il fatto è che dobbiamo trovare l'idea geniale

Il fatto è che dobbiamo trovare l’idea geniale, l’Idea con la I maiuscola – stavo spiegando ieri sera con in mano il bicchiere di plastica bianco pieno di coca cola – l’Idea che una volta che ci è venuta in mente, diventiamo subito imprenditori di noi stessi, usciamo dal tunnel della disoccupazione e naturalmente facciamo soldi a palate. Poi, dopo un certo numero di palate di soldi, diventiamo pure famosi, e i giornali vorranno intervistarci per capire come cavolo abbiamo fatto, come cavolo ci è venuta questa fantastica Idea imprenditoriale, che fino ad ora non ci aveva pensato nessuno, e noi fantastici imprenditori di noi stessi risponderemo alle domande del giornalista con frasi brevi e svogliate, sprofondati in un divano di pelle, indossando un accappatoio bianco e coi piedi scalzi che più bohémien di così non si può.

Solo, bisogna trovare l’idea.

Cioè, volevo dire, l’Idea, con la I maiuscola. 

Fino ad ora mi sono venute solo un paio di idee con la i minuscola, e ieri sera le stavo illustrando agli amici, mentre ero col bicchiere di plastica in mano a bere sta coca cola tiepida che a voler essere precisi non era proprio coca cola ma bensì una “Cola Cola” comunque apprezzabile nel suo essere solo una pallida imitazione della bevanda più famosa.   


Le mie idee scaturiscono dal fatto che bisogna prima considerare quali sono le necessità reali della società moderna, e quindi offrire un servizio di conseguenza. E le necessità reali della società moderna sono, secondo me, numero Uno: il bisogno di illusioni, numero Due: combattere la solitudine. Io mi offrirei come venditore di illusioni per posta. Del tipo, troviamo un oggetto insignificante e pubblicizziamolo come fosse pieno zeppo di poteri benefici. La pubblicità è l’anima del commercio, nevvero? E allora animiamo. Soltanto, l’oggetto deve valere nulla, deve valere pochissimo, e noi dobbiamo rivenderlo a tantissimi euri. Tipo i tappi di sughero dello spumante che curano l’impotenza. O gli accendini scarichi che “accendono” l’ottimismo. Le candele profumate contro le emorroidi. I cocomeri Zen. I noccioli della pesca ripieni di spirito sovrannaturale. Questa dei noccioli di pesca spirituali, in verità, è un’idea scaturita da una mattinata trascorsa in barca con mio fratello l’estate scorsa, un giorno che forse ci siamo beccati l’insolazione tutti e due.   


Per quanto riguarda la solitudine, invece, avevo pensato di propormi come Ascoltatore di Problemi delle Vecchie Bacucche Ricchissime. Cioè, presentarmi a casa della Vecchia Bacucca Ricchissima che mi ha assoldato, e cominciare a parlare seguendo un canovaccio prestabilito di complimenti alla Vecchia Bacucca, ascoltare tutte le lamentele possibili e coccolare e vezzeggiare la Vecchia Bacucca per una serata intera. Qualcuno mi ha detto che in realtà voglio fare il gigolò, ma non è vero. Qui si tratterebbe di intrattenere, raccontare storie, fare due carezze, annuire senza sosta, mettere l’acqua ai gerani, fare i complimenti per le tende del salotto. Cose del genere, alle Vecchie Bacucche Ricchissime che se ne stanno in casa impellicciate e non sanno cosa fare e continuano a fare aereoplanini con i biglietti da cinquanta.   

Mbah, non lo so.   

Forse è migliore l’idea dei noccioli di pesca spirituali.   

Non lo so.

incontri ravvicinati di un certo tipo

Ho appena avvistato un essere umano di sesso femminile – giù in strada – di giovane età, e in buono stato di salute, vestita con una cannottierina dalle bretelline sottili e la gonnellina leggera a fiori; sorridente, con un paio di occhiali scuri e la borsetta ricamata tutta colorata.

