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Eri nella hall dell’albergo e hai notato questa ragazza tagliare la stanza da parte a parte, in quel modo che hanno le ragazze di muoversi ben sapendo di essere osservate, e quindi con occhio nervoso passo svelto e dita che vanno a sistemare ciocche di capelli che non ne avrebbero bisogno. Hai osservato il passo deciso e la giacca di pelle e le caviglie perfette. Hai pensato che stai muovendoti verso una fase della tua vita in cui non puoi tollerare la mancanza di eleganza, nelle movenze e nelle proporzioni. Ti trovi spesso in disaccordo con te stesso su questo punto, sai che non dovresti essere così, ti rendi conto che l’estetica è solo estetica, ma poi ti arrendi e pensi che non puoi farci nulla, se sei così è molto meglio accettarlo che nasconderlo, è molto più conveniente vivere il fastidio piuttosto che fingersi diversi, e vivere la frustrazione che ne consegue.

Molto meglio.

Causa nebbia il battello che doveva accompagnarti dall’altra parte del Thames – eri a Londra, difatti – non è partito, e quindi per la fretta hai saltato la colazione e ti sei infilato in un bus prenotato da una collega. Hai poi fatto colazione da Starbucks ricordando il grembiule verde che per anni è stato utilizzato nella tua casa bolognese, residuo bellico di un estate dei primi anno zero, rubato non ti ricordi bene da chi. Il grembiule verde di Starbucks – mancando Starbucks a Bologna – appeso  nello stesso angolo per tanti anni, è stato sempre collegato nella tua testa ai pomeriggi mogi di vita casalinga bolognese, piuttosto che alla vita da metropoli, come invece dovrebbe essere.

Più tardi eri seduto in questa sala conferenze, e in un momento di estrema noia hai preso le cuffie posate sul tavolo, quelle che a volte utilizzano per inviare le traduzioni simultanee ai delegati, hai staccato lo spinotto e lo hai infilato nel tuo lettore mp3. E mentre sul tuo monitor passavano le slides di una presentazione e tu annuivi convinto, nelle orecchie avevi i The Killers.

come

“come lo sai che ho un tatuaggio sulla spalla?”
“la sinistra”
“come lo sai?”
“ti leccavo la spalla”
“non è vero. quando?”
“due settimane fa”
“non è vero”
“la sinistra”
“davanti a tutti?”
“…”
“ero confusa”

Nei film, quando si verificano catastrofi e tragedie personali, i protagonisti riscoprono l’importanza delle cose importanti, degli affetti veri, delle cose “che contano davvero” qualsiasi cosa sta frase voglia dire.

Nella mia vita, nella quale recentemente mi trovo ad ascoltare notizie brutte o bruttissime di persone a me vicine, l’effetto e’ invece quello di rivalutare l’importanza dell’edonismo, del godere a prescindere da tutto, come se in fondo nell’irrazionale imprevedibilita’ della vita, solo questo abbia davvero un (minimo) senso.

la percezione delle cose impregnata di reminiscenze cinematografiche

La percezione delle cose impregnata di reminiscenze cinematografiche. Cosa voglio dire.

C’è questa a ore sei. Bellissima, altissima, sorride, capelli lunghi legati a coda. Forse troppo bella? Mi viene in mente una scena dell’ultimo film di Brad Pitt: il team di una squadra di baseball scarta un giocatore perché ha la ragazza troppo brutta. Mancanza di autostima, dicono, non può andare bene per noi.

Allora comincio a parlarci. Anzi è più facile, comincia lei. Ad un certo punto arriva un Lenny Kravitz ma più bello, si conoscono da tempo, si salutano, cominciano a parlare di cose che non so. Sguscio via. Più tardi sono occupato con altre persone che si discute del nulla, però con occhio laterale osservo lei, ingabbiata in un marcamento stretto da Lenny Kravitz Ma Più Bello, più altri due.

