma magari No – però adesso questi mezzi sconosciuti verranno a spulciare ogni giorno nelle tue cose, e allora quello che scriverai, le fotografie che metterai, saranno influenzate da questo sbirciare, che per alcuni è anche compulsivo.             

Affezionato a certi ricordi, non mi va di barattarli con nulla.     
Ho pochi amici, alcuni li raggiungo con la voce via internet, mentre alcune persone – che ci sono cresciuto insieme – non le vedo quasi mai. Ci rivediamo una volta all’anno, oppure meno, e ogni volta, quando succede di reincontrarsi sono sinceramente felice di avvicinarmi a loro, di incrociare il loro lo sguardo, della pacca sulla spalla che ricevo, di quella che do,  dell’odore che riconosco e che riporta immagini agli occhi, della mezza ruga che scopro sulla faccia, e di tutto quello che è stato e che ho cristallizzato da qualche parte nella testa. Mi piace il reincontrarsi, mi ricorda la trama di Due di Due, mi pare giusto che le cose vadano così, e se proprio non è giusto – se anche potrebbe andare diversamente – mi piace che nella mia vita vada proprio così, che ci siano questi momenti. Mi piace ascoltare il racconto dei cambiamenti, riconoscere le espressioni facciali mutate nel tempo ma che in un certo senso sono sempre quelle. Mi piace poi dirsi Ciao che tanto prima o poi ci si rivede, e invece già lo sai che passeranno mesi ma anche anni, però comunque la prossima volta sarà bello uguale. Magari si può cancellare tutto questo tenendosi in contatto continuo (con relativo aggiornamento fotografico) e nessuno garantisce che sia sbagliato – fatelo pure, voi Facebookkiani – ma io ste cose voglio tenermele così come sono, e voglio sapere che negli anni potrà essere ancora così.              

Il tempo che porta via.           
Ore e ore. Va bene, tu invece lo sbirci solo una volta al mese. Però si dice in giro che FB porti via molto tempo, e che scateni un atteggiamento compulsivo trascinando verso la dipendenza. Se ho tempo, scrivo. O corro, o leggo. O studio. Soprattutto leggo. Mi manca solo diventare dipendente di un giochino succhia tempo.      

Siamo soli.            
Questo è un concetto filosofico: noi siamo soli, e saperlo fa un po’ male. È una cosapevolezza che si cerca di tappare con le pezze che si hanno a disposizione. La socialità compulsiva, le amicizie morbose – una volta era ciondolare al bar – adesso i messaggini, il social networking, il chatta chatta. Per alcuni queste sono solo delle pezze. Sono solo un rimandare il momento della consapevolezza, oppure per lenire il dolore di questa consapevolezza. Sono molte meno ore da soli con noi stessi, le ore che non va di sopportare. Gli amichetti virtuali, il plin plin dei messaggi che arrivano in chat, tutto questo aggrapparsi ostinatamente agli altri, sono analgesici che funzionano finchè ci credi. Io cosa posso farci, non ci credo. Non ci riesco. Cosa posso farci.           

+961% solo nel 2008, ma si sgonfierà.          
Però intanto siete stati i cerini di questa fiammata. E siete pronti per fare i cerini della prossima che prima o poi arriverà.  

e mica finisce qui, eh

«L’eccezione di un ambito chiuso dentro Internet che viene preferito a Internet, nei miei pensieri e’ destinato a essere superato domani. O cosi’ almeno intimamente spero. Ma non ditelo in giro.»


Questo quello che dice Mantellini su Facebook. Quanto a me, la mia battaglia inutile e solitaria non è certo finita. È solo che devo trovare cinque minuti per argomentare le mie considerazioni in modo circostanziato, anche se lasciarmi andare a sproloqui infondati e vaneggianti è comunque molto molto alta.

è proprio il concetto alla base, che è sbagliato

E poi, pensavo: non è che «non si può permettere che le stacchino il sondino che la alimenta altrimenti è come fosse un’eutanasia», non si dovrebbe proprio rispondere «No No, questa non è eutanasia perchè bla bla bla» e nemmeno dire che «se cominciamo ad accettare queste cose, se stacchiamo il sondino, finiremo per accettare anche l’eutanasia», ma invece, invece porca miseria, non dovrebbero staccare proprio un bel niente, ma soltanto chiedere e praticare una netta, chiara, pacifica, necessaria, eutanasia.

con il mio ultimo trasloco

Con il mio ultimo trasloco mi riposiziono nella stessa casa dove già ho vissuto per sei mesi durante quest’anno, anche se non nella stessa camera. Ora vivo in una camera da femmine. No, non da ragazze, proprio da femmine. Sulla porta c’è un poster che raffigura i gli addominali a tartaruga di un modello muscoloso, mentre il modello muscoloso si guarda l’inguine e se lo copre con un pugno e un frammento di asciugamano. Ho anche il DVD del Titanic a disposizione, se mai volessi vederlo. Se mai.

