qua si insiste con la storia dell'invidia

Qua si insiste con la storia dell’invidia di cui già qualche giorno fa. Adesso si mette a parlare il brizzolato tecnico di macchine supervelocissime. Secondo lui tutta sta storia che il signor S.B. si invita a casa donnine nude e le riempie di soldi e braccialetti e poi – per farle stare buone e zitte – le piazza a lavorare con gli amici suoi, è tutta invidia. “Invidia per la gente che ce l’ha fatta”, dice il brizzolatissimo.

Che poi: invidia?

A parte quello che si è già detto su questo concetto distorto e pretestuoso dell’invidia, poniamo il caso fossi invidioso. Allora, io adesso sono invidioso, giusto? Benissimo. Vuol dire che se lui, l’oggetto della mia invidia, fa il puttaniere, allora voglio farlo pure io. Benissimo. Posso fare il puttaniere? Mah, aspetta un momento che controllo i quattro soldi che ho da parte. Non sono granchè, ma direi di Sì. Del resto da queste parti sarebbe anche legale. Per capirci il puttaniere riesce a farlo chiunque si trovi qualche decina di euri in tasca e una mezzora da spendere. Allora, visto che posso, vado a fare il puttaniere?
No.
E dunque?
Qualcuno a sto punto dovrebbe spiegarmi la mia invidia, perchè io da solo non ce la faccio.     

più di trenta

Più di trenta persone sono arrivate qui ieri cercando “il gallo della salvia quando è in amore”. Nel frattempo io ero allo zoo (è vero). Però il gallo della salvia fra tutti gli animali non c’era, e a sto punto sono curioso. Update: eccolo.

sono impegnato in questi giorni

Sono impegnato in questi giorni a fare il Cicerone a porzioni della mia famiglia arrivate qui in Paese Basso. Ho misurato lo stupore, il numero di Oooh, e la classifica momentanea vede al primo posto le biciclette – in particolare le biciclette in giro per le strade anche quando piove – , il verde sfrenato (che però è uno stupore accentuato dallo sbalzo Paesello mediterronico in piena siccità vs Paese Basso immerso nell’acqua) e infine il numero sconfinato di pecore e mucche ai lati delle strade. I quartieri a luci rosse non entrano in classifica.

L’altro giorno al mercato dei fiori di Amsterdam ho visto due coppie di italiani, italiani riconoscibilissimi. Il primo maschio portava a tracolla un enorme borsello rettangolare di Louis Vouitton, condito da cappellino e occhiali da sole. L’altro maschio, il maschio dell’altra coppia, al a tracolla, portava lo stesso identico borsello.

allora praticamente

Allora praticamente succede che mi distraggo un momento ed esce fuori sto Gino Flaminio, che lasciando perdere tutta la storia che racconta (pure interessante per carità) è la conferma ulteriore che questa storia è stupenda, che non ti lascia mai tre giorni senza un colpo di scena, e che il nome Gino Flaminio – prendiamo un momento in esame il nome, dimentichiamo tutto il resto – mi ricorda  vai a capire perchè Gino Pilotino, anche se sto gioco io non l’ho mai avuto, ne  ho solo subito la sigla televisiva con la musichetta irritante, e meriterebbe davvero di diventare un nome cult, il nuovo Luther Blisset di noialtri.

nuvole di fantozzi dei giorni nostri

ah, be’ ma se ricominci vuol dire che che l’ hai col signor S.B. Ma figuriamoci! Anzi vuoi saperla una cosa? Per quanto mi riguarda il signor S.B. e’ un politico capace anche piu’ della media dei politici colleghi suoi. Non lo voterei, ma non e’ che sono contro a prescindere. A me interessa l’aspetto sociologico della cosa, dico davvero.  Ma siccome fra i miei totmila esami dell’universita’ non ho un esame di sociologia, allora non posso forse parlare di sociologia. Mi piace osservare. Allora si potrebbe dire che mi piace l’aspetto "osservazionologico" della cosa.

