Tema: un carnevale a münchen. Svolgimento:

– Baciami-

– No-

– Perché?-

– Perché non mi va.-

– ..mmm…?-

– Non mi va. –

– Sei uno sfigato –

– Ok.-

– E comunque lo sapevi già che ero fidanzata.-

– Non me ne frega un cazzo che sei fidanzata.-

– Parlavi di moralismi, prima.-

– Si. Ma dicevo tanto per dire. –

– Ok. Non scrivere di me sul tuo blog. –

– Va bene. –

Questo è l’epilogo della serata. Faccio come nei romanzi di certi autori che mettono il finale all’inizio della storia e poi dopo flashbacks e trastullamenti temporali con il risultato che alla fine non se ne capisce una cippa lippa.

Sono appena tornato da Bologna. A Monaco nevica e le strade sono infarinate di una patina bianca che fa slittare le auto. Nevica ma è anche carnevale. Ne consegue che non avevo molta voglia di uscire – che il soffitto della mia stanza era fonte di strane ispirazioni- ma poi Giulia mi tira per la manica e mi dice dai vieni che si va in quel posto.  Allora finisce che ci vado, in quel posto. Ricordati di santificare le feste. Il carnevale è una festa, no? Santifichiamola.

Mi vengono a prendere in auto. Sono seduto dietro, raggomitolato. Sul sedile davanti c’è lei, che per comodità di narrazione chiamerò d’ora in poi la Molesta. Sono sobrio, lucidissimo. Gli altri manco per niente. Iniziano ad invocare un cesso per dare sfogo alle vesciche. La Molesta riesce contemporaneamente a fumare, dondolare, cantare Hello degli Oasis fino a far tremare il parabrezza, chiedere indicazioni attraverso il finestrino ai tassisti infreddoliti fermi ai bordi delle strade infarinate di neve.

Sulla porta di questo locale le ragazzine bavaresi biondissime sono mezze nude sotto la neve. Queste ragazzine che d’ora in poi, per comodità di narrazione chiamerò generalmente Le Biondate. Appena dentro si avvicina una tipa e ci da’ in mano un preservativo. Ci dice: buon divertimento. Io penso: voglio tornare a casa. Dal mio soffitto. Il secondo passo è il guardaroba. No ragazzi, io l’euroecinquanta di guardaroba non lo voglio pagare. Lasciamo i cappotti in macchina, ok? In fondo non fa mica tanto freddo. Guarda lì  Le Biondate come si divertono, con le mammelle al vento sotto la neve con meno due gradi. Andiamo verso la macchina? Andiamo. Sulla porta la tipa di prima ci da’ un altro preservativo. Buon divertimento. Grazie. Mi viene in mente Troisi in quel film. Chi siete? Da dove venite? Quanti siete? Dove andate? Si, ma quanti siete? Un preservativo.

Siamo dentro, definitivamente. Qualcuno mi tocca il culo. Mi giro a guardare e vedo uno Shaquille O’ Neall di tre metri per due. Tralascio e vado avanti. Le Biondate sono dappertutto. Si agitano. Bevono. Si tirano per i capelli. Bevono. La Molesta è al bancone. Le rubo il suo rum e cola. Hai detto che sono molesta, mi dice. Non sempre, rispondo io, diplomatico. Non sempre, ma qualche volta si.

Vado al bagno. Nella stanza dei pisciatoi ci sono circa dieci ragazzi con l’arnese di fuori che pisciano. Entra un tizio travestito da arbitro. Si mette al centro del pisciatoio. Si infila il fischietto in bocca, alza il braccio e fischia fallo. Ah ah ah. Questa era la parentesi ironia del post. Che si chiude qui.

Sono al bancone. Sento urlare dietro di me: Jooohnny!!!!” . Entra in scena una tipa  bassa, bionda e invasata. Che quindi d’ora in poi, per esigenze di narrazione, chiamerò L’ Invasata. Mi abbraccia. Lì vicino c’è un tizio vestito da prete che mi osserva e ride. L’ Invasata mi dice ”Johnny! Dove hai messo i tuoi occhiali? Eh, Johnny? I tuoi fantastici  sunglasses? “ Non so cosa dire. L’Invasata ondeggia. Magari se aspetto cade da sola al suolo. Dopodiché dovrò solo scavalcarla e andare oltre. Ma l’ Invasata non cade. Continua a chiedermi dei miei sunglasses. Io dico : ma sunglasses in che senso? Lei mi dice : sei uguale uguale a quel Johnny di Mtv. Quello di Jackass. Non lo conosco, le dico. Ma sarà sicuramente la goccia d’acqua di Katie Holmes, visto quello che è successo qui. Comunque le dico: non ho sunglasses, non esistono occhiali per la misura del mio capoccione, e dico davvero. Il prete con la birra in mano la distrae, ed io scappo.

In giro trovo una filippina che si è travestita da raccoglitrice di riso cinese. Avrà pensato: ho gli occhi a mandorla, allora li sfrutto. Trovo un alce che non si muove più. Probabilmente è morto per il caldo. Le Biondate con le mammelle al vento invece saltellano tutte contente.  Un tizio travestito probabilmente da spaventapasseri del Mago di Oz prova ad attaccare bottone con la Molesta. Lei manco lo guarda. Certe cose le sanno fare così bene solo le italiane.

Quindi sento di nuovo urlare : “ Joohnny!! Did you find your cool sunglasses?” Io dico: “ Cara, tu stai male ed ondeggi” e glielo dico in italiano. Le mi dice: Johnny, sei sexy, baciami. Io le dico: Non se ne parla nemmeno. L’ Invasata : allora sei gay? Oh my god, Johnny è gay. Johnny è gaaaay. Urla e zompetta  strillando : è gay, è gay. La prendo per il naso, così riesco a fermarla. Ho il suo naso tra le dita e lei mi dice:  oh, mio dio Johnny, che delusione, sei gay. Mentre la tengo per il naso, tira fuori la lingua come i camaleonti che acchiappano le mosche. Non sono gay, capito? Anzi , sai cosa ti dico? Sono gay. Sono frocio perso, guarda. E sono nervoso perché non mi fai andare al cesso, dove devo darmi una risistemata al mascara. Ciao.

Al bancone provo a scambiare due preservativi con una birra. Non funziona.

Mi trovo abbracciato con la Molesta, più tardi. ( Molesta, non te la prendere per il nick, dai). Balliamo, si fa per dire. Dopodiché avviene il dialogo di cui all’inizio del post. Con la variante che vengo additato come sfigato, anziché gay. Quantomeno un offesa originale. Ma la mia lingua è preziosa. Almeno ieri avevo deciso così.

Poi come sempre si fanno le sei, le palpebre sono saracinesche pesanti da tenere su. Si va tutti a mangiare il cheesburger delle sei di mattina. Filippo continua a fissare il suo cheesburger e a dire in trance: il cheesburger spacca. C’è poco da fare, spacca.  La neve fuori di qui ha fatto capire a tutti che è lei, che comanda. Io sono stanco ma non è solo un problema di palpebre che non si tengono su. C’ho le palle piene di troppe cose. Vorrei se possibile andare in letargo, ma non si può.

Non si può.

Per adesso vado semplicemente a letto. Johnny ( che poi ho scoperto essere questo qui) vi augura la buonanotte.

Gute Nacht.

pillole

Bisognerebbe fare come quelle pattinatrici sul ghiaccio delle Olimpiadi. Queste ragazzine che volano volano e poi scivolano e cadono sul ghiaccio di culo. Cadono sorridendo e sorridendo eccole che si rialzano. E poi continuano a piroettare col culo in fiamme, ma sorridendo.

E dunque sorridere, nonostante tutti i cazzi vari ed eventuali che ti infiammano il culo.Questa è la pillola di saggezza di oggi. La supposta.

Eccomi tornato a Bologna per ventiquattrore. Accendo la tv. Mentre lavo i piatti sento il sottofondo degli schiamazzi del Grande Fratello. Mi accorgo che non conosco nessuno dei tizi del GF. E questa, cari miei, è una soddisfazione mica da poco. La pillola di soddisfazione di oggi. La supposta.

Non posso fare a meno di notare che in Italia si esagera col gel per capelli.

 
Sugli altri canali invece mangiano tutti il pollo. Mangiate il pollo che fa bene. Mangiatelo che non vi succede niente. Lo mangia il giornalista durante il tiggì. Lo mangia la conduttrice,che pilucca il cosciotto di pollo con i denti per non rovinarsi il rossetto.