Ecco che lei scappa via e viene da me senza motivo – mentre sono occupato a discutere del nulla – mi dice sono tornata. Penso: sei scappata o sei tornata? Non lo chiedo. Mi viene in mente una scena di un film non bellissimo degli anni 80, Enrico Montesano che dice: bisogna lasciar perdere quelle belle. Se poi vanno via ti dici: ah com’era bella lei non troverò mai più nessuna. Meglio quelle così e così. Almeno se poi vanno via, non ti puoi disperare e dirti: ah com’era così e così lei non troverò mai più nessuna.

tra le diverse possibilità

Tra le diverse possibilità alla fine mi è rimasta in mano solo quella della casa nel nanovillaggio. Questa è la mia prima notte nella casa del nanovillaggio. Passano gli autobus fuori dalla finestra e ragazzine urlano in scooter alle nove di sera. Un gatto vuole leccare lo spazzolino da denti che ho lasciato in un angolo. Gli faccio Pss! in olandese e quello capisce e si spaventa. 

delle immagini

Delle immagini dell’elefante morto e squartato in Zimbabwe non si capisce cosa sia scioccante. Dicono però sia scioccante. Che un animale morto venga macellato per strada e mangiato. Si ok, la fame. Ma quello si sapeva già, no? Forse la mosca sulla faccia dei bambini non fa più effetto. Piuttosto mi incuriosiscono quei personaggi che aspettano sulla collina, dietro. Come se avessero detto, tutti dietro la linea, prego, che qua facciamo noi.


camera trovata

Camera trovata. Enorme botta di culo. Ho cambiato così tante volte casa, e ho messo così tanti annunci in giro, che alla fine un vecchio coinquilino di una delle mie case passate ha visto il mio annuncio su internet (titolo: “not possible to live under the bridge”) e mi ha chiamato. Aveva cambiato casa pure lui. Adesso viviamo di nuovo insieme ma in un altra casa. Mi è toccata in sorte la camera del suo uomo che è dovuto andare via dal Paese Bassoper un po’. Che culo. La camera è finalmente enorme, con tre enormi finestre che danno sul quartiere. Una delle ragazze che viveva qui non conosceva bene la camera. Quando l’ha vista è rimasta sconvolta, la voleva lei ed è scoppiata a piangere. Io non sapevo cosa dire, mi sono fatto da parte e mi sono interessato alle bollette scritte in barbaro appese in corridoio. Mio vecchio coinquilino che sarebbe poi il prototipo dell’uomo perfetto già descritto su queste pagine tempo fa. Ho rincontrato la sua pianta d’appartamento nella sua nuova camera. Io adesso non so voi, ma a me non era mai successo di conoscere una pianta, prendersi cura di questa pianta (per sei mesi, mentre lui era via in Spagna) dormirci insieme, poi andare via per quasi un anno e rincontrarla in un altra casa. Entrare in una stanza ed esclamare: toh, ma io ti conosco! Sei…sei la pianta! Ecco, sono queste le cose che mi succedono.

Ho scaffali ampi e un nuovissimo parquet. Se pure uno non trovasse motivi per guadagnare tanti soldi, almeno dovrebbe farlo per vivere in un luogo decente in un quartiere decente. Nei quartieri meno sfracellati pure le facce sono diverse. Pure le facce. Il modo di camminare. La gente va a correre con le cuffie nelle orecchie. Però sta cosa di spostarsi sempre, alla fine succede che non faccio più caso a tante cose, per esempio le chiavi di casa mi sono state date con un portachiavi di legno intarsiato che io ho preso e messo in tasca, senza chiedermi perché, senza chiedermi cos’é. Questo non lo fanno le persone normali, le persone normali lo sanno cosa hanno in tasca. Se glielo chiedi te lo spiegano (“l’ho comprato ad un mercatino in Nepal un giorno che pioveva in diagonale”) io invece prendo e metto in tasca. Me lo chiedessero, direi che ne so. Non lo so.

in salento la sera il profumo dei pini

In Salento la sera il profumo dei pini che si riposano al fresco, dopo una giornata intera di sole, ti offre da solo il motivo di essere lí. Poi si’ vabbene c’é pure tutto il resto, ma potrebbe benissimo bastare questo.