Per esempio adesso esce fuori che e’ un corrotto ma lui se la prende coi giudici prevenuti. Questa strategia, nessuno se ne rende conto, e’ grandiosa, e funzionera’ in eterno. Perche’ dell’Italia – e’ un anno e mezzo che sono via ormai, ma ste cose le ricordo bene e riguardano anche me medesimo – bisogna dire che e’ innanzitutto un popolo che di fronte alle avversita’ si giustifica. Di fronte alle avversita’ ma soprattutto di fronte alle accuse. I mariuoli a Napoli, per fare un esempio, se tu li prendi mentre spacciano sigarette di contrabbando, quelli si mettono a smaniare invocando San Gennaro e la sventura che li ha colpiti, e dicendo che mannaggia la miseria, come devono fare loro a tirare avanti? Che mica e’ colpa loro, si mettono a dire. Ci sono quelli che dicono che sono a dieta e che pero’ ingrassano lo stesso anche senza mangiare, dicono loro (ma nulla si crea e nulla si distrugge, dice un principio della fisica) e che la colpa e’ del loro metabolismo, la bilancia dev’essere guasta certamente, mica e’ colpa loro. Quelli che non studiano, poi li bocciano all’esame perche’ il professore e’ un bastardo. Si giustificano. L’esempio classico e’ la multa del vigile urbano. Tutti – me compreso – con la multa sul parabrezza bestemmiamo contro il vigile, perche’ per qualche motivo che vai a capire quale sarebbe sto motivo, la multa non e’ giusta, e il vigile e’ uno stronzo.

Prendersela con i giudici – o in generale prendersela con qualcuno per le sbavature della propria condotta – e’ una versione moderna e piu’ rassicurante della nuvola di Fantozzi. Cioe’: non e’ colpa mia, ma della nuvola. E nel 2009 questa nuvola e’ sicuramente di sinistra. Solo che giustificarsi in linea di massima e’ da perdenti. Io mi rendo conto di esserlo quando lo faccio – mi rimane un gusto amaro in bocca e la coscienza ha il prurito sotto i piedi. Pero’ se il vincente per definizione si mette a trovare giustificazioni, ecco che lui diventa il simbolo di tutti i giustificati. La via per il riscatto morale e sociale. Ecco che tutti i giustificati si identificheranno in lui. E preferiranno credergli, perche’ se lui ce la fa, ce la fanno anche loro ad uscirne puliti, dai loro pastrocchi quotidiani. Anche di fronte all’evidenza, meglio credergli, perche’ il castello di carte non e’ solo suo, ma alla fine e’ appartiene a tutti, ognuno ci ha messo la sua di carta, e se cominci a sfiatare, aggiustare controllare, poi finisce per crollare tutto per terra.

La vicenda che non se ne puó fare a meno

Questa é la vicenda che non se ne puó fare a meno, che se uno ci si mette a guardarla, puó trovarci tutto, la spiegazione definitiva per tutto. Adesso il B. si arrabbia perché su Repubblica hanno pubblicato dieci domande sulla storia della minorenne. Si arrabbia B., e dice che questa é tutta invidia. E infatti i sostenitori in giro per la rete ripetono molto spesso la identica cosa: è tutta invidia. Un considerazione, allora:  

L’invidia. Prendiamo quel tipo di persone che quando formuli la critica, quelli ti rispondono che la tua è tutta invidia. Attenzione che non é cosa da niente, perché questa risposta divide di netto due mondi. 

L’invidia sarebbe dovuta a qualcosa che non hai e che vorresti avere. Mentre la critica che fai é per un sistema di valori tuo interno, perché usi questo sistema di valori interno per guardare il mondo. E se trovi qualcuno o qualcosa nel mondo che cozza fortemente col tuo sistema di valori, allora analizzi, emetti un giudizio (che si basa sul tuo sistema di valori interno) e quindi in pratica critichi. L’invidia, detta in modo rozzo, é un attacco di tipo quantitativo (“vorresti avere quasta cosa, che non hai, e allora parli perché sei invidioso”) quando invece la critica é una mossa di tipo qualitativo (“fai/sei diverso da come io credo si debba essere/fare”). Fra chi si muove nel mondo usando i criteri Piú e Meno, e quelli che conoscono altre direzioni possibili. Uno che ha fatto le scuole direbbe che è un problema di sovrastrutture. Ma lasciamo perdere. Questo ragionamento comunque divide le persone agli antipodi. Se il tamarro – per fare un esempio – sfreccia con la sua decappottabile in pieno centro, spaventando i pedoni, rombando al semaforo, clacsonando quando serve, tu che hai un sistema di pensiero qualitativo lo criticherai perché si sta comportando secondo te in un modo che non dovrebbe, che non va bene in un contesto civile. Lui, sapendosi criticato, penserá che la critica è dovuta alla voglia matta che hanno gli altri di essere al posto suo, sulla decappotabile fresca di autolavaggio, a clacsonare e rombare fra la gente. Ecco perché chiunque ti accusi di invidia – e su ste pagine è successo tantissime volte – é sempre meglio lasciar perdere, perché nel momento in cui qualcuno tira fuori l’invidia, a quel momento si stanno parlando due lingue diverse.   