Poi ci sono pure le pattinatrici sorridenti e col culo in fiamme, ma di questo ne ho già parlato. E comunque, lo ripeto, sorridere. Che non fa male.

La mia casa di Bologna è diventata un lazzaretto di disperati, nel frattempo. Rotolano palle di polvere e capelli nel corridoio, come enormi topi che fanno le capriole. A me fa un po’ schifo , ma so che basta poco per abituarmi di nuovo a tutto questo. Mi ci abituerò di nuovo, serviranno due o tre giorni. Quando questo dovrà succedere, cercherò di sorridere. Magari con un petto di pollo infilzato nella forchetta. Dicono che sia meglio del Prozac.

glottologia

Il mio coinquilino vuole imparare l’italiano.

Lui, germanico crucconico del nord Crucconia, vuole imparare l’italiano.

Volevo sapere il perchè . E allora continuavo a chiedergli: ma perché? A cosa ti serve? Cosa te ne fai? E lui all’inizio mi rispondeva sempre: mah, così, perché è una bella lingua. Perché suona bene. Perché sento che mi piace, l’italiano. Poi scopri scopri e insisti insisti, esce fuori una sua vecchia fiamma italiana, una tipa che un giorno se ne è andata portandosi via un pezzetto del suo cuore. Allora in quel momento l’ho compreso. Da quel momento sono diventato il suo insegnante di italiano.

Non so se mi spiego.

E dunque ci sono io che entro in cucina, mi sono appena svegliato, le mie palpebre sono così serrate che potrei benissimo essere un coreano. Peggio, un coreano che si è appena svegliato. Apro la porta , riesco a produrre uno di quei sbadigli da visita odontoiatrica a distanza. Saluto il mio coinquilino , dico GutenMorgen, poi mi aggrappo speranzoso alla macchinetta del caffè. Lui intanto sfoglia il suo libro di grammatica italiana. Questo librone arancione che sulla copertina ha disegnata una tazzina di caffè. Il titolo è “ Espresso”. Quando l’ho visto la prima volta, mi sono spanzato dalle risate. Lui mi ha guardato curioso. Espresso? Ah ah ah. Ho detto, ma ti rendi conto? Cosa diresti tu se un libro di grammatica tedesca lo chiamassero Wurstel? Eh?

—   

Da quando sfoglia questo libro, in casa mia di tanto in tanto si sentono delle frasi assolutamente fuori contesto. Senza senso. E’ lui che legge ad alta voce il suo libro.

– Coinquilino, hai visto per caso lo zucchero?-

– Marisa, ti andrebbe di trascorrere questa bella serata al cinema?-

– Lo zucchero, ho detto. –

– Ehi, Marisa, hai visto quant’è carino il nuovo fidanzato di Giulia? –

– No, non l’ho visto. Lo zucchero?-

– Checcosa significa “ quant’ è carino” ? –

– It means that she likes him. –

– Ah. Ho capito. Lo zucchero è sopra del tavolo.-

– Grazie.-

– Marisa! Giovanni è certamente carino, ma io ho sempre ammirato Luca per la sua simpatia.-

Quello è senza dubbio un libro di grammatica per checche, e non ho il coraggio di dirglielo. Questa Marisa poi,  è sempre in mezzo. Marisa va al teatro, Marisa esce con le amiche, Marisa va a fare shopping. Potrei aprire un blog per raccontare le avventure di Marisa del libro di grammatica italiana. Nel mio primo libro di inglese c’era invece Mary Brown. Mary Brown aveva la fissa di chiedere dove si trovavano i vari oggetti. Partiva da “where is the pen? The pen is on the table” per poi finire su cose più complicate. La maggior parte degli oggetti della casa di Mary Brown si trovavano comunque on the table oppure under the table. Poche variazioni. Mary Brown viveva in una piccola cella di isolamento, evidentemente.

– Cosa cucini?- mi chiede allora il mio Coinquilino.

– Pasta con i funghi. –  rispondo.

– Quant’è carino! – mi dice.

– Già. –

catechismi: ovvero come ho chiuso con la religione.

Partiamo dal fatto che una volta , avevo quattro anni, ho sgamato una suora senza il copricapo da suora.  Questo sarebbe pure bastato, ma poi c’è stato dell’ altro. Eccome.

Il catechismo, per esempio. Ne ho cambiati quattro, di catechismi. E lasciamo perdere che il plurale di catechismo probabilmente non esiste. Io ne ho cambiati quattro perché mi facevo odiare. Io rompevo i coglioni con perizia, in quel luogo di catechesi. Io facevo domande e domande. E non mi rispondevano mai. Io chiedevo “ si ma gli apostoli e bla bla bla poi arriva Gesù e diceva bla bla bla ma questo significa allora che bla bla ? Oppure bla bla bla? “ Come insegnanti di catechismo non ci davano mica il prete. Macchè. Ci piazzavano davanti delle ragazzine di quattro cinque anni più grandi di noi. Io volevo il prete. Lo esigevo. Io volevo rompere i coglioni all’autorità. E loro mi davano in pasto a queste ragazzine. Io chiedevo delucidazioni sugli apostoli e loro mi dicevano” ma, sai , la misericordia, la carità , bla bla bla” . Più o meno le risposte erano sempre quelle. Poi la lezione finiva e le ragazzette mie maestre di carità andavano a ficcare la lingua in bocca ai ragazzetti sul motorino dietro la Chiesa.  Quanto a misericordia, se ne intendevano, loro. Io invece rompevo i coglioni  in modo sistematico, asfissiante. Volevo sapere. Alzavo la mano. Volevo capire. Alzavo la mano, e facevo domande. Oggi un bambino così io lo ucciderei senza problemi. Solo una volta rimasi zitto. Avevo di fianco a me un bambino con i capelli ricci e neri e lerci. Mi voltai dalla sua parte e vidi nel suo orecchio una profusione di cerume incancrenito come mai più mi capitò per tutto il resto della mia vita. Aveva il brodo primordiale, nell’orecchio, e presto la’ dentro si sarebbe creata una nuova forma di vita misericordiosa. Rimasi zitto perché se avessi parlato, se avessi aperto la bocca, avrei vomitato sul tavolo, sul libro aperto alla pagina della vignetta di Mosè con le tavole dei Dieci Comandamenti.

Un giorno fui spedito a seguire delle lezioni “private”. Mia madre si era rotta le palle. Mi mandò da una mia vecchia zia, maestra di catechismo da sempre, a farmi impartire la conoscenza del divino. Eravamo solo io e lei. Io crepavo dal sonno. Luci soffuse, voce flebile, un divano morbidissimo. Mi pizzicavo le ginocchia per tenere gli occhi aperti.

Un giorno ebbi la folgorazione. Alzai la mano ( non serviva, c’ero solo io, ma avevo fatto l’abitudine) e chiesi:

– Adamo ed Eva.-

– Si, dimmi –

– Adamo ed Eva li hanno mandati via dal Paradiso perché si son mangiati la mela, vero?-

– Certo. Da lì è nato il peccato originale. –

– Si si lo so. Quello che voglio sapere è : erano in Paradiso e sono stati spediti sulla Terra, giusto? –

– Certo. –

– E sulla Terra non c’era nessuno. Sono arrivati loro, hanno fatto i figli. –

– Si, infatti. –

– E poi i figli dei figli. E insomma da lì deriviamo tutti noi, vero? –

– Giusto. –

– E la scimmia?-

– Quale scimmia? –

– A scuola mi dicono che discendiamo dalle scimmie. –

Silenzio.

La risposta che segue non è frutto della mia perversa fantasia. E’ la pura realtà. Ci tengo comunque a precisare che si, la mia fantasia è perversa. Tanto. Ma questo è un altro discorso. Torniamo al divano morbidissimo, ad un bambino incazzoso. Alla predicazione del divino.

– Le scimmie. Sai, quello è un modo di dire.- segue lunga inspirazione per conferire tono di solennità-  Significa in pratica che Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso, arrivarono sulla Terra, e iniziarono a vivere in condizioni precarie, nelle campagne, e allora si inselvatichirono a tal punto da sembrare quasi delle scimmie.-

– Sembrare delle scimmie?-

– Già. –

– E dunque così stanno le cose?-

– Già. Ma c’è da dire anche che la misericordia, la carità , bla bla bla. Bla bla bla e poi tieni conto anche che bla bla bla. –

Punto.

Lì smisi anche di pizzicarmi le ginocchia.

fare qualcosa

Dicono : l’accidia è un vizio capitale.

Io dico: mah.