Lì dove il braccio si unisce al tronco, in quel luogo angusto e riparato denominato “ascella” ho visto sbucare – con mio enorme sgomento – due ciuffoni di pelo nero e folto, due cespugli per lato, due cespuglioni che non ti aspetti su di una ragazza giovane che incontri per strada, due batuffoloni comunque non ti aspetteresti, un ciuffone anteriore ed uno posteriore per ciascun lato, per un numero totale di quattro ciuffoni pelosi e neri.

Sì, lo so, è la natura.

Sì, lo so, è tutto facente parte del corpo umano, come può esserlo un naso, un dito mignolo, la pipì, la popò, oppure che ne so, lo “sporco in mezzo alle dita dei piedi” (citaz.).

E’ la natura, mi sono detto.

Però, la natura certe volte, ho pensato, che brividi che offre.

notizie che le leggo e poi mi prudono le dita #2

(post a contenuto socio politico che se proprio c’hai voglia lo leggi, sennò fai senza che è meglio)

Facetemi capire, se i ghei organizzano il ghei pride e vogliono sfilare a Roma, e se nel ghei pride si radunano centinaia di trans con le tette al vento che si leccano in ogni dove, se poi fanno sfilare dei puttanoni di due metri travestiti da suore o che simulano l’amplesso sessuale, se tanti ghei (non uno o due, tanti) decidono di travestirsi da Papa, magari col culo di fuori e col frustino in mano, se i ghei in questa manifestazione che si chiama ghei pride, quindi orgoglio dei ghei (e non “tette-di-fuori pride” oppure “culi-al-vento pride” e neanche “drag queen pride” e neanche “affanculo-al-Papa pride”) se questi urlano cori blasfemi contro la Chiesa, e mimano volgarità e si strusciano contro i pali della luce, se i ghei fanno tutto questo nelle strade di Roma a ritmo di techno, tutto questo va bene? Tutto questo si può accettare?

Io penso che si può benissimo accettare, anche se ciò è molto volgare e offensivo nei confronti dei credenti. Io dico che dobbiamo accettarlo perché vogliamo la libertà di espressione, e la libertà di espressione deve valere per tutti.

Ora, se un gruppo di estrema destra decide di affiggere manifesti con la scritta “Basta Froci” in risposta al ghei pride, ecco che subito tutti quelli che prima erano liberali e progressisti, tutti quelli che erano d’accordo a fare sfilare i ghei con le mammelle di plastica al vento, dicono che così non si fa, che queste cose non si scrivono nei manifesti, che tutto ciò è offensivo, che andrebbe censurato.

Il ghei travestito da prete che ciuccia un cetriolo infilato in un preservativo nel pieno centro di Roma sbraitando contro il Vaticano sta usando un linguaggio eccessivo e offensivo. Il fascista che scrive “Froci” sul manifesto sta usando un linguaggio altrettanto eccessivo e offensivo. Da parte mia, non andrei a bere un caffè né col ghei che si ciuccia il cetriolo, né col fascista che scrive “Froci”, perché con entrambi non avrei nulla in comune, che gli estremismi non mi piacciono. Però, mentre il ghei può continuare a lanciare offese contro il Papa, il fascista se dice “Froci” sta sbagliando, è solo uno sporco fascista, che deve essere azzittito e magari messo in galera (che dare del "frocio" è reato, pare). Il messaggio, in poche parole è “Censura”.

E poi ancora, veniamo a Bologna.

A Bologna vogliono aprire una moschea, i fascisti non vogliono e chiedono di fare una manifestazione di protesta contro la moschea. Il Sindaco dice Va Bene, fate la manifestazione, fate. Lo stesso giorno viene organizzata una grande manifestazione “di sinistra” contro quei fascisti razzisti che non vogliono la moschea, e pure contro quel Sindaco bastardo fascista che ha permesso ai fascisti di manifestare il loro dissenso. Il messaggio è, ancora una volta, “Censura”.

E ancora, Bologna.