Il vicino di camera lancia bombe con il suo videogioco fino a notte, tranne oggi. Apro la porta del corridoio e me lo trovo davanti, sorridente, mi dice che va a prendere un po’ di chinese food da qualche parte.   

Il gay biondo, quello che si credeva non fosse gay ma che invece lo era, è tornato dal suo periodo di studio all’estero con i capelli leggermente più lunghi e un grande acquario per pesci rossi.    

Fino a qualche giorno fa nel corridoio c’era la cornice di un quadro con al centro un paio di mutandine femminili inchiodate. M’è sembrata un’opera d’arte – pensa che scemo – quando invece erano le mutandine di quella che vive al piano di sopra e mette le sue cose ad asciugare appese sulle scale, con il risultato che poi, per due giorni a settimana, qui piovono mutande.

vita virtuale

Io perlomeno posso assicurarvi che, rispetto al pomodoro di cui sopra, sono molto ma molto più bello.

second life(qui la storia)

Poi se lasciamo perdere Second Life e consideriamo Facebook, volete dirmi che i Facebookkiani, nei loro profili Facebookkiani, non si fanno vedere più belli di come in realtà sono? Volete dirmi questo? Va bene, ditelo (ditemelo? dicetemelo?). Io farò finta di crederci.


adesso invece leggo

Adesso invece leggo "La Separazione del Maschio" di Francesco Piccolo, comprato nella libreria Bonardi, l’unica libreria italiana in Olanda. Bellissimo posto, in riva ad un canale appena fuori dal centro. Il rincaro di 5 euro a libro è improponibile, soprattutto considerando i 19 euri di spese di spedizione che invece mi chiede Bol.it per un numero illimitato di libri. Poi si deve aggiungere che io non vivo ad Amsterdam, e quindi almeno 15 altri euro di treno. Comunque, a bilanciare il tutto c’è l’idea di poter andare alle presentazioni di libri anche qui. Quindi – in futuro – dovrò per forza spendere qualcosa pescando fra quegli scaffali. Vedi che poi alla fine un motivo per diventare ricchi lo si trova sempre? 

Qualche anno fa, a qualcuno è venuta l’idea di spruzzare la polvere di cacao nel cappuccino. Come se il cappuccino così com’era non bastasse più. L’idea si è diffusa rapidamente. Dopo poco tempo, quando abbiamo ordinato un cappuccino, il barista ha cominciato a chiederci: un po’ di cacao?, con una specie di saliera obesa in mano, già in posizione, e bastava un cenno di assenso per veder ruotare l’angolazione di pochissimo e una spruzzata di cacao sarebbe piovuta sulla schiuma del nostro cappuccino. Io ho sempre risposto: no grazie. Mi piaceva il cappuccino così com’era (mi bastava, appunto). Ma siamo stati in pochi a dire di no, visto che questa storia della spruzzata di cacao è dilagata come un’epidemia vertiginosa.

Francesco Piccolo. <<La separazione del maschio>>

quindi alla fine

Quindi alla fine la BBC conferma che le molotov, nella scuola Diaz, le hanno infilate i poliziotti per avere una buona scusa per spaccare le teste a tutti. Va bene, già si sapeva, ma il punto non è questo.  

Il punto sono i commenti lasciati dai lettori subito dopo l’articolo. Divisi in fazioni opposte, si lanciano cacca a vicenda. Come tifosi di squadre di calcio. I martiri sono i CarliGiuliani, i martiri sono invece i Poliziotti.           

Io lo scriverò fino a quando sarà possibile, sperando che serva a qualcosa: sono le fazioni, sono il bianco o il nero, sono le fedi assolute, i Padri Pii come le ideologie, sono gli studenti che si picchiano in piazza fra di loro, che non faranno mai cambiare le cose.

lucidissimo

Un anno di Olanda. Comunque vadano le cose in futuro, qui ci siamo fatti un anno di Olanda. Non ho moltissimi anni, e quindi un anno è tanto.        

Non disfo le valigie da un anno. Ho fatto quattro traslochi in un anno. Ormai trasloco così spesso che non ne parlo nemmeno sul blogghe. Mi porto appresso sempre un paio di mutande che non si sa mai. Le mutande, l’ombrello, un cavo Usb e chiavi di case diverse. Non uso piú il telefono cellulare. Arrivati a fine 2008, il cellulare lo dimentico a casa per giorni consecutivi.           

