Non posso fare a meno di segnalare un articolo di Enrico Brizzi sui vent’anni dall’uscita del suo Jack Frusciante. Racconta storie che in parte so, data l’ossessione di allora per quelle pagine, e visto come consumai pure il libro scritto dalla sua futura moglie sul parto del romanzo e la stagione di gloria che ne segui’. A tutto questo si aggiunge la presenza di Bologna e altre mie storie di contorno parallele alla trama e la sensazione di essere contemporaneo e conterraneo con gli elementi del proprio romanzo di formazione. Sono vent’anni e non posso fare a meno di leggere queste righe con la pelle d’oca sulle guance.

certe volte

Certe volte ti piace l’imprevedibile. Ti piace non essere convinto ma ugualmente lasciarti portare via dal flusso delle cose.

Alla fine di una cena durata fino quasi a mezzanotte, avevi deciso che la serata sarebbe finita lì. Però siccome non vuoi passare per asociale ha richiamato chi t’aveva invitato a fare un giro, sperando – come spesso succede – che a causa del rumore nessuno rispondesse alla chiamata. A quel punto avresti avuto la coscienza a posto, spegnendo il telefono e annullandoti con una doppietta di Breaking Bad. Ma ti hanno risposto.

Allora ti sei fatto vedere, pero’ con il progetto preciso di dichiarare: Soltanto Una Cosa Da Bere, e poi sparisco. Per sottolineare le tue intenzioni divergenti dalla realtà degli eventi, lungo la strada ascoltavi Un Oceano Di Silenzio. Quindi hai annuito a tutti i progetti per la serata e alla fine hai dichiarato: No No, bevo una cosa e poi sparisco.

Qualche ora più tardi hai posato un bicchiere sul tavolo in un luogo rumoroso e stipato di gente, e hai detto: me ne vado, ciao. Poi ecco l’imprevidibilità.

Ed ecco che all’improvviso mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei, e consideri ancora una volta che non e’ per niente scontato che domani potrai decidere se lasciarti andare al flusso delle cose oppure No.

Tra le note da prendere, ricorderai occhi chiusi, piedi scalzi sul marciapiede freddo, il rumore di un camion della nettezza urbana verso l’alba, mirto bevuto per sbaglio a colazione perché il bicchiere era nel posto sbagliato, risate sincere che non ti saresti aspettato, una spesa al supermercato dodici ore dopo essere uscito da casa e non esserci mai tornato, il passo incerto mentre ti avvicini al banco frigo e dei capelli appiccicati sotto la suola delle scarpe.

Nei miei luoghi natii, oggi che ho occhi abbastanza maturi per capirlo, mi rendo conto di essere circondato da troppa bellezza, così tanta che squilibria l’esistenza e le opinioni.

Non una bellezza metafisica ma proprio una bellezza fisica e concreta. Non una bellezza generica ma proprio delle persone, delle cose e dei luoghi che mi circondano, da quando mi sveglio la mattina fino a quando la notte torno a casa.

Ci metto dentro tutto: la camera da letto in cui mi sveglio, la casa in cui vivo, fratelli e sorelle, cognate e amici che mi circondano, la strada che mi porta al mare, il mare e le gambe abbronzate delle sconosciute.

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volevo una vita come quella dei film?

Mi sveglio all’alba con tre lunghi capelli in bocca. Una corta giornata di lavoro macchiata dalla stanchezza insopportabile. Poi correre e fare fatica fisica. Un quindicenne osserva timoroso il me stesso sudato e braccia nude e si sposta per farmi passare – chissà quale immagine offro al mondo, chissà se può mai immaginare quali prodigiose mollezze ho invece nelle cuffie.

Dopo due ore di sonno chimico faccio una doccia in piena notte, poi sono a camminare svelto nel centro – c’ho adesso questa cosa secondo me borghese e maratoneta  di acquistare bottiglie d’acqua lungo il percorso, berne metà e buttarle via. Mi ritrovo in un locale e siamo molto packed l’uno sull’altro. Conosco molta gente, so molto poco di quasi tutti.

