Non ci si deve stupire

Non ci si deve stupire dell’abusato termine “buonista”. Pare assurdo ma e’ tutta una questione di prospettive.

Dalla prospettiva dell’egoista, del povero di spirito che non prova empatia, dalla prospettiva misera di colui che pensa solo al proprio ritorno personale, del bifolco della macchina parcheggiata in seconda fila che blocca l’ambulanza, della lavatrice rotta scaricata in campagna, da quella prospettiva insomma, pare inconcepibile che altri esseri umani possano provare dei sinceri sentimenti di compassione, di empatia, di dolore pensando al dolore degli altri. Che siano davvero disposti a rinunciare a porzioni di proprio benessere per trasferirlo a chi affoga nel mare di gennaio. Che siano disposti a rinunciare a qualcosa seguendo concetti impalpabili tipo la coerenza a valori etici. La loro intera esistenza e’ fondata sulla sacra legge del fottere il prossimo, del fottere lo Stato. Non sono cattivi per scelta. Sono cattivi perche’ ignoranti come la merda. E per loro un pensiero o un’azione politica fondata sulla generosita’ senza guadagno pare impossibile.

Pare inconcepibile: credono che sia tutto un bluff. E infatti non solo usano la parola ‘buonista’ come fosse un insulto, ma dicono proprio finti buonisti. Finti. E questa e’ la prova definitiva di quello che passa nelle loro teste: ‘finti’. Perche’ non e’ possibile che sia vero.

Le cose che ho imparato

Le cose che ho imparato in questi giorni di Bruxelles “blindata” causa terrorismo sono almeno due.

Ho imparato sulla mia pelle che i giornalismo è fondato sull’esagerazione. Ok è risaputo, ma qui l’ho visto concretamente. Non si tratta di esagerare la realtà dei fatti raccontando falsità (si fa anche quello). Si tratta piuttosto di decidere di raccontare alcune cose e non altre. Per esempio in questi giorni di allerta i giornalisti hanno cercato selettivamente di raccontare determinate storie e non altre. Per esempio, ho trovato un giornalista alla ricerca di madri che avessero deciso di accompagnare i loro figli a scuola personalmente in automobile piuttosto che farli andare da soli coi mezzi pubblici, causa terrorismo. E’ chiaro che su una città intera alcune madri abbiano preso questa decisione. Ma cercare selettivamente queste madri (ancora prima di sapere che esistano), per poi produrne un servizio televisivo, non vuol dire informare.

Ho imparato che se il terrorismo serve a creare paura, funziona. La gente effettivamente ha paura. Non solo: la gente ha anche paura di ammettere di avere paura. Ho visto gente che vive qui da vent’anni raccontare di non uscire di casa a causa del freddo. Nell’inverno più caldo della storia. Ho imparato che la gente ha paura e non combatte per nulla: la gente si nasconde nel proprio guscio e attende la pace. Evidentemente ci hanno riempito la testa con parole come “la nostra cultura” e “libertà”, ce le hanno ripetute così tante volte che poi – queste parole – hanno perso il loro significato originario.

Combattere per la nostra cultura e la nostra libertà – in quei giorni – significava semplicemente non chiudersi in casa, avere il coraggio di essere in un bar: la nostra cultura era rappresentata materialmente dal bicchiere di birra davanti a noi. Chiudersi in casa – suona retorico, lo so – significava non combattere, ammettere la sconfitta. Ancora prima della paura (della codardia?) sono rimasto stupito dall’apatia. Com’è possibile, mi sono chiesto notando meno gente per strada, che non sentano l’obbligo civile di essere presenti per strada proprio adesso, che non vogliano celebrare la loro cultura e libertà con un bicchiere di birra? Com’è possibile che non si sentano sfidati e non reagiscano? Ci dovrebbe essere più gente in giro, ancora più del solito, piuttosto che meno.