Resta tutto da vedere l’effetto che farebbero una due tre novantaquattro sere di fila senza interruzione con il profumo del pino che si riposa dal sole, capire se resiste ancora l’ammirazione degli inizi, se ci fai ancora caso, se ti chiudi in casa con la Playstation, oppure se ti chiudi in macchina per ottanta chilometri per andare alla festa sull’altra costa. Io quando ci vivevo non ci facevo caso. Adesso ci faccio caso. Io se non ci torno, nel Salento, mi piace pensare che se invece ci tornassi per novantaquattro sere di fila, poi mi chiuderei in casa con la Playstation, invece di inspirare espirare il profumo dei pini. Io non ho la Playstation.

Sono in questo momento in una stanza senza finestre, una ragazza con il velo pigia tasti alle mie spalle, mi manca l’acqua salata che si asciuga sulla fronte e la stringe, il Corriere che costa un euro e non sporca le dita, la rosticceria dei bar a un euro e venti. Resta tutto da vedere l’effetto che farebbero una due tre novantaquattro sere di fila senza interruzione a mangiare rosticceria a un euro e venti.  

esco per strada a prendere un po' di aria

Esco per strada a prendere un po’ di aria, ché la mia camera è un buco, eppoi mi piace questo paesaggio che ho appena dietro la porta di casa: un lungo prato verde a dividere i due lati della strada e poi alti alberi che dall’alto della mia finestra vedo agitarsi al vento – e le foglie gialle, le foglie gialle che mi piacciono, ce ne sono anche adesso che non è autunno.

Esco per strada per prendere un po’ di aria e appena richiudo la porta dietro di me penso: le chiavi? Mi palpo i pantaloni e mi dico: le chiavi? Accavallo entrambi gli avambracci sulla sommità del mio cranio e mi ripeto: e le chiavi? Suono il campanello, ma lo so che non c’è nessuno. La padrona di casa a volte non torna per giorni. I cinesi e i filippini sono tutti andati via. Per una volta che mi sarebbero serviti…Ho un telefono in tasca, con il credito…? La vocina dice thirty-two cents. Benissimo. Chiamo la padrona di casa, le mando un SMS. Non ho il suo numero. Benissimo. Mi tocco di nuovo i pantaloni: le chiavi? Che faccio? Prendo il treno e vado a casa della Meisje? Non ho i soldi per il biglietto, e neanche i documenti. Be’, se mi arrestassero potrei trascorrere la notte al caldo, no? Meglio di No.

Il vicino di casa aveva letto un giorno la mia targa italiana e mi aveva salutato con un “Buongiorno!”. Che trascorreva tutte le estati a Riccione e un poco di italiano lo sapeva pure lui, ormai. Ho citofonato, mi ha aperto,mi ha riconosciuto, siamo andati insieme da suo fratello due case più in là.
Suo fratello aveva un neonato in mano che ha posato da qualche parte, ha aperto il suo camioncino di lavoro ed ha tirato fuori una scala. Una bellissima scala. Sulla scala sono salito io, e poi intrepido mi sono infilato nella finestra lasciata aperta della mia padrona di casa, ho visto il suo materasso posato direttamente sul pavimento, e la mancanza di libri lì attorno – sempre convinto, io, che ci debbano per forza essere dei libri attorno al letto, come le forchette attorno al piatto – e sono entrato in casa. Ho salutato la folla giù al marciapiede, donne e uomini e pure la neonata, e li ho ringraziati: avrei rischiato di dormire in strada, stanotte. E il barbaro-zio della neonata che mi dice Mannoòò, avresti dormito a casa mia.

Due giorni dopo la mia padrona di casa si presenta mentre apro il frigorifero e mi fa:
“Tu ogni tanto mangi certe insalate già pronte…”
“ Già”
“ Mi serve la confezione di plastica che hanno queste insalate, potresti perfavore ricordarti di..”
“Sì sì certo, te la lascio qui. Domani.”
“Perfetto, devo fare degli esperimenti”
“Aha”
“Vabè. Ciao”
“Ciao”

Ho visto il tuo materasso, pensavo, l’ho visto. Adesso mi dice che lo sa. Adesso me lo dice. Adesso mi dice, ho le prove che tu eccetera eccetera, sai la privacy, eccetera eccetera. Adesso me lo dice.
Non me lo ha detto, poi.

la babbiona tenutaria di questa casa

La babbiona tenutaria di questa casa mi fa impazzire. Raccolta differenziata, va bene, ci sto. Però santiddio, rendimi le cose umanamente possibili. Devo cucinare un pezzettino di carne e scartare un’insalata pronta? Sembra facile, non lo è. Metto il pezzo di carne in padella, e la confezione rimanente scopro che va buttata in un particolare scatolo segreto, che per trovarlo devi uscire di casa, andare in giardino, e allargare le pupille come fanno i gatti per vedere al buio, altrimenti il particolare scatolo non lo troverai mai.

