Dovrebbe essere evidente ma purtroppo non lo è

Dovrebbe essere evidente ma purtroppo non lo è, che se una larghissima maggioranza di rappresentanti (e quindi di rappresentati) vuole che si faccia sta benedetta TAV, che se nonostante l’eco mediatico enorme che circonda i manifestanti questa maggioranza resta comunque maggioranza – anzi, si solidifica – allora se tu sali sul traliccio per impedire i lavori rappresentando te stesso e la minoranza che ti circonda, quindi se tu minoranza rumorosa con un’azione di forza vuoi imporre il tuo modo di agire ad una maggioranza silenziosa, allora il gesto di salire per venirti a prendere dal traliccio è una battaglia civile (secondo l’etimologia della parola civiltà) oltre ovviamente ad essere pure una battaglia democratica (secondo l’etimologia della parola democrazia). E te lo dico io che mi sento quasi sempre minoranza.

Ma stiamo parlando di gente seria?

Perché se fossero gente seria, sai cosa dovrebbero fare? Dovrebbero andare a pescare il manifestante del video qui sotto, quello che ripete “pecorelle” ai carabinieri, che li percula per il magro stipendio, che gli dice “stronzi”, il tutto a favore di telecamere, sapendo di essere ripreso, continuando a perculare nonostante la consapevolezza di essere ripreso.

Se fossero persone serie, andrebbero a pescare questo ragazzo, inseguendolo con il sangue agli occhi per la figura di merda che ha fatto fare a tutto il movimento sui media nazionali. E lo coricherebbero di mazzate – se fossero persone serie – per evitare che faccia altri danni maggiori. Sarebbe violenza efficace e finalizzata ad uno scopo preciso. E poi affiggerebbero la sua foto all’entrata di tutti centri dove si riuniscono i manifestanti per impedirgli di entrare, in quanto persona non gradita, in quanto inutilità fatta barba, in quanto danneggiatore del movimento.

Ma invece.

(video)

you’re rock

You’re rock ‘n’ fuckin roll, mi dice D. e poi se ne va in doccia.

Non conosco l’argomento perché lei parla squittendo e smozzicando le parole – mumbling, si chiama – con accento potente delle sue parti più o meno gallesi. Lei parla intercalando dei fuckin e damn anche se ha studiato nelle migliori università europeee, anche se passa la vita a salvare il culo degli oppressi di tutto il mondo. Spesso non capisco.

La osservo sparire, mi giro dall’altra parte e penso che così non va affatto bene. Mi avevi detto che saresti venuta, io ti ho detto di Sì, però nel frattempo le cose sono cambiate ma non potevo dirti non venire più: avevi il biglietto pronto porcamiseria, ed eri tutta contenta. E penso che se adesso fossimo in un film, allora dovrei ricevere un messaggio da parte di K, – ignara di tutto – che mi faccia sentire in colpa.

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caro signor wordpress

caro signor wordpress, sa quale sarebbe una bella idea per i blogghe del 2012?
I post privati.

Non i blog privati, ché quelli già ci sono. I post privati: dare la possibilità – una volta ogni tanto – all’interno di un blog aperto a tutti di pubblicare post che restino privati, o leggibili solo ad un ristrettissima cerchia di persone.

Signor wordpress, ti ho pagato cotanto dominio e pure cotanto font personalizzato, vuoi che non ti paghi pure questa opzione? E dai, pensiamoci. Dai.

tu dici ti pare giusto

Tu dici ti pare giusto che vogliono in Italia facilitare i licenziamenti facili? Articolo 18 significa questo, no? – te lo chiedi, tu che di ste cose ne sai pochissimo.

Gli esperti ti parlano di “tutela del lavoro” e tu che non sai nulla una cosa però te la chiedi: come fanno sti pensatori ed esperti a dire “lavoro” ed includerci dentro tutto? Lavoro significa una miriade di possibilità, dall’amministratore delegato a quello che tira le reti da pesca su in barca, significa quello che ti mette la palla di gelato sul cono oppure il lucidatore di bicchieri di cristallo.

Come si fa a dire “lavoro” e metterci dentro tutto? La cosa che penso continuamente quando si parla di tutela del lavoro, se rendere il licenziamento più facile oppure No è solo una, molto semplice: dipende.

Ecco, Sì, dipende. Perché se fai un lavoro che se ti licenziano poi ne trovano un altro in cinque minuti, un altro che sa lo stesso lavoro più o meno uguale, quindi un lavoro senza particolari necessità di competenze, allora va benissimo la tutela ferrea, che porcalamiseria sti pori cristi già hanno accettato di mettere le palle di gelato sui coni, dagli almeno la consapevolezza di essere inamovibili nella loro posizione di pallatori di gelato.

