facciamo sesso che sei troppo simpatico

Io lo so che dovrei scrivere di altro, che sarebbe tanto tanto meglio se su ste pagine io sbrodolassi le mie sensazioni sull’estate che incombe, sull’ammore, sulle cicale che cantano sugli alberi anche in centro a Bologna, sulle persone che incontro per strada, sul gelato in offerta al supermercato che ne mangio troppo e mi fa male la panza, o sull’ultima ora che ho trascorso guardando il Padrino parte II in lingua originale, con Marlon Brando che in lingua originale non si capisce davvero una mazza, che Marlon Brando in lingua originale pare che c’ha un gatto intero in bocca, con Marlon Brando che pare che il gatto gli è morto in bocca e farfuglia cose che non possono essere inglese, perché se quelle sono l’inglese allora io non conosco l’inglese.

Io lo so che dovrei scrivere di altro, però leggo che gli psicologi del Texas un bel giorno si sono chiusi in una stanza a spremere le cervella per stilare la lista dei 237 buoni motivi per fare del sesso. Io lo so che dovrei scrivere di altro, però poi c’è il sito Corriere.it che di questi 237 motivi ne seleziona 50 e li fa votare ai lettori. Io lo so che dovrei scrivere di altro, ma tra i risultati del sondaggio non posso non citare qui alcuni dei motivi votati dai lettori. E allora, tra i buoni motivi per fare del sesso, con le relative percentuali di voto:

Perchè hai una tempesta ormonale in corso (3,2%)
Il partner ha un corpo irresistibile
(1,9%)
Perché è da tanto che non lo fai
(1,3%)
Perché lo hai appena fatto e ti va di rifarlo
(1,1%) (!!!)
Perché sei ubriaco/a (0,9%)
Per cambiare discorso
(0,5%)
Per far passare il mal di testa
(0,4%)
Per umiliarlo/a
(0,3%)
Per pena, per compassione
(0,3%)
Perché il partner è troppo simpatico/a (0,1%)
Perché il partner è intelligente
(0,1%)
Perché ti senti in colpa
(0,1%)
Perché dicendo no rovineresti la tua reputazione (0,1%)


Ossignoremio salvaci tu.

lungo un binario

Lungo un binario della stazione centrale di Bologna cammina una ragazzona con le cosce al vento, un paio di stivali di pelle sulle gambe nude, un tacco vertiginoso ed una maglietta attillata che riporta l’elegante scritta “Sex Trainer 69” sulle spalle. Un ragazzone sudato e pancione la segue poco dietro e scatta una foto col cellulare inquadrando – spudoratamente – il culone ondeggiante della signorina in questione.

Per il resto, le stazioni dei treni delle città sono piene delle tette sponsorizzanti di carta colorata di Elisabettacanalis.

nuovi modi per morire al passo coi tempi

Se dopo giorni e giorni di isolamento in una casa deserta non ho nemmeno la voglia di aprire tre minuti messenger per farmi fare un cucù dal primo che passa – e se di questo isolamento non ne soffro minimamente – è evidente che sono un asociale eremita senza speranza. Le poche persone che continuano a darmi retta – nonostante tutto – mi verrebbe da ispezionarle come faccio per i cani e i gatti che mi passano fra le mani in clinica. Prendendo il polso, palpando l’addome, controllando il colore della congiuntiva, infilando il termometro nel didietro.  

E insomma, un po’di argomenti random per sviare da questa tristessa.

Il problema delle scatole di ghiaccioli formato famiglia che vendono nei supermercati, è che se ti piace il ghiacciolo – che ne so – al gusto di limone, acquistando il pacco da dieci molto low cost sei costretto a portarti a casa pure i ghiaccioli all’amarena che ne faresti volentieri a meno.

Poi.

In clinica c’è un gattino nero di due mesi che cerca padrone, magrolino e giocherellone, sa già fare gli agguati alle gambe degli umani e produrre fusa in dolby surround. Ha subito l’asportazione di un occhio e per questo lo hanno chiamato – giustamente – Polifemo. Chi se lo vuole portare a casa può scrivermi in privato e io poserò il piccolo Polifemo direttamente sulle mani del buon samaritano. Altrimenti Studio Aperto è già pronto per costruirci sopra un servizio strappalacrime con il pianoforte struggente in sottofondo.  

Poi.

Una volta si moriva normalmente di incidenti d’auto, tumori o infarti. Una volta. Bei tempi. Adesso non più. Adesso si muore di morti originali. Tra le nuove possibilità che offre il mondo moderno, siete liberi di scegliere fra: 

Opzione A: Morire mezzi ignudi in automobile mentre vi siete appartati a fare le sconcerie col fidanzato/a con le relative famiglie che dopo si scannano all’obitorio (come hanno fatto questi due)   

Opzione B: Morire dissanguato facendo il playboy mbriaco che prende a testate le vetrate degli hotel (come ha fatto questo genio. Hey Bbella! Scrash! Morto.  Sono curioso di sentire cosa ha detto il prete al funerale) 

Opzione C: Morire con il preavviso di ventiquattro ore che vi è stato dato da un gatto che vi  zompa improvvisamente sul letto (come in questa clinica americana).
 