Essere al mondo, essere vivi, avere un cervello che intanto funziona , espirare ed inspirare ritmicamente . E pensare pensare pensare. Mica è poco. Poi ti guardano dal di fuori e dicono: eh, quello lì non fa un cazzo. Non è che dicono: accidioso. Per dire accidioso ci vuole il letterato, l’uomo di cultura. Però fa lo stesso. Ti dicono : ehi tu, non fai un cazzo. Muoviti.  Fa’ qualcosa, perdiamine.

Ieri sera sono stato a bere una birra in un posto. Bel posto. Il tavolo, la birra, gli amici. Vabbe’ , non li conoscevo per niente, quelli la’, erano gli amici della Tipa del Nord. Mi dice: dai vieni che beviamo una birra con i miei amici. Io penso: che palle. Poi ci vado. E cambio idea. Sono stato bene.

Intanto che scrivo, le cose prendono una direzione ben precisa. Ineluttabile.

Del tipo che non posso aprire più la posta, che dentro ci trovo le mail all’acido Muriatico che mi spedisce la Tipa del Sud. Il monitor si scioglie, quando visualizza quelle parole. Io rispondo conciliante, picchettando sulla tastiera, ma non serve. Acido e acido, questo ricevo. In altri momenti avrei chiuso tutto con un bel vaffanculo solenne e scandito con chiarezza. Magari con l’indice puntato all’aria come un direttore d’orchestra. Adesso invece mi metto a ragionare. Cerco di essere comprensivo.  Non serve. Allora mi scandisco i vaffanculo a me stesso davanti lo specchio del bagno. Non serve.

E allora quello che serve è inspirare ed espirare ritmicamente. E pensare pensare pensare.

Dicono : l’accidia è un vizio capitale.

Io dico: eh, insomma.

orifizi

Questa felicità che alle volte mi assale, è come un conato di vomito.

Come qualcosa che non si controlla, eppure è li’. Come qualcosa che deve uscire per forza, ma è troppo grossa. E allora capisci che, quando verrà fuori, proverai anche un po’ di dolore. Perché è troppo grossa. Come una donna che sta partorendo un bambino con la testa troppo grossa. E il dottore le dice: signora, il bambino c’ha il capoccione. Magari vuole un po’ di analgesico? Eh, signo’?

Mi chiedevo: esiste un orifizio per la fuoriuscita della felicità?

E se esiste, io lo voglio l’analgesico?

Ieri mi ero perso in questo immenso Ospedale. Cercavo il dipartimento di Oncologia Sperimentale. Lo scienziato Mr. Bean alla ricerca della porta giusta. Mi guardo nel riflesso di una porta a vetri e penso : sono molto ma molto più bello di Mr.Bean. Molto ma molto ma molto. Però mi sono perso lo stesso. Ho aperto tutte le porte che ho potuto, ho detto “mi scusi” ad almeno tre signore che stavano sdraiate sul lettino con la gamba ingessata e rialzata. Ho detto “ mi scusi “ ad almeno tre altre persone che invece dormivano, nel lettino. Ho pensato: posso andare avanti all’infinito a dire “ mi scusi “ e ad aprire le porte, e prima o poi troverò quello che cerco.

Poi invece si è avvicinata una signora, vestita in modo distinto e ampiamente sorridente. Aveva un cartellino sul tailleur, dove c’era il suo nome,  Signora Qualchecosa, e il suo ruolo nell’Ospedale, Responsabile per il Qualchecosa. Questo Qualchecosa doveva essere evidentemente la Ricerca e il Soccorso per i Pirla Che si Perdono nell’ Ospedale. Magari anche con una delega speciale per i Mr. Bean. Per quelli belli, ovvio.

La signora mi dice:

-Qualchecosa Qualchecosa, posso aiutarla?

Io vedo che lei mi si rivolge in Crucco, e allora mi adeguo. Il Crucco rafelico, suona più o meno così:

– Io cercare questa istituto , mi avere detto dottoressa : al second ( inglese) piano . Detto.-

Perché in Crucco il verbo va alla fine. Solo che io lo metto pure all’inizio- perché mi distraggo- e poi lo ripeto alla fine. Melium abundare quam deficere.

– Bene. Qualchecosa Qualchecosa, venga con me che l’accompagno. –

– Ma no, non disturbare voglio adesso lei troppo disturbare!-

– Venga venga, è qui.-

– Ma…Disturbare! Dove?-

– Questa è la scala. Qualchecosa. E’ al secondo piano. Venga.- 

– Ma no, andare posso da solo salire sopra andare. Molte grazie-

– Prego, Qualchecosa. Buona giornata.-

– Molte.-

bianco fosforescente

Apro  la porta di casa e trovo la neve.

Meglio, lo posso scrivere meglio.

Apro la porta di casa e nelle cuffie è appena iniziato un pezzo degli Smiths che sembra fatto apposta per questa mattina. Apro la porta di casa e con gli Smiths nelle orecchie mi trovo, subito dietro la porta, un sole inaspettato che sbatte sul manto di neve tutto attorno. E la neve, con questo sole che gli sbatte addosso, ha un colore bianco fosforescente. Lo so che non esiste, questo colore, ma avete capito cosa voglio dire. Avete capito, certo.

Avevo bisogno di cose normali, questa mattina quando mi sono tirato su dal letto. Di cose piccole, semplici e normali.

Normalmente, mi sono addormentato ieri notte, con un libro tra le mani che mi stava dicendo leggimi leggimi e non chiudere gli occhi, rafeli, perchè domattina se  mi leggerai sul cesso non sarà come stanotte, leggimi adesso e ti prometto che le pagine seguenti saranno ancora più coinvolgenti. Lo so che ti cala la palpebra, ma adesso leggimi e non te ne pentirai. Io queste le chiamo tentazioni, caro libro di McEwan,  ho risposto, e a queste tentazioni di solito non resisto. Anche perché vengo fuori appena adesso da un periodo in cui ho provato ad ingoiare il Processo di Kafka, e non ci sono riuscito. Un periodaccio, altro che. E se adesso esce fuori un mister Studente di Lettere qualsiasi che mi dice che sono ignorante perché non apprezzo il signor Frank, benissimo, allora io sono ignorante. Nel romanzo ci voglio trovare l’odore dei personaggi, eccheddiamine. Voglio poter pensare a come sono pettinati, voglio intuire l’intonazione della loro voce.  Mica le metafore. Che me ne faccio delle metafore. Delle allegorie. Cosa me ne faccio. Le poesie, ci possiamo scrivere, con le allegorie. Caro Frank, non te la prendere, ma oltre Le Metamorfosi non ci vado. E’ una questione di digeribilità. Non digerisco, punto.

Adesso corro a prendere il mio Taccuino Personale , ed alla voce “Lavori Che Mai e Poi Mai Potrò Svolgere” ci aggiungo , segnato col pennarello rosso, il Critico Letterario.

"..dapprima non percepì che il dispiegato susseguirsi di vocali e sillabe, gli irresistibili ritmi sincopati, il godimento ritardato della struttura sintattica tedesca. Ma alla fine della terza birra il suo tedesco era già migliorato e Leonard riconosceva i singoli termini di cui ricordava anche il significato, dopo un attimo di riflessione. Alla quarta birra, intere frasi qua e là gli arrivavano senza causargli problemi di interpretazione.

Calcolando i tempi di preparazione, ordinò in anticipo un altro mezzo litro. (…) A volte certe cose sono necessarie."      Ian McEwan – Lettera a Berlino.

Studiamo Lingue

Mio Cuggino è alto un metro e novanta e alla fine di questo metro e novanta ci trovi un cespuglio di lunghi capelli rasta. Mio cugino ha due frasi-di-battaglia per fare colpo sulle tipe. La prima frase-di-battaglia è : Questi dread lock sono naturali. Non ci credi? Tocca, tocca. La seconda frase-di-battaglia è : una volta sono andato in coma etilico. All’ ospedale, mi hanno portato. Di solito però non ha bisogno di frasi-di-battaglia perché le ragazze si appendono ai suoi capelli rasta come fossero tante piccole Cita di Tarzan attaccate alle liane nella giungla.

Mio cugino è uno che le tipe lo fermano per strada e si fanno fotografare con lui. E se poi lui chiede ma perché scusa? loro rispondono serie : ma tu non sei quello famoso? Quello lì…o no?  Io lo chiamo il potere del rasta. Il fascino del rasta. Ci sono tipe che davvero vanno nel pallone se gli fai vedere il tuo capello rasta. Si sciolgono. Si eccitano. Fanno le foto. Fanno le fusa. Fanno le moine. Soprattutto, fanno fanno fanno.

Fanno tutto.

