Giovani donne indossano cappotti Desigual, forse acquistati quel giorno che si sentivano più sbarazzine del solito, poi però escono di casa con la faccia triste ma indossando il cappottino colorato, che con la faccia triste, con il traffico e la mattina nuvolosa, non c’entra niente.

Come già scritto in passato e’ impensabile che la Chiesa accetti preti non celibi, e ancora più impensabile che accetti preti non celibi ed omosessuali. Il motivo non e’ l’arretratezza dell’istituzione Chiesa, quanto invece una banale strategia di sopravvivenza.

(Ri) spieghiamoci.

In determinate società dichiararsi omosessuali, oppure accettarsi come tali, e’ complicato. Le posizioni della Chiesa peggiorano questa situazione.  In queste società, tra quelli che non riescono a dichiararsi, alcuni decidono di vivere la loro vita clandestinamente, altri vengono attratti dalla vita religiosa. Molto semplicemente, mentre al di fuori della Chiesa cattolica ci si aspetta che l’individuo abbia una vita di relazione, e magari una famiglia, all’interno della Chiesa queste pressioni non esistono grazie alla regola (medievale) del celibato dei preti. Il celibato dei preti e’ l’alibi perfetto di coloro i quali vogliono scappare dalle richieste della società, e’ il modo più socialmente accettabile per astenersi da una vita sessuale e sentimentale mainstream.

E infatti i seminari sono infarciti di gay, o almeno se ne trovano in una percentuale nettamente più alta della popolazione totale. Chiunque abbia parlato sinceramente con un seminarista avrà sentito questo, e anche storie che niente hanno a che fare con la castità. Se da adulti si e’ vissuti in una società dove gli omosessuali non hanno bisogno di nascondersi, si sara’ sviluppato un minimo di “occhio clinico” per riconoscerli, e cosi’ il pensiero tornerà a quel prete di provincia della nostra infanzia che oggi, con la consapevolezza acquisita, non possiamo non credere non fosse gay.

L’alibi del celibato e’ uno stimolo potente per le vocazioni. Aiuta a nascondersi, e aiuta a “lottare” contro la propria natura, anche se poi la battaglia e’ sempre persa. Lo stesso teologo Charamsa ha dichiarato che all’inizio, non accettandosi, si erasottomesso con pignoleria zelante all’insegnamento della Chiesa e al vissuto che mi imponeva“. Sono storie di repressione che una volta esplose, di solito fanno molto rumore: basta cercare e si trovano esempi anche nelle settimane recenti.

Quindi, se l’alibi del celibato e’ uno stimolo potente per le vocazioni, può la Chiesa in un periodo di crisi di vocazione, abbandonare questo strumento?