La parte cartacea va invece nel bidone della carta, che però si trova fuori dalla casa, dall’altra parte, quasi sull’asfalto della strada. Siccome in casa si cammina senza scarpe – è tassativo – allora devi metterti le scarpe, uscire fuori e gettare la carta nel bidone. Poi togliere le scarpe e correre alla padella, che sennò si brucia tutto. Quando hai finito di cucinare, l’olio dentro la padella non può andare nel lavandino, ma deve essere raccolto in un barattolino misterioso che poi lei spedirà al consorzio nonsocosa, che ci faranno nonsocosa. La padella può essere lavata – anche se le dico, perchè sulla confezione del detersivo ci sono questi due che dormono? È davvero un detersivo, dimmi la verità! – e la padella bagnata non può essere asciugata con lo strofinaccio che usano tutti (no cosa fai! mi dice) perchè la padella potrebbe essere ancora leggermente unta (allora è vero che non era detersivo!). Devo asciugarla con la carta. Cazzo, la carta! Metti le scarpe, esci fuori, togli le scarpe, torna dentro. L’insalata ha una confezione di plastica. Per fortuna il bidone della plastica è lì. Ma nella confezione c’è pure una piccola bustina di salsa. Mi fa un po’ schifo, ne uso solo due gocce e poi chiedo alla babbiona: e questa? Non vorrai mica buttarla, dice lei. La prendo io, può sempre servire, mi fa. Sì okay ma in futuro dove dovrei buttarla, seguendo le giuste regole di questa casa? Niente, non me lo dice perchè parla al telefono (e nel frattempo annusa estasiata il contenuto della bustina). Vorrei vomitare sul pavimento.  

Nella prossima puntata: troppi cinesi sotto un tetto. Non mancate.

la mia nuova camera


La mia nuova camera ha la forma di L per un totale di dodici metri quadrati. In questo momento mi trovo nel bel mezzo dell’angolo retto che si trova in tutte le L degne di questo nome. Il tetto è obliquo – sono in mansarda infatti – e c’è una finestrella che se la apro e metto fuori la testa, la mia testa diventa tegola fra le tegole di un tetto tegoloso di una casa barbara. La mia nuova camera ha la forma di L, ironicamente un’ala è stata subito battezzata La Zona Giorno, e l’altra ovviamente La Zona Notte. In un angolo della Zona Giorno c’è un televisore enorme che da solo occupa più di un metro quadrato (e arriviamo quindi a undici effettivi) che non mi è permesso lanciare giù dalla finestrella. Questo angolo del televisore viene pertanto battezzato Soggiorno, oppure Living Room, che tanto ormai sta parola fa parte del mio vocabolario giornaliero.

Chi vive in questa casa, non lo so. Ho incontrato un brutto ceffo per le scale, e di sfuggito ho visto una Mafalda in pigiama che sciacquava il piatto della cena. Di sicuro ci vive la padrona di casa, una cinquantenne Babbiona che incarna perfettamente lo sterotipo della donna nordeuropea CristianoMalgioglia – che i più fedeli fra i lettori ricorderanno bene. Lei in particolare si pone sulla variante CristianoMalgioglio gelatinato, una delle forme più gravi di CristianoMalgioglismo, aggravato dalla tuta acetata indossata in casa mentre lavora al computer e dal tartaro in tonalità conforme alla tintura dei capelli. C’ho il parquet.