In tutto sto urlare CensuraCensura alternativo e progressista, un gruppo di artisti bolognesi (si dice anch’essi ghei)  decide di fare una mostra e di intitolarla con il titolo evitabilissimo di “La Madonna piange Sperma”. La Curia di indigna, il Sindaco si incazza, il Ministro toglie il patrocinio. Si chiede ovviamente di cambiare il titolo, eccessivamente offensivo nei confronti dei credenti. Segue un grande coro di protesta contro quella che viene definito “un atto di prevaricazione e di censura e di oscurantismo”. In tutto sto casino, il gruppo di artisti si difende affermando sul sito che loro “non avevano alcuna intenzione di offendere o turbare la sensibilità dei cattolici”. Sì certo, come No. Il logo di questo gruppo di artisti è un uomo col crocifisso in mano e un pene affettato col tagliere.

Io, che non sono per niente cattolico, ma proprio per niente, e che mi sono sempre sentito in un certo senso “di sinistra” (in un modo tutto personale) non mai pensato che un giorno mi sarei trovato a difendere i preti e i fascisti e a non trovarmi d’accordo con la comunità omossessuale.

Io che i preti non mi stanno simpatici per niente, e i fascisti non ne parliamo neanche.

Io che davvero ci credo alla libertà di espressione, mi viene da pensare che c’è tanta gente che la libertà di espressione se la mette in bocca come fosse una gomma da masticare per poi sputarla via velocemente quando serve.

tutto intero dentro un frullato di banane

Come se avessi inzuppato il mio cervello tutto intero dentro un frullato di banane, ho una confusione nella capoccia che non va proprio bene, averci cotanta confusione nella capoccia.

E un caldo,
e una confusione,
e un caldo,
e uno sconforto,
e una confusione,
e il dito indice che mi fa male,
e un caldo,
e uno sconforto,
che non va bene averci tutte queste cose,
non va proprio bene, no no no.

Le strade sono piene di automobili con l’adesivo Sardinia Ferries incollato sul vetro. Va bene, l’adesivo te lo incollano quando ti imbarchi per la Sardegna, ma poi? Perché non lo staccano? Per essere bello non è bello. Per essere chic non è chic. Allora perché lo si lascia incollato, sto benedetto adesivo Sardinia Ferries? Fa fico averci l’adesivo Sardinia Ferries incollato sulla macchina? No, fate mi capire, fa fico? Troppo caldo per pensarci.

Troppo caldo,
e troppa confusione,
e il dito indice che mi fa male,
e un caldo.

La mattina mi sveglio presto e corro in clinica. Nessuno me lo chiede, di svegliarmi presto, eppure lo faccio. Poi magari studio, traduco, leggo, ripasso nozioni, faccio ricerche. Nessuno me lo chiede, eppure lo faccio. Poi la sera cerco di non fare tardi che la mattina ho da svegliarmi presto, nessuno me lo chiede eppure lo faccio. La mia condizione attuale si racchiude tutta in un nessuno me lo chiede eppure lo faccio.  Tutte queste cose solo per non farmi crescere le ragnatele nei meandri del cervello, che già c’ho tutta sta confusione, e tutto sto caldo, ci mancano solo le ragnatele. No, no grazie, niente ragnatele, meglio dire, fare, baciare.

Cose, fiori, frutta. 

Una settimana fa, il capo italiano di una grossa multinazionale mi scrive una mail per avvertirmi che, vabbè, non proprio adesso, magari più avanti, ma se tutto va bene – chi lo sa – magari, forse, una cosa da fare per me la si trova, chissà, forse, bla bla bla. Il punto non è questo, comunque (anche perché con i “magari” e i “probabilmente” non mi cucino neanche la pasta). Il punto è che il capo mi scrive sta mail cominciando con le eleganti parole, tanto belle e tanto pompose: “Egregio Dottore”.

Faccio due passi coi piedi scalzi nel corridoio, con sto cazzo di caldo che mi fa sudare pure se mi metto a fare il morto steso sul pavimento di marmo, e penso all’EgregioDottore che poi in buona sostanza sarei io.  

Egregio. 

Sa molto di Collegio, di Formaggio, di Sfregio, di Sacrilegio.

Egregio.