Alla seconda Chimay Blue mi sovviene Freud  e la storia che l’uomo ha bisogno di degradare un poco l’oggetto sessuale per ottenere un vero appagamento, anche se poi la società attorno ti fotte e te lo rende complicato. Intanto siamo nel tardo 2012, e le ragazze arrivano proprio a toccare senza chiedere, forse ci stiamo degradando tutti, lentamente, anche se certamente non con obbiettivi e substrati psicoanalitici.  Intanto siamo nel tardo 2012 e vanno di moda certe montature molto larghe degli occhiali che non so come si chiamano, ma vanno di moda, e se l’avessi intuito prima che andavano di moda non avrei macinato considerazioni su quante montature strane e early 80s avevi notato in giro ultimamente. Quindi nella penombra mi ritrovo ad accarezzare ciocche di capelli e mi viene detto ad un orecchio “non è giusto” ma non come fosse divieto, piuttosto come una supplica, e poi ancora mi viene detto “se mi avvicino di più potrei ferire molta gente“. C’è un fascino perverso nel far finta di comprendere il filo del discorso quando invece No: è l’azzardo del rischio e la consapevolezza che si può anche rispondere in modo illogico, ma se lo fai con stile, verrà ritenuta comunque una battuta da persona interessante. Le apparenze sono un gioco bellissimo, non appena hai potato un poco i tuoi ideali come cespugli che erano cresciuti troppo al ciglio della strada.

Mi ritrovo sul ciglio della strada, appunto, e seguo il festeggiato – era una festa di compleanno – mentre si infila in un’automobile. Alla guida c’è una che non conosco, dietro di me, oltre al compleannato c’è un’altra che non conosco. La conversazione procede in inglese francese italiano e un’altra lingua indoeuropea a me ignota. Ma non dobbiamo parlare, c’è solo da trovare la strada per non so dove, mentre compitamente tengo una borsetta sulle gambe. La conversazione crea un incidente diplomatico nella traduzione incrociata da una lingua all’altra. Quella alla guida si offende e ci lascia in questo nonsodove che poi infine abbiamo trovato. Ci resto venti minuti e subito esco. Prendo un taxi che ha la sirena dell’antifurto inceppata, e suona continuamente, il tassista dice Merde e preme il pulsantino, la sirena si spegne, la sirena dopo due secondi riparte. Merde. Sono le cinque. Non ho scelto quasi nulla in tutta questa sequenza di eventi partendo dalla mattina fino alla mattina.

Nel pomeriggio del giorno dopo la prof di francese mi chiede Alors, q’est-ce que tu as fait hier?
Spetta che ti racconto.

e come se non ci fossero

E come se non ci fossero gia’ abbastanza cose che girano attorno, adesso mi metto a fare pure teatro.

L’ultima volta, annissimi fa, si era all’ultimo anno di scuola del paesello. Il maestro gay probabilmente innamorato di me, mi diede per vendetta la parte di un gay. E fatela voi – voglio proprio vedervi – la parte di un gay davanti ad un pubblico di compaesellani. La feci.  Lui mi chiamo’ al telefono giorni dopo per chiedermi se volevo andare con lui in sudamerica. Gli dissi di No perche’ dovevo studiare per l’universita’.

come ai vecchissimi tempi

Come ai vecchissimi tempi, dirigersi verso un posto dove “forse” c'è una festa, e poi come ai vecchissimi tempi, parcheggiare in quella zona dove “forse” c'è una festa e restare in silenzio per capire da dove arriva la musica, come gli squali nelle acque profonde che captano microscopiche gocce di sangue.

 

Arrivi troppo tardi e bevi solo cose immonde, i bicchieri di plastica sono finiti e usi le tazze della colazione dei proprietari di casa – che poi chi sono, i proprietari di casa. Le cartoline alle pareti sono di gente che non abita più lì, poi i bicchieri di vetro tutti diversi in colore e dimensioni, sono queste le tracce di epoche passate come gli strati del terreno negli scavi archeologici, e un numero spropositato di frigoriferi, uno per ciascuno epperò tutti semivuoti, e poi ci sei tu che mi dici che sono freddo ma freddo in che senso mi chiedo, Sì Sì sei freddo come sono fredda io, però tu forse di più. Ma scusa metti la mano qui, fammi sentire la schiena, posami una mano sulla guancia, a me pare che siamo entrambi caldi no? Voglio dire: al netto della musica e del fumo e dell'orario e del liquore all'anice mischiato ad acqua che bevo in una tazza da colazione. No. E va bene così, non posso mica capire tutto nella vita.

Però se devi sceglierti una casa per farci dentro le feste, allora è meglio scegliertela in centro e che però appena apri la porta c'è un cespuglio foltissimo ed utilissimo, anche se poi tu ad una certa ora non ricordi la pronuncia di Bush, sarà Bash, sarà Bush, non te lo ricordi proprio, pazienza. E quindi per il me stesso postero: che cosa facevi alle undici e undici dell'undici undici undici undici?