In questa casa comunque le scarpe sono vietate, si cammina scalzi – toh! che ricordi – non è permesso usare la cucina dopo le dieci di sera per non svegliare la Babbiona, e la lavatrice la si può usare solo nel fine settimana. Qui sotto ci vive uno della Thailandia. Io sta cosa di cambiare casa in continuazione ho sviluppato un quattordicesimo senso per cui dopo dieci minuti in un luogo, dopo aver scaricato e messo nei cassetti la mia roba, mi pare subito di viverci da sempre. Io sta cosa di cambiare casa in continuazione ormai mi scivola addosso come fosse niente, in fondo mi basta sapere di poter parlare con chi voglio io, e di avere una lucina vicino al letto per leggere prima di andare a dormire, mi pare davvero di avere tutto. E non è che mi pare, è proprio così.  

credevi sarebbe stato facile

Invece proprio per niente. Breve rivisitazione delle recenti mie esperienze alla ricerca di una nuova camera qui in Paese Basso. Un breve riassunto che tiene conto del fatto che le mie esperienze non sono mica finite, ho da continuare ad esperare chissà per quanto. Espera e spera che poi si avvera, direbbe il saggio.

Casa numero uno. Tristezza cosmica. Casa che si preannuncia lugubre già all’ingresso, con una montagnetta di scarpe abbandonate appena dietro la porta di ingresso. Soggiorno illuminato da luce fioca cimiteriale e tavolino rotondo attorniato da tre sedie degne dei miei incubi peggiori. Sensazione di Hansel e Gretel. Uno degli inquilini è ben vestito e mi scruta sorridendo senza sosta, viene da pensare che da un momento all’altro dica che si tratta di uno scherzo, che non è vero che vogliono affittare la camera. Poi mi indicano un corridoio che sarebbe la cucina, e praticamente di fianco al fornello c’è una porta, e dietro la porta, il cesso. Più tardi qualcuno mi spiegherà che questa cosa di associare cucina e cesso oggi non è più legale, in Paese Basso. Un altro coinquilino esce dalla sua camera per presentarsi, ha una strana escrescenza sulla fronte, occhiali spessi a montatura nera e si spaccia per illustratore “free lance”. La mia camera è al piano di sopra. Scopro che essa, la camera, non è una camera ma in realtà sono due micro camere, in una c’è il letto, nell’altra la scrivania. Non avevo mai preso in considerazione l’ipotesi di sdoppiare così la mia vita – sebbene qui poi non si fa altro che sdoppiare e sdoppiare e sdoppiare. La sera stessa mi inviano un sms per dirmi che hanno scelto un altro. Ma pensa, dico io. Io leggendo l’sms ripenso all’escrescenza dell’illustrator “free lance” ed ho un brivido. 

Casa numero due. Mi accoglie una damigiana bionda che mi presenta alla sua coinquilina, la brutta copia della brutta copia di Kate Winslet in quel film, come si chiama, Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Dev’essere per la tinta dei capelli. Qui la camera sarebbe anche buona, supera i 15 metri quadri – che da ste parti è un lusso –  ma la cucina è nel corridoio, senza porte, di nuovo di fianco al cesso. Scopro che hanno avuto 70 richieste e che io sono uno dei fortunati Quattordici ad essere stato invitato. In quel momento me la gioco con una matricola che sputacchia saliva mentre parla della sua confraternita universitaria Pace e Amore. Kate intanto fuma quattro sigarette in mezz’ora, e secondo me la pelle del suo braccio è troppo bianca per essere vera, pare ricotta, potrebbero addirittura vedersi le ossa. Alla fine io vado via prima degli altri perchè mi è parso di aver lasciato la Meisje da sola a casa attorniata da una combriccola di motociclisti omosessuali. Il giorno dopo mi fanno sapere che non sono il prescelto. I motociclisti non erano omosessuali. Peggio.  

