Eppure, la frase molto contestata del vice primo ministro turco sulle “donne che non dovrebbero ridere in pubblico” se uno ci pensa, se uno fa attenzione alle immagini evocate, e se cancella proprio quella parte inopportuna sulle donne che non dovrebbero ridere in pubblico, se uno contestualizza e attualizza il concetto di castità, quella frase, se uno ci pensa bene, e’ bella.

«Dove sono le nostre ragazze, che arrossiscono, abbassano la testa e volgono lo sguardo lontano, quando guardiamo il loro viso, diventando un simbolo di castità? (…) La castità è molto importante. Non è solo una parola, si tratta di un ornamento [per le donne]. Una donna dovrebbe essere casta. Dovrebbe conoscere la differenza tra pubblico e privato. E non dovrebbe ridere in pubblico».

Da come parla in inglese, da kamikaze temerario, Renzi lo metti nella categoria di quelli che a scuola pur non avendo studiato molto sapevano sempre rispondere, inventando comunqe qualcosa, sbagliando forse qualcosa, ma ogni volta con una faccia da culo borderline tra il saccente e il deficiente.

La gente si perdono di vista

La gente si perdono di vista. La gente credono che il tempo e la distanza non contano, se l’obiettivo è non perdersi di vista. Ma poi invece si perdono di vista. Soprattutto la distanza riesce a scavare i confini. Nel migliore dei casi si dice quando ci si vede, anche dopo tanto tempo, è come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Ma questo vuol dire che entrambe le persone sono capaci per un momento di ridiventare quello che erano quel giorno prima, non quello che sono diventati adesso dopo tanto tempo. Dunque è soprattutto una questione geografica, una questione di prossimità. Una questione randomica e triste allora, ché è come crescere cattolici o protestanti o musulmani a seconda di dove sei nato.

Il desiderio di essere come tutti

Francesco Piccolo ha vinto lo Strega con Il Desiderio di Essere Come Tutti.
Non si può evitare di celebrarlo, ché da queste parti si ha da anni Il desiderio di essere come Francesco Piccolo.

Da questa par­te, dalla parte degli antiberlusconiani, si sono posizionati “tutti gli altri”. E siamo tanti. Con pensieri molto diversi, ma costretti a stare tutti insieme. Stiamo tra di noi, comu­nichiamo tra di noi. Ci confermiamo le nostre ragioni, ci rassicuriamo su un assunto fondamentale su cui abbiamo molto bisogno di essere rassicurati: che il mondo miglio­ re è il nostro, assomiglia a noi e alla vita che viviamo, alle scelte che facciamo riguardo non soltanto a regole e leg­gi, ma anche a salute, cibo, educazione, linguaggio, libri, film, viaggi. Abbiamo pensatori di grande fama e carisma che stanno insieme a noi, ci rassicurano, dicono che siamo giusti e facciamo cose giuste; anche se il mondo sta andan­do da un’altra parte, anche se la gente in maggioranza vo­ ta da un’altra parte non ci dobbiamo preoccupare: stanno sbagliando e un giorno si ravvederanno, comprenderanno e torneranno. Abbiamo creato giornali su misura per noi, scrittori su misura per noi, film su misura per noi, eventi su misura per noi, e tutti ci comunicano compiaciuti che non stiamo sbagliando, che stiamo facendo tutto bene, che dobbiamo continuare cosí. Mai nessuno che metta in dubbio le nostre idee, si chieda se c’è qualcosa che non funziona, si chieda perché gli altri riescono a penetrare i desideri di una quantità di gente superiore alla nostra. Mai che andiamo a curiosare chi sono, cosa fanno, quali debo­lezze hanno, se nascondono una virtú che non riconoscia­mo. Siamo assolutamente sicuri che il mondo è diviso in due, quelli che stanno sbagliando tutto e quelli che stan­no facendo tutto bene, e per una coincidenza infelice la maggioranza continua a essere cieca e a guardare a quelli che sbagliano. Ma presto, molto presto, si ravvederanno.

(…)

Ho capito all’improvviso che assomigliavamo a quel gruppo di ciclisti che incontro ogni tanto per la città. che occupano tutta la strada procedendo con lentezza studiata, perché il loro obiettivo non è andare in bicicletta, ma punire coloro che sono in auto e sulle moto. Non sono usciti per andare da qualche parte, ma per bloccare il traffico. Appunto, per punire. Quando mi è capitato di trovarmi in mezzo a loro, intrappolato con il mio scooter, ho provato a infilarmi in uno spazio, a passare, e si sono incazzati. Mi hanno intrappolato e insultato, chiedendomi se ci provo gusto a inquinare la città o se mi piace morire di cancro. Non solo mi impedivano di passare, ma cercavano di piantare nella mia testa sensi di colpa e pensieri bui che mi sarei ritrovato di notte, nell’insonnia. Sono violenti, arroganti e inclini al sopruso, semplicemente perché stanno facendo una cosa più giusta della tua, semplicemente perché tu dovresti fare come loro.
Ogni volta che li incontro, nonostante pensi che abbiano ragione, che il traffico e lo smog sono insopportabili, la mia sensazione è precisa: sono contento di non far parte del loro gruppo, ma di stare insieme agli altri, agli automobilisti e ai motociclisti.

(…)
Quindi, con grande sorpresa, la sensazione che sento arrivarmi addosso, appena dopo essermi liberato della purezza, è soltanto un senso di sollievo. Nient’altro.