siccome questi sono giorni di nervi a fior di pelle

Il telefono mi avverte che mia madre ha provato a a chiamare alle 10 e qualcosa, orario nel quale dormivo con una profondità molto prossima al sonno eterno. Vedo che mia madre ha provato a mettersi in contatto con me di mattina (presto), e questa è cosa davvero insolita, e allora comincio a produrre ipotesi catastrofiche: lo Tsunami nel Salento, la peste bubbonica, Bin Laden nella vasca da bagno, Silvano che è morto.

Poi me ne dimentico, affogando la preoccupazione nei frollini al cioccolato.

Qualche ora dopo squilla il telefono nella tasca e lo tiro fuori. E’ la madre. Bisogna rispondere.

– Ma’ ! 
– Oh, Raffae’, ho provato a chiamarti anche stamattina!

(Bin Laden, la peste bubbonica, alberi sradicati, fogne intasate, rapinatori rumeni col coltello fra i denti, pezzi di cacca verdi che cadono dal cielo, incidenti stradali, Maurizio Costanzo che si autoinvita a cena, triplette di Tsunami…)

– Che è successo?
– Ti cercavo e non rispondevi!
– Si ho capito, ma che cazzo è successo?
– Volevo farti gli auguri!

O Madonna, gli auguri? E perchè, cosa ho fatto? Ho messo incinta qualcuna e non me lo ricordo? Sono stato promesso in sposo contro la mia volontà come succede agli indiani? Cosa è successo?

– Ma’, cazzo dici gli auguri?
– Massì, il tuo onomastico! Tu sei uno degli arcangeli, non te lo ricordi? Gabriele, Raffaele, Michele… Gli arcangeli! 
– Oggi?
– Certo, il 29 settembre!
– E vabbè, grazie, allora.

Io che gli arcangeli li conosco come fossero miei cuggini, io che il catechismo, lo sapete, me lo sono tatuato tutto sulle natiche per non scordarlo mai, vi mando dall’alto della mia santità una benedizione, che tanto per rimanere in tema, fa più o meno così:

——Seduto in quel caffè
——io non pensavo a te.
——Guardavo il mondo che
——girava intorno a me.

Tutti in coro, adesso diciamo Amen.

su di un muro in via s.felice

su di un muro in via S.felice,
mentre cammino sotto un portico e il preambolo della Serata Etilica fa già capire come si metteranno le cose,
e la birra che c’ho in mano fa la schiuma nello stomaco mentre cammino,
mentre c’ho la testa invasa da li stracazzi miei,
sul muro di cui dicevo,
scritta a pennarello nero,
leggo la frase,
che calza davvero a pennello,
e che dice:

 —   NON RIDONO PIU’ NEANCHE I SOFFICINI

posso dirlo?

# 1

Giovani cozze che vi incipriate la faccia il giorno dell’esame per addolcire il prof.
Siete solo dei mitili incipriati.
Pensare che quello che si vede il giorno dell’esame, è il meglio che vi riesce, è avvilente.
Almeno se non ci provate, lasciate a noialtri il beneficio del dubbio.
Uno pensa: mah, chissà, forse, se si curasse.
E invece così spazzate via ogni incertezza.
Siete delle vongole col rossetto sbavato.
E nient’altro.


# 2

I film di Fuori Orario che prima c’è Enrico Ghezzi che parla al telefono.

Quei film dove prima c’è Enrico Ghezzi che pare un ubriacone con la maglia della salute.
Quei film che le inquadrature durano mezzora.
Che inquadrano una vecchia in un campo che sta zitta per due minuti e poi dice qualcosa in croato.
Quei film che non mandano neanche la pubblicità, che tanto chi cazzo li guarda.
Posso dirlo?
Posso?
Ecco, fanno cagare.
Vi prego non mi rompete i coglioni col concetto di avanguardia.
Che fanno cagare e basta.