Casa numero tre. L’intervista me la fa un turco che subito mi fa sapere che lui non vive lì. Chi ci vive, allora? Altri, dice. Ad un certo punto passa di lì un nano capelluto ed il turco si rianima e mi dice, ecco lui, per esempio, vive qui. Il nano ride e si presenta. Il momento più bello è quando vogliono mostrarmi la doccia. Per di la’, mi dicono, e mi indicano un tunnel nero – giuro, era nero – e mi incitano, se vai oltre, si può accendere la luce. Io faccio tre passi nel buio più totale e torno indietro. Per quanto mi riguarda potrei risvegliarmi John Malkovic. Il turco sparisce nel tunnel e infine accende la luce, perchè la luce c’era davvero. Ed io che non mi fidavo. La cumpa allegra di turchi, nani e ballerine, comunque ha imbrogliato sulla metratura della camera, è almeno la metà di quello che avevano detto. Al posto dei mobili ci sono due bauli da isola del tesoro. Uno dei lati è lungo quanto il letto, l’altro lato sono tre passi e mezzo dei miei. Improvvisamente mi sento un criceto, dico che ci devo pensare, che al massimo entro la serata farò sapere se mi va bene, nonostante l’imbroglio sulla metratura. Ed è proprio quello che farò, appena finisco di scrivere qui, mandare sta benedetta mail e dire al turco col nome che comincia e finisce per U che mi dispiace, sono contento che mi abbiano invitato – frase che ruffianissimo ripeto sempre – ma non se ne parla proprio di fare il criceto, nei tempi prossimi venturi.

tanto per cambiare

Tanto per cambiare cerco casa. E siamo a cinque, con questa. Da settimane rispondo alle inserzioni su internet – qui non esistono volantini incollati al muro come nelle cittá universitarie italiane – ma nessuno mi risponde. Nessuno. Il mio messaggio non va bene? Sono troppo educato e formale? Ma che ne so. Decido di cambiare il messaggio, lo riformulo da assonnato e sprofondato nella poltrona mentre penso ad altro e ho una doccia in sospeso. Non rileggo quello che scrivo. Premo invio. Siccome siamo in un paese di folli, finalmente qualcuno mi risponde. Vado a rivedere cosa avevo scritto nel mio messaggio, e confermo: siamo in un paese di folli. 

Hello! my name is Raffaele. I am a graduate in Veterinary Medicine from Italy, studying and working in Utrecht. 
I am tolerant and clean, I had many experiences of living with other students and workers, in different countries and with different type of people.
I don’t make problems, I can cook dinners, I can tell stories, I can sing songs, I can stay silent, I can disappear when required, and if you call me for the room, I could also convince you that I am able to fly. Sure!
My interests are music and literature. But if you don’t like, I can also change them.
For further info, photos or anything else, just mail me! 
I really hope to hear from you soon.
Thank you.

se stanotte non ho dormito

Se stanotte non ho dormito, in parte é per colpa di Tolstoj, in parte non lo so. É sempre la parte che non so, a crearmi grossi problemi.  Devo cercare di risincronizzarmi con il mondo circostante: ultimamente mi sfugge il motivo dell’affannarsi dietro alla moneta, per esempio. Stamattina il sonno era uno svergognato, non aveva nessuna remora ad attaccarsi al mio cranio come fosse stato una zecca enorme. L’ho presa con ironia, sorridendo piú del necessario e lavorando come se davvero non volessi fare altro se non esattamente quello. Questi giorni senza valigia mi hanno fatto sentire come un San Francesco spogliato di tutti i miei averi, solo che una parte degli averi mi era rimasta, ed era sufficiente per contare su di un ricambio di mutande. Adesso mi sento ricchissimo, e quindi non capisco tutto sto affannarsi per la moneta. Ho visto YesMan di Jim Carrey, film che consiglio, e cerco anche di consigliarlo a me stesso, il film vorrebbe averci un significato di fondo che dovró tenere bene a mente in futuro. Resta il fatto che in lingua originale il sottoscritto comprende soltanto la metá. É proprio una questione di pigrizia mentale, dopo dieci minuti di attenzione sull’accento americano comincio a focalizzarmi sui colori delle cravatte e la curvatura del mento.   

ieri sera l'automobile

Ieri sera l’automobile che mi ha riportato a casa era ripiena di curdi, e l’autoradio mandava un disco di canzoni arabeggianti con tanti nghh ngmmmm nggh e miiiii proprio come aldo di aldogiovanniegiacomo. Un curdo, in questa fine di 2008, è una delle persone con cui ho legato di più in questo Paese Basso. Con gli arancioni servirà forse più tempo, o forse più volontà.  

Due sere fa sono entrato in cucina e ho conosciuto due ragazze  -una tedesca e un aranciona – mai viste prima di allora, e mentre ci parlavo insaponando i piatti non sapevo perchè erano lì nella mia cucina, e se erano ospiti di qualcuno della casa, e se pure erano ospiti, ospiti di chi. Si è parlato dei Cristiani Malgiogli dell’Europa Nord Occidentale, di polizia tedesca, e di vecchie bacucce con i cani per la strada. Un gatto è zompato in casa dalla finestra come fosse casa sua.   