Siamo sotto carnevale, quasi. Siamo stati in un centro commerciale e al reparto Cazzate e Futilità potevi comprare il cappello con i colori della Giamaica e i finti capelli rasta attaccati sul retro. In pratica volendo a Carnevale ci si può travestire da Mio cuggino.

  

Mio Cuggino non parla inglese. Mio Cuggino prende atto che esiste una lingua chiamata tedesco. Mio Cuggino è venuto qui a Monaco a trovarmi. Gli ho detto , ascolta Alessa’, ti insegno qualche frase in Crucco, ok?

Rafeli: Wie geht’s significa “Come Va?”

Cuggino: Bill Gates?

Rafeli: Wie geht’ s, ho detto.

Cuggino: Apposto, allora Bill Gates significa Come Va’. Questa me la ricordo.

 —

E dunque siamo stati in giro, questi giorni, io e mio Cuggino. Mentre io scolavo birre lui aveva sempre una Cita bionda o bruna attaccata ai rasta. Che faceva le fusa, faceva le moine. Che insomma, faceva. Mio Cuggino poi è un bravo ragazzo, è sensibile. Dunque cerca, per quello che può , di accontentarle tutte.

Ieri sera, la serata era intitolata “Last Erasmus Party” Sottotitolo: “All You Can Drink” . In realtà ho poi scoperto che questo era solo un titolo di copertura, una messinscena. Il vero titolo della serata era invece “ La festa della Lingua in Bocca” Sottotitolo : “ Lasciate Ogni Speranza O Voi che Entrate”.

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Il Gioco Della Lingua in Bocca, adesso ve lo spiego.

Il numero dei partecipanti è variabile, ma generalmente più si è, più ci si diverte. Il requisito essenziale per partecipare è essere in possesso di una lingua ed essere in grado di aprire o chiudere la bocca. Il gioco consiste nell’ avvicinarsi ad un altro concorrente, generalmente di sesso opposto al proprio, far combaciare le proprie labbra alle sue labbra. A questo punto è necessario aprire la bocca e inserire la propria lingua nella bocca dell’ altra persona. Esistono diversi stili e diverse modalità di inserimento e retrazione, ma non vorrei dilungarmi troppo su questi particolari. Sono comunque abilità che si acquisiscono col tempo e con la pratica. Dopo avere inserito ed estratto la lingua un numero sufficiente di volte, è necessario cambiare compagno di gioco. Bisogna però prima congedarsi, e a questo proposito esistono diverse frasi di rito. Alcuni esempi tra i più gettonati : “ Scusami, vado al bagno  Oppure: “ Dove sono i miei amici? Vado a cercarli.” Quindi, una volta avvenuto il commiato, si può riprendere il gioco con un altro partecipante. Solitamente non si parla durante il gioco, tuttavia di tanto in tanto viene spesa anche qualche frase, tra i partecipanti. Parlare durante il gioco può certamente essere divertente. Le frasi che vengono dette sono comunque standardizzate, e vengono scelte tra una gamma molto ristretta di frasi disponibili che potete trovare nel manuale del “Gioco della Lingua in Bocca”. Tra le frasi che riscuotono maggior successo “ Where are you from? “  a anche il sempreverde “ What’s your name?”.  Sconsigliato invece, perché ritenuto eccessivamente romantico, chiedere: “ How old are you?”.

Come vedete partecipare a questo gioco è facilissimo e anche abbastanza divertente. Adesso lo so che vi starete chiedendo: ma lo scopo del gioco, qual è?  Effettivamente ad una analisi superficiale questo gioco sembra non avere senso. Ma non è così.  Come sapete la Comunità Europea finanzia ogni studente Erasmus europeo con un tot di euri mensili. Il vero scopo di questo finanziamento non è la promozione dello studio all’estero ( come dicono che sia) ma bensì la ricerca scientifica. Noi, in realtà,  siamo le cavie di un indagine epidemiologica condotta dal Ministero della Sanità Europeo sulle malattie trasmesse attraverso il contatto orale. Siamo tenuti sotto osservazione da Bruxelles, come possibile focolaio di malattie a trasmissione orale. Ecco dov’è lo scopo. Quando vi troverete davanti uno studente Erasmus, ringraziatelo. Lui ha lavorato per la vostra salute.

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Adesso il primo che lascia un commento citando la canzone Mio Cuggino degli Elio e le Storie Tese vince il Premio Simpatia per il mese di Febbraio 2006. Pronti, via.

quasi le nove meno venti

Mio Cuggino è di la’ che si doccia, io sono di qua che agonizzo.  Stasera si festeggia in giro, come ieri sera, l’altro ieri sera etc etc. Questo weekend è iniziato di martedì. Ne scriverò, ma non adesso. Così come scriverò di Mio Cuggino, un personaggio da conoscere.  

Per adesso dico che vorrei essere siciliano, per poter votare questo personaggio.

 

Dalla lettera di Santu Paulu ai Corinzi

“…e Rafeli brucierà nelle fiamme dell’ inferno. Scenderà nel profondo degli inferi e trascorrerà l’eternità in una piccola stanzetta buia e  priva di connessione internet ma con uno schermo sedici noni perennemente sintonizzato su Amici di Maria de Filippi…”

 

Ero seduto in biblioteca, avrei  dovuto studiare ma continuavo a giocare con gli interruttori della lampada da tavolo. Acceso Spento Acceso Spento. Acceso Spento. Toh, nevica ancora. Quanta neve che scende giù. Quanta neve.  Acceso Spento.

Acceso. Spento

Bip Bip. Messaggio dalla tipa del Sud: Sono a cena da mia sorella. Vengo da te più tardi, se tu lo vuoi.

..

Ecco, cazzarola, non lo voglio. Tutta l’altra notte, siamo stati insieme.  Voglio stare solo, adesso. Non mi va di raccontare balle. Niente balle.

Messaggio: Veramente preferirei stare da solo. Ciao.

Ecco, bello chiaro. Conciso e sincero.  Dov’ero rimasto, Acceso o Spento?  Ero rimasto ad Acceso. Dunque ora Spento. Acceso, Spento, Acceso, Spento.

Bip Bip, Messaggio : E rimani da solo nella tua solitudine, allora! Gute Nacht!

 

Che poi sarebbe come dire: vaffanculo stronzo merdoso di un idiota rincoglionito. Me lo merito? Me lo merito. Cos’ è questa sensazione che c’ho addosso ad un tratto? Questa sensazione come di aver mangiato troppo pesante? Questo fastidio che mi svolazza tra le camere del cervello?

Angelo Rafeli alla mia destra: Senso di colpa si chiama, brutto stronzo!

Diavolo Rafeli alla mia sinistra: Cazzo c’entra il senso di colpa, adesso? Quella lì non ha capito niente, si è montata la testa. E adesso che si incazzi pure, che ce ne frega a noi? Bukowski diceva che le donne sono programmate per incazzarsi. E che si incazzino pure,allora.

Angelo Rafeli: Sempre a trovare scuse, tu. Mai che ti prendi le tue responsabilità . Mai . Se è come dici tu ,allora, perché Rafeli c’ha sto senso di colpa addosso?

Diavolo Rafeli: Ma certo! Se tu pezzo di merda di un angelo continui a premere il tasto “ senso di colpa” forse gli passa. Stai fermo col dito così io posso premere un po’ il tasto “strafottenza”. Ecco qua. Stronzo di un angelo piumato.

  

Ma alla fine il senso di colpa rimane (così come parallelamente rimane la mia gigantesca strafottenza) e mi fa compagnia lasciandomi addosso l’ impressione che come sempre ho sbagliato qualcosa. Come sempre. Ma tant’è.

C’era quella canzone lì che adesso non ne ricordo il titolo che diceva : “ I apologize for once again I’ m not in love” . Ecco, appunto, è questo quello che mi viene da dire.  I apologize, per quello che può servire. Ma cosa ci posso fare se once again I’m not in love? E’ così e basta.  I am NOT in love. Ma neanche poco poco. E i patti erano quelli, mi sembra. Lo si sapeva dall’ inizio, eppure alla fine in queste storie esce fuori qualche isterismo. Qualche urlo. Qualche vaffanculo al telefono.

A me in queste situazioni viene voglia di sedermi per terra, incrociare le gambe, guardare tutto il casino che ho combinato e dirmi a bassa voce: “ sono stato io a fare questo?”

Cambiando argomento.