Mentre scrivo tutto è tornato normale, e anche questo non ha senso. Perché come la paura era largamente irrazionale, anche il dissolversi della paura, semplicemente dettata dallo scorrere dei giorni piuttosto che da una reale diminuzione del pericolo, è pure quella totalmente irrazionale.

Come già scritto in passato e’ impensabile che la Chiesa accetti preti non celibi, e ancora più impensabile che accetti preti non celibi ed omosessuali. Il motivo non e’ l’arretratezza dell’istituzione Chiesa, quanto invece una banale strategia di sopravvivenza.

(Ri) spieghiamoci.

In determinate società dichiararsi omosessuali, oppure accettarsi come tali, e’ complicato. Le posizioni della Chiesa peggiorano questa situazione.  In queste società, tra quelli che non riescono a dichiararsi, alcuni decidono di vivere la loro vita clandestinamente, altri vengono attratti dalla vita religiosa. Molto semplicemente, mentre al di fuori della Chiesa cattolica ci si aspetta che l’individuo abbia una vita di relazione, e magari una famiglia, all’interno della Chiesa queste pressioni non esistono grazie alla regola (medievale) del celibato dei preti. Il celibato dei preti e’ l’alibi perfetto di coloro i quali vogliono scappare dalle richieste della società, e’ il modo più socialmente accettabile per astenersi da una vita sessuale e sentimentale mainstream.

E infatti i seminari sono infarciti di gay, o almeno se ne trovano in una percentuale nettamente più alta della popolazione totale. Chiunque abbia parlato sinceramente con un seminarista avrà sentito questo, e anche storie che niente hanno a che fare con la castità. Se da adulti si e’ vissuti in una società dove gli omosessuali non hanno bisogno di nascondersi, si sara’ sviluppato un minimo di “occhio clinico” per riconoscerli, e cosi’ il pensiero tornerà a quel prete di provincia della nostra infanzia che oggi, con la consapevolezza acquisita, non possiamo non credere non fosse gay.

L’alibi del celibato e’ uno stimolo potente per le vocazioni. Aiuta a nascondersi, e aiuta a “lottare” contro la propria natura, anche se poi la battaglia e’ sempre persa. Lo stesso teologo Charamsa ha dichiarato che all’inizio, non accettandosi, si erasottomesso con pignoleria zelante all’insegnamento della Chiesa e al vissuto che mi imponeva“. Sono storie di repressione che una volta esplose, di solito fanno molto rumore: basta cercare e si trovano esempi anche nelle settimane recenti.

Quindi, se l’alibi del celibato e’ uno stimolo potente per le vocazioni, può la Chiesa in un periodo di crisi di vocazione, abbandonare questo strumento?

Il Ministro dell’Istruzione Giannini ha ascoltato un contestatore recitare al microfono una lunga accusa nei suoi confronti, un testo che il contestatore recitava leggendolo dal suo smartphone (si era già parlato di ministri che danno la parola ai contestatori qualche post più sotto).  Alla fine della lettura lo studente ha provato ad abbandonare la sala, già questo segnale evidente che oggi non si fanno più domande per ottenere risposte, ma si fanno domande solo per lo show, si fanno domande provocatorie solo per misurare l’applauso che ne segue, secondo un rituale inculcato dalla televisione.

Hanno fatto tornare lo studente al suo posto ed il Ministro ha detto (qui il video):

Il contenuto che lei mi ha detto leggendo un testo è un contenuto che ho già sentito in molti altri contesti. L’unica cosa che mi permetto di dire, al di là del merito che è sempre legato ai temi che lei ha citato, è: abbia il coraggio, qui come altrove, di dirlo con parole sue, abbia il coraggio di esprimersi liberamente, abbia il coraggio di non leggere quello che qualcun altro ha scritto per lei. Guardi, faccia l’uso che ritiene, ma abbia il coraggio di fare questo.

