uno se lo immagina da giovane

Uno se lo immagina da giovane, di entrare in un posto dove ti vedono e chiedono “il solito?”, al che tu rispondi il Solito senza incrociare gli occhi del tizio dietro al bancone. Uno se lo immagina da giovane per tutta la vita – a me doveva succedere in questo momento storico, in questa pizzeria italiana del Paese Basso, dove entro e quello dietro al bancone mi chiede se è il solito, e io rispondo “Sì”, oppure rispondo “il Solito” – se per caso sono in vena di usare due parole invece di una.

E poi mi giro dall’altra parte a mangiare, senza parlare con nessuno.

Osservo oltre al vetro giovani barbari che passeggiano in maniche corte perché il calendario ha suggerito loro che è il momento delle maniche corte, anche se poi i dieci gradi vigenti attualmente dal dietro al vetro li intuisci tutti, compreso il vento che schiaffeggia il petto alle giovani donne. Ché forse quella maglietta è stata appena acquistata, e allora.

E poi tu, cinese che condividi la stanza di questo edificio universitario. Io lo capisco che vuoi essere amichevole: sei straniero come me, sei in quella stanza insieme a me, e cerchi di attaccare bottone. Io lo capisco, inizialmente pensavo fossi gay (e mi facevi tornare alla mente quel coinquilino cinese gay dell’anno scorso, con un grosso neo sul petto glabro che lo notavo sempre per quella sua mania delle magliette scollate a V) poi dopo ho capito che invece No, epperò cosa vuoi che ti dica io, sociopatico come sono.

E poi non sei nemmeno cinese, sei del Taiwan, che per quanto mi riguarda non è neanche un luogo, io mi fermo al Made in Taiwan. E il tuo nome, inutile che me lo ripeti, non mi entra nella testa, con le consonanti tutte diverse, cerco di imitare il suono della tua voce, tu mi correggi ma poi io ci provo di nuovo con entusiasmo sempre minore e penso al caffè, quasi quasi mi faccio un caffè. Tra l’altro parti fra un mese e torni in MadeinTaiwan, e pure io volendo senza motivo aprirmi una cerchia di amicizie taiwanesi, tu parti fra un mese, e allora. Capisci che io ancora scambio email coi compagni di scuola che non vedo da tipo due anni?

E poi a metà mattina il riparatore di computer mi chiama al telefono per dirmi che il mio laptoppino è pronto. Parlerebbe in inglese, ma visto che ha imparato “une poco de italiano pe’ strada” allora vuole spiegarmi tutto in italiano de’ strada (ma in che senso per strada? Quale strada?). E io dico va bene, ma se parlo italiano lui non mi capisce, parla di “conneblessi del reggistrazione” e allora ci sono io, praticamente, che parlo italiano deficiente in corridoio, spiato dai barbari che passeggiano dopo l’ora di pranzo.

volevasi segnalare

La voglia di tornare in Italia fa su e giu’ come un’altalena. Questo da sempre. Oggi la voglia e’ andata su ascoltando una puntata di Melog con frequenti spezzoni audio di commedia all’italiana degli anni  50, 60 e 70 (mangiando nel frattempo un panino e osservano oltre il vetro un barbaro con felpa adidas acetata su camicia a righe), poi e’ andata giu’ leggendo l’ennesima compilation di piagnistei organizzata dai geniacci di Repubblica.it.

ma poi perché

Ma poi perché non ho mai visto Lost? E’ l’argomento di cui ho letto più titoli in assoluto, senza conoscere niente di niente. Ma neanche un personaggio. Zero. Per dire, so che c’è un’isola. Stop.