Dormivi.

non volevo vedere bianca

Non volevo vedere Bianca perché ero convinto di averlo già visto. Eppure sentivo un acuirsi della sociopatia à la Moretti e quindi ho premuto play e l'ho rivisto. E rivedendolo, mi sono accorto che in realtà sto film io non l'avevo visto.

 

Cioè.

 

Era il '96 ed era notte fonda. Con l'amico Bollo avevamo appena finito di fare la guardia notturna allo stand dei wurstel della festa dell'unità, lì dove due sere prima avevamo fatto un concerto, suonando malissimo dopati dal vino rosato. Ad una certa ora della notte abbiamo smesso di fare la guardia a questo stand dei wurstel e siamo andati a casa sua, abbiamo trascinato un divano sul pavimento davanti alla tv. Lui si è messo sul divano ed io sul materasso. E a notte fondissima, lui ha infilato nel videoregistratore un VHS da 360 minuti con due o tre film di Moretti uno dietro l'altro. E quindi dormivo, poi di tanto in tanto mi svegliavo, guardavo qualche immagine e mi riaddormentavo. Ricordo Laura Morante che camminava, il baffetto biondo di Moretti. Ma tra un sonno e l'altro i film cambiavano e quindi i ricordi si sono mescolati e fissati disordinati nella mia testa. 

 

bisogna tener presente

Bisogna tener presente che ho ancora le chiavi della mia casa di Bologna. Bisogna tener presente che sul campanello c'è ancora il mio nome. E poi bisogna tener presente che Bologna con il sole di aprile è bellissima.

 

Ma bisogna pure tener presente che io sono io – e che ho un modo mio di portarmi addosso per sempre le cose e le persone a cui voglio bene, il mio modo che ho di non cancellare mai ma accumulare e accumulare e rimuginare. Con il risultato che per certe cose e luoghi e persone è come “se appena ieri” le avessi lasciate, e sempre sarà così.

 

Per tutto e per tutti.

 

Però anche io cambio. Per esempio adesso parlo con tutti. Vorrei mangiarmi la vita e il punto di vista delle persone; anche solo il tono di voce.

 

Sull'aereo per esempio, con questa barbara che però sembra spagnola, e che condivide con me la sensazione di tristezza verso i lavoratori di treni ed aerei, e poi si finisce a pranzare sotto la torre di Pisa illuminata dal sole che non te lo aspetti, prima di schizzare via in direzioni opposte. Con le persone nei negozi. Con le amiche in preda alle pene d'amore – tu lo sai che parlare non serve a nulla ma ci parli lo stesso e lo fai sinceramente.

 

Con quattro vecchine sull'autobus, tu hai chiesto indicazioni ad una sola ma sono in quattro che ti parlano tutte contemporaneamente. Incontri per caso Ari dove non pensavi di trovarla. Incontri persone di cui non ti ricordi il nome che spingono il passeggino con dentro un bambino vero.

 

Ti metti a galleggiare nella notte bolognese in compagnia di Billigiò: dopo una serie di birre e di Negroni davanti ad un concertino di blues acustico, lui va al bagno e al ritorno ti trova che siedi con un africano coi dread e un metallaro. Poi loro vanno via e c'è questa foggiana che si propone e noi le diciamo Indovina Chi Siamo e Cosa Facciamo: e lei ci assegna 3 e 5 anni di meno di quelli che abbiamo. Io le dico che ha sbagliato tutto e poi mi invento che Billigiò è un chirurgo plastico specializzato in mastoplastiche addittive ed io invece sono il ghost writer di Pierluigi Bersani.

 

Ma vabbé.

 

La mia FU camera è in condizioni penose per colpa di chi ci ha vissuto dopo di me eppure non provo tristezza per questo. Parlo con la segretaria della mia FU facoltà universitaria. Mi racconta delle disperazioni dei laureati che vengono – come sono venuto io quella mattina – dopo alcuni anni a ritirare la pergamena di Laurea. Io invece le dico Ho Un Lavoro, anzi (ma non glielo dico) m'hanno appena chiamato al telefono per propormene un altro. Il fatto è che mi sono venduto al Diavolo, le spiego, qua invece il problema è che la gente vive solo di sogni, e poi pretende un mondo che aderisca ai loro sogni. E' tutto un mondo di giovinotti che si consumano nella frizione fra i loro sogni ed il mondo che non vuole proprio conformarsi, ai loro sogni. E comunque, non vi iscrivete a Medicina Veterinaria. Se conoscete qualcuno che lo fa, colpo in testa e rapimento fino a quando non cambia idea.