Non so spiegarne esattamente il motivo ma questa risposta mi ha emozionato, molto.

bisogna smetterla

Dunque ricapitolando, dei cosiddetti antagonisti hanno cercato di bloccare un dibattito pubblico con il Ministro del Lavoro; qualche giorno prima dei cosiddetti antagonisti hanno cercato di bloccare un dibattito pubblico con il Ministro dell’Istruzione; infine dei cosiddetti antagonisti con le molotov sono stati arrestati mentre preparavano una “dimostrazione” contro l’Expo. Oggi antagonisti a Milano imbrattano gli esercizi commerciali. Tutto nel giro di pochi giorni.

A parte il mio innato fastidio per tutti coloro che con piglio fascista vogliono bloccare dibattiti ed eventi pubblici, verrebbe da pensare che queste persone (seppure fasciste) abbiano delle cose importantissime da dire. E che quindi utilizzino la violenza per farsi ascoltare.

Il Ministro Poletti, contestato, ha dato la possibilita’ ad uno degli antagonisti di spiegare le ragioni della contestazione. La prescelta e’ stata una certa Maria Edgarda, studente di Filosofia che nel momento in cui ha avuto un microfono davanti e gente che la ascoltava, ha purtroppo dichiarato questo:

Non ci racconti che il Paese sta cambiando, io lavoro per sei euro all’ora e lei viene qui e dice delle cose, ma poi fa passare il Jobs act e dopo tre anni la giostra si ferma e io sono daccapo. Ma lei sa cosa è davvero la precarietà? Non credo”. “Create la fiera del lavoro precario – ha ancora aggiunto -, dilapitate le risorse dei territori per cementificarli. E’ una farsa questa

Ovvero parole nemmeno originali, opinioni già rappresentate all’interno dei processi democratici (seppure come opinione di minoranza). E poi una confusione tra le esperienze personali e le decisioni di politica interna.  I manifestanti contro l’Expo oggi mostravano striscioni con la scritta “Io non lavoro gratis per Expo”. E chi vi ha chiesto niente, verrebbe da rispondere.

Va detto che anche gli stessi manifestanti che oggi volevano spaccare le vetrine di Manpower erano una esigua minoranza all’interno della manifestazione (tanto che si sono accapigliati tra violenti e pacifici).

Lo ripeto di nuovo: questi non sono ne’ militanti politici ne’ criminali. Semplicemente fanno parte di quella piccola percentuale fisiologica di persone che in ogni tempo, e in diversi modi (chi negli stadi, chi nelle guerre simulate, chi con il terrorismo) ha bisogno di vivere cosi’, opponendosi con violenza ai detentori del potere, immaginandosi guerrigliero per sollevarsi da esistenze insopportabili perché normali (ma dati alla mano, esistenze per lo più mediocri) e auto includersi in esistenze epiche, significative, rilevanti. L’obiettivo lo si raggiunge imbrattando i monumenti oppure in una rissa di tifoserie avverse. Altri obiettivi significativi con la rivoluzione e la violenza non sono mai stati raggiunti nell’era moderna. Bisogna quindi smetterla di ascoltare le ragioni proposte da chi urla (giacche’ spesso poco solide) e cominciare invece ad analizzare il fenomeno da un punto di vista scientifico se non proprio medico. Non si tratta di dare delle risposte alle loro proteste: questa piccola percentuale fisiologica di persone ha un bisogno fisico di vivere cosi’ e qualora una valida risposta venisse data, loro cambierebbero la domanda pur di continuare a combattere, piuttosto che vivere. Ce ne sono tanti, di esempi di “combattenti” che sono passati da una causa all’altra nel corso della loro vita, dimostrando che e’ il come, piuttosto che il cosa, che gli sta a cuore. Bisognerebbe cominciare ad identificare queste persone e permettergli di sfogare queste necessita’ in sicurezza (per loro, e per la comunità). Credere di poter eliminare completamente il problema e’ irrealistico, sarebbe come immaginare di eliminare completamente la tristezza, la noia o la frustrazione dallo spettro dei sentimenti umani.

Non si puo’.