Da ignorante quale sono, quello che ho capito è che hanno fatto centinaia di puntate dove succedevano un sacco di cose alcune delle quali non si riuscivano a spiegare, e tutti erano molto affascinati da questa non spiegabilità, e tutti attendevano che più avanti si riuscisse a spiegare l’inspiegabile, solo che poi si sono accorti alla fine che molte cose sono rimaste non spiegate. O qualcosa del genere. Non lo so se è così, ma se fosse così, sarebbe come quelle ragazzine affascinate dal tipetto che parla complicato, che loro non lo capiscono e lo amano iper questo, mmaginando un substrato interessantissimo che forse non esiste. Mboh. O forse è tutto il contrario. Ma io sono davvero molto ignorante, e quindi.

ti dicono

Ti dicono che non ha senso, che non sei tu che vinci o perdi ma sono invece altri lontani da te, e che saltare sulla sedia è stupido e irrazionale. Ti viene allora da chiederti cosa rimarrebbe, se alla vita ci togliessi tutte le cose stupide e irrazionali.

fine settimana

Fine settimana lungo nel lombardo veneto che comincerebbe fra qualche ora, se il vulcano non sbadiglia. Sto mese parto sempre. Su Italians si parla del problema di fare amicizia a Milano e nel NordItalia, e che se saluti qualcuno per strada quello si spaventa. Devo provarci sti giorni per vedere se e’ vero. Di Santoro che si prende i miliardazzi e scappa via ho letto sto articolo qui e ho poi ripensato a quelli che applaudivano Luttazzi con la storia del buco del culo.

voi come lo chiamate il dentifricio


Vabbè, voi come lo chiamate il dentifricio? C’è scritto Colgate e pronunciate quello, mica Colgheit.  No? Eppoi, solo quando torno in Italia dico Ikea, tutto il resto del tempo è Aikia. Quindi abberlusconi che dice Googol, insomma, ecco.


Ma poi, c’è un’altra cosa.


Voi che ci credete tantissimo alle petizioni vostre di faccialibro e gli associazionismi da dietro la tastiera. Voi che convintissimi aderite dove c’è scritto "aderisci anche tu" eccetera eccetera. Voi che la forza della rete eccetera eccetera. Quello un giorno vi dice Googol, e di colpo diventa chiaro quanto in verità siete infinitesimali, irrilevanti nel meccanismo globale come una mosca che muore dall’altra parte del mondo.

cosa mi significa

Cosa mi significa la Carfagna che dice ho sbagliato coi miei pregiudizi sugli omosessuali? E cosa mi significano tutti quelli che adesso dicono quanto e’ brava che lo ammette? Te Carfagna ti hanno messa li’ non per andare a scuola che le cose prima non le sai, poi siccome qualcuno te le spiega con pazienza, allora alla fine le capisci. Te ti hanno messa li’ che dovresti saperle da prima, e molto meglio degli altri, che quando parli la gente dovrebbe pensare quanto e’ brava e come parla bene. Mboh. Te Carfagna quando parli invece mi sembri invece come quelle che a scuola non capivano niente, eppero’ imparavano tutta la pagina a memoria, e recitavano tutto senza fermarsi a prendere fiato.

pannella

Quello che mi inquieta e’ la vaghezza. Tre, Quattro uomini. In che senso Tre – virgola – Quattro? Mica hai detto cento, centodieci che ti puoi anche sbagliare. O Tre o Quattro. In quella virgola tra i due numeri c’e’ racchiuso tutto un mondo che si puo’ solo molto lontanamente immaginare. Il non ricordare con precisione. Che cosa puoi aver fatto per non ricordare? In che condizione eri? In quali nebbie ti muovevi?

devo dire Barack che sono d'accordo

Devo dire Barack che sono d’accordo con la Signoria Vostra, sul fatto che Ipod Xbox e Playstation sono begli intrattenimenti ma non certo mezzi di crescita ed emancipazione. E che bisogna sempre studiare. Sto discorso, poi, adesso ha preso in mezzo pure internet, che pure lui se vogliamo e’ un bell’intrattenimento ma non un mezzo di crescita e di emancipazione.

Guardi, signor Barack, io le porto la mia esperienza, che quella c’ho. Internet e’ una gran bella cosa e la mia vita non sarebbe quella che e’ se non ci fosse. Credo che non sopporterei nemmeno essere un emigrante, oggi, se non ci fosse internet. Io non lo so se mi cresce, internet. Mi cresce? Mbah.

Il problema sa qual’e’? Con internet uno segue le sue inclinazioni del momento all’infinito. Mi spiego.