# 3

Il prossimo 3 ottobre c’è una cena blogger qui a Bologna.
Chi c’ha voglia di venire, che venga pure.
Mandate l’adesione all’ indirizzo qui a lato.
Facciamo finta che esista un enorme compasso.
E che la punta di ferro di sto compasso sia infilzata sulla torre di Bologna.
Si apre il compasso immenso fino a un centinaio di chilometri.
Poi lo si fa girare a creare un cerchio del diametro di duecento chilometri e rotti.
Chi sta dentro il cerchio è invitato.
E chi invece sta fuori?
Può venire lo stesso.

genialate mica da poco

Mi strappo con le dita qualche pelo dagli stinchi, giusto per passare il tempo.

Alla tivvù mandano un reality sciò ma non capisco qual’è, che ormai non li distinguo più. Non è snobismo il mio, è che davvero non ne capisco più un cazzo. E almeno così c’ho più tempo per strapparmi i peletti biondastri delle gambe. Accendo la tivvù e ci sono le riprese notturne di personaggi sconosciuti che danno le spalle alla telecamera. In sovrimpressione compare la scritta: Giovanni litiga con Federica a causa di Lorenzo.

Chi è Giovanni, chi è Federica, chi è Lorenzo, mi chiedo.

Vabbè.

Passo le notti con il portatile sulle ginocchia a comporre qualcosa di decente per il romanzino, e certe volte mi pare davvero di non potercela fare. Ogni volta si fanno le tre, e finisco le birre che mi servono a picchettare sul computer con maggiore scioltezza. La birra che passa in questi giorni, ve la raccomando, trentuno centesimi a lattina, il nome riportato sulla lattina è semplicemente “Birra”. Potrebbe fare schifo, e invece fa quasi schifo. Voglio dire, sono ancora vivo, ci sarà un perché.

La birra chiamata “Birra” è comunque una genialata. Come quelli che chiamano il proprio cane “Cane” e lo chiamano davvero così, senza altri nomi.  Ehi, Cane, vieni qua. Ehi Cane, come stai? Vedi un po’ dove si è infilato Cane, che non lo vedo da un po’.

Una genialata.

Certe volte, dicevo, mi pare di non potercela fare. Poi oggi accendo la tivvù, e scopro che Alessia Fabiani sta pubblicando la sua autobiografia scritta a quattro mani con Alberto Bevilacqua. Alessia Fabiani che Word continua a cambiarmela in Alessia Fagiani, e allora Alessia Fagiani sia. Non so se mi spiego, un’autobiografia. Quel poveraccio di Bevilacqua di cui una volta ho letto pure un libro, perché lo avevo trovato dimenticato in casa da chissà chi. Pare che Alberto Bevilacqua si sia trombato tutta la provincia di Parma, stando a quanto scritto in questo libro, se ricordo bene.

Comunque sia, se la celeberrima sciògirl Alessia Fagiani può scrivere un libro, allora ce la possiamo fare tutti. E quindi:

Cane? Ehi, Cane, vieni qua, mettiti a cuccia, su. Facciamo una passeggiata al parco, oppure ci mettiamo a scrivere un libro? Eh, che ne dici? Un bel saggio sulle palline da tennis insalivate, ti va?

soprammobili

Billigiò sta lavando le tazzine di caffè.
Il sottoscritto entra in cucina, poggia il culo sul divano e dice:

– Ascolta…
– Dimmi.
– Mi chiedevo, quella composizione di oggetti che ho trovato nella tua camera da letto…
– Quale?
– Quella sul mobile verde.
– Ah, si.
– Non credo abbia bisogno di interpretazioni psicoanalitiche, giusto?
– No infatti. Mi è venuta naturale.
– In fondo abbiamo tutti bisogno di credere in qualcosa, su sto mondo, no?
– Già.

Volendo fare i curiosi, ci sarebbe da guardare qua.

l'accademia della crusca bagnata

A volte mi faccio così schifo che se qualcuno si comporta in modo gentile con me, penso sempre che mi abbia scambiato per qualcun altro.