Dovessi mai essere intervistato da un giornalista di una trasmissione d’inchiesta d’assalto tipo Report, accetterei solo a patto di essere ripreso con le stesse identiche luci e inquadrature dell’intervistatore. E quindi esigerei – come il giornalista che mi intervista – di non essere ripreso in faccia da molto vicino, di non essere ripreso dall’alto verso il basso, di non essere ripreso con le luci sbagliate in faccia. Nell’era della comunicazione tutte queste cose possono – purtroppo – fare la differenza. Anche quando hai qualcosa di sensato da dire, farai la figura del deficiente messo in difficoltà.

vous n’êtes pas Charlie

Innanzitutto chiariamo che vous n’êtes pas Charlie, voi non siete affatto Charlie. Avete soltanto premuto il tasto “condividi” su Facebook. Neanche io sono Charlie, sebbene la sera dell’attentato sia stato in giro per Brussélle – città pesantemente islamica – ad affiggere vignette blasfeme, come da fotografia.IMG_20150108_241900778

Dopodiché non chiedetevi come sia possibile compiere questi gesti in nome della religione. Togliete di mezzo la religione e immaginatevi a vivere in palazzi squallidi alla periferia del bel mondo. Immaginatevi poveri e appartenenti ad una porzione di società considerata inferiore e sgradita. Immaginatevi che l’appartenenza a questa porzione di società vi si legga in faccia, nei vostri tratti somatici e nel nome che portate – non potete nasconderla nonostante tutti i vostri sforzi.

Siete condannati a farne parte.

Adesso immaginate le vostre madri, mogli, figlie, che puliscono i cessi degli uffici dove pisciano gli appartenenti alla società dei “superiori”. Immaginate che questo non sia un lavoro come un altro, una sfortuna frutto del caso, ma un fatto scontato: le madri dei vostri amici fanno lo stesso, o qualcosa di simile. Non è un’esagerazione: sono quasi quattro anni che in questa parte di Europa gli schizzi della mia urina vengono puliti via da donne arabe che indossano il velo. Che la mia spazzatura viene raccolta da arabi. Che mi faccio portare in giro da taxi guidati da arabi. Immaginate insomma di essere nati dalla parte giusta del mondo ma di avere la faccia e il nome sbagliati, e per questo condannati all’emarginazione. Immaginate di rendervi conto che la sola vita a vostra disposizione verrà vissuta arrancando ai bordi, nell’underclass, ospiti poco graditi ma accettati finché tengono la testa bassa e non provano ad entrare in sala di comando.

Immaginate di essere circondati da tantissime persone nella vostra stessa condizione. La rabbia che provate, riuscireste ad ingoiarla o provereste l’istinto di sfogarla? In Francia molto prima delle motivazioni religiose, le masse di disperati hanno dato fuoco alla città. Anche se gli incendi sono finiti, la rabbia e la frustrazione sono rimaste.

Nella stessa situazione, riuscireste ad ingoiare la rabbia? Potreste rispondervi che la cosa più giusta da fare sarebbe sopportare: è vero, ma siete sicuri che tutti sceglierebbero la cosa giusta? E se – date le condizioni di cui sopra – non avreste niente da perdere, quanto attraente potrebbe sembrarvi una reazione che implichi vendetta e rivalsa verso chi vi è “sopra”? Quanto attraente sarebbe una reazione alla frustrazione che implichi generare paura?

Estremista è chi – ignorando il disagio della massa di disperati – accusa la religione di essere la causa delle carneficine.

Ma esiste una via per diminuire questo disagio, per sperare in una vera integrazione? Probabilmente No; ma questo è un altro discorso.

When Theo Van Ghogh was murdered in Amsterdam on November 2, 2004 by Mohammed Bouyeri, an Islamist with Dutch and Moroccan citizenships, many said that this was the failure of the Dutch model of integration by tolerance. When bombs planted by young Britons of Pakistani and Jamaican descent exploded in the London subway on July 7, 2005, many said that this signified the failure of the British model of integration by multiculturalism. A month and a half later, when levees broke in New Orleans under the onslaught of hurricane Katrina and the poor, predominantly black population was trapped in the flooded city, many said that this revealed the failure of the integrating power of the “American dream.” And when riots erupted on the outskirts of major French cities (though not in Marseille, as will be seen later) in November 2005, many said that this unmasked the weakness of the French “one-law-for-all” republican model of integration.
Now, that all major models of integration are proclaimed dead, serious analysis may finally begin, because these models often hide as much as they reveal.