Tu cominci a leggere le notizie di economia, poi sulla stessa pagina scopri che a Terence Hill hanno rubato il portafoglio, poi leggi la biografia di Mario Girotti in arte Terence Hill, poi scopri che una volta non ha fatto un film perche’ i produttori americani hanno fatto confusione con Giuliano Gemma, poi scopri che Giuliano Gemma vive a Cerveteri, poi scopri che Cerveteri ha 34 mila abitanti, poi non sai come finisci a leggere dell’infortunio di Van Basten di venti anni fa, poi ti interessi alle consistenze cartilaginee e poi – siccome la pagina di Cerveteri era rimasta aperta – leggi dei giochi in epoca etrusca come il bottago, poi dei video di youtube dove le ragazze nere si lamentano che si devono lisciare i capelli ricciolini per piacere ai maschi neri, poi dei motive per i quali le ragazze asiatiche preferiscono i ragazzi bianchi, poi lasci perdere e chiudi tutto.

In effetti cresce la mia conoscenza, ma in moodo tumorale, come una pianta che rompe l’asfalto con le sue radici, tutta storta per raccogliere il sole.

Studiare significa che quello che c’hai davanti devi cominciare e finire, e non ci sono santi – come si dice. Non ti va? Devi finire. Terence Hill? Devi finire. Alla fine se ci riesci sei cresciuto, ma cresciuto dritto. Ha a che fare con la virtu’ – sta parola il cui significato non mi e’ chiaro ma dovrebbe essere un sinonimo non esatto di “qualita’” – e ti ricollega forse al piacere perverso della penitenza.

Detto questo, signor Barack, l’ho vista all’ingresso del Museo delle Cere di Amsterdam ieri mattina, c’era gente che si faceva la foto con lei – con la sua statua voglio dire – che le assomigliava molto ma non troppo, c’aveva nel sorriso qualcosa di uno che conosco al paesello che non mi viene il nome, adesso.

rileggo dopo anni

Rileggo dopo anni il libro da cui prende il titolo questo blogghe. Ne scrivo dalle parti del Club del Libro di Amsterdam.

Io sono un recensionista frettoloso e che non riesce mai a scrivere quello che voleva all’inizio. Quello che volevo, mi viene in mente mentre salgo le scale. O mentre libero la bicicletta dalla catena. Mentre apro la busta della mozzarella attento per non schizzare tutto.

Sono anni che credo di risolvere questo problema delle idee che vengono al momento sbagliato con piccoli taccuini e quadernetti. Ogni volta ne accarezzo uno nuovo nelle cartolibrerie, a volte lo compro, a volte No. Ultimamente scelgo quelli con la rilegatura ad anelli di ferro perché puoi infilarci la penna dentro. A volte me li porto dietro, a volte No.

Visto per la prima volta il giroditalia dal vivo.

ho un

Ho un collega sempre molto felice. Di quelli che puoi definire “gioviali”, tenendo ben presente che “gioviale” vorresti fosse l’ultimo aggettivo del mondo da affibbiare a te stesso. Il collega pronuncia qualsiasi cosa, e poi ride. Inconsciamente vuole spingerti a ridere con lui della nullita’ del momento. Dunque puoi ridere oppure No.

Se ridi, é assurdo, visto che non c’e nulla da ridere. Se non ridi, é assurdo, perche’ mentre lui ride tu sei serio che passi oltre. Quest’ultima scena é accettabile solo nel caso delle sit-com americane, dove comunque ad un certo punto partono le risate registrate. Il meccanismo di “trascinamento coatto nella risata” ti appare cosi’ chiaro che finisci per odiarlo, anche se di fatto é una brava persona. Siccome intuisci la base di quel meccanismo (LO SO che non sei spensierato come appari, LO SO che ridi per compensare qualcosa, LO VEDO BENE che dietro ci sono le tue paturnie tirate sotto al tappeto) sei irritato e tra ridere e non ridere, finisci per sfoggiare contratture di una sola guancia che non dice niente. Lo fa con tutti, la sua fame di attenzione é abbastanza evidente. Gli altri si fanno trascinare, ma proprio perche’ non c’e niente da ridere, se ne escono con versi sbuffosi, la versione della risata meno dispendiosa di energia che esista.  