 

Parlo pure con la signora che attende il bus insieme a me, è una donna umarell della provincia verso Imola e mi racconta che suo figlio invece niente Laurea. La mia pergamena vola via con il vento e lei per poco non ci muore dalla pena. La riprendo subito. C'è un sole e un caldo tremendo.

ma come si fa

Sono con uno che conosco in un locale. Gli indico una e gli dico all'orecchio:

“Quella sta cercando”

“E tu come lo sai?”

“Da come guarda.”

“Ti guarda?”

“Anche. Ma in generale, guarda.”

“Ma va'” dice l'amico, che però lo dice in inglese e quindi non ricordo esattamente cosa dice.

 

Poi comunque c'avevo ragione io. Questa si avvicina con una scusa e io preso dal fastidio divento carta da parati. L'amico invece è un genio del verbo, riesce a parlarci per un'ora di fila – a quella che cerca – poi si scambiano il numero di telefono e la notte seguente la passa a casa sua. E poi non si vedono più.

 

Benissimo. È la natura delle cose. Solo che io penso Ma Come Si Fa. Ché attenzione non è bigottismo – ci mancherebbe altro – è proprio che vedere l'energia che ci mette certa gente a vomitare parole in continuazione, mi prende una sensazione di Ma Come Si Fa. Tutta quell'energia.

 

Perché mi ci trovassi io – se non lo facessi apposta a diventare carta da parati – sono sicuro che il mio cervello comincerebbe a ticchettarmi qualcosa del tipo “Eh, ci sei tu, ma ci potrebbe essere un altro. Ci sei tu ma potrebbe essere un altro. Sei tu ma anche un altro. Tu e un altro non cambia. Sei tu, ma non importa. Sei tu, ma che importa.” eccetera eccetera. E invece la gente ha la forza di vomitare parole. Deve essere un problema di libido. Ma che ne so. Che poi va bene l'approccio fulmineo – figuriamoci se mi scandalizzo – ma a quel punto deve essere proprio fulmineo. Tipo i pesci. Tipo i galli e le galline. Fulmineo. Le parole, quelle dovrebbero essere il minimo indispensabile. Che le parole sono importanti. Non è che posso mettermi a dedicare parole a chiunque.

negli anni novanta al liceo mi occupavano il liceo

Negli anni novanta al liceo mi occupavano il liceo. Allora io giravo per il liceo dicendo che non dovevano occuparmelo, il liceo. Era divertente dormirci dentro la notte per vedere l’effetto che fa. La mattina alle sei farsi portare i cornetti solidali alla crema da quella del quinto anno che mi pareva una donna e che se ci penso adesso, se ci penso, vabbe’.

 

Pero’ dicevo guardate che mi pare na stronzata e non si conclude niente. Facciamo la figura degli scemi, possibile che non ve ne rendiate conto (dicevo nel microfono). Rischiavo il linciaggio. Dovevo passare il microfono.

 

Quelli che invece non si ponevano domande se la godevano e basta. C’erano aborti epici delle benefattrici dell’epoca. Io mi arrovellavo e rischiavo linciaggi. Sistematicamente quelli che se la godevano poi sono diventati tutti tutti ometti mogi e istituzionali. Militari di carriera. Io mi arrovellavo e mi arrovello ancora. Il loro spirito rivoluzionario mi sembrava di zucchero filato.

 

E gia’ negli anni novanta prevedevo che sarebbero diventati ometti mogi e istituzionali – protagonisti perfetti di un film monicelliano appunto – che’ lo zucchero filato si affloscia presto. Sono passati gli anni e nelle scuole ancora ci sono quelli che se la godono e basta. Mi viene da pensare che alla fine c’hanno ragione loro, se la sono goduta e poi si sono bellamente dimenticati cos’e’ la rivoluzione, cos’e’ l’impegno. Cosa significa tenere le antenne dritte e allenare giornalmente il senso critico. Ma si nasce rompicoglioni ed io modestamente lo nacqui. Pero' se hanno ragione loro, quest’anno un po’ mi dispiace per loro, soprattutto per quelli delle superiori, che hanno occupato le scuole e la riforma e’ passata il 30 novembre, adesso come fanno ad arrivare alle vacanze di Natale.       

per quest'anno

Per quest’anno, e per questo compleanno, per evitare di parlarne, mi ero pure preparato la battuta.

