C’era una ieri nel corridoio di casa che mi diceva, io sono stata in Italia, e lì ho imparato male l’italiano. Lo parlava benissimo. Lo parli benissimo sai?, le ho detto, molto meglio di gente che conosco che dall’Italia non c’è mai uscita.
Eh, ma io non potevo restarci – mi fa lei – avrei voluto, quando sono tornata lo volevo tantissimo, ma come facevo, se non riuscivo ad esprimermi bene? Anche adesso che ti parlo – mi fa – ci sono cose che vorrei dire, non ci riesco, e lascio stare. Ecco appunto – dico io – guarda: comunque me lo hai detto meglio di certa gente che conosco io eccetera eccetera. Però hai ragione, capisco cosa vuoi dire, le ho detto. Prendi me: io il barbaro non lo parlo affatto.
Quindi ho concluso, mentre tornavo nella mia camera, che probabilmente io lascio stare a prescindere? Non lo so. Per esempio scrivo. Non scrivessi.. ma intanto scrivo.
Devo portare a lavare il mio piumone. La Meisje quasi non lo tocca che le fa schifo. Io non nego che va lavato, però capiamoci, dentro ci vivono acari che sono figli di acari che sono figli di acari che sono figli di quegli acari che dormivano con me quando facevo lo studente a Bologna. Quando ero giovane.
Ehi, ma io sono ancora studente! In un certo senso Sì, perlomeno. Eeeh, ma non è uguale. Pensa che oggi al lavoro ho dato una consulenza. Andrebbe scritta in corsivo. Mi siedo e spiego le cose e quello che mi ascolta è padre di famiglia. Multiplo. L’ultima è nata tipo due settimane fa. Tre.
Rileggo Arhundaty Roy dopo tipo quattro anni (di cui citazione in alto a destra). Immagina che al mondo ci sono tanti di quei libri meravigliosi che tu puoi pure leggerli tutti, e però mentre li leggi magari ne scrivono altri, ma se pure tu sei più veloce di loro che scrivono, tu alla fine puoi ricominciare daccapo, ed è meraviglioso lo stesso.