c'era una ieri nel corridoio di casa

C’era una ieri nel corridoio di casa che mi diceva, io sono stata in Italia, e lì ho imparato male l’italiano. Lo parlava benissimo. Lo parli benissimo sai?, le ho detto, molto meglio di gente che conosco che dall’Italia non c’è mai uscita.

Eh, ma io non potevo restarci – mi fa lei – avrei voluto, quando sono tornata lo volevo tantissimo, ma come facevo, se non riuscivo ad esprimermi bene? Anche adesso che ti parlo – mi fa – ci sono cose che vorrei dire, non ci riesco, e lascio stare. Ecco appunto – dico io – guarda: comunque me lo hai detto meglio di certa gente che conosco io eccetera eccetera. Però hai ragione, capisco cosa vuoi dire, le ho detto. Prendi me: io il barbaro non lo parlo affatto.

Quindi ho concluso, mentre tornavo nella mia camera, che probabilmente io lascio stare a prescindere? Non lo so. Per esempio scrivo. Non scrivessi.. ma intanto scrivo.

Devo portare a lavare il mio piumone. La Meisje quasi non lo tocca che le fa schifo. Io non nego che va lavato, però capiamoci, dentro ci vivono acari che sono figli di acari che sono figli di acari che sono figli di quegli acari che dormivano con me quando facevo lo studente a Bologna. Quando ero giovane.

Ehi, ma io sono ancora studente! In un certo senso Sì, perlomeno. Eeeh, ma non è uguale. Pensa che oggi al lavoro ho dato una consulenza. Andrebbe scritta in corsivo. Mi siedo e spiego le cose e quello che mi ascolta è padre di famiglia. Multiplo. L’ultima è nata tipo due settimane fa. Tre.

Rileggo Arhundaty Roy dopo tipo quattro anni (di cui citazione in alto a destra). Immagina che al mondo ci sono tanti di quei libri meravigliosi che tu puoi pure leggerli tutti, e però mentre li leggi magari ne scrivono altri, ma se pure tu sei più veloce di loro che scrivono, tu alla fine puoi ricominciare daccapo, ed è meraviglioso lo stesso.

ei,

Ei, Jerome David che ad un certo punto te ne vai, lo sapevi che io nella mia chiavetta usb fino ad oggi (anche adesso) ho sempre avuto una copia in pdf del tuo Catcher in the Rye, e ne stampavo una pagina ogni tanto nel mio ufficiolo, e le pagine me le portavo in pausa pranzo in un angolo della stanza dove la luce era così tanta e diffusa da non creare nemmeno un’ombra?

dopo undici anni

Dopo undici anni mi ritrovo a leggere alcune pagine del Jack Frusciante – romanzo adolescenziale and generazionale and epocale and irripetibile successo commerciale  di Brizzi – che all’epoca, la seconda metà degli anni 90, era impossibile non aver letto. Oggi rileggo queste pagine e mi sorprendo a trovarci dentro dei caz*o scritti con la kappa (una “kaz*o di famiglia borghese, scriveva Brizzi, ma scriveva anche cose come “kranio” ed “elettriko”) e nel rileggerle oggi, chiedermi come mai ai tempi non mi fossi sorpreso né fossi stato disgustato da questo uso diabolico della lettera kappa. Forse perchè ancora non esistevano gli sms, mi viene da pensare, e queste mitragliette di kappa erano Sì indecenti, ma comunque limitate all’interno di certi campi, come i diari scolastici, i graffiti sui muri, le scritte sugli zainetti. I quattordicenni di oggi hanno ancora gli zaini scribacchiati? Questo proprio non lo so, ma mi piacerebbe pensare di Sì.             