Nella mia nuova camera ho un telecomando per la televisione con l’adesivo di Leonardo di Caprio. Non guardo la televisione. Una settimana che ho cambiato casa, e ancora non ho acceso la televisione. Non guardo la tv. Non messaggio (dal verbo messaggiare) col telefono, non faccio uso di Facebook e in genere mi astengo dal chatta chatta dei tempi moderni. Non è una costrizione, il tempo mi passa così e forse il punto è che non sono figlio di questo tempo.       

Poi come ho detto, ognuno fa quello che vuole. Il mio coinquilino è quasi mio coetaneo, e trascorre le giornate a lanciare bombe in un videogioco di guerra. Fino a tarda notte. Se ad un figlio del nostro tempo ci togli i videogiochi, e Facebook, e il chatta chatta, e il telefono cellulare, e la televisione, nessuno può dirti che il risultato sia un figlio del nostro tempo migliore, forse piú stupido perchè si astiene da tutto sto divertissement che c’è in giro, e quindi resta lucidissimo. Pi vedi le cose del tuo Paese da lontano, le vedi meglio, le capisci meglio. Unisci i puntini e ti compare la figura.      

Ecco cosa sono dopo questo anno, sono lucidissimo.

io non ce la faccio

Io non ce la faccio. Io non ce l’ho il Facebook, va bene? Non ce l’ho e sono pure anni che cavalco sta cosa del blogghe, quindi internet diciamo che un po’ lo conosco. Ci sguazzo, dentro internet, da un po’. E quindi non sono uno che non sa di cosa parlo.     

Internet, io so di cosa parlo se mi metto a parlare di internet. Ma Facebook non ce l’ho. E non è che tutti sti Facebookkiani per me sono dei pazzi. Facebookkiani, vi rispetto. Accetto la vostra esistenza, fate quello che volete (a proposito, cosa fate con sto bendetto Facebook?) ma perfavore lasciatemi in pace quando vi rispondo che io Facebook non ce l’ho. Non ce l’ho. Provo a darmi una ragione per averlo, e non la trovo. La storia dei compagni di classe perduti per strada non regge. Per me è cosa buona e giusta che siano perduti per strada. Provo a focalizzare l’immagine di qualcuno di loro, invecchiata di quindici anni e penso: meno male, che esiste la strada, e che ci si può perdere, lungo la strada.     

Dopodichè, i contenuti. Io non lo so, ma alla fine internet è sempre quella cosa dove migliaia di blogghe nascono e muoiono e nel frattempo tra nascere e morire ci trovi solo canzoni copiate e incollate, o citazioni, o fotografie copiate e incollate o altre cose copiate e incollate. Oppure le mail a catena, dove uno si mette a costruire un power point simpatico (punto interrogativo) e poi centinaia e migliaia si inoltrano la mail piena di Fwd Fwd Fwd. Ora, già lo sappiamo che internet è uno strumento potente, così potente che dato in mano a gente poco potente, finisce inevitabilmente per essere povero di contenuti. Detto questo (si può negare?) la nascita di Facebook come fenomeno a propagazione mooolto più ampia dei blog, era largamente prevedibile.        

Io per esempio fra le chiavi di ricerca di sto blogghe, ci trovo da mesi sempre qualcuno che cerca su Google “cose carine da mettere sui blog”. Ogni mese. Ogni mese. Voglio dire, se c’è tanto bisogno di contenuti per riempire uno strumento potente, ecco che ti arriva Facebook, dove ci metti la faccia, non c’è bisogno di altro, e hai finito. Io esisto. Non so bene cosa dire, ma esisto. Eccomi qua.   

Poi alla scuola media, per esempio, c’erano quelli che sul diario copiavano compulsivamente le frasi di Jim Morrison. Io il nome Jim Morrison l’ho scoperto così, a undici anni. Oppure scrivevano (brivido lungo la schiena mentre ci ripenso) cose del tipo «come la barca lascia la scia/io ti lascio la firma mia». Solo io ce lo vedo la connessione fra tutte ste cose? Forse sì. Pazienza.        

Per sta cosa di Jim Morrison copiato compulsivamente, comunque, io poi Jim Morrison non l’ho mai potuto sopportare.

l'angolo del campanilismo

Questo blog supporta il nuovo gruppo salentino arrivato alla celebrità, che si fa chiamare Il Genio. Dopo averli visti in faccia, e dopo aver saputo che pure loro sono salentini (quale altra subregione produce cotanti musicisti?) mi sono ricordato di averli ascoltati una sera in un buco a Lecce. Era tardi, passai un’ora al telefono fra i muri bianchi di tufo antico del centro storico, e poi finimmo la sera bevendo vino nei bicchieri di plastica. Questo è il pezzo che dicono vada in radio sti tempi, gli altri meritano forse di più.