Poi stamattina mi ero già dimenticato della storia dell’EgregioCollegioSacrilegioFormagio, e in clinica una cliente giovane bionda e panciuta mi vede – vestito col camice – mentre stavo camminando da un punto ad un altro della clinica per nascondere il fatto che non c’era niente da fare, e mi chiede, timorosa: Scusi Dottore dov’è il bagno?  

Scusi Dottore. Sarei io il Dottore? Sarei io. Le dico: Venga Venga, per di qua.  

Poi vabbè, egregio come sono ho pure sbagliato porta, ma il punto non è questo. Il punto è… qual’era il punto? Non me lo ricordo più. C’ho tanta confusione nella testa, tanto caldo, e il dito indice che mi fa male.

Oggi in clinica un gatto che stava dormendo si è tirato in piedi, ha fatto Miao, poi ha tossito due volte e quindi è morto di colpo. La padrona piangeva e io non potevo grattarmi vicino all’inguine dove le mutande mi stavano procurando prurito, che non stava bene, poteva sembrare irrispettoso. Poi la dottoressa splatter ha aperto il gatto per la necroscopia; dalla sezione del cuore è schizzato un fiotto di sangue che le ha imbrattato tutto il braccio e mezzo tavolo.

(quest’ultimo episodio è stato aggiunto solo per evitare che qualcuno scriva fra i commenti qualcosa del tipo “uuuuh, che bello che ripari le bue cattive ai miciomicio bau bau!”)

Ecco, poi cos’altro?

Niente, Miao.

oltre ogni limite

L’ho visto mezzora fa alla tivvù. 
Credevo di aver sognato, e invece No.
Adesso è un bel casino: non so più chi sia davvero il mio mito, non so più chi scegliere fra il carciofo Fabrizio Moro e lo Spider Man di Studio Aperto.

giornalista: SpiderMan, tutti ti cercano…
spider man: forse perché qualcuno, o tanti, lo devono cercare ancora dentro di loro.


Sono parole che pesano, queste.

il problema di sti tempi è

il problema di sti tempi è che non ho veramente un problema.
il problema di sti tempi è che ho tutta una serie di problemi, mica uno solo.
il problema è che sono tutti problemi da poco, presi uno per uno, ma tutti insieme, finisce che si coalizzano e fanno gruppo contro di me.

Allora, brevi aggiornamenti di cui ancora non ho parlato su ste pagine. (ma proprio brevi, che c’ho tutta una sterilità scrittoria che mi pervade, sti giorni, che non so)

Dunque.

Ho trascorso due settimane di disoccupazione full time, poi ho deciso di fare Basta.  Il primo passo è stato quello di rispondere a offerte di lavoro per piccoli lavoretti da pupazzo, di quei lavori dove non importa che non sai fare proprio nulla, l’importante è che sei almeno in grado di esistere. Mi sono presentato ad un colloquio per una società che si occupa di pupazzi da infilare presso stand delle fiere, concerti e partite negli stadi. Grazie a questo colloquio ho scoperto due cose fondamentali.

Cosa fondamentale numero uno: 
nell’ambiente lavorativo colui che è il “capo” è una persona normale, come me e come te che stai leggendo ste righe, con due gambe e due braccia, una testa e un paio di narici. Solo che il “capo” viene caratterizzato dall’impellenza di esprimersi con parole bellissime del tipo “Fondamentalmente” “Prettamente” “Logistico” “Operativo” “Fatturato” “Cliente” fino al raggiungere il climax con "Soddisfazione del Cliente" . Parole che vengono sparate a vanvera, fuori contesto, in gruppi di tre. Il capo pronuncia queste parole con un tale compiacimento che è evidente che lui – il capo – crede che forse tu non sia in grado di pronunciarle come sa fare lui. Quindi un buon consiglio a tutti quelli che si presentano ad un colloquio di lavoro: non pronunciate mai l’avverbio “Prettamente”, il capo che vi interroga potrebbe rimanerci male, potrebbe imbestialirsi e rispedirvi subito a casa. 