In radio passa musica talmente merdosa che forse il singolo di Paris Hilton alza la media. E dico sul serio.

Non sono più abituato a stare tra la gente, quando di gente attorno ce n’è tanta. Mi vengono nella testa delle domande assurde, e chi sta con me non riesce a rispondermi:

– Fammi un esempio di un animale solitario. Dai.
– A me lo chiedi? Se non lo sai tu.
– Il procione?
– Ma che ne so.
– La stella marina?
– Ma cosa ne so.

E poi ancora, mentre la gente attorno si fa più fitta e chiassosa e sorridente:

– Posto che filantropo significa più o meno "amico/cultore dell’umanità", quale sarebbe l’opposto di filantropo?
– Ma che ne so.
– Dai, non ti viene?
– Ma cosa ne so.
– Sforzati.
– Mi sforzo.
– Allora?
– Niente.

Poi più tardi le persone diventano calca e sudore condiviso. Sghignazzate in stereofonia. Pizzette riscaldate addentate con gli incisivi offerti al mondo mentre con la mano sotto il mento si sta attenti che qualche cappero non vada a finire per terra.

– Filatelico?
– Ma vaffanculo.
– Misogino?
– Ma vaffanculo.

Succede che sei uscito di casa mentre annunciavi a Billigiò che questa sera avresti bevuto solo acqua, o al limite succo d’arancia non modificato, e poi invece un litro e mezzo di birra lo accetti volentieri ( a proposito, grazie di tutto Ka’, troppo gentile) e allora diventi un po’ più filantropo. Dopo il litro e mezzo non è ancora ubriacatura – ahimè – ma la filantropia ti esce fuori più facile. Alle volte dopo il litro e mezzo mi capita anche di parlare tedesco fluentemente.

Per dire.

A volte mi faccio così schifo che se qualcuno si comporta in modo gentile con me, penso sempre che mi abbia scambiato per qualcun altro. A volte mi hanno scambiato davvero, per qualcun altro.

Era misantropo, l’opposto, ora mi viene. Ma adesso è mattina e non vale più.
Meglio procione, che fa un po’ più ermetico.

( no, stasera non mi va di uscire, andate voi)
( ma dai, non essere il solito procione!)

tratto da un comizio del rafeli alla folla:

Prendi due pappagalli, maschio e femmina, e costringili nella stessa gabbia per un casino di tempo.

Quelli magari il primo giorno si prendono a beccate sulla testa. Magari questa cosa dura un mese. Magari un anno. Dopo due anni, o forse prima, stai sicuro che quelli fanno la pace, si accoppiano e depongono le uova.

Prendi due cani, maschio e femmina e chiudili insieme. La femmina forse il primo giorno ringhia verso il maschio. Magari per due mesi, magari quattro. Prima o poi però la femmina andrà in calore, e quando questo succederà, non sarà importante qual è il cane maschio che c’è lì con lei, se c’ha il pedigree o se c’ha le zecche attaccate a grappoli sotto ai coglioni. Quando la femmina avrà il suo calore, si concederà al maschio, anzi lo provocherà sbattendogli il culo in faccia. Matematico.

Prendi due conigli. Quelli trombano subito, dopo trenta secondi.

Prendi gli esseri umani.

Gli esseri umani si sono evoluti, non sono come gli animali, dicono in giro. Questo è quello che si dice. Poi succede che mi guardo in giro, e mi metto ad osservare gli agglomerati di esseri umani che mi vivono attorno. Che si sono evoluti. Che non sono come i conigli.

