Quando l’altro giorno hai ascoltato Francesco Piccolo raccontare della casa editrice Einaudi qui a Brussélle, ad un certo punto una signora dal pubblico ha posto una di quelle domande che non sono domande, una di quelle domande narcisistiche che in questi contesti si fanno per mostrare quanto si è acculturati, quanto si è dalla parte giusta, oppure una di quelle domande che non sono domande perché contengono già la risposta.
La signora chiedeva a Francesco Piccolo di spendere qualche parola sulla situazione attuale della sinistra italiana, divisa tra gente che parla alla Leopolda e gente che si picchia per strada con la polizia. La domanda era posta in modo tale che fosse evidente e ovvio sin dall’inizio che il bene sta da una parte (gli operai in piazza) e il male tutto dall’altra (la Leopolda) e dava per scontato che ciò fosse ovvio a tutti i presenti.
Ma Francesco Piccolo ha preso la parola dicendo che a domanda sconveniente la signora doveva attendersi una risposta altrettanto sconveniente. E ha subito premesso che quella non era una domanda, perché conteneva una risposta, e conteneva la voglia di sentirsi dire che aveva ragione lei.
Avrei potuto parlare io con parole identiche, stava parlando lui, ed io già applaudivo senza far far toccare una mano con l’altra per non far rumore.
Poi ha continuato dicendo sebbene sia molto più facile e comodo – soprattutto negli ambienti intellettuali – dirsi a favore dei manifestanti, lui non se la sentiva di tifare per chi protesta in un modo così sterile. Ha detto che la difesa dei diritti non deve nascondere la mancanza di idee. E che un determinato modo di essere in disaccordo è tipico di chi non ha idee alternative da proporre ma solo idee da combattere. E che se dall’altra parte c’è chi mette delle idee in campo, per quanto strambe e imperfette possano essere, sono idee che vengono messe in campo e attuate per quanto possibile. E che (aggiungo io) non si può paragonare una proposta con una non-proposta. Quindi ha fatto accenni al concetto di purezza di cui parla da tempo, e di cui è ancora l’unico a parlarne.
Pelle d’oca sulla nuca per quanto condivisibili le parole, e per quanto ascoltarle fa sentire meno soli.