Io c’avevo bisogno di fermarmi un attimo che a pedalare col peso della signorina seduta dietro – la Signorina in questi giorni è qui– e poi anche tutto il peso delle buste dei miei acquisti del fine settimana, tutto insieme al peso della bici, ero sfinito e le gambe non ce la facevano più. Ci siamo seduti alle poltrone di un bar all’aperto, con la piazza assolata piena zeppa di gente sorridente e la pinta in mano. Pochi metri più in là tre ragazzi giocavano a Jenga, questo gioco che si devono costruire delle torri coi mattoncini di legno e poi il primo che provoca il crollo della torre paga da bere a tutti. Questa cosa del pagare da bere era una regola aggiunta da loro, abbiamo scoperto in seguito. Lo abbiamo scoperto perchè quelli avevano notato che noi li stavamo spiando, e allora hanno avvicinato il tavolo alla nostra poltrona e ci hanno coinvolto nel gioco. Eravamo a giocare alle torri di legno in un bar di un paese straniero con tre sconosciuti. Un paio di giri di birre più tardi ci avevano invitato a casa di uno di loro, la casa del Ciccione Alto, per una cena a base di Sushi. Io non ci volevo andare, e la Signorina nemmeno ci voleva andare, ma questo lo avremmo scoperto solo il giorno dopo, quando io avrei detto: «Ma io non ci volevo andare, a casa di quelli!», con la Signorina che avrebbe subito risposto «E nemmeno io ci volevo andare, credevo ci volessi andare tu!».
Vabbè.
Il Ciccione Alto ospitava gli altri due nel suo monolocale: il suo amico Ciccione Biondo – in libera uscita grazie alla temporanea assenza delle moglie dall’Europa, e che a fine serata avremmo salutato mentre era addormentato sul divano – e il Ciccione Basso, che aveva imparato l’inglese grazie a cinque anni di lavoro a Londra e che per questo parlava velocissimo smozzicando le parole. Io al Ciccione Basso in due ore ho rivolto tanti Sì Sì alle sue battue ma ne ho comprese nemmeno il venti per cento. Aveva sto problema di ridere delle sue battute e di prodursi in espressioni facciali da talk show americano una dietro all’altra, che alla fine potevi solo dire Sì Sì, sperando di non fare figure di merda. Tre bravi ragazzi di trent’anni, ma con una insana passione per il Death Metal e la techno tedesca, musica prelibata che amavano ascoltare a volume massimo anche durante la cena. Il Ciccione Biondo, quello che si addormeterà poi sul divano, aveva incontrato sua moglie ad un concerto metal chissà dove. Tre bravi ragazzi, comunque, e qui si scopre la superiorità di un popolo dove è normale invitare a cena due sconosciuti conosciuti in un tavolino all’aperto, giocando a costruire torri con i mattoncini di legno. Tre bravi ragazzi, solo che la techno berlinese durante la cena proprio No, e nemmeno sta brutta abitudine di leccarsi rumorosamente le dita prima di avvolgere il sushi dentro i fogli di alga nera. In particolare questa cosa di leccarsi le dita preparando la cena, devo dire che proprio No.
L’altra sera – invece – mi sono trovato seduto al tavolo di un ristorante spagnolo, e c’avevo di fronte un sosia di Franco del famoso duo Franco e Ciccio che mi cantava i Gipsy King con la chitarra a quaranta centimetri dall’orecchio, producendo vibrati con la voce e occhi semichiusi come ci si aspetta da un cantante spagnolo in un ristorante spagnolo. Era ispiratissimo. Ad un certo punto si è aperta la porta del locale ed è entrata una sorta di Virgina Woolf di sessantacinque anni che danzando si è tolta sciarpa e cappotto ed ha cominciato a ballare freneticamente vicino a me e al Franco con la chitarra. Muoveva i fianchi sfidando il concetto di osteoporosi, ma confermando allo stesso tempo quello di demenza senile precoce. Io non mi vooevo permettere di ridere, e ho cercato di stare buono, però poi non ce l’ho fatta e ho cominciato a ridere piano, invece di esplodere, sempre piano ma in modo continuo, e quando è partita Volare in versione spagnola ho avuto anche qualche sussulto, però – in linee generali – posso dirmi abbastanza soddisfatto della mia capacità di autocontrollo.