Gli accenti sbagliati – è bene ripeterlo di tanto in tanto – sono dovuti alle tastiere sballate di queste parti.

questa casa in cui vivo – lezioni di sana e consapevole intolleranza

Questa casa in cui vivo mi fa conoscere aspetti di me che non potevo sospettare. Il cinese effeminato lo incontro in cucina con la sua tutina e la maglietta albicocca aperta sul petto, e sul petto ha questo enorme neo rotondo che vuole richiamare la mia attenzione, essendo piantato su lucida e glabra pelle cinese. Lui dice: Oh! In cucina non ci stiamo tutti. Oh!, scusa fammi passare (la cucina è microscopica), Oh! Scusa ho dimenticato il mio teapot. Cerco di prendere le impronte digitali alla mia tolleranza: ce la faccio a sopportare il cinese nella sua tutina che mi fa Oh! nella microscopica cucina? Credo di farcela. Quello che non riesco è tornare a casa e trovare l´altro cinese – che non sarebbe proprio cinese – che ogni sera ogni sera ogni benedettissima sera all´ora del mio ritorno a casa si fa trovare con il pentolino sul fuoco a cucinare tragedie speziate, mentre la casa diventa un girone dell´inferno speziato. La tolleranza, capiamoci sulla tolleranza. Io molto spesso, per trascorrere pochissimo tempo in cucina e a causa della mia pigrizia, mi preparo pizze surgelate o insalate giá pronte. Lui invece ogni sera ogni sera ogni sera ha il suo pentolino pieno di morte. La puzza sale per la casa, infesta il piano terra, arriva al primo piano, poi al secondo dove ci sono solo io, e mi entra in camera passando sotto la porta. Apro la finestra per cambiare l´aria, ed è il dramma: si crea una fortissima corrente ascensionale partendo dal suo pentolino fin dentro la mia camera, e la mia camera in un istante diventa Bangkok.  

no, non mi stanco, e non mi passa

E siccome il sangue è alla testa, meglio non scriverne. E lo ripeto, le analisi non sono mai state così lucide, in giro. Mai le cose così evidenti. Sì mi ripeto. Sì, è noioso. Una noia mortale. Ma non mi passa. Non passa. La rabbia razionale non passa. Non è come l’emozione del terremoto. La rabbia razionale si incista nel profondo.

Cito solo un articolo di D’Avanzo e un immenso, immenso post di Leonardo, che se li leggete entrambi (se non li avete già letti) e me lo scrivete qui sotto, io forse (forse) mi calmo. 

 


" In mezzo a tutto questo io scrivo, come tanti, senza nessuna pretesa di fare lezioni di giornalismo. Non sono un giornalista: ma non è necessario essere calciatori professionisti per accorgersi che a centrocampo fanno melina. Non scrivo per farmi passare la rabbia (che non passa, anzi); piuttosto con una presunzione di testimonianza: chi verrà dopo di noi non dovrà pensare che eravamo tutti prostrati come Vespa, arresi come De Bortoli. C’era gente normale, con una famiglia e un lavoro più o meno normale, che in casa propria si faceva le domande che i giornalisti non volevano o non sapevano più fare.  Non eravamo la maggioranza, non pretendevamo di esserla: ma esistevamo. Devono saperlo i posteri: non si sono bevuti il cervello in quindici anni, gli italiani. Non tutti."

nemmeno il titolo

Io che i Santori e i Travagli non li ho mai avuti simpatici, riconosco che oggi è arrivato il momento.
Io che in fondo credo che ogni persona abbia i suoi lati positivi, basta aspettare, e che non si può sempre sparare a zero, credo che oggi ormai sia arrivato il momento. Io che mi rendo conto che parlare di B. in continuazione, poi si finisce per sembrare invasati. Io ste cose le posso anche capire, ma oggi credo sia arrivato il momento. Non è più una questione di voto. Sta diventando una questione sociale.