Ho scritto queste righe con Word. Questo programma è stato concepito da un gruppo di informatici burloni alcolizzati. Non c’è dubbio. Scrivo “ Maria “ e me lo sottolinea in rosso: Errore. Come errore? In che senso? Scrivo Teresa. Va bene. Lucia? Pure. Oso: Genoveffa, Lucrezia, Ursula. Niente, vanno bene tutti. E che problema ci sarà con “Maria”? Tasto destro del mouse: leggo i suggerimenti. Cioè cosa mi propone Word al posto di Maria. Mi propone: Marina. Vabbe’. Mi propone: Marita. E’ un nome anche questo, ok. Mi propone: Mari. Aspetta, mi stai prendendo per il culo? Maria non ti piace e Mari invece si? Poi il colmo: Marra. Marra? Ma de che? Per finire, la perla:  MARZA.  Cari programmatori di Word, Marza ci sarà vostra madre e vostra sorella. E vostra cugina, quella marzona.

capriole che a mezz'aria mai farò

In questo momento neanche alzarmi dal letto mi riesce. Figurati le capriole. Figurati le capriole a mezz’aria, poi.

Meglio che sto qui fermo buono buono. Che il soffitto in certi momenti è davvero interessante, da osservare. Alcuni scienziati l’hanno chiamata sindrome della stanchezza cronica. Penso di averla, sta sindrome. Questa come tutte le altre. Tu mi descrivi minuziosamente una sindrome in tutti i particolari, io ci penso un attimo, e due minuti dopo sono certo di avere pure quella, di sindrome.

 

Il pacco formato famiglia di Lolly Pop del precedente post. Li ho provati. Che trauma. Quadrati, li fanno. Cioè, ho detto quadrati. Ma come quadrati, scusate? Tondi, sferici, a forma di cuore, a forma della testa di Topolino. Ma quadrati no, vi prego.

Adesso li ciuccio solitario nella mia stanzetta. Mi vergogno dei miei Lolly Pop, ecco cos’è. Adesso sono convinto che uno di questi cosi in bocca possa farmi apparire lievemente frocio. Sembra una cazzo di paranoia. Lo sembra, si.

 

Ma perché mi vengono in mente certe paranoie.

 

Esiste questo sito dove se mandi una tua foto allora il computer la elabora e voilà!, nel giro di qualche secondo ti dice a quale personaggio famoso assomigli. 

Che bello, ho pensato.

Ho mandato una mia foto e voila! lo stronzone del computer mi dice che assomiglio a Katie Holmes. La Joey Potter di Dawson’s Creek. Che per inciso sarebbe pure incinta di Tom Cruise.

Poi guardo bene e sotto c’ è un tasto , dove se clicchi puoi decidere di cercare la tua somiglianza con un uomo o con una donna. Se non lo clicchi, allora il computer decide lui per te.

Cazzo, clicco uomo, allora.

Mi esce fuori Leonardo di Caprio.

Mi spanzo dalle risate.

Meglio dormire.

Che c’ ho la stanchezza cronica.

E, volendo, sono pure incinto.

quasi quasi un principe

Ad un certo punto sta tizia  seduta di fronte a me sul tavolino allunga la mano e prende possesso della mia birra. Butta giù due sorsi. La guardo. Mi guarda. Ci guardiamo. Be’ se le cose stanno così allora parliamone.

 

Ascolta, Tizia Mulatta alta all’incirca un metro e ottanta centimetri, che ci fai qui? Studio tedesco. Brava, brava. E tu? Anche io ci studio , a Monaco. Bravo, bravo. Cosa ci studi? Veterinary  Medicine. Oh mio dio che carino! Oh mio dio che cosa dolce! e mi abbraccia, improvvisamente, con una delicatezza che mi fa pensare: cazzo sono davvero dolce, cazzo sono proprio dolce. Be’ dimmi ancora, Tizia Mulatta che mi siedi di fronte, da dove vieni? Vengo dal Trinidad e Tobago. Io non ho la più pallida idea di dove sia il Trinità e Tomato.  Alchè il fido amico Michelangelo seduto lì vicino che intanto origliava, mi dice: è vicino Cuba.  Grazie, fido Michelangelo. Pensavo fosse in Africa. Però mi sembrava un po’ troppo pallida, per essere africana.

 

E comunque passano tre o quattro minuti e si decide col fido Michelangelo che una che viene a studiare tedesco partendo dall’altra parte del mondo, partendo da un paese di sicuro poverissimo – che tutti i nomi esotici per me  sono di paesi poveri– allora deve essere certamente la figlia dell’ ambasciatore Tobaghese o meglio ancora è la figlia dell’ Imperatore del Regno del Tobago. Perché di solito i paesi poveri c’hanno sempre la dittatura. E tutti muoiono di fame, tranne l’ Imperatore. E l’Imperatore di solito decide che la figlia prediletta deve andare a studiare all’estero.

 

Ci dico al fido Michelangelo, vedi che la Tizia Mulatta figlia Del Re Sole sembra avere un atteggiamento accondiscendente. Vedi che stasera do’ la svolta alla mia vita. Tra un paio d’ anni ti mando una cartolina da un posto con le palme e la spiaggia bianchissima. Se lei è la figlia dell’ imperatore – e a questo punto ho bevuto birre a sufficienza per crederlo veramente– allora è la principessa del Regno del Tobago. E allora io, se la sposo- e sembra accondiscendere, la Tizia- divento per via direttissima il principe del Regno del Tobago. Ma ci pensi, amico Michelangelo? Passerò la vita in abiti reali con una corona di banane in testa a giocare a ping pong con i nipoti di Fidel Castro. Maccheddico i nipoti, mi vado a fumare un sigaro dal Fidel ogni sera. Io, il Fidel, e il Diego Armando. Eh? Che ne dici?

 

Poi dopo succede che la Tizia è davvero accondiscendente, solo che ad un certo punto le viene da farmi questa domanda: ma tu quanti anni hai? Io ci dico la mia età, venticinque. Lei sgrana gli occhi e mi dice: oh, ma io sono mooolto ma mooolto più giovane. Mooolto ma mooolto, lo sai? E che problema ci sarà mai, ci dico alla tipa. Allora lei mi dice, con l’espressione di un bambino che confessa di essersi pisciato addosso, io ho diciassette anni.

 

No, aspetta.

 

Io già mi vedo l’Imperatore Sua Maestà del Regno del Tobago che stacca ad una ad una le banane dalla mia corona e cerca di infilarmele dove può. Già mi vedo i sudditi di sua Maestà che mi prendono in consegna imbottito di Banane e mi infilano in un cannone e che mi sparano direttamente dal Trinidad fino al Tobago, poi di nuovo dal Tobago al Trinidad fino a quando non decidono di farmi espatriare sparandomi, che ne so, in Venezuela. 

No, no. Rinuncio al trono, guarda. Abdico.

 

Sono questi dei giorni in cui cerco il mio riscatto nei supermercati. Appena sono dentro al supermercato, sento che sto per cambiare vita. Di solito mi succede nel reparto ortofrutta. Vedo i tipi salutisti che comprano le insalatine delicatine che non ti fanno male ma che anzi ti depurano tanto, e penso che anche io posso iniziare nutrirmi meglio. A cenare con una mela, che ne so. Poi giro giro. E la mela rimane lì dov’è. Di fianco all’insalatina. Io vado alla cassa con le mie ali di pollo precotte. L ‘altro giorno sono uscito con quattro confezioni di vitamine e un pacco formato famiglia di lolly pop.  Il lolly pop ( il lecca lecca) in bocca serve a smussare la mia figura. In teoria dovrebbe farmi sembrare più dolce.

Non è che posso andare in giro a dire a tutti che studio Veterinary Medicine.

la febbre del mercoledì sera

Mentre sono in letargo sotto le coperte, in posizione fetale di feto morto, mentre il termometro è buttato sul pavimento e porta ancora la testimonianza dei miei trentotto gradi corporei, ecco che sento il bip bip di un messaggio sul telefonino. Il mio braccio non vorrebbe muoversi da dove sta, ma lo costringo a prendere il telefono, anche lui gettato sul pavimento. 

Sms  Mittente: La Tipa della Crucconia del Sud. Oggetto: Allora hai tempo stasera? Avevi detto che saresti venuto, stasera. A che ora vieni?  Ciao.    Merda, è vero, avevo detto che ci sarei andato. Ma sto morendo. Come faccio. Non posso, ho solo bisogno di un notaio che venga qui sul mio letto di morte a  prendere nota delle mie ultime volontà. 

Sms. Mittente: Rafeli il moribondo. Oggetto: Sono a letto con la febbre. Sono inabile al movimento. Scusami, avrei dovuto chiamarti prima. Ci sentiamo la settimana prossima. Ciao.