Da qui

Bisogna avere la serenità ed il coraggio di dire che se i sindaci delle città italiane trascrivono le unioni tra persone dello stesso sesso anche se la legge non lo permette, ecco, questi sindaci stanno infrangendo la legge, anche se sarebbe normale e civile avere una legge che permetta alle coppie omosessuali di legarsi giuridicamente.

Prevaricare e ignorare la legge perché non la si ritiene giusta significa che non esiste legge ma esiste soltanto il giudizio personale. In altre parole significa comportarsi berlusconicamente. Ritenetevi pure progressisti – se lo ritenete – ma non lo siete affatto. Prevaricare la legge da una posizione di relativo potere – com’è quella di un sindaco, per esempio –  è pure un gesto arrogante perché implica che il potente può prevaricare pubblicamente, mentre sappiamo benissimo che il debole non può. Quando passa il messaggio che le leggi possono anche non essere rispettate se ritenute ingiuste a farne le spese sono i deboli, non i potenti.

Ci fossero forze NATO disoccupate, si potrebbe mandarle a lanciare bombe di pace su un programma che vedo in questo momento sulla televisione italiana – si chiama pechinoexpress – nel quale dei truzzi prevalentemente milanesi maltrattano poverissimi cittadini del sud est asiatico chiedendo di essere alimentati o ospitati gratis, smanacciando e smaniando in un inglese approssimativo come se si rivolgessero a delle bertucce, sputando disgustati i cibi locali a favore di telecamera. Qualcosa che va dritta al terzo posto fra le manifestazioni più beatamente razziste di cui sono mai venuto a conoscenza, appena dopo il colonialismo del 900 ed il turismo sessuale.

il fatto che tagliano le gole

Il fatto che tagliano le gole non mi pare un motivo sufficiente per andare lì a buttare le bombe.

Per due motivi: anche se tagliano le gole, in una determinata zona del mondo (molto piccola) sono i più forti. Andare ad indebolire i più forti  a forza di bombe per metterci al posto loro qualcuno di più debole voluto da chi ha buttato le bombe, significa instabilità perenne. E poi, se la paura è che uno di loro salga su un aereo per dirottarlo e schiantarsi in una cittadina del nostro occidente di gente perbene con l’ìWatch al polso, vorrei capire se al dirottatore serve uno stato islamico per farlo, se al dirottatore serve scritto sulla carta d’identità “califfato islamico”, o se può farlo anche senza.
Io direi anche senza. Io direi che potrebbe farlo anche arrivando chessò, dalla Svizzera.

A parte il fatto che l’innocenza dei marò è tutta da dimostrare, l’Italia che chiede il rientro di uno dei due indagati per motivi di salute, “per continuare le cure in Italia” sottintende un razzismo e senso di superiorità fastidiosissimo. E’ come dire che da quelle parti gli inferiori indiani non possano essere capaci di cure adeguate, qualora fossero necessarie. Immagino orde di africani che nelle carceri italiane indagati per reati meno gravi di un omicidio, chiedere in massa di tornare a casa un paio di settimane perché non si sentono tanto bene.