Se tu invece fai un lavoro che richiede competenze specifiche, allora sta a te renderti favoloso agli occhi dei tuoi employers, e se quelli ti vogliono mandare via è perché lì fuori c’è qualcuno meglio di te, anzi ce ne sono tanti meglio di te. Non dico di legalizzare il calcio in culo, ma un minimo di flessibilità dovrebbe starci. Che se sei bravo, sei di conseguenza anche tu flessibile, nel senso che se non ti coccolano abbastanza saluti tutti e te ne vai.

Il problema in Italia è che c’è troppa gente con supposte competenze specifiche (cioè, laureati) i quali vogliono essere tutelati e non stagisti. Ma la loro condizione di stagisti dovrebbe essere una misura tangibile della loro sostituibilità, e quindi della loro mancata specificità, e quindi dovrebbero incazzarsi con loro stessi, non con chi li sostituisce facilmente. Perché questi che danno lavoro possono sostituire, ed è questa la cosa drammatica, possono sostituire voi che non siete affatto pallatori di gelato.

cose, 19 due duemiladodici

Si dice il tempo flies when you have fun. Però ultimamente ho l’impressione che questo flying stia correndo un po’ troppo. Credo di non scrivere per un giorno, invece sono cinque giorni.  Sono sei.

Time flies, terribilmente.

Accendo la televisione e ci trovo Patti Smith che canta Because the Night Belongs To Lover, penso a quante volte ho ascoltato questo ritornello senza comprenderne il significato. Patti Smith dopo la canzone deve dire tre parole in inglese, e tu che ti fissi sui dettagli noti che per l’ennesima volta a tradurre tre parole c’è la stessa traduttrice che vedevi da bambino in televisione, come se solo lei fosse capace.

Il potere ha il sapore di una fetta di pancetta, saporita e pericolosa, ti piace ma sai che non dovrebbe.

C’è la pioggerellina e ti fai afferrare e leccare come un gelato, ci sono quattro gradi –  quindi è primavera – ti cade la borsa dalle mani e si bagna tutta da un lato.

La percentuale di figli di genitori divorziati che incontro è salita sensibilmente: sono forse entrato nel mondo reale.

Non posso ascoltare Green Day e Sergio Endrigo nello stesso momento.

torna anche nel 2012 il consueto appuntamento

Torna anche nel 2012 il consueto appuntamento con gli spot delle automobili che fanno venire il sangue acido. Segnaliamo lo spot della Alfa Mito che vede protagonista una ragazza anoressica mentre trotterella serena in mezzo al traffico snobbando inspiegabilmente i marciapiedi, e che recita così:

io so bene dove andare, e anche come arrivarci
perché è adesso che la mia vita chiede strada
è ora di rimettersi in gioco
perché nulla è più certo del cambiamento

L’ultima riga è una citazione di Bob Dylan totalmente fuori contesto e pure – non me ne voglia Bob Dylan – anche abbastanza arbitraria, la classica frase che suona bene ma non vuol dire un cazzo.

Ma soprattutto, lo spot ci indica con assoluta precisione il target preso di mira dai pubblicitari: una ragazza con problemi di peso frustrata dalla sua vita attuale, che cerca una via comoda e immediata verso un mondo più soddisfacente e avventuroso. La cerca – questa via – sprofondata nel divano davanti alla tv,  ed ha già eliminato altre soluzioni tanto più popolari fra le sue simili: il taglio di capelli, il tatuaggetto. La vita avventurosa ovviamente non si riduce al semplice passeggiare nel traffico contromano ma bensì nell’acquisto di un’automobile, la quale con i suoi alzacristalli elettrici e  i cerchioni cromati le rivoluzionerà la vita.

Male che va – non avesse i soldi per comprarla – c’è comunque la frase di Bob Dylan, che lei prontamente si tatuerà sulla spalla dopo essersela fatta tradurre in ideogrammi giapponesi.

l’unico modo è romperlo

Non ci conoscevamo e del resto neanche adesso ci conosciamo. Avevamo parlato pochissimo.

Una volta mi dovevi spiegare robe di soldi, c’avevi delle tabelle davanti, indicavi i numeri con la penna, io non volendo – anzi volendo – ho indugiato sui bottoni aperti della tua camicetta. Te ne sei accorta ed io mi sono detto Bene, Monumentale Figura di Merda. Poi un’altra volta mi hai trovato che analizzavo una massa informe di gente ballare di fronte a me, io ero fermo e quieto e sorseggiavo il mio ventiduesimo bicchiere di bianco, in una situazione di quelle dove c’è sempre uno che passa per rabboccare il bicchiere, in una situazione di quelle dove fai osservazioni che poi dimentichi subito dopo.