E poi comunque pensavo che il corrispettivo attuale del Jack Frusciante, se proprio vogliamo trovarlo – non se la prendano gli estimatori dell’uno e dell’altro, anche se qui chiaramente si parteggia per l’uno e non per l’altro – sarebbe Tremetrisoprailcielo di Moccia. Il punto è, lasciando perdere tutte le critiche facilissime in cui si potrebbe perdersi non appena si mettono in fila le sei lettere che compongono la parola Moccia, di cui peraltro già si è discusso tempo fa, il punto è, dicevo, che il successo di una cosa, o il suo insuccesso, sono un segno dei tempi. E se il Jack Frusciante negli anni 90 venne fuori da un Brizzi appena diciannovenne, che nel momento in cui scriveva  le sue righe aveva le mani e gli occhi ancora brucianti delle esperienze vissute da diciassettene, o se anche la Ballestra produsse la Guerra degli Antò a vent’anni, con i protagonisti del romanzo anch’essi appena ventenni, invece Moccia scrittore era autore e regista televisivo e cinematografico trentenne, e praticamente quarantenne al momento della riscrittura del romanzo stesso. Cioè uno che le storie le raccontava già per lavoro. E non storie d’amore, capiamoci. Semplicemente storie, quello che serviva in quel momento. La sceneggiatura de “I ragazzi della terza C”, per esempio.                   

E dunque,  il romanzo giovanilistico di maggior successo degli anni duemila è stato scritto (anzi riscritto, perchè è stato modificato dopo la stesura originale) da uno che poi ha continuato a fare l’autore dei programmi di Bonolis alla tivvù. Negli anni novanta invece le storie venivano fuori da chi ci stava ancora dentro, a quelle storie raccontate, o da chi ne era appena uscito fuori con la testa ancora fumante. Poi noi possiamo anche perdere qualche ora a discutere cosa è cambiato nel mondo adolescenziale fra gli anni novanta e gli anni duemila, ma sta cosa del Raccontare da una parte, e del Farsi Raccontare dall’altra, già da sola rappresenta abbastanza bene – secondo me – questa differenza.           

"Guardando l’azzurro del cielo si capiva che stava tornando primavera?
No, non credo. Però
lui lo capiva. E insomma, vi giuro, qualsiasi immagine
si potesse avere di lui dall’esterno, illo si sentiva
aperto e spontaneo come mai in vita sua."

E.Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo.

adesso invece leggo

Adesso invece leggo "La Separazione del Maschio" di Francesco Piccolo, comprato nella libreria Bonardi, l’unica libreria italiana in Olanda. Bellissimo posto, in riva ad un canale appena fuori dal centro. Il rincaro di 5 euro a libro è improponibile, soprattutto considerando i 19 euri di spese di spedizione che invece mi chiede Bol.it per un numero illimitato di libri. Poi si deve aggiungere che io non vivo ad Amsterdam, e quindi almeno 15 altri euro di treno. Comunque, a bilanciare il tutto c’è l’idea di poter andare alle presentazioni di libri anche qui. Quindi – in futuro – dovrò per forza spendere qualcosa pescando fra quegli scaffali. Vedi che poi alla fine un motivo per diventare ricchi lo si trova sempre? 

Qualche anno fa, a qualcuno è venuta l’idea di spruzzare la polvere di cacao nel cappuccino. Come se il cappuccino così com’era non bastasse più. L’idea si è diffusa rapidamente. Dopo poco tempo, quando abbiamo ordinato un cappuccino, il barista ha cominciato a chiederci: un po’ di cacao?, con una specie di saliera obesa in mano, già in posizione, e bastava un cenno di assenso per veder ruotare l’angolazione di pochissimo e una spruzzata di cacao sarebbe piovuta sulla schiuma del nostro cappuccino. Io ho sempre risposto: no grazie. Mi piaceva il cappuccino così com’era (mi bastava, appunto). Ma siamo stati in pochi a dire di no, visto che questa storia della spruzzata di cacao è dilagata come un’epidemia vertiginosa.

Francesco Piccolo. <<La separazione del maschio>>

adesso invece leggo

Adesso invece leggo La Ragazza delle Arance di Jostein Gaarder, un autore che mi è rimasto incollato dalla volta che mi trovai a che fare con un libro che invece si intitolava Maya, scritto sempre da lui, quando in un tempo che ora mi pare lontanissimo – si parla invece di qualche anno fa – se qualcuno mi avesse chiesto qual’era il tuo libro preferito avrei detto sicuramente Maya, anche se poi ho cambiato idea. Ho cambiato idea non perchè il libro non mi piacesse più, ma perchè sta cosa di avere il libro preferito, il cantante preferito, il colore preferito, ho cominciato a non sopportarla più. Io se volete saperlo non ho proprio nulla, di preferito.

Ma dicevo, La Ragazza delle Arance, anzi No, Maya. Il libro Maya è un libro che dice qualcosa. La narrativa sarà quella che è. Però dice qualcosa. E ha il sapore di Nord, tantissimo.  