Adesso grazie ad Apple non si dovrà più tirare fuori il telefono dalla tasca per vedere che ore sono. Per il resto, leggendo i lanci di stampa, mi pare ormai definitivo che il target commerciale è un pubblico di fessi:

Si può avviare una particolare app che permette di effettuare piccoli disegni in tempo reale, da inviare alla persona con cui ci si è messi in contatto. Poiché Apple Watch registra anche il proprio battito cardiaco, è possibile condividere le proprie pulsazioni con un altro contatto, per dare una risposta più personale a una domanda.”

mettiamo che

Mettiamo che voleste creare un danno enorme al vostro Paese partendo da zero – cioè essendo dei pincopallino qualunque – non un ministro dell’economia o un ambasciatore impazziti. Mettiamo che proviate scientificamente ad identificare quale azione, come se fosse una gara con gli altri. Lanciare una bomba ad un monumento di inestimabile valore? Sono tutti controllati, e probabilmente verreste fermati prima. Un incendio? Spesso la spesa per domarlo e’ di qualche migliaio di euro. Deragliare un treno? A parte le vite umane, il danno viene causato soprattutto al privato. Un evasione fiscale mostruosa? Stiamo parlando di gente normale con vite normali ed entrate normali. Vi viene in mente qualcosa di più dannoso?

Niente?

Ora ancora più difficile: come può un pincopallino qualunque creare un danno economico enorme al proprio Paese e poi – sebbene riconosciuto colpevole di ciò – non essere incriminato ed uscirne con la fedina pulita? Viene in mente niente?

In questo gioco teorico la mia proposta e’: andare in una zona di guerra senza preparazione e copertura, e farsi rapire. Le conseguenze come si sa sono sempre milionarie, e nonostante il danno, il reato non esiste.

Eppure, la frase molto contestata del vice primo ministro turco sulle “donne che non dovrebbero ridere in pubblico” se uno ci pensa, se uno fa attenzione alle immagini evocate, e se cancella proprio quella parte inopportuna sulle donne che non dovrebbero ridere in pubblico, se uno contestualizza e attualizza il concetto di castità, quella frase, se uno ci pensa bene, e’ bella.

«Dove sono le nostre ragazze, che arrossiscono, abbassano la testa e volgono lo sguardo lontano, quando guardiamo il loro viso, diventando un simbolo di castità? (…) La castità è molto importante. Non è solo una parola, si tratta di un ornamento [per le donne]. Una donna dovrebbe essere casta. Dovrebbe conoscere la differenza tra pubblico e privato. E non dovrebbe ridere in pubblico».

Da come parla in inglese, da kamikaze temerario, Renzi lo metti nella categoria di quelli che a scuola pur non avendo studiato molto sapevano sempre rispondere, inventando comunqe qualcosa, sbagliando forse qualcosa, ma ogni volta con una faccia da culo borderline tra il saccente e il deficiente.

Il desiderio di essere come tutti

Francesco Piccolo ha vinto lo Strega con Il Desiderio di Essere Come Tutti.
Non si può evitare di celebrarlo, ché da queste parti si ha da anni Il desiderio di essere come Francesco Piccolo.

Da questa par­te, dalla parte degli antiberlusconiani, si sono posizionati “tutti gli altri”. E siamo tanti. Con pensieri molto diversi, ma costretti a stare tutti insieme. Stiamo tra di noi, comu­nichiamo tra di noi. Ci confermiamo le nostre ragioni, ci rassicuriamo su un assunto fondamentale su cui abbiamo molto bisogno di essere rassicurati: che il mondo miglio­ re è il nostro, assomiglia a noi e alla vita che viviamo, alle scelte che facciamo riguardo non soltanto a regole e leg­gi, ma anche a salute, cibo, educazione, linguaggio, libri, film, viaggi. Abbiamo pensatori di grande fama e carisma che stanno insieme a noi, ci rassicurano, dicono che siamo giusti e facciamo cose giuste; anche se il mondo sta andan­do da un’altra parte, anche se la gente in maggioranza vo­ ta da un’altra parte non ci dobbiamo preoccupare: stanno sbagliando e un giorno si ravvederanno, comprenderanno e torneranno. Abbiamo creato giornali su misura per noi, scrittori su misura per noi, film su misura per noi, eventi su misura per noi, e tutti ci comunicano compiaciuti che non stiamo sbagliando, che stiamo facendo tutto bene, che dobbiamo continuare cosí. Mai nessuno che metta in dubbio le nostre idee, si chieda se c’è qualcosa che non funziona, si chieda perché gli altri riescono a penetrare i desideri di una quantità di gente superiore alla nostra. Mai che andiamo a curiosare chi sono, cosa fanno, quali debo­lezze hanno, se nascondono una virtú che non riconoscia­mo. Siamo assolutamente sicuri che il mondo è diviso in due, quelli che stanno sbagliando tutto e quelli che stan­no facendo tutto bene, e per una coincidenza infelice la maggioranza continua a essere cieca e a guardare a quelli che sbagliano. Ma presto, molto presto, si ravvederanno.