Bene, che bravo. Mi sono pure scusato. Posso tornare ad agonizzare. Ecco che sto già immaginando tutti i miei amici e parenti riuniti attorno al mio letto. C’ è chi piange, c’è chi parla col dottore “ ma si salverà , dottore? Oh mio Dio, dottore, la prego, ci dica che si salverà!” Il dottore ( nella mia agonia c’è  Terence Hill nel ruolo del medico) : “ Non mi posso sbilanciare, signora. Certo, con 38 gradi di febbre, solo poche persone al mondo sono sopravvissute. Confidiamo nell’ intervento divino”. Interruzione del delirio.  Bip, bip. 

Sms   Mittente: La Tipa del Sud.  Oggetto: Oh, mi dispiace. Sei così malato che pensi che io non possa venire lì a trovarti? Eh? 

Sms Mittente: il Rafeli piùcchemalato. Oggetto: Boh, non lo so. Non credo sia qualcosa di infettivo. Ma sono interessante anche se sto crepando nel letto? Lo sai che se vieni non riuscirò a pronunciare più di dieci parole? 

Sms  Mittente: La Tipa del Sud  Oggetto: Va bene, allora meglio se non vengo. Però se vuoi vengo, cioè vengo solo se tu lo vuoi. Ciao.

Faccio uno squillo che sta a significare: buona la prima che hai detto. Torno ad agonizzare. Il dottor Terence Hill è inquieto. Io guardo tutti i presenti e tutti i presenti mi guardano. Io sorrido. Dico loro: non preoccupatevi per me. E sorrido. E sorrido. E sorrido. Qualcuno si accorge della mia paresi facciale, si danno gomitate e si sussurrano all’orecchio: poverino, crede di essere già in paradiso. Squilla il telefono: è La Tipa del Sud.

TdS: Ciao, come va?  R: Eh, sai,  si sta come d’ autunno sull’alberi le foglie. In un autunno molto ventoso. Non so se mi capisci. TdS: Mi hai chiamata?  R: No, era uno squillo. TdS: Hai visto, hai detto già più di dieci parole! Che faccio, vengo lì? Ma vengo solo se tu lo vuoi. 

Aspetta che mi guardo allo specchio, aspetta. Sono sporco. Probabilmente puzzo. Ho bisogno di una lavata. Ma prima ancora, ho bisogno di giocare al gioco della mummia nel sarcofago nel mio letto. No, meglio che non viene. Al telefono: no dai, meglio di No. (e siccome una giustificazione devo darla) :se vieni rischi che ti attacco questo morbo ( mortale NdA). Lei: ma mi avevi detto che non era qualcosa di infettivo. R: Eh, ma pensarci bene mi sa che invece è infettivo. Infettivissimo, guarda. C’ho la Sars. Lei: ah, vabbè , ciao allora, riprenditi.  Comunque se vuoi vengo. Cioè vengo solo se tu lo vuoi.

Poi la mattina dopo sono ancora vivo. E sono in pigiama che provo a cucinare qualcosa, visto che il mio debole corpo ha ancora voglia di rimanere al mondo. Ballo Kissing the Lipless dei The Shins col mestolo di legno in mano. Bip Bip del telefonino.

Sms Mittente: La tipa della Crucconia del Nord .  Oggetto: Ciao! Stasera c’è una festa in un posto, non quello che ti avevo detto ma in un altro in via Tal dei Tali. Che fai, vieni? Se vuoi puoi portare anche tutta l’ orda dei tuoi amici Ersamus. Vedi tu.

Sms Mittente: Rafeli lo scampato alla morte. Oggetto: Grazie dell’ invito ma ho avuto la febbre ieri e credo che per oggi non uscirò. Facciamo un’ altra volta? Ciao.  

Sms  Mittente: La Tipa del Nord.  Oggetto: Oh, mi dispiace, spero che ti possa riprendere presto. Ci vediamo , ciao. 

Punto.

Uno a zero per la Tipa del Nord. Palla al centro.

Torno a girare la pasta.

l' amore non è mica per sempre

Andavo alle elementari e mi innamorai della piu´ piccola delle sorelle di Occhi di Gatto.

Il cartone animato, quello lì.

Andavo alle elementari con un atroce grembiulino blu e il colletto bianco. Il colletto bianco era cosi´ ridicolo che avrei voluto dire: va bene, e perche´ non mi mettete anche un cappellino da Grande Puffo e il naso da pagliaccio? Dai, cosi´scendo per strada e mi faccio linciare.

Ma questo e´ un altro discorso.

Dicevo.

La piu´piccola delle sorelle di Occhi di Gatto. Mi innamorai di lei mentre ero con il naso a venti centimetri dallo schermo della televisione. Lei era quella che non sapeva fare un cazzo. Le altre tre rubavano. Lei era bella e basta. Rubava anche lei, ma solo per mandare avanti l´azienda di famiglia.  Per un senso di dovere.   Rubava con le altre due sorelle, ma svogliata.  Aveva altri progetti, evidentemente. Io la capivo benissimo. Io che stavo col mio naso a farmi l´aereosol con le radiazioni della tv a venti centimetri dallo schermo.

Poi un giorno, mentre mandavo giu´a cucchiaiate un brodino invernale, ho capito che l´amore non dura per sempre.  Quel giorno pioveva. Io e il mio cucchiaio guardavamo la tv, e dalla tv è venuta fuori Mila. La pallavolista. Quella di Mila e Shiro due cuori nella pallavolo. Quella che saltava per schiacciare la palla, e rimaneva sospesa nel vuoto per un quarto d’ora. Nel frattempo mandavano la pubblicità e poi quando la pubblicità finiva lei era ancora lì che volava.  E che pensava. Noi che eravamo gli ascoltatori potevamo sentire i suoi pensieri, e Mila durante il salto pensava ad argomenti che con la partita non c’ entravano un cazzo. Era tremenda. Dopo aver pensato- che ne so – ai cazzi suoi, si riprendeva, si ricordava che stava volando e allora schiacciava la palla in faccia a qualche avversaria, che di solito faceva un volo di cinque metri all’ indietro. 

Se non giocava bene, il suo allenatore, una specie di Adriano Pappalardo giapponese, la linciava. 

Io, bambino, ero sconcertato.

Perchè allora l’ amore non durava per sempre, evidentemente. Pensavo con senso di colpa alla piccola di Occhi di Gatto. Ma cosa ci potevo fare? Le cose a volte, vanno così. La vita, alle volte, è crudele. ( prendete nota che questa è una frase utilissima).

In seguito conobbi anche Licia di Kiss me Licia. 

E in quel momento stavo per consumare l’ennesimo adulterio. Stavo per, ma non l’ ho fatto. Perchè ad un certo punto Kiss me Licia da cartone animato è diventato telefilm. E nel ruolo di Licia ci hanno messo una ributtante Cristina d’ Avena. Che trauma.

Mi sono avvicinato alla tv e ho detto sprezzante: una che se la fa con quel ricchione di Mirko dei Bee Hive con me non può avere niente a che fare.

Un duro.

                                                      

come volete

C´era questa giapponese che mi grattava la panza su e giu´ su e giu´, e intanto mi stringeva a se´ con l´altro braccio.  Questa giapponese – che poi mi hanno detto non essere esattamente una giapponese- mi grattava la panza e io intanto vedevo la sua faccia che mi ripeteva: rafaélle, rafáelle. Ogni tanto quella lasciava la presa, ma era solo per pizzicarmi il culo. E nel frattempo continuava a ripetere  rafáelle rafáelle.

Adesso la prima cosa che faccio e´ prendere il mio taccuino personale, e sotto la voce “Cose Che Mi Inquietano Molto” ci scrivo bello chiaro: le giapponesi ingrifate. E poi tre punti esclamativi. Uno, due , tre.

Ma questo per dire cosa.

Volevo parlare del mio nome. Ecco, di cosa volevo parlare. Ché qui, maledetti, me lo storpiano in continuazione, il mio nome.

Il fatto e´che qui in Crucconia i dolci della Ferrero vanno molto forte. Qui tutti conoscono il Ferrero Rocher e ancora meglio conoscono la variante ariana del Ferrero Rocher, che sarebbe poi il Raffaello. Che se poi ancora non ci siete arrivati e´ quel dolce li´ uguale uguale al Ferrero Rocher ma di colore bianco e al sapore di cocco.  Ed e´ inutile spiegare che no, non mi chiamo Raffaello.  Ci rimangono male. Io ci provo, una due tre volte, a dire “ no Raffaello, aber Raffaele”.  Poi basta, ci rinuncio.  Affanculo se volete chiamatemi pure Duplo, che tanto vi rispondo uguale.