"30?" "
"…e lode"

che pero’ non fa per niente ridere, e comunque funzionerebbe solo dopodomani in vacanza in Salento, mentre qui in Paese Barbaro non sarebbe nemmeno capita.

Sono molto disappointed, sia chiaro, che’ mi pare un’ingiustizia, eppure nel mio essere perennemente sospeso fra impressioni contrarie, se proprio dovessi sforzarmi, non li farei a cambio con nessuno che conosco.   

vivere in un posto che ci sei arrivato già grande

Vivere in un posto che ci sei arrivato già grande significa che le persone che cominci a conoscere, non le conoscevi quando loro erano più giovani. Le conosci direttamente con l’età che c’hanno. Quando li guardi in faccia – come invece succede con gli amici del paesello – non ci puoi sovrapporre l’immagine di quando erano più giovani. Non puoi. Tu non c’eri. Neanche loro. C’era qualcun’altro. E allora siccome non puoi sovrapporre l’immagine di loro versione più giovane, ti rendi conto che pure tu potresti dare quell’impressione. L’impressione che ti stanno dando a te. Di sembrare così incredibilmente “cresciuto”. Ti preoccupi. Solo che poi ti guardi allo specchio, e quello dentro lo specchio è la persona che conosci da più tempo in assoluto, e proprio a lui, hai voglia a sovrapporre, non finiresti mai. Non so se mi spiego.

come i padri con il carosello che poi si andava tutti a letto

Volevate sentirvi vecchi? No perche’ il corriere.it ieri scrivendo degli oscar, e del primo oscar ad una donna regista, titolava "La prima Lady Oscar". Quindi praticamente chi ai bei tempi andati vedeva Lady Oscar e’ ormai cosi’ adulto da arrivare a decidere i titoli del Corriere usando un gioco di parole che lo puoi capire solo se da pidocchio avevi visto il cartone.  (e volendo vederla in positivo:  vista la frociofilia che imperversava nel cartone, forse i pacs arriveranno quando gli stessi diventeranno cosi’ vecchi da scrivere le nuove leggi).

non solamente il me stesso che scrive

Non solamente il me stesso che scrive, ma pure questo blogghe ha vissuto la maggior parte degli anni zero a Bologna. E dunque ora che ci sono tornato per una microvacanza di un giorno e mezzo, a Bologna, le sensazioni sono contraddittorie.


La gente dice: " e i ricordi mi assalirono non appena rividi le stesse strade etc etc.". Per me non vale, non mi assale nessun ricordo, ché già dopo dieci minuti di Bologna mi pareva di non essere andato mai via. Le cassiere della Conad sono sempre le stesse. Mentre ero via, ho vissuto in cinque case diverse, parlato con centinaia di persone, visitato città e viaggiato molto, e quelle erano sempre lì. Il mio pakistano di fiducia ha chiuso il suo internet point e ora al suo posto c’è un parrucchiere, pure lui pakistano. Pare che per un certo periodo abbiano mandato avanti internet point e parrucchiere simultaneamente.


Essere in Italia ed essere a Bologna, significa che me ne vado al bar a compiere gesti italianissimi che quando ero qui non compivo mai, tipo prendere un cappuccino e brioche, al bancone, e ascoltare attentamente tutti i discorsi degli umarells che secondo a me a Bologna sono i migliori di tutti. I giovani italiani soffrono di alberonatalismo nel vestiario, si acconciano come alberi di natale dove più palle metti, e più luccicanti, tanto meglio è. Nella mia camera ci vive da tempo un altra persona, ci passo davanti alla porta e non mi dispiace, non c’è nostalgia, o forse Sì però verrà fuori più avanti.

Lu crocifisso

Se c’é stata una cosa che mi ha smitizzato completamente la religione é stato proprio lu crocifisso in classe – scusate, troppo forte la tentazione dell’articolo determinativo salentino anche oggi che sono all’estero, ricordando i vecchi tempi.