Fra le chiavi di ricerca vince quella di Cristina, quella di Fonzie viene squalificata perchè come hanno fatto notare erano i versi di una canzone.     

Il mio coinquilino gay superbello si fa una caffettiera da quattro di espresso solo per lui, alle dieci di sera. No, non è per studiare, ti spiega, è per trovare la forza di pulire la camera.   

Io invece domani mattina prendo un treno che mi porterà prima a Rotterdam, poi a Parigi, e poi un aereo mi catapulterà giù fino in Salento. C’è voglia di vedere gente, e di sentirsi raccontare storie. Non c’è voglia di portare a termine la valigia. Intanto leggo Lev Nikolaevič Tolstoj senza premeditazione. Mi diventa ogni giorno più evidente di quanto internet faccia male al cervello e alle intenzioni. Il mio 2009 deve essere più denso e povero di silenzi, ché ne ho fatto una sufficientissima scorta. Non devo dimenticare le pantofole. Ci si sente da laggiù.

certe volte succede di dimenticare

Certe volte succede di dimenticare i motivi per cui ho messo su ste pagine di blogghe, ovvero i princìpi fondanti che in teoria dovrebbero ricordarmi in ogni momento perchè e percosa continuo, e perchè e percosa in teoria sarebbe meglio continuare piuttosto che No. Per esempio scrivere come prendere appunti, che magari un giorno potresti aver voglia di rivangare.

Per esempio ieri alla Meisje le ho detto; alla cena coi i tuoi colleghi Sì ci vengo, però che palle.

La sua posizione invece era più o meno la seguente: ma come che palle, da te mi aspettavo – nel peggiore dei casi – di fronte ad un avvenimento del genere, la neutralità, non la negatività. Io le ho risposto altro che neutralità, non mi va di fingermi conversatore di argomenti che non mi interessano, conoscendo le persone, però siccome credo sia giusto farlo, lo faccio.

Lei ribatte (intanto io sbaglio strada per lo sforzo di raccogliere le idee) non voglio costringerti a fare cose che non vuoi fare. Preferisco che tu non venga. Guarda davvero giuro, preferisco. Io le dico, non sei tu che mi costringi, sono io che mi costringo, ne convieni? A questo punto non ricordo più la sua risposta, ma sicuramente abbiamo ricominciato tutto il discorso dall’inizio (nel frattempo ho trovato parcheggio) e la conclusione è stata: ci sarei venuto senza fare troppe storie – ci avevo solo infilato un ChePalle fra le righe – però adesso non solo dovrei fingermi il conversatore che non sono, riempire gli eventuali spazi di silenzio durante la serata o sentirmi in colpa o in ansia perchè non riesco prontamente a riempirli, ma dovrei anche fingere con te che non mi sto facendo due palle, ma anzi sto proprio bene, anzi facciamolo più spesso. Stando così le cose, sarei venuto, ma non ci vengo. Anzi sai cosa? Mi compro due pizze surgelate per stasera. E allora io non ti dico come si usa il microonde in funzione grill, dice lei. E se le compri, è finita. Dai, comprale che è finita. Vuoi vedere? Comprale.

Tra parentesi, vivere in un paese straniero, vuol dire che ti puoi mettere a fare ste scenette in mezzo alla gente, pronunciare assurdità, mettere in atto finte tragedie fra gli scaffali del supermercato, e nessuno capisce nulla, anzi una vecchina in un pub (poco prima) ci ha guardato sorridendo per tutto il tempo, certamente non capendo nulla, o forse pochissimo, di quello che nel frattempo veniva detto.

con il mio ultimo trasloco

Con il mio ultimo trasloco mi riposiziono nella stessa casa dove già ho vissuto per sei mesi durante quest’anno, anche se non nella stessa camera. Ora vivo in una camera da femmine. No, non da ragazze, proprio da femmine. Sulla porta c’è un poster che raffigura i gli addominali a tartaruga di un modello muscoloso, mentre il modello muscoloso si guarda l’inguine e se lo copre con un pugno e un frammento di asciugamano. Ho anche il DVD del Titanic a disposizione, se mai volessi vederlo. Se mai.