E vedo che nell’ospedale il medico si tromba l’infermiera. Che il preside della scuola c’ha la storia con la bidella, mentre la bidella fa l’occhiolino pure al professore di educazione fisica. Il notaio mette incinta la sua segretaria tra lo stupore del paese. Il prete c’ha un paio di figli illegittimi con due tra le parrocchiane più assidue, di quelle che passano col cestino delle offerte. Il dottorando dell’università si tromba solo le studentesse, e le studentesse fanno a gara per il dottorando, mentre fuori dalla facoltà, al dottorando, non lo caca nessuna. Il gestore del minimarket assume le cassiere, se le cassiere ci stanno con lui, sennò vaffanculo. E le cassiere ci stanno eccome, e se ne vantano anche, della tresca col gestore. Nelle comitive di ragazzi quando due restano spaiati, mentre gli altri sono in coppia, prima o poi quei due spaiati si accoppiano fra loro. Tutti rinchiusi in piccoli recinti come fossero bovini da riproduzione costretti all’accoppiamento, si accoppiano fra di loro e ne sono pure contenti. Fra di loro, e affanculo gli estranei.

Affanculo gli sconosciuti, quelli che non fanno parte della congrega, del club, del branco.

L’uomo primitivo viveva in piccoli gruppi, all’età della pietra. Durante l’età della pietra non si poteva sottilizzare troppo, su chi trombare e chi No. Quelli c’erano, quelli soltanto, e te li dovevi far piacere. Poi magari succedeva che a qualcuno nel gruppo girassero le palle e se ne volesse andare. Mandava tutti a quel paese, e andava a cercare fortuna al di la’ delle montagne. Con la clava in spalla, partiva verso nuovi posti e nuove possibilità. Poi magari moriva da solo, al di la’ delle montagne, oppure fondava una nuova comunità. E’ stato così che l’uomo si è diffuso su tutto il pianeta. Grazie a quelli che, ad un certo momento, gli giravano le palle.

E che allargavano i loro orizzonti.

(…ed ecco che due uomini in camice bianco salgono sul palco dove il Rafeli tiene il suo comizio, lo afferrano ai lati e lo portano via, in una ambulanza con le sirene spiegate. Proteste inutili del deportato, l’ambulanza si fa largo con forza tra la folla. Il Rafeli indossa già una camicia che gli costringe le braccia dietro la schiena…)

questa casa di bologna che mi conosce così bene: ore 21 e 43.

Questa casa di Bologna che mi conosce così bene, è come una vecchia zia dalle tette impolverate.

Che mi osserva compassionevole mentre trascino i troppi pacchi che mi sono trascinato dietro dal paesello. Che mi guarda male, mentre lascio tutti questi pacchi buttati sul pavimento, al centro della stanza. Addirittura i meloni, mi sono portato dietro. I meloni gialli. E due chili di caffè. Mi scruta, mentre mi affloscio sul divano che non ho neanche chiuso la porta di casa, così che i rumori dalla tromba delle scale arrivano fino a qui.

Vecchia Zia: " Cos’è questa malinconia che ti vedo negli occhi ?"

Rafeli: " Ma cosa ne so. Non è esattamente malinconia, comunque."

Vecchia Zia: " Annò? E cos’è, allora? Sentiamo."

Rafeli: " Tipo qualcosa che mi stringe qui sulla gola, che mi punge i fianchi, e mi fa respirare superficialmente…"

Vecchia Zia: " …"

Rafeli: " Che mi appanna gli occhi. E che me li fa muovere in un modo che non so descriverti."

Vecchia Zia: " Ma io li vedo, i tuoi occhi. Non hai bisogno di descriverli."

Rafeli: " E non è soltanto spiacevole, capisci? C’è una specie di calore, nel sottofondo. Questa cosa del disfare le valigie, è un rito che si ripete da anni. Tu lo sai. Questo momento di solitudine cristallina dove ci sono solo io e basta. E le magliette stropicciate da rimettere nei cassetti. E la solitudine perfetta, totale, senza compromessi."

Vecchia Zia: " E non la chiami malinconia, questa qui?"

Rafeli: " Un attimo. Aspetta. Mentre disfo le valigie ci sono solo io, e mastico la polvere che si è accumulata dappertutto in questo mese di assenza. Chi non ha una casa fissa lo sa cosa vuol dire, a ritrovarsi così. Questa cosa del disfare le valigie, e di ricominciare, quando hai già ricominciato tante di quelle volte…"

Vecchia Zia: " Capisco. Ma tu come la chiami, questa sensazione?"