Cosa fondamentale numero due:
esistono per davvero quarantenni con il capello brizzolato che aspirano a lavori da pupazzo dove ti pagano cinque euro all’ora.

Poi.

Poi la mattina sono in clinica a convincermi che quel lavoro non è per me; il pomeriggio invece siedo dieci ore davanti al computer a mandare curriculum e compilare formulari e studiare cose che non-si-sa-mai-è-sempre-meglio-sapere. Delle mattinate in clinica e dei pomeriggi ne scriverò, se mi torna la voglia di farlo, adesso non ne ho voglia.

Prettamente, sono stufo.

notizie che le leggo e poi mi prudono le dita

parlamentari leghisti a montecitorio occupano i banchi del governo (contro regolamento) e sventolano tante prime pagine del raffinatissimo quotidiano La Padania che titola con un regale e molto consono “Fuori Dalle Balle” a caratteri cubitali (foto)

il capo della Protezione Civile Bertolaso viene aggredito in Campania, mentre si reca ad una riunione per decidere l’apertura di un sito di raccolta dei rifiuti. Durante l’aggressione animalesca n’goppa la macchina di Bertolaso (video) la polizia non interviene n’goppa la folla di pazzi, e neanche i carabinieri. La Campania è quella regione d’Italia dove gli piace avreci la mondezza n’goppa i bordi delle strade, e se uno poco poco prova a toglierla da lì e a metterla da qualche altra parte, esce sempre un pulcinella da qualche parte che ci resta male e si adopera per far sì che tutto resti com’è. Polizia e carabinieri compresi.

al vecchissimo ex-ufficiale nazista Priebke (93 anni) viene concesso di uscire di prigione per “motivi di lavoro”. Tutti si incazzano e si indignano. Il “motivo di lavoro” starebbe a significare – è abbastanza evidente – “vai a prendere una boccata d’aria prima di morire, caro Priebke”. Non conosco la religione ebraica, non so se la vendetta sia un tipico principio ebraico, ma mi chiedo: e i cattolici? Il sentimento di carità cristiana? La pietà? Non ci sono più cattolici in giro per le strade? Cosa faccio, mi metto a sventolare un preservativo fuori dalla finestra e aspetto che qualcuno mi morda la mano, per fare la prova?

Un bambino si incazza con la madre che lo vuole fare operare alle tonsille. Se mi fai operare – minaccia – non parlo più. Detto, fatto. Il bambino non parla per dieci anni. Poi cade dalla bicicletta e improvvisamente ritrova la parola. Quando da bambino mi volevano infilzare la siringa nelle natiche  perché ero un pochetto malato, prima protestavo e mi sgolavo, poi mi ripromettevo di tenere il muso con i miei genitori per un mese. Dopo mezzora però, e magari con un po’ di Nutella, avevo già dimenticato tutto.

quel grandissimo geniaccio di fabrizio moro

io lo sapevo che il carciofo Fabrizio Moro, il nuovo genio della musica italiana, era un grandissimo artista, che mica si ferma alle canzoni impegnate. Il carciofo Fabrizio Moro è una star completa, altroché. Questa è una sua perla del Sanremo 2000 che va assolutamente ascoltata.  Mi chiedevo: esiste un fan club di Fabrizio Moro? Io mi ci voglio iscrivere, ma proprio subito.


E’ tutto copiato, tutto. 
Fabrizio è il prototipo dell’artista-compilation: capello alla jonny deep, canzone alla vasco rossi, atteggiamenti scocciati alla grignani e stonatura alla omar pedrini. E il giubottino legato in vita che fa molto “sono arrivato cinque minuti fa non sapevo dove metterlo e non mi fido di lasciarlo in camerino metti caso che pippo baudo me lo rubba”. E il profilo macaco che allunga le labbra verso il microfono. Tutto ciò è bellissimo, sono estasiato dal livello di trash raggiunto da questo video. Bisogna ascoltarlo tutto, verso il minuto e cinquanta tocca l’apice quando canta “E la sveglia che suona alle sei, i sogni poi non li finisci mai”: è il migliore imitatore di Vasco mai sentito fino ad ora.