Molto interessante da un punto di vista sociologico, la loro intervista a Mtv. Vuoi sapere la differenza fra il luccichìo milanese e la scazzatura salentina di cui già avevo parlato? E allora guardati l’intervista e nota la differenza fra il presentatore e il tipo che dovrebbe rispondere alle domande.

mi hai dato un gatto bianco con te non gioco più

Allora, è inutile che insistete, non è nero. Volete dire che è nero? Dite che è nero.

Ma tanto non è nero. Se quello è nero, allora io certe estati sono Puff Daddy. Dice: il primo presidente degli stati uniti di colore. Di che colore? Nero? Ma proprio per niente. Se vogliamo dire che è nero, allora dobbiamo anche dire che è bianco. Perchè è mezzo nero e mezzo bianco. Se oggi dici che è nero, se mi fai il titolo di giornale dicendo che è nero, allora il giorno dopo voglio il titolo di giornale che mi dice che è bianco. Dice: eppure pensavamo che il mondo non fosse preparato ad un presidente degli stati uniti nero. E infatti, non è preparato. Infatti non è nero. Se dico che è nero devo dire anche che è bianco. Per esempio, per essere coerente: quante volte ho detto nero in sto pezzo? Devo dire anche «bianco» un certo numero di volte, sennò sono fazioso. E dunque: bianco bianco bianco bianco bianco bianco. 

Credo che basti.

 

ai tempi del liceo

No, appunto dicevo, ai tempi del liceo feci una sola occupazione da vero partecipante. Avevo quattordici anni, e cosa vuoi dire ad uno che ha quattordici anni? Niente. Se intravedi la possibilitá di farti una notte di guardia davanti alla scuola, lo fai. Ma hai solo quattordici anni, c’è poco altro da aggiungere.  

Le ragazze del quinto anno ti portavano il caffè ed i cornetti alle sei di mattina, per “sostenere i valorosi guardiani notturni della scuola”. Bello.    

Poi a quindici anni giá mi accorsi di come stavano le cose e poco prima delle occupazioni prendevo il microfono in palestra per dire davanti a tutti: ecco insomma, se proprio vogliamo trovare una scusa per non venire a scuola, almeno cerchiamo di informarci un minimo, no? Invece i miei compagni non volevano venire a scuola e basta, i giornali non li leggevano e non potevano dire ai genitori: io oggi non ho voglia di andare a scuola. Io invece potevo, e allora montare tutto quel casino solo per saltare dieci giorni di scuola, mi pareva esagerato. Mi volevano morto.    

E si andava avanti così, negli anni “protestarono” per tutto: per le guerre, per le finanziarie, per le riforme, per il governo, per le bonifiche, per non cosa altro. Io lo so che un liceale è un cazzone, e che bisognerebbe lasciargli una certa libertá di essere cazzone, ma a me tutta sta farsa solo per farsi il giro in vespa al sole pareva un modo triste di svendere le idee. Del tipo: a quanto la vendi la tua idea sul mondo, sulla politica? Per me era come se ti stessero rispondendo: al prezzo di un giro in vespa. Tu dammi un giro in vespa di mattina ed io sono contro o a favore di tutto quello che vuoi. Poi dicono il voto di scambio. Poi dicono il clientelismo. Ste cose nascono quando non c’hai nemmeno un pelo di barba sulla faccia.     

Oppure era come se ti dicessero: non abbiamo nessuna idea. Qualsiasi prezzo è buono.      

E allora io il giorno della manifestazione contro il bombardamento in Jugoslavia, entravo a scuola da solo. Gli altri facevano due ore di corteo, oppure nessun corteo – spessissimo nessun corteo – e poi giro in vespa verso mare. Oppure a casa a dormire. Il punto era che la guerra in Jugoslavia mi dava fstidio per davvero, non mi andava di scambiarla con il giro in vespa a mare (che potevo fare quando volevo). E ci tenevo a dare una testimonianza – a me stesso – che a modo mio stavo celebrando la schifezza. Il prezzo da pagare era disegnare cerchietti con la matita sullo smalto verde del banco per cinque ore. Lo facevo. Se fossi stato al mini corteo pre-giro in Vespa al mare, nessuno avrebbe parlato della guerra in Jugoslavia, o della finanziaria, o di quello che era.       

Allora quando dicono che ci sono i licei occupati, i cortei di studenti delle superiori, sti numeri vanno presi con le pinze. Lì in mezzo ci sono pure quelli che ci credono, ma la massa non sará mai credibile. Un liceale farebbe di tutto per saltare un giorno di scuola. Un giorno di scuola saltato è una benedizione del cielo. C’ è gente che ha allagato la scuola per saltare un giorno di scuola. Saltare la scuola è bello, ti cambia l’umore, ti rinvigorisce. Non è certo una dimostrazione di impegno.


E’ come se dicessi che la guerra in Iraq mi fa così schifo, ma così schifo, mi fa così che guarda, addirittura adesso vi lascio tutti qui e mi vado a mangiare una pizza.