Ché uno nascendo in Italia, cresce con il timore reverenziale delle cose di Chiesa, é automatico no? e poi lentamente – naturalmente – questo timore cala col tempo. Comincia a calare molto tempo prima di leggere di preti pedofili e verginita’ prematrimoniale. Comincia con cose tipo lu crocifisso in classe. In classe, capito? Sarebbe questo il luogo dove ho assistito alle piu’ infime celebrazioni di bassezza umana, a mediocrita’ devastanti e maggioritarie. Lui era li’, lu crocifisso, e non muoveva nemmeno uno dito di plastica, osservando tutto sto sfacelo. E fino a quando te lo trovi gigante, in Chiesa, magari il timore ancora resiste. É enorme e mette paura mentre tu sei piccolo piccolo. Ma se te lo vedi la mattina presto – tutte le mattine presto – in classe, in certi inverni di freddo mortale che restavi mani in tasca del giubotto fino alle dieci, e sopratutto se te lo vedi li’ sul muro mentre tu cresci in altezza tanto da poterlo toccare e notare da vicino com’é piccolo, che volendo potresti staccarlo e portarlo via, ecco che il timore scende paurosamente. In classe ci si massacrava allegramente di mazzate, con mille armi diverse. Fionde, taglierini, quadernoni di cartone pressato, matite appuntite. Se ci si massacrava di mazzate vicino alla cattedra, poi, in mancanza di altro, si staccava lu crocifisso e lo si martellava sul cranio dell’amico fraterno. Toc, toc, toc! Beccati stu crocifissu! Toc! Basta? Non basta? E cosí via. Toc! Mazzate purissime e divertentissime che si tornava a casa con la pancia dolente dal ridere. Oggi mi ricordo di sto crocifisso di classe, che a causa delle manipolazioni  – o forse perche’ non era fissato bene al chiodo e cadeva spesso giu’ – si era rotto a livello delle gambe di plastica, poco sopra le ginocchia. I piedi erano collegati piu’ in basso alla barretta di legno, ma non essendo piu’ vincolati al resto del corpo, ora potevano roteare liberamente con moto circolare. Dopo averlo utilizzato per scavare buchi nei crani dei cari compagni di classe, lo si rimetteva a posto poco prima che la ricreazione finisse. Si cercava di riposizionare le gambe roteanti in assetto verticale, in modo da farlo apparire integro. Ma poi – segno del divino? vittoria dell’illuminismo newtoniano? che ne so– durante l’interrogazione vaneggiante dei professori, quello improvvisamente Opla’! tornava con le ginocchia rivolte al pavimento. Bei tempi.

breaking news

Il Cuggino Rasta ha tagliato i rasta.


Dopo oltre un decennio il Cuggino Rasta ha tagliato i rasta. Dopo oltre un decennio – da quando un giorno litigo’ col suo parrucchiere e decise che non avrebbe tagliato piu’ i capelli. Dopo un decennio di cui quasi la meta’ narrato sulle pagine di questo blogghe. Non ho parole. Questo mondo e questo blogghe ovviamente da oggi non saranno piu’ li stessi. E come potrebbero. E pure voi, che magari leggete ste pagine da qualche anno, credete che la cosa non vi tocchi…sentitevi piu’ vecchi. Se avete delle figlie femmine, forse, potreste sentirvi piu’ sicuri, ma non é detto. L’effetto Sansone é tutto da dimostrare.   

(quasi) come il sole a mezzogiorno

Un altro dei vantaggi nel non avere FB, é che il giorno del tuo compleanno ti fanno gli auguri quelli che se ne ricordano perché se ne ricordano, e non perché c’hanno il reminder elettronico, o almeno si spera. Dopodiché devo ricordarmi di quello che diceva la Meisje qualche giorno fa scrutando il mio cranio, notando che sulla stessa superficie del mio cranio in questo momento storico riescono a coesistere allegramente un brufolino in faccia ed un capello bianco sulla tempia.  

85/100

Tutti sti personaggi che si ricordano del giorno del loro esame di maturità… Io non ricordo quasi nulla. Quale traccia scelsi. Se fu difficile o No. I miei vestiti. Niente. Faceva caldo, questo Si’. Ma se non fa caldo giu’ al paesello a fine giugno… Ricordo l’orale, con il presidente della corte giudicante grasso e sudato. Si alzo’ dalla sedia per urlare agli altri studenti fuori dall’ aula di fare silenzio. Mo e che é, una Babbilounia, qui? disse. Era di Bari. Una Babbilounia é? Moooo.. disse. Il prof di matematica e la buonanima della prof di disegno si spartivano un vassoio di cornetti alla crema. Lo zucchero filato volato via, sporcava un poco la cattedra. Dopo andai al mare con la sensazione di eroe dalla pancia svuotata.