 

 

do not disturb

Quando ho capito che non ce l’avrei fatta più, ho detto a tutti civediamodopo e mi sono chiuso nel cesso del locale. La musica arrivava attutita, nel cesso, e a tratti aumentava di volume quando qualcuno apriva la porta.  La porta, avrei voluto dire, tenetela chiusa per favore, che c’ ho male alla testa. Per favore.

Ed ero lì , dunque,  appoggiato con la testa all’ immenso rotolone di carta igienica alla mia destra. Provvidenziale rotolone che stavi alla mia destra. Quanta carta a disposizione che c’ avevo, e non mi serviva.

C’avevo voglia, invece, di pensare. Pensavo:

– tra i vari motivi che mi impediscono di uscire da qui c’ è pure quella bottiglia di Martini che abbiamo confiscato alla festa spagnola qualche ora fa. Potevamo lasciarla lì, forse, invece di fare gli splendidi e dirci a vicenda: ma sì, portiamola via, che la si beve per strada. Potevamo lasciarla lì.

– non posso continuare a nutrirmi di pasta al pesto e weiss wurst. Va bene che c’è una magnifica assonanza di “s” e di “t” , però sento che dentro di me qualcosa sta cambiando. E non parlo di sentimenti.

– All Around the world degli Oasis è un pezzo che dura troppo. Quanto cazzo dura? Dieci minuti?

– L’altro giorno Elena mi racconta che mentre si spalmava la crema nuda nella sua stanza, ha visto un tizio dietro la finestra del palazzo di fronte che la spiava e che – cito paro paro- muoveva la mano destra velocemente. Verso il basso. Ma c’era il davanzale e allora non si vedeva bene, dov’ è che arrivava questa mano.

– Alla  festa spagnola di cui sopra, dopo aver bevuto parlato cantato schiamazzato fumato etc etc in tutte le stanze, dopo che la casa era diventata un lazzaretto di disperati in preda alla claustrofobia compulsiva, dopo tutto questo, sulla porta di una delle stanze una spagnola che assomigliava vagamente a quel pupazzo Alf del telefilm americano, però bionda, e simpatica molto meno di Alf, mi dice: no qui non si entra più. Questa è la mia stanza. Cazzo, e adesso te ne accorgi? C’hai un morto sul letto, lo hai visto?

– L’ altro giorno ad Elena gli ho detto: devi essere contenta, se mentre sei nuda nella stanza le persone del palazzo di fronte muovono la mano velocemente e verso il basso. Arriverà il giorno che ti urleranno  “ ma copritiii, diosanto! “

– la lingua spagnola. Che lingua è, lo spagnolo.  Tutti questi Speedy Gonzales ( ve lo ricordate?) che parlottano tra loro e fanno le battute e io intanto non ci capisco una cippa lippa di niente. Capisco solo parapara pa’ paraparapa’ bueno parapaprpapa’ bueno.

– come diceva quel tizio, il giudice Santi Licheri, in quella trasmissione in tv, dove facevano finta di fare un processo? Diceva "mi ritiro per deliberare". Che uno potrebbe dirlo prima di andare al cesso mi ritiro per deliberare.  No? Ci sta bene.

– ribadisco che quella bottiglia di Martini forse era meglio lasciarla lì dov’ era. 

sbronzo ergo sconcio

rafeli ha deciso che deve iniziare assolutamente ad  avere un aspetto più rispettabile, in clinica.  Basta con il camice sgualcito, con la faccia addormentata,  con i sospiri di insofferenza. Basta. Ci vuole un po’ di contegno eecheddiamine. Altrimenti questi crucchi nei giorni a venire si ricorderanno di rafeli come di un pupazzetto sempre stanco ed inefficiente. E col camice sporco. 

rafeli entra allora in clinica con passo sicuro. Si potrebbe dire anche, se non fosse una parola che suona davvero male, che è baldanzoso. Il baldanzoso rafeli apre la porta e saluta tutti . Si presenta con una virile stretta di mano ai clienti presenti. Ascolta con vero interesse le parole crucche che vengono spese a proposito del nuovo caso clinico del giorno. Non capisce un cazzo, il rafeli, ma è davvero un attore da soap opera, e nessuno se ne accorge. Ogni tanto aggiunge pure un “si, certo” oppure un “perché?” giusto per non sembrare assente. 

Dai che ce la faccio, a sembrare una persona seria, ho pensato quel giorno. Dai che ce la faccio. Che qui inizio a sembrare il Pulcinella della situazione. L’ italiano pizzaiolo. L’ italiano pizza e fichi. Ma con chi pensano di avere accheffare?

I clienti se ne vanno e rimango nell’ambulatorio con la studentessa mia collega che intanto compila al pc alcuni moduli. Io nel frattempo non so cosa fare ma cerco di non fare niente con la schiena dritta, le braccia incrociate sul petto, sguardo clinico e professionale. Lei , la studentessa, si volta verso di me e mi fa un sorriso. Anzi, un sorrisetto. Eh, eh. Ed io, gioviale ma pur sempre professionale, rispondo: Eh, eh.

Lei di nuovo: Eh, eh.

Io sento che due sorrisetti nel giro di trenta secondi sono poco professionali, ma rispondo lo stesso: Eh, eh.

“Saluti da Cristina” mi dice.

“ Come hai detto, scusa?  Cristina?”

“ Si, Cristina. L’ altra sera, alla festa…”

“Guarda – le dico – io con i nomi sono un po’ una frana…e poi l’altra sera ho parlato con tanta di quella gente che adesso davvero non ricordo…”

“ Eh, Eh”  terzo sorrisetto. Al terzo sorrisetto non si risponde. Ne va della reputazione.

“ Ma con lei  non c’ hai solo parlato, per quanto ne so”

 Merda.

Flashback.

Il  locale scuro e fumoso è strapieno. La musica è assordante. Questo posto è pieno di Britney Spears.  In questo momento il dj ha messo su un pezzo dei red hot. C’ è un ondeggiamento della folla. Alcuni sprazzi di pogo. In un angolo si può notare, ma bisogna avere lo sguardo fino, il rafeli che si muove. Zoommiamo. Alcune Britney Spears ci impallano il rafeli. Ad una prima analisi sembra ballare. Ad una seconda analisi il suo ballare è invece solo un tentativo di rimanere in piedi. La birra ha rotto gli argini. Rafeli è un pilota d’ aereo che sa bene  che sta per andare a schiantarsi e cerca di cadere in un luogo dove può fare meno vittime possibili. Rafeli si avvinghia a qualcosa di biondo e femmineo. Non ne siamo certi, la telecamera non arriva fin là. Il rafeli non è più sul radar. Lo abbiamo perso.

“ah, Cristina, certo. “

“Ti ricordi, allora?”

“ si , come no. Certo.”

“….”

“salutamela”

la condotta del conducente

Il conducente della metropolitana, che lavoro di merda.

Vi voglio bene a tutti, cari conducenti di metro. Sappiate che vi sono vicino. Io vi capisco. Non pensate di essere soli nella vostra disperazione , perché io vi comprendo. Davvero. Questo lavoro dove voi dovete soltanto azionare la leva di marcia, e poi la leva del freno. Poi di nuovo la marcia , poi di nuovo il freno. Poi di nuovo la marcia, poi di nuovo il freno.

Attenzione che se non lo ripeto non rendo bene l’idea.

Azionate la leva di marcia e poi ? E poi il freno. Marcia , freno, marcia, freno, marcia, freno.

Marcia, freno.

Ah, dimenticavo, fate anche:

Apertura porte. Chiusura porte. Apertura porte. Chiusura porte. Apertura chiusura apertura chiusura . E´ un bottone, quello delle porte. Lo so perche´ vi spio nella cabina, di tanto in tanto. Ma solo perche´ vi voglio bene.

Mica per altro.

Abbiate pazienza che se non lo ripeto non rendo bene l´idea:

apertura porte, chiusura porte, apertura porte, chiusura porte, apertura porte, chiusura porta.

Apertura e chiusura.

Io lo so che voi nutrite una invidia assoluta nei confronti dei tassisti.  Non fate di no con la testa che tanto non serve.  Non vi dovete vergognare di questo.  E´ assolutamente comprensibile.  Quei maledetti tassisti che di tanto in tanto devono pure sterzare.  Cioe´, ho detto sterzare.  Che voi sono anni che sognate un giorno di potere almeno per una volta, con la vostra metropolitana, sterzare.  E invece niente, che c´avete i binari, sotto. Maledetti fottuti paralleli binari. Dritti dovete andare. Dritti e basta. E se poi ci sara´ da cambiare direzione, saranno i binari a deciderlo, mica voi.   Voi dovete solo fare marcia freno, apertura porte , chiusura porte.  Apertura , chiusura.