E’ certamente nata una stella.

"…e qualche sera ci guardiamo un film
e poi facciamo l’amore
che i fatti della vita
per superarli bene
bisogna stare insieme."

io ero quello che l’allaccio internet in casa non ce l’avevo

io ero quello che l’allaccio internet in casa non ce l’avevo.
io adesso sono quello che l’allaccio internet in casa ce l’ho. 
io adesso guardo il computer collegato e proprio non ci credo.

io adesso mi capita di passare vicino al computer collegato che c’ho le mani sporche di olio, o di cipolla, perché sto cucinando.

io adesso mi capita di chiudere finestre aperte di messenger con il mignolo pulito delle mie mani sporche di olio, o di cipolla, o sporche di quello che è.

io adesso mi capita di pensare che con un collegamento internet in casa, sono giunto finalmente nel futuro.

io adesso mi capita di pensare che forse sono nel futuro, però poi magari arriverà un futuro ancora più futuro, andando avanti così.

io adesso penso che arriverà un futuro più futuro ancora di questo, dove le finestre di messenger si potranno chiudere con il battito delle ciglia, o muovendo la lingua, o con la telepatia, o che ne so.

io penso che in questo futuro più futuro, non sarà importante se hai le mani sporche di olio, o di cipolla, o di pomodoro.

io penso che un giorno diremo ai nostri nipoti: Quando ero giovane io, se avevi le mani sporche di pomodoro, non potevi neanche chiudere le finestre di messenger, sapete?

io penso che racconterò ste cose ai nipoti con lo stesso tono di voce che i nonni usano per dirti: Quando ero giovane io, per andare al cesso dovevo attraversare tutto il giardino e il pollaio con un malloppo di foglie in mano, foglie molto larghe, preferibilmente.

io penso che i miei nipoti mi chiederanno: Nonno, cazzo è messenger? Che magari quel giorno messenger si chiamerà – che ne so – Giacomo.

ho visto yogurt scaduti molto meno acidi di te

Ma insomma Rafaeli, sempre a parlare del tuo ombelico? Ma basta Rafaeli, sù. Guardati attorno: c’è tutto un mondo che si muove, tendenze, attualità, cronaca, piripicchi e piripacchi. Parla un po’ di piripicchi e piripacchi, no? Sempre a fare cerchietti col compasso puntato sul tuo ombelico! E basta.

Angolo attualità.

Si parlava di telefilm, nel post precedente. A me non piacciono i telefilm, soprattutto i telefilm che hanno successo. Non mi piace l’idea di trascorrere il tempo a guardare i telefilm. Non mi piace pensare il “devo sbrigarmi, altrimenti perdo l’inizio del telefilm”. Oppure il “spegni la luce, che sta iniziando il telefilm”. Non mi piace. Non mi piace. Siccome non mi piace, qui dico che non mi piace.

(Di nuovo il tuo ombelico! Ma cazzarola, Rafaeli!)

Volevo dire: non mi piacciono i telefilm (non so cosa sia Desperate Housewives, Lost e tutte quelle serie ospedaliere che passano in tivvù, ma proprio non lo so, giuro che non lo so, non ho neanche l’idea della faccia di uno qualsiasi dei protagonisti) ma mi piace tanto osservare come questi telefilm vengono pubblicizzati in Italia. Se ne parla tanto, se ne scrive tanto, se ne dice tanto. Copertine dei giornali e pubblicità sulle fiancate degli autobus. Con il risultato che – pure se non te ne frega nulla – sei a conoscenza del nuovo telefilm in arrivo.

L’ultimo telefilm in arrivo (cioè, volevo dire, l’ultima situation comedy) in arrivo è Ugly Betty, che parla di una ragazza (Betty) che è brutta (Ugly) ma che lo stesso riesce a fare tante cose belle, ad avere successo ed essere simpatica. Il successo è assicurato, visto che il mondo è pieno di brutte che vorrebbero fare tante cose belle, avere successo, essere simpatiche. Il meccanismo di successo è quello ben collaudato dell’immedesimazione: la brutta si immedesima e tifa per la brutta, e gode dei suoi successi nella fiction, nello stesso modo con cui il cafone sfigato esulta col vocione ingrossato se la sua squadra del cuore vince lo scudetto. Cose già viste, insomma.