È stata questa storia delle veline e delle bambine, molto più di ogni manovra finanziaria, molto più di ogni vicenda giudiziaria, a dire le cose come stanno. Questa cosa delle bambine e delle veline è lì, chiarissima, accessibile, limpidissima come mai sono state le cose prima di adesso. Non serve alcuna sovrastruttura per comprenderla davvero. Non serve possedere elementi di economia o giurisprudenza. È tutto lì come non è mai stato prima di adesso. E mai come prima di adesso se ne parla in giro, e mai come adesso la frattura fra “rete” e popolazione si è fatta drammatica.         Quello che segue è solo un punto della situazione. Perchè da oggi ci sarà solo da distinguere fra quelli che nonostante tutto danno fiducia, e quelli che invece No. La spaccatura è inevitabile, ed esiste già. Da oggi qualsiasi fiducia nell’uomo (non nel politico, nell’uomo) non potrà che essere dettata dal cieco affidarsi irrazionale. Da un sentimento religioso e perverso.             

Perchè ha detto che le veline non è vero, e poi invece le veline c’erano eccome. Perchè ha detto che non sono veline perchè sono laureate, e che non bisogna avere pregiudizi perchè in passato le belle ragazze da lui proposte hanno fatto bella figura, e la gente a questo ci crede. Perchè se vai a controllare, sono veline. Quelle di prima e quelle di oggi. Perchè le veline è da tempo che le propone, e il giudizio non è affatto un pregiudizio, è un giudizio solidissimo fondato su fatti concreti. Perchè non è vero che fanno bella figura. Quelle di prima e quelle di adesso.  Anche le laureate. Perchè ha detto che alla festa della bambina c’è passato per caso invitato all’ultimo momento. Perchè sua moglie ha detto che se la fa con le minorenni, e lui ha detto che non è vero, nonostante la minorenne in questione abbia confermato chiaramente la versione della moglie.   

“Non mi ha mai fatto mancare le sue attenzioni. Un anno, ricordo, mi ha regalato un diamantino. Un’altra volta, una collanina. Insomma, ogni volta mi riempie di attenzioni (…) Lo adoro. Gli faccio compagnia. Lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo. Resto ad ascoltarlo. Ed è questo che lui desidera da me. Poi, cantiamo assieme.”  

E nonostante queste parole – che nessuno ha smentito, nè l’interessata, nè lui – ha avuto anche il coraggio di affermare davanti alla televisione francese che lui quella minorenne non la conosceva personalmente (qui, minuto 09.40). Perchè fra le macerie del terremoto in Abruzzo ha chiesto alla volontaria di passaggio se poteva palparla. Perchè se adesso una moglie vuole divorziare è per colpa del partito di opposizione. Perchè i giornalisti non fanno più le domande che dovrebbero fare. Perchè se chiunque facesse queste domande davanti ad una telecamera, oggi verrebbe accusato di faziosità.            

Questo è un post noiosissimo. È tutto noiosissimo. È tutto così noiosissimo e così maledettamente evidente. Così noioso ed evidente. Non ho nemmeno una conclusione da aggiungere.

nono lo sai neanche tu/ma di certo si può/fare di più

Jovanotti e altri 56 cantanti si mettono tutti assieme e cantano la canzone che deve secondo loro raccogliere con le vendite due milioni di euro per l’Abruzzo eccetera eccetera. Va benissimo. Però sarebbe stato bello se avessero anche detto: raccogliamo due milioni di euro con le vendite, ma Caso Mai non dovessimo arrivarci, ai due milioni di euri – per esempio che ne so, arriviamo a trentasettemilaquattordici euri – la differenza ce la mettiamo noi, diviso 56. Anche perchè adesso si sa come va: conferenze stampa, articoli di giornale e passaggi in radio. Mica schiaffi sul naso, sudore e lacrime. Io comunque sono molto molto vecchio, se sono ancora vivo il giorno che i Sud Sound System fanno un disco con Laura Pausini e Roberto Vecchioni.