Marcia, freno.

Togli la cera, metti la cera, togli la cera metti la cera.

nostra signora dei cheesburger

Preparatevi.

La confessione scabrosa della giornata di oggi è questa: io al McDonald ci vado. Ma non solo ci vado, ci mangio pure, al McDonald. Succede raramente, ma succede. A volte sono capace di ingurgitare tre o quattro hamburger uno dietro l’altro, e sapete cosa vi dico? Che me la godo.

Mi pento e mi dolgo con tutto il cuore? Mi pento? Non mi pento per niente. Ma neanche un po’. Anzi, voglio inaugurare la stagione dell’ orgoglio cheesburger. Il Cheesburger pride, lo chiamerò.

Ma innanzitutto mettiamo le mani avanti: il McDonald ha i suoi difetti. Il McDonald ti fa ruttare orrende esalazioni di cipolla per ore e ore dopo l’avvenuto ingurgitamento. Il McDonald insozza la città di odore di olio fritto esausto. Uno schifo. Il McDonald è una multinazionale: ma su questo non aggiungo altro, che già esistono orde di no global con la kefiah al collo pronti ad incatenarsi alle porte del primo fast food invocando la lotta allo sporco capitalismo, pronti a lanciare uova marce o anche molotov contro le vetrine, inveendo contro i pupazzi gialli e rossi di Donald McDonald. Su questo argomento non aggiungo altro, lascio parlare i disobbedienti che fanno i cortei con le Adidas ai piedi.

Il qui presente pirla ingurgitatore di panini a sbafo dice: McDonald, ragioniamoci su. Analizziamo, ponderiamo. Ecco, questo è quello che ci vuole: un attimo di calma e lucidità. Dunque:

i cessi del Mc: la libertà fatta porcellana. I bagni del McDonald sono sempre lì per te quando tu li vuoi. Sono la libertà di utilizzare qualcosa senza limiti e senza paletti di sorta. Ma scendendo nel concreto: ti scappa da pisciare? Hai una diarrea dispettosa che si affaccia impertinente alle porte del tuo culo proprio mentre stai passeggiando per strada? Cosa fai? Dove vai? Eh? Vai nel baretto chic a chiedere del bagno? E vacci, vacci.  E vedrai che il bagno del baretto chic è guasto. Mi dispiace ma la toilette non è al momento disponibile. Il bagno in queste situazioni è sempre guasto. Sempre. Capisce, con tutta questa gente che ci chiede di andare al bagno, è facile che si inceppi lo sciaquone. Mi dispiace. E tu intanto sei lì che ascolti queste parole mentre il tuo colon ti dice: sono cazzi amari. Adesso mio caro sono cazzi amari.

Oppure il bagno non è rotto e lo puoi utilizzare.  Ma dopo devi comprare qualcosa, che sennò ti guardano male. Allora esci dal bagno e con scioltezza dici al barista: un caffè, grazie. E ovviamente sarà proprio quel caffè che provocherà cinque minuti dopo il triste revival della tua diarrea.

Il bagno del Mc è invece sempre lì per te, fedele. A tutte le ore del giorno. Tu entri, e non devi chiedere niente a nessuno. Vai in bagno e basta. Questa, cazzarola, si chiama libertà. Certo, per essere sporco è sporco. Ma non è che ti puoi mettere a fare lo schizzinoso in certe situazioni. Anche il tuo colon è lì che ti dice: fai il bravo, non fare il difficile. Entra e non rompere i coglioni. Alcuni giorni ci ho trovato i tossici con le siringhe ancora infilzate nel braccio, nei bagni del Mc. E nella desolazione di questa scena, ho pensato: almeno sti poveracci hanno un tetto, in questi momenti.

I bambini ci possono giocare, al Mc. Ci trovano le ceste con le palline colorate o i cubi per arrampicarsi. Non so se mi spiego. Quanto li invidio, maledetti bambini del duemila. Da bambino, quando andavo al ristorante, per giocare non c´era un cazzo. Un cazzo. Con i grissini sul tavolo, dovevo giocare. E poi arrivava la sberla. Stupido! Con tutti i bambini che muoiono di fame, che non hanno niente da mangiare, tu ti metti a giocare col cibo!  E dunque pure i sensi di colpa, mi facevano venire. Che poi, io mi chiedevo sempre: ma esattamente dove stanno questi bambini che muoiono di fame? Io sono il piu´ magro della mia classe, i miei compagni sono tutti piu´ o meno obesi. Ditemi dove sono sti bambini che io ci porto tutti i grissini che ho. Eccheddiamine.        Ma questa e´ un altra storia.

 Io ci mangio con un euro, al Mc. Del tipo che se c´ho fame, entro e ordino un Mc Qualcosa e me lo mangio. Semplice. Magari non sara´ buonissimo. Anzi, questo lo concedo, non e´ buonissimo. E´ mangiabile. Pero´ quantomeno non sono una ulteriore vittima del baretto chic ( quello dello sciaquone rotto, per intenderci) dove un paninetto molto chic delle dimensioni di due centimetri per due – e dunque quattro centimetri quadrati – me lo fanno pagare quattroeuro e dieci.   Adesso magari potrebbe intervenire il salutista vegetariano col balsamo di tigre sotto gli occhi a dirmi: e che schifo. Oppure potrebbe chiedere la parola il nutrizionista dottor Cippa Lippa e dirmi che no, non fa bene all´organismo. Fate , fate pure.

Una volta un tizio – un mio amico- mi disse: ma no, non puoi mangiare un hamburger al McDonald. Cosa ne sai che quella e´ davvero carne di manzo? Cosa ne sai? Potrebbe essere benissimo carne di gatto oppure – e qui l´associazione di idee mi lascio´ di stucco- potrebbe essere anche carne di topo. Ecco, pensai, siamo a posto. Questa e´ l´intellighenzia del nostro paese. Andiamo avanti. Carne di topo. Certo, io gia´ me li vedo i macellai stipendiati dal signor Mc Donald che strappano con perizia le sottili carni dei topolini da ingrasso. Pezzettino dopo pezzettino.  Con le pinze. Che se fosse cosi´ un panino di carne di topo mi costerebbe trentacinque euri solo di manodopera, al Mc Donald.

L´igiene. Io davvero non lo so che tipo di norme igieniche abbiano al Mc. Non lo so e non ne parlo. Quello che so e´che sono perfettamente standardizzati. Sono precisissimi. Del tipo che i loro panini arrivano congelati direttamente, che ne so, dall´Ohio. E le patatine fritte gia´ tagliate e pronte arrivano direttamente, che ne so, dal Nevada. Tutto e´ sotto controllo. Ognuno al suo posto e che nessuno sgarri o sono cazzi.  

Poi magari il saputello di turno si improvvisa igienista e ti dice: al Mc? Uno schifezza. Una schi – fez – za.  Io non lo so. Quello che so e´ che son precisi. Che se le patatine stanno troppo nell´ olio bollente, scatta l´ allarme. E se dopo un po´ non le vendono, allora le buttano. E cosi´ anche i panini, dopo un po´ li buttano. ( con tutti i bambini che muoiono di fame, certo.) Insomma sono controllatissimi. Se poi vai a comprare un paninozzo con la porchetta romana dal camioncino di Gigi il Troione, io davvero non so chi lo controlla al signor Gigi. Non lo so. Ma per informazioni, chiedere all´igienista Dottor Saputello di Turno.  Lui lo sa.

 

E poi piu´ di una volta ho visto dei ragazzi Down lavorare al Mc e a me sta cosa mi e´ piaciuta. Ho pensato, non sono mica costretti ad assumerli. Eppure, guarda un po´, li assumono. Mi hanno fatto simpatia. Ho pensato, magari lo fanno per un ritorno di immagine. Sara´ per quello, ma cosa importa?  Intanto lo fanno. Al baretto chic manco per idea. Sul camioncino di Gigi il Troione, c´e´ posto solo per il culo stratosferico di Gigi il Troione.

E comunque, chiudendo il discorso:  viva il Kebab, sempre. I pakistani di Bologna (ma anche quelli di Monaco fra un po´) dovrebbero innalzare un monumento in mio onore, in memoria di tutti gli euri che ho versato nelle loro tasche per mangiare un  Kebab. Tra poco andranno in giro in Mercedes, e sara´ per merito mio.