(…)

Ho capito all’improvviso che assomigliavamo a quel gruppo di ciclisti che incontro ogni tanto per la città. che occupano tutta la strada procedendo con lentezza studiata, perché il loro obiettivo non è andare in bicicletta, ma punire coloro che sono in auto e sulle moto. Non sono usciti per andare da qualche parte, ma per bloccare il traffico. Appunto, per punire. Quando mi è capitato di trovarmi in mezzo a loro, intrappolato con il mio scooter, ho provato a infilarmi in uno spazio, a passare, e si sono incazzati. Mi hanno intrappolato e insultato, chiedendomi se ci provo gusto a inquinare la città o se mi piace morire di cancro. Non solo mi impedivano di passare, ma cercavano di piantare nella mia testa sensi di colpa e pensieri bui che mi sarei ritrovato di notte, nell’insonnia. Sono violenti, arroganti e inclini al sopruso, semplicemente perché stanno facendo una cosa più giusta della tua, semplicemente perché tu dovresti fare come loro.
Ogni volta che li incontro, nonostante pensi che abbiano ragione, che il traffico e lo smog sono insopportabili, la mia sensazione è precisa: sono contento di non far parte del loro gruppo, ma di stare insieme agli altri, agli automobilisti e ai motociclisti.

(…)
Quindi, con grande sorpresa, la sensazione che sento arrivarmi addosso, appena dopo essermi liberato della purezza, è soltanto un senso di sollievo. Nient’altro.

Ad un semaforo alla periferia di Parigi ieri pomeriggio due rom lavano il finestrino della mia auto. Quando passo ad uno di loro un euro quello mi dice che non va bene, sono cinque euro, perché sono in due a completare il lavoro. La mia risposta è una risata. Allora il più grosso dei due afferra il tergicristallo e lo torce facendo capire di volerlo spezzare, mentre l’altro urla. Il me stesso impavido sgasa e trasporta il rom sul cofano per qualche metro, facendogli capire che se insiste me lo porto in giro per la città, così aggrappato al tergicristallo che mi vuole spezzare. Si arrende e si stacca dal cofano.

Sai cosa, Papa Francesco: la questione non riguarda la tolleranza o la benevolenza, se non di disprezzo si deve parlare – e sono pure d’accordo – allora diventa una questione semantica, cioè si deve trovare un’altra parola che renda bene l’idea, piuttosto che nascondere la polvere sotto al tappeto.

delle conseguenze sanitarie del grillismo

Un’altro aspetto che mi preoccupa del grillismo è l’aspetto sanitario del fenomeno.

Mi spiego.

Il grillismo ha permesso a molte persone normali – cioè senza spiccate capacità o importanti network, dei parvenu assoluti insomma – di sognare di diventare qualcuno o qualcosa partendo da zero. Prima del grillismo queste persone normali chiacchieravano di politica al bar o con la moglie sul divano. Con il grillismo alcuni di loro hanno potuto accarezzare l’idea di poter diventare loro stessi i protagonisti della scena. Cioè hanno sognato per un momento di abbandonare le loro vite normali, in alcuni casi mediocri, e cominciare una vita più eccitante nella quale avrebbero percepito stipendi inimmaginabili prima (anche al netto di tutte le restituzioni) e rilasciare interviste ed essere ricevuti nelle stanze del potere.