Rafeli: " C’hai ragione, porco giuda. Malinconia."

Vecchia Zia: " E tu pensi che sia grave? Quanto pensi che possa durare, questa storia?"

Rafeli: "Ma che ne so. Direi poco, come ogni volta. Ora telefono alla pizzeria qui sotto, e mi faccio portare su una pizza alla salsiccia. Poi magari do’ pure una mancia al magrebino che me la consegna. Così lui pensa che sono gentile, e invece lo faccio per sentirmi meglio."

Vecchia Zia: " Piccolo bastardo fetente."

Poi l’ iTunes sul computer sembra voglia provocarmi: l’ho impostato sul random, e quello mi manda "It’s Over" del caro Sondre Lerche a tutto volume. Cazzo di random è questo qua, ho pensato. Questa si chiama precisione chirurgica. Questa si chiama colonna sonora azzeccata, altroché.

La pizza alla salsiccia funziona, così come funzionano quelle quattro persone amiche che per caso si trovavano a passare da qui, assieme al coinquilino Billigiò. E il vino rosato, funziona pure lui.

Rafeli: "Zia?"

Vecchia Zia: "Dimmi caro."

Rafeli: "Si dice malinconia o melanconia? O si dice forse in tutti e due i modi?"

Vecchia Zia: " Ma perché lo vuoi sapere? Cosa te ne frega? L’importante è la sostanza, il significato."

Rafeli: " E’ vero, il significato. Però adesso, con questa storia che sto scrivendo il romanzino… Vorrei scrivere le cose per bene."

Vecchia Zia: " Stai facendo Cosa?"

Rafeli: "…ehm…"

Vecchia Zia: "Stai facendo Cooosa?"

Rafeli: " Si, Zia. Faccio."

Vecchia Zia: " Ma fammi il piacere, va’."

Breaking News.

Questo blogghe è in nomination per il Macchianera Blog Awards 2006, premio di cui ignoravo l’esistenza fino a oggi, nella categoria "Miglior Blog Personale". Fa piacere saperlo. Se mi votate mi facete ulteriore piacere. Comunque non si vince nulla. Siccome sono in una delle poche categorie dove non ci sono le nomination di Selvaggia Lucarelli e Pulsatilla, forse per la medaglia di bronzo ce la posso fare.

MacchianerAward 2006: Nomination

pillole dal paesello

Che titolo che c’ho messo, a sto post.

Per continuare con le assonanze di pi e di elle, dovrei scrivere pure: pisello, papilla, pannello, postilla, padella, pennello, pistillo, patella, apelle figlio di apollo faceva una palla di pelle e di pollo.

Ma comunque.

Il paesello, dicevo.

Io spiegarlo, il paesello, non ci riesco. Posso solo riportare qui alcune cose. Alcune pillole.  Ordine sparso.

– Lo stadio del mio paesello – luogo dove nascono le più colorite imprecazioni e dove i santi vengono bestemmiati col calendario in mano – è stato intitolato a “Giovanni Paolo II”. E  questo significa che, mentre in piazza  S.Pietro migliaia di fedeli urlavano Santo Subito, qui al mio paesello hanno pensato: Santo Subitissimo. Anzi, facciamo così: Santo Prima Di Tutti, così non ci pensiamo più. E che non si dica in giro che non siamo stati i primi ( come fa Emilio Fede per le edizioni straordinarie del suo Tiggì in occasione delle stragi terroristiche).

– I bidoni della raccolta differenziata qui ci sono, ma capire qual’ è quello della plastica e quale quello del vetro, è impossibile. Ci sono manifesti enormi e sbiaditi dell’ultimo concerto dei Pooh che li avvolgono come fossero carta da regalo. E non si legge niente. Al massimo ti puoi fare una foto con un Robi Facchinetti di carta sullo sfondo, mentre continui a tenere in mano le tue bottiglie vuote.