Il vicino di camera lancia bombe con il suo videogioco fino a notte, tranne oggi. Apro la porta del corridoio e me lo trovo davanti, sorridente, mi dice che va a prendere un po’ di chinese food da qualche parte.   

Il gay biondo, quello che si credeva non fosse gay ma che invece lo era, è tornato dal suo periodo di studio all’estero con i capelli leggermente più lunghi e un grande acquario per pesci rossi.    

Fino a qualche giorno fa nel corridoio c’era la cornice di un quadro con al centro un paio di mutandine femminili inchiodate. M’è sembrata un’opera d’arte – pensa che scemo – quando invece erano le mutandine di quella che vive al piano di sopra e mette le sue cose ad asciugare appese sulle scale, con il risultato che poi, per due giorni a settimana, qui piovono mutande.

cerchiamo di capire

Cerchiamo di capire cosa significa vivere velocissimo. Chè io, in questi giorni, sto proprio vivendo velocissimo. Chè quando me lo chiedono, quando mi chiedono come sto, dico «occupato», oppure velocissimo, e a vedermi da fuori devo essere proprio una palla, ma una palla. 

Vivere velocissimo, cosa significa – per esempio stamattina bloccato nel traffico aprivo il libro sul volante per studiare, poi lo chiudevo, poi andavo all’università, poi dopo raccontavo tre cazzate per sfilarmi via e veloce correre a lavorare – significa in pratica che i momenti in cui ti accorgi di come stanno andando le cose sono sempre di meno, e sempre più brevi. Succede che te ne accorgi all’improvviso, per un mezzo secondo – in quel mezzo secondo ti rendi conto di chi sei, cosa fai e dove vai, del colore dei muri e delle rughe sulle mani – e poi puf!, niente più, il mezzo secondo è già trascorso, andato via.

Come quando mi succede per qualche istante brevissimo di osservarmi dall’esterno – dura solo qualche momento: io sto parlando in una riunione di lavoro, muovendo le dita nell’aria, oppure con gli scienziati dell’università, e all’improvviso mi vedo dall’esterno, da un punto impreciso dietro la nuca – e allora dico a me stesso: ma com’è possibile che ti trovi qua? Ma come sono andate le cose che adesso ti trovi qua? E soprattutto: com’è che questi ti stanno ascoltando? Ma tu davvero hai voce in capitolo? Ma davvero? Ma fammi il piacere! E niente, non so se mi spiego, probabilmente non mi spiego. Comunque poi dopo mi ricongiungo velocemente con la mia nuca e tutto finisce lì.

qui si scappa tutto il giorno

Qua si scappa tutto il giorno in preda alla frenesia. Questa cosa del lavorare e studiare significa che mi trovo a scappare tutto il giorno in preda alla frenesia. Mi porto addosso certe occhiaie che mi ricordano i tempi andati, e in tutto questo le mani non sono piú sufficienti a trattenere con me le cose che mi servono. Il me stesso di questi tempi – infatti – scappa sotto la pioggia con uno zaino appeso ad una spalla che gli rende la corsa sbilenca verso un lato, mentre una mano trattiene una busta e con l’altra una banana (dice che la banana fa bene all’umore) e poi siccome non ha piú mani, quell’importante articolo da leggere prima di sera se lo tengo in bocca, epperò siccome non ha mani per un ombrello l’articolo si bagna, eppoi mentre scappa cerca di prendere l’ombrello dallo zaino spostando la banana nella tasca del giubbotto (dice che la banana contiene serotonina, ecco perchè può aiutare l’umore) però infilando le mani nello zaino invece dell’ombrello tira fuori un paio di mutande, perchè stando tutto il giorno fuori casa ormai si porta dietro qualsiasi cosa.  

Ieri un benzinaio romeno parlava italiano e mi raccontava che lui è stato a Bormio, ecco perchè parlava italiano. Io masticavo chewing-um e pensavo ad altro, a tutt’altre cose che non c’entravano niente, mentre cercavo in tasca i soldi per pagare.