Embè? Sempre avuto sei dita, io.

Lo so è un gioco stupido. Ma cosa ci posso fare, se non la smetto di ridere. Mica solo di B, eh. Di tutta la cagnara, di quello che si sente in dovere di smentire che "non è vero che il divorzio è colpa della sinistra". Un proverbio salentino pone la domanda: chi è più fesso, la volpe o chi la insegue? Come se io facessi la cacca sul divano e poi incolpassi gli alieni. Sono più scemo io o la mia padrona di casa che mi spiega che non possono essere stati gli alieni? La foto è autentica, comunque. Io ci ho messo solo il cerchietto rosso.

perché poi una cosa che ho capito

Perché poi una cosa che ho capito del vivere esperienze internazionali, è che in giro ci sono tante persone che si portano questa internazionalità come condizione di vita. Che internazionali non significa soltanto – per fare un esempio – essere nati in Italia e vivere in Paese Basso. No: è proprio una malattia che ti accompagna per la vita.

Ieri sera c’era sta festicciola qui vicino, per fare un esempio. Il festeggiato si proclamava tedesco, eppure era da una vita in Paese Basso. Ovviamente parlava anche un poco di francese, e sua moglie era messicana. Il loro pappagallo invece salutava in spagnolo. Poi c’erano due polacche, che però non arrivavano dalla Polonia, ma da Parigi. Infatti a tratti parlavano francese. Una di loro viveva a Londra. Ma ricordava con piacere gli inverni sulle montagne francesi. Poi c’erano quelli che venivano dalla Francia, ma che non erano francesi, erano marocchini. Non andate mai a mangiare nei ristoranti marocchini che non siano in Marocco, hanno detto. Poi c’era l’olandese che era cresciuta in Francia. Poi c’era quello appena arrivato, che ti hanno detto: quello è greco. Perfetto: una razza una faccia, hai pensato. Solo che era biondo con gli occhi azzurri, e invece del greco, parlava tedesco e olandese. Poi c’era il portoricano che suonava bene la chitarra. Poi c’era l’amica indiana che a parte il fatto di essere indiana, aveva fra tutti quelli il nome più facilmente pronunciabile in italiano. E poi c’erano quelli che non sapevi esattamente da dove venivano, ché non si può stare tutto il tempo a parlare con tutti.

Gli ambienti internazionali, uno che non ci è mai stato, come se li immagina? Oggi fanno parte del quotidiano, e non sono affatto come me li immaginavo. Forse sono io diverso dal me stesso che li immaginava, o forse bah. In ogni caso sono diversi. Soprattutto, non sono ambienti sofisticati. Non ci sono vezzi assurdi, non esistono snobismi. Si mangiano dolci buonissimi sui vassoi posati direttamente sul prato, mentre un cane fa finta di niente e allunga la lingua. Quando uno dei signori afferra il pezzo di torta al cioccolato e se lo porta alla bocca, prima che lo morda tu glielo dici – guarda che lo ha leccato il cane, quello – e lui ti risponde Pazienza, non importa, e se lo caccia tutto in bocca.

nebbia

Berlusconi che si vanta che nelle sue liste “non ci sono le veline”, quando poi le veline avevano già firmato per la candidatura – tanto che alcune, sapendo di essere state escluse, si sono messe a piangere – è come il bambino che infila il dito nel barattolo di cioccolata, mentre la mamma urla dall’altra camera “non é che per caso stai rubando la cioccolata?” e lui per questo ritira la mano velocemente rispondendo No, No, non sto rubando niente. La mano sarà comunque sporca di cioccolata, e se la mamma è ingenua e annebbiata nel cervello, ci crederà. Altrimenti lo prenderà a scappellotti dicendogli: tu a me non mi prendi in giro, signorino, capito? É tutta una questione di annebbiamento del cervello, di percentuali di annebbiati nel cervello. É tutta una questione di capire cosa é meglio: se il figlio furbacchione o la madre annebbiata.