Alcuni di loro ce l’hanno fatta.

Ma altri non ce l’hanno fatta. Oggi non riesco a pensare a quelli che non ce l’hanno fatta. Perché sono quelli che cadono da un’altezza più alta: partendo dal divano di casa hanno accarezzato sogni di gloria, e ora devono tornare alla vita normale di prima. Sono partiti da zero, arrivati a cento, hanno cominciato ad abituarsi all’idea, e sono ricaduti sullo zero, o forse pure più in basso.

Questo non e’ il destino di tutti quelli che si candidano e poi non ce la fanno, perché colui che e’ candidato per sue capacita’ indiscutibili (un professore o un economista) o colui che e’ candidato grazie al suo network (aka gli “intrallazzati”) torneranno alle loro professioni ben remunerate e apprezzate, oppure nel peggiore dei casi ai loro network (aka gli intrallazzi) che in qualche modo, in forme diverse, permetteranno di ottenere qualche gratificazione.

Il grillino No: in caso di fallimento torna alla sua vita normale, media o anche mediocre.  Le frustrazioni che deriveranno da questo ritorno al normale avranno necessariamente delle conseguenze (un mio concittadino ha appena deciso di immolarsi in diretta tv appena dopo la mancata elezione); delle conseguenze individuali ma poi anche familiari, e sociali. E’ lo stesso tipo di pensiero che si fa per i concorrenti dei reality show o dei talent, e di quello che può diventare la loro vita nel “dopo”, e di quanto saranno disponibili a ricalibrare una vita normale nel “dopo” e di quali possano essere i costi sociali di una mancata accettazione di un ritorno ad una vita normale. Chi fomenta illusioni crea un danno, e chi crea un danno (in teoria) dovrebbe pagare.

bello

Bello il risultato del PD per una serie di motivi. Qualcuno lo metto qui anche se non sono i più importanti, anche se non li elenco partendo dal più importante.

– Innanzitutto, se non il PD, cosa votare? Grillo non si allea a prescindere con nessuno, quindi votare lui significa non votare. Ai grillini che si disperano la domanda da fare – semplice semplice – è la seguente: perché mai avrei dovuto votare Grillo? Seriamente, perché mai: esiste al mondo un motivo che dia un minimo di significato all’atto di votare Grillo, qualcosa che lo renda più significativo del – chessò – prendere a schiaffi le nuvole? Grillino dimmi perché mai.

– Il mondo era impestato di berlusconismo, ovvero di gente inebetita dagli slogan e dall’apparenza. Dal contenuto e non dal contenitore. In tutto questo, benpensanti di sinistra per anni si sono sbracciati blaterando che era uno schifo. Era uno schifo in effetti, è vero, ma il mondo era ormai impestato e la comunicazione contaminata. I cervelli sbrindellati non recepivano messaggi più seri e sostanziosi (anche per questo è sbocciato Grillo del resto). Fino a quando è arrivato Renzi e ha approfittato dell’humus creato dagli altri, ha usato gli slogan e le promesse ma a suo vantaggio (piuttosto che perculare chi lo faceva) e ha vinto. Quando il gioco si fa duro, i duri restano in piedi e accettano le nuove (dure) regole del gioco, mentre i deboli dicono che le regole non vanno bene, poco prima di essere travolti.

– Al netto di tutto, a tirare la carretta nel PD ci trovi la Serracchiani e Civati, Cuperlo e Fassina e tanti altri, ovvero – e questo è un dato oggettivo – la migliore classe dirigente che oggi si può trovare in un partito. Imperfetta per molti motivi, e che può offrire molti motivi per incazzarsi, ma basta guardarsi attorno per trovare il nulla.

– Al netto di tutto, mettere una classe dirigente nuova e inesperta, e vederla stravincere, fa piacere vederla stravincere con compostezza, senza proclami e bava alla bocca.

– Sapere che il risultato non piace a Travaglio trasmette la sensazione inspiegabile e irrazionale che il risultato sia proprio quello giusto