Eppoi, da Maya in giù, ogni volta che trovo un libro di Gaarder in libreria, trovo scritto sulla copertina: «Dall’autore del Il Mondo di Sofia!» oppure « dallo stesso autore de Il Mondo di Sofia! » e allora io, che oltre a non avere colori preferiti e marca di jeans preferita sono come sono, per cocciutaggine sto Mondo di Sofia ancora non l’ho voluto leggere.

Sempre più spesso usavamo il pronome «noi». È una parola strana.
Domani farò questo o quello, si dice. Oppure si chiede cosa l’altro,
cioè «tu», deve fare. Non è difficile da comprendere.
Ma all’improvviso si dice «noi», e lo si fa con la più grande naturalezza.
«Andiamo in spiaggia sull’isola di Langøy, con il battello? »
«Oppure restiamo a casa a studiare? » «Ci è piaciuto lo spettacolo a teatro? »
e poi, un giorno: «Siamo felici!».


La ragazza delle arance – Jostein Gaarder.

mi piace sto raffreddore

Mi piace sto raffreddore che devo tirare su con il naso, e questa sensazione di stordimento che ne deriva, ovatta incollata ai pensieri a rendermeli insignificanti e spugnosi, e questo dondolarmi nei corridoi con pile di fogli sotto al braccio, tirando su con il naso nella frazione di tempo che intercorre tra l’incrociarsi con una persona e quella seguente, per non farsi sentire da quella che c’è prima e neanche da quella che c’è dopo. Non mi piace non aver tempo per scrivere, non mi piace il concetto del tempo che fa pugni con il concetto di scrivere, chè per scrivere devi far passare il tempo senza fare niente, e non si può.  

Siamo andati a vedere la mostra di M.C. Escher, chè se non fosse stato per la Signorina, nella mia immensa ignoranza io non avrei mai collegato il suo nome alle sue opere. Andare alle mostre non lo so, non so cosa dire. Non so se mi piace. Andare alle mostre, la cosa che mi interessa di più sono le altre persone che vengono alle mostre mentre ci sono anche io. Osservare che faccia hanno, e capire se sembrano più intelligenti e acculturati e più o meno in salute di me. Della mostra di Escher, la cosa più interessante è stata una fotografia della moglie di Escher datata 1926. La moglie di Escher, devo dire che in primo piano non veniva tanto bene, in particolare nell’epoca intorno al 1926.   

Posseggo uno spazzolino da denti in tre città diverse del Paese Basso, notevolmente distanti fra di loro. Ci pensavo oggi mentre arricciavo i piedi scalzi sul tappeto.

Adesso invece sto leggendo questo. A proposito di biografie che mi rendono i libri interessanti, questo personaggio è diventato per due volte autore rivelazione del Paese Basso, ogni volta con un nome diverso.

Sto abusando di cornetti gelato in pacchi da otto, che in origine erano sei poi ne hanno aggiunti ulteriori due in regalo.

quasi tutti i libri

Quasi tutti i libri che ho nella mia camera sono stati letti due volte. L’altra notte mi sono arreso, ed ho cominciato la terza lettura di uno dei miei preferiti di sempre. Voglio dei libri. Voglio una libreria dove poter comprare dei libri nella mia lingua. Voglio solo dei libri. No voglio (come è successo appena qualche minuto fa) che la libreria online della Feltrinelli, dopo avermi fatto girare nel suo bellissimo sito, e avermi fatto riempire il carrello con libri che non vedo l’ora di avere fra le mani, mi dica che i loro bellissimi libri si possono spedire solo in Italia. Ci mettono pure il menú a tendina, quei maledetti, per scegliere il Paese, poi premi sul menú a tendina, e fra le opzioni c’è solo l’Italia. Ah, feltrinelli maledetti.

Il problema del famoso libro di roberto saviano – scritto bene, dettagliato e pungente eccetera eccetera – è che se te lo leggi la sera prima di andare a nanna, poi la mattina quando ti svegli e metti i piedi giù dal letto, e fissi il pavimento per cercare la forza di cominciare la giornata, se il libro lo hai posato dalla parte della copertina allora tutto ok, ma se per caso lo hai lasciato girato dall’altra parte, ecco, per un momento ti prendi uno spavento mica da poco.