– C’era un tipo che passeggiava tronfio e panciuto sul lungomare, mano nella mano con una tipa, un po’ meno tronfia di lui ma altrettanto panciuta. Sulla maglietta del tronfio c’era scritto, a caratteri cubitali: Happy because Unmarried.  L’ho pedinato per una decina di metri. Aveva la  fede al dito, e pure la signora sua tronfia.

– Il paesello è stato tappezzato per giorni con dei manifestini che invitavano la popolazione ad accorrere numerosa Non So Dove, perché bisognava assolutamente assistere alla presentazione della nuova squadra di calcio, in vista della nuova “Staggione Calcistica 2006/2007”. Manifesti che sono stati scritti da qualcuno, stampati da qualcun altro, e attaccati con lo scotch da altri ancora. Tutti personaggi staggionati nel cervello al punto da non accorgersi di nulla.

– Alla Asl dove lavora la mia genitrice, una signora porta i suoi bambini con il cranio pieno di pidocchi alla visita dal dermatologo. Mentre i bambini inselvatichiti devastano la sala d’aspetto, la signora parlotta con una conoscente. Dice: Signò,glielo dico: Io da quando mi ho sposata, mi ho fatto tutto da sola.


– Un sacerdote del paesello sta preparando la festa della Santa, la stessa a cui è intitolata la sua chiesetta in riva al mare. Per questo motivo sta raccogliendo gli oboli "volontari" dei parrocchiani. Durante l’omelia si interrompe e dice: "E adesso non voglio fare nomi, ma è inutile che vi nascondete dentro casa e fate finta che non ci siete, quando veniamo a suonare alle vostre porte per chiedervi le offerte per la Santa!"

Tante padelle e postille a tutti, apelli dei miei stivali (stivalli). Io torno a Bologna.

agli sgoccioli

Aprendo la valigia di scatto ci trovo dentro un geco extra large che ha deciso che quella è la sua nuova casa. In un attacco improvviso di misticismo ho pensato che forse questo è un segnale divino, e che questo segnale divino sta a significare più o meno: Tu non devi partire, non devi partireee…
Proprio così, ripetuto due volte, che suona più mistico.

Solo che qua s’è fatto tardi, e devo partire, e non c’è altra scelta.

(non c’è altra scelta, non c’è altra sceltaaa…)

Wake me up when september ends.
O al limite anche più tardi, se possibile.

Cosa diamine combinerà Rafeli in queste giornate qua? Nell’ordine:

– Studia.  ( risate registrate in sottofondo)  

– Va al mare: guida la barca fino al largo tenendo il timone con i piedi. Poi spegne il motore e si addormenta sotto il sole. I gabbiani galleggiano curiosi attorno a questo scemo che sonnecchia, e che non cala mai l’ancora. La  barca non ancorata segue il vento e si trascina sempre più lontano. Fino ad oggi il motore è sempre ripartito. Il giorno che non riparte, Rafeli scriverà il suo ultimo post da un internet point di Tunisi. Pubblicherà la foto di un qualche pallone Wilson marocchino incontrato durante il tragitto.

– Scrive. Si è impelagato nella prima cosa “lunga” di scrittura della sua vita. Doveva essere un racconto e invece sta venendo fuori un romanzino. Ho detto bene, un romanzino (risate registrate in sottofondo). Rafeli stampa il malloppo di carte e se lo rilegge. Alle volte è soddisfatto. Alle volte vorrebbe bruciare tutto. Nell’indecisione prende il largo e va a fare  compagnia ai gabbiani.

– Gioca con Silvano. C’era chi chiedeva chi è Silvano, qualche post addietro. Eccolo qua, Silvano, mentre si fa la doccia, oppure eccolo anche qua, in tutta la sua piumosa bellezza. Dallo stereo arriva la voce di Ella Fitzgerald e lui ci gorgheggia sopra con virtuosismi che pare un trombettista jazz.

Certe volte mi viene fuori la terza persona, così, immotivata.

(immotivata, immotivataaaaa…)

anno 4006 : il Privè della discoteca spiegato ai marziani.