É che sono ancora giovane – mi viene da pensare. Un giorno sapro’ convivere con tutto questo. Cioe’ convivere con la visione chiara del meccanismo sottostante, e produrre pure io la finzione conveniente.

Mi dicono Hai il Broncio, cos’é quel Broncio? Ma guardate che io sto bene, verrebbe da rispondere, Benissimo. Assolutamente Tranquillo. Quello che vedi é quello che sono in questo preciso momento storico, e mi rappresenta totalmente – peraltro, con gli occhi fissi sul monitor, che faccia dovrei avere? Anzi sai cosa? Sto Broncio mi pare onestissimo. Fierissimo del mio Broncio – se vogliamo dirla tutta – insomma

Anversa

Mi piacciono le città con i palazzi di marmo. Anversa ha i palazzi di marmo. Nel luogo barbaro dove vivo invece, di palazzi marmosi ce ne sono pochissimi. Sono appena tornato da Anversa. La Meisje viene a farmi visita dalla Danimarchia. Lei la mattina dopo si sta lavando i denti – fuori dalla finestra ci sono i palazzi di mattoni rossi con pochissimo marmo – e io le dico, senti, chiudi la valigia che andiamo via. Andiamo dove? Andiamo ad Anversa. Non le ho detto così; non ho detto nulla fino a poco prima di entrare in città.

Il signore italiano gestore di ristorante ad Anversa fa il simpatico con tutti. Chiama la Meisje peperino e lei potrebbe pure ucciderlo per questo. Io non lo ucciderei, il signor gestore, però quelli che sono sempre gentili e sorridenti di professione, non lo so. Ecco, quando cominciano con le giovialità e le domandine rituali vorrei dire, non ce n’è bisogno, andiamo al dunque. Come ai lavatori di vetri ai semafori. Non ce n’è bisogno. I lavatori di vetro. Da quanto tempo non ne vedo.

Italiani? chiede comunque il signore gestore. Arrivati da dove? Chiede. Dal Paese Barbaro, dico io, lei invece dalla Danimarchia. E ora siamo a cenare con linguine ad Anversa. Che uno potrebbe credere sia l’inizio di una barzelletta. Invece No. Il Belgio sta in mezzo a tutto. Potrei parlare del Belgio e di Anversa, invece parlo di un paio di cose che hanno molto poco a che fare con il Belgio ed Anversa.

Numero uno. Avere una televisione a disposizione una sera ogni 4 mesi, significa che poi uno la accende e mette su Raiuno, ché quello tanto si prende sempre in Europa. Mi ha rassicurato notare che ancora oggi la formula di Raiuno è la stessa: posizionare davanti alla telecamera dei vecchi che cantano canzoni vecchie o comunque molto conosciute, e condire la scena con un gruppo di giovani che ondeggiano la testa e seguono con il labiale le parole della canzone.

Numero due. Quelli che allo zoo bussano sul vetro delle gabbie degli animali. C’è scritto: non bussare. C’è scritto “non bussare sul vetro” in barbaro e in inglese, e se pure tu non fossi una persona capace di intendere nessun idioma scritto, ti mettono pure l’immagine del pugno sul vetro, con tanto di divieto. Significa: divieto di bussare. E tu comunque bussi. Tu genitore di bambino che vedi tuo figlio bussare sul vetro e rompere i coglioni al rarissimo roditore notturno della Nuova Zelanda dello Zoo di Anversa, lo lasci bussare. Tu genitore, se il tuo bambino se ne fotte del rarissimo roditore notturno della Nuova Zelanda, lo avvicini al vetro e allora sei tu che ti metti a bussare. Per insegnare al bambino come si fa? Tu genitrice, io ti osservo alle spalle, ho capito che sei italiana, e penso che sei come quelli che siccome non c’è la multa allora lo faccio, ché il divieto vale per gli altri, cosa vuoi che sia. Dovrebbe esistere un sistema per cui se tu bussi più di tre volte ti viene impiantato automaticamente sotto pelle un chip, per seguirti tutta la vita, per marchiarti come elemento inutile o dannoso all’economia del mondo, e discriminarti appena possibile, o per sapere sempre dove sei e cosa fai. Oppure se hanno finito i chip, lanciarti subito nella gabbia dei giaguari appeso per un piede.