Quindi ovviamente non me lo aspettavo che mi avresti contattato qualche settimana dopo per dire Potremmo Fare Qualcosa Insieme, che so, per esempio una cena. Il tutto in punta di piedi e senza fronzoli e in mode non-zerbino tanto raro di sti tempi che ho dovuto dire di Sì a prescindere. Non c’entra niente la serata tranquilla e questi piatti nordafricani cotti in strambi contenitori di ceramica, e non c’entrano niente i poi potenziali, c’entra solo il fatto che dopo tornando a casa con meno tredici pensavo ai flussi di eventi regolari, e di come ci si può abbandonare passivamente ad essi senza protestare, oppure al prendere in mano il corso degli eventi e fargli cambiare direzione con un colpo secco di mano, e dei bei minuti, ore, o giorni che ne possono seguire solo perché un giorno hai deciso di forzare le cose, invece di lasciarti andare al flusso che ho già detto.

Ma non mi viene bene descriverlo, mi viene invece in mente un passo di un libro che rimugino spesso ma applico pochissimo, e che comunque sarà uno dei motti di questi miei anni dieci, come minimo.

“Lo so come ti senti. E’ come essere dietro un vetro, non puoi toccare niente di quello che vedi. Ho passato tre quarti della mia vita chiuso fuori, perché ho capito che l’unico modo è romperlo. E se hai paura di farti male, prova a immaginarti di essere già vecchio e quasi morto, pieno di rimpianti.”

(Guido Laremi di Due di Due) 

panem et vangae

La colpa dei casini nevosi a Roma non puo’ essere solo colpa di Alemanno. Voglio dire, innanzitutto e’ Roma. Il 26 gennaio le Iene hanno mandato un servizio (googlando si trova il video) dove mostravano l’assenteismo sfrenato dei dipendenti pubblici della capitale, le loro passeggiatine al bar, il loro andare a fare la spesa dopo aver timbrato. Davanti all’evidenza dei filmati nessuno ha trovato il coraggio di accusarli: non i colleghi, non i sindacalisti, non i consiglieri comunali. Poi dopo il servizio, immediata indignazione post-televisiva, e quindi by definition, sterile (perche’ non fondata sul sentire comune ma sulla drammaturgia prestabilita dell’indignazione).

Se prendi questo esempio e lo unisci alle altre cose che si sanno e che si vedono – Si’ e’ un pregiudizio, Si’, ed e’ periodicamente confermato – allora arrivi alla conclusione che ci saremmo stupiti del contrario, e cioe’ che in caso di emergenza le cose a Roma fossero funzionate. Il fatto che siano accaduti casini terribili, mi pare invece il naturale corso degli eventi. Tutto il clamore e’ quindi paradossalmente incomprensibile.

Ma poi, ecco che si aggiunge il fattore Alemanno.

Perche’ uno puo’ pure avere il dubbio che la colpa non sia sua, che forse l’uomo sia davvero competente e accorto ma sovrastato da una citta’ ingovernabile. Pero’ poi ti arrivano le immagini di Alemanno che spala la neve e allora ecco che ogni dubbio residuo viene cancellato. Abbiamo la certezza che sia un collione.

Anzi No, mi correggo e spiego meglio.

Abbiamo la certezza che tu abbia dei propositi collioni – Alemanno – perche’ il tuo ruolo non e’ quello. Se ti hanno messo a fare il sindaco, quello devi fare. Devi coordinare. Il sindaco spinge i bottoni, che nun ce lo sapevi? Le immagini di te che spali la neve sono la prova provata e inconfutabile di un tuo errore, di una mancanza. Quante ore hai spalato? Due? Quattro? Bene, per quattro ore, durante un’emergenza gravissima che richiedeva decisioni immediate e ponderate, non hai fatto il tuo dovere. Non eri al tuo posto (Alemanno, posi quella vanga cazzo!). Perche’ non ti denunciano visto che ci sono cotante prove?

Abbiamo la certezza che ti rivolgi ad un pubblico di collioni, perche’ se tu credi che le immagini di te con la vanga in mano e gli stivaloni siano una cosa utile per ottenere consenso, se credi che abbiano presa sul tuo pubblico, allora una di queste e’ per forza vera: o hai la certezza di essere sostenuto da dei collioni senza speranza, o vuoi trattarli da coglioni, oppure sei tu che sei molto molto collione.

della morte dei blog

L’anno 2011 è stato anche l’anno dove si è detto che i blog sono morti. Non posso mettermi qui a fare una conferenza sull’argomento, però diciamo innanzitutto questo: i blog non sono morti, sono tornati ad essere quello che erano all’inizio, cioè un posto per chi ha qualcosa da dire, per grafomani incalliti e sinceri, per vanitosi irriducibili che però vogliono tradurre le loro code di pavone in qualcosa di tangibile e classificabile e rintracciabile in futuro.

Così era all’inizio, poi cosa è successo?

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ed infine

ed infine splinder è morto per davvero.

intanto qui si festeggia il post  numero millequindici (in realtà sarebbero pure di più se anche excite non fosse morto anni fa) ristabilendo la funzione archivio – il link è qui sopra – rivista e rimodernata e piena di sorprese pure per me che ste cose alla fine le ho scritte.