Cari marziani che siete arrivati su questo Pianeta Terra ormai disabitato da centinaia di anni.

Sarete certamente impegnati ad interpretare le rovine della nostra civiltà. Sarete impegnati in una sorta di archeologia marziana e con i vostri pennelli marziani starete spazzando via la polvere dai reperti ritrovati sotto terra. I vostri cervelli marziani staranno lavorando per decifrare il significato di questi oggetti, e di queste abitazioni. Forse riuscirete ad interpretare tutto. Forse No. Ci sono cose che non capirete, se non ve le spiego. Ve le spiego io, allora.

Il Privè della Discoteca, ad esempio.

Il Privè della Discoteca è un sottoinsieme della Discoteca, che di per se’ è già un concetto astruso. Bisogna innanzitutto partire dal concetto di Discoteca. E allora: la Discoteca è un luogo dove, a parte la musica ( che ai nostri tempi si poteva trovare anche in altri luoghi) , grazie ad una attenta selezione all’ingresso, il genere umano poteva esercitare la nobile arte della discriminazione. La gioiosa, allegra e imperitura arte della discriminazione. In base a criteri di selezione che poi si è scoperto, erano stati tramandati direttamente da Mosè come appendice delle tavole dei comandamenti, l’uomo aveva potere decisionale e decidere, per esempio, chi far entrare in Discoteca e chi No.

Si è introdotto in questo modo, per la prima volta, il concetto di “Più Meglio”.

E cioè: colui che entra, perché il suo nome è in lista o perché indossa la magliettina col fiorellino sulla spalla, è automaticamente Più Meglio di quello che invece, poraccio, non entra.

Perché non entra? Perché No, è la spiegazione. ( e quindi si rientra nel filone della dogmatica, che voi marziani forse non potrete comprendere mai.)

Quindi: io sono Più Meglio di te, oppure quello è Più Meglio di me. E così via.

Però dovete sapere, cari marziani che vi interrogate sui vezzi dell’ormai estinto genere umano, che l’uomo non è mai sazio di creare distinzioni. Ne ha sempre voglia, e non gli basta mai. Pensate per esempio all’interno di una Discoteca, dove tutti quelli che erano entrati già sapevano di essere Più Meglio di qualcun altro. Erano una massa di Più Meglio che però, tra di loro, non potevano distinguersi. Questo provocava scontento e malumore tra la folla, e le consumazioni al bancone del bar calavano paurosamente.

Ecco che allora è stato introdotto – sempre riferendosi ai dettami delle tavole di Mosè – il quanto mai provvidenziale Privè della Discoteca.

Il Privè della Discoteca, sempre sia lodato, saecula saeculorum.

Al Privè della Discoteca potevano avere accesso solo alcuni tra i Più Meglio, e non altri. Il Privè era delimitato da una recinzione, da una corda o altro, e all’ingresso del Privè un gorilla vigilava affinché non ci fossero infiltrati che decidessero di entrare quando a loro, invece, la possibilità di entrare era stata preclusa.

Si è introdotto così il concetto di Più Meglio Assai.

E cioè : Io sono Più Meglio di te. Ah davvero? Be’ invece io sono Più Meglio Assai di te, e ti fotto. Io che posso farlo, pascolo nel recinto del Privè, e tu No.

Quindi, ricapitolando, nella scala gerarchica c’è: l’essere umano, il Più Meglio, il Più Meglio Assai.

Purtroppo, cari marziani, il genere umano si è estinto a forza di guerre per decidere chi inserire nella casta dei Più Meglio Assai, a causa delle risse generate dagli ingressi in coppia ; le donne hanno perso la loro capacità di procreare a causa delle scarpe a punta e dei tacchi a spillo e degli ombelichi di fuori. 

Se così non fosse stato, ora avremmo certamente anche le classi dei Più Meglissimo Assai, quella dei Più Più Più , e forse anche quella  insuperabile dei Più di Così Non Si Può.