Però, posso dire una cosa? 

(dilla, Rafaeli, dilla! Ma per diamine, arriva al punto!)

Hanno arruolato un’attrice per il ruolo della brutta (mica tanto brutta, in realtà) e le hanno incollato un apparecchio vistoso ai denti, un vestitino orribile e le hanno pettinato e cotonato le sopracciglia. Hanno creato cioè una bruttezza cinematografica. Cioè, non una vera bruttezza, ma la caricatura della bruttezza, la sua versione attenuata, simpatica, accettabile. Il substrato, quello che c’è sotto, è in realtà una bella ragazza. Io dico, se Ugly deve essere, che sia davvero Ugly, che sia Ugly fino in fondo, e non una cosa così per ridere. Se il messaggio è “pure la cozza ce la fa” allora che si prenda una vera cozza da competizione, una cozza di tutto rispetto, una come certi parafanghi di mia conoscenza, come certe Barbapapà di mia conoscenza, una di quelle che ce le vorrei tanto vedere a recitare in un telefilm dal titolo Ugly Cozza, e vedere se riescono a strappare gli stessi strepitosi ascolti di una che in fondo è brutta per finta, una che è brutta ma simpatica, che è brutta ma fino ad un certo punto, che è brutta si-vabbè-ma-non-da’-fastidio.

Siccome mi sono spinto troppo oltre, copio e incollo la frase che in questi casi mette tutti d’accordo, e che sicuramente mi preserverà da qualsiasi critica:

L’importante è essere belli dentro.

acidità varie

Entro in una botteguccia pakistana a comprare una birretta molto low cost – in assoluto la più low cost del creato birraiolo – e il pakistano cassiere assieme al suo compare pakistano in quel momento sono impegnati a guardare un film bolliwoodiano da un pc portatile. Nello schermo si può vedere il duo Boldi – De Sica bolliwoodiani che lanciano battute in indù facendo scompisciare il pakistano cassiere e il suo compare, che sbattono le mani sul tavolo ridendo a crepapelle, così che io pago la birra low cost posando la moneta sul tavolo e il cassiere manco mi guarda – non mi caca proprio – continua a scompisciarsi per battute in indù del tipo “nggh mbbini ndellemmmhh!!!”.

“nggh mbbini ndellemmmhh!!!”.

Fa ridere?

“nggh mbbini ndellemmmhh!!!”.

Vabbè, non fa ridere.

Comunicazione di servizio.

Anche questo blog si unisce alla dura battaglia contro gli orrendi Crocs, abominevoli scarpette che se non fosse stato per tutta quella serie di telefilm ospedalieri, mai sarebbero arrivate ad essere vendute nei negozi come oggettini fashion. 

(spettatori fedeli di ER, Dottor House e cazzamenità di questo tipo, sentitevi in colpa per questo obbrobbrio!)

(qui alcune istruzioni per la guerra)

caro cassiere

caro cassiere del supermercato in via Marconi a Bologna con i capelli brizzolati e il ciuffo rialzato sulla sommità della capoccia, se tu mi chiedi “Vuoi una borsina?” quando io mi accosto alla cassa con le mie quattro cose da pagare, tu non è che puoi afferrare la busta di plastica leccandoti clamorosamente indice e pollice come se stessi sfogliando un giornale nella tranquillità di casa tua, partendo dal presupposto che se anche fossi chiuso nella tranquillità di casa tua e qualcuno tipo tua moglie o tua figlia ti vedesse, sarebbe in obbligo di informarti che è uno schifo sta cosa del leccarsi le dita in modo così sfacciato, che pure io qualche volta mi infilo le dita nel naso – ma quando non mi vede nessuno – e se la prossima volta te le lecchi di nuovo davanti a me, giuro che mi infilo le mozzarelle in tasca, la coca cola sotto l’ascella e vado via così senza salutare.