In questo post ci sono due gatti ben distinti: uno non corrisponde all’altro, sia chiaro.

fra il male e il bene, è tanto tanto più forte il bene

Questa dove viviamo è l’epoca – come ho già spiegato – delle “cose buone e giuste” contrapposte alle cose “caccabrutte”, dove la tendenza imperante è quella di prendere le cose caccabrutte e metterle in un angolo (che ne so, la droga, la mafia, lo smog, le tangenti, gli abbandonatori di cani in autostrada) per creare una differenza con chi invece sta dalla parte del bene, con chi sta dalla parte delle cose buone e giuste (che ne so, l’ammore, i fiorellini, gli ideali, i salvatori di bambini africani affamati, la pace nel mondo, maurizio costanzo). 

La distinzione fra cose buone e giuste e cose caccabrutte ovviamente non serve a costruire un mondo migliore ma al massimo a vendere qualche cianfrusaglia. Il venditore si pone dalla parte dei buoni e giusti, tira una riga per terra e dice: io sono buono e giusto, sono dalla parte giusta (io sono con la pace, io sono coi fiorellini, con gli ideali eccetera) e quello che ti dico e ti vendo è giusto e quindi compralo. E tu lo compri.  

Il meccanismo è semplice, ma la gente è povera di fantasia. Così succede che le icone buone e giuste si ripetono e sono sempre le stesse. Che le facce buone e giuste gira e rigira, sono sempre quelle.

Per esempio.

Per esempio vogliono venderti un video musicale per il Live Earth che ti parla dei problemi della terra, dell’inquinamento, dello sfruttamento delle risorse naturali, e per ricordarti che chi canta (Madonna – Hey you) è buono e giusto, ecco che ti infilano in sequenza John Lennon, Martin Luther King, Gandhi e Madre Teresa di Calcutta. Che tu mica puoi sentirti contrario a quello scricciolo di Madre Teresa di Calcutta, no? E Gandhi mica può risorgere e dire Per Favore No, non infilatemi nel video di Madonna vi prego. E se pure ti rimane qualche sospetto sulla giustezza di Madonna, ecco che ti infilano la foto del bambino africano che muore di fame così ti convinci definitivamente.



E poi, ti vogliono vendere una canzone di Sanremo (Fabrizio Moro – Pensa ) e sul palco, nello schermo dietro al nostro carciofo scorrono le immagini di (nell’ordine) Madre Teresa, John Lennon, Martin Luther King e Papa Giovanni Paolo II. In pratica la formazione vista prima con la sola sostituzione di Gandhi a favore del Papa Giovanni Paolo.



Infine, ti vogliono vendere una automobile (Fiat 500) e ti infilano invece – come facce buone e giuste – Falcone e Borsellino (!!!!) i presidenti Pertini, Ciampi e Napolitano (ne esistono tre versioni di questa pubblicità; in una c’è Pertini, in un’altra Ciampi e in un’altra Napolitano: è evidente che Cossiga e Scalfaro non vendono) per finire con i sempre utili Papa Giovanni Paolo II e la punta di diamante Madre Teresa di Calcutta. Ti vogliono vendere una Fiat 500 epperò senza vergogna arrivano a spiegarti che al mondo ci sono cose (fra cui la Fiat 500) che – testuali parole – ci insegnano la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, la differenza fra il bene e il male, cosa essere e cosa non essere (in altre parole caccabbrutti contro resto del mondo)

Quale insegnamento ci giunge da tutto ciò? La morale della favola è che – molto semplicemente – Madre Teresa va bene per tutte le stagioni mentre un Papa Giovanni Paolo possiamo utilizzarlo come anello di congiunzione fra Fabrizio Moro e la Fiat 500; senza dimenticare che se non vuoi utilizzare la Madre Teresa da sola puoi affiancarla facilmente al duo John Lennon – Martin Luther King per formare un trio già ben collaudato.

E così un giorno arriveranno a venderti una supposta con la faccia di John Lennon e tu buono buono la comprerai. Un giorno ti venderanno uno spazzolino da denti (o un ombrello, o un detersivo per piatti, o un assorbente interno) con la faccia di Madre Teresa e tu buono buono lo comprerai.

aperta parentesi

E poi uno potrebbe inventarsi tante grosse parole, per descrivere queste cose che gli succedono.  

E poi uno potrebbe inventarsi tante scuse, per spiegare come mai proprio io – che su queste pagine ci infilo tutto senza vergogna –  preferisco sotterrare le parole mielose per non scrivere qualcosa su di te.
 
Tu che affondi il dito nella mia guancia, come per verificare la mia concreta esistenza, il mio esserci per davvero lì ad un metro dal tuo viso. Oppure tu che affondi il dito nella mia guancia per misurare la consistenza della mia faccia. Oppure tu che affondi il dito per altri motivi che non so e in fondo non voglio nemmeno sapere, se solo mi prometti che continui a farlo ancora tante e tante volte, se mi prometti che continui ad avvicinarti ancora con le mani e con le labbra nei momenti che non me ne accorgo.

Tu che mi guardi con quegli occhi e con quegli occhi arrivi a chiedermi “perché proprio io?”. E io che –  non lo faccio certo per imitarti –  arrivo allo stesso modo a  domandarmi “ma perché proprio io?”. Con quegli occhi che quando mi chiedi ste cose mi verrebbe da afferrarti per la mano e trascinarti giù per la strada, e chiederti “dai, trovane un’altra, che abbia lo sguardo che c’hai tu adesso!”, e farlo così come fosse una sfida, per non sentirti più fare queste domande. Tanto sono sicuro che un’altra con i tuoi occhi non la trovi.  

E così posso tornare ad esercitare lo stupore, perché da quando ci sei la cosa che faccio ogni giorno è soprattutto questa. Stupirmi. Lo stupore che va avanti da mesi. Camminare sulle piume, con le piume che non svaniscono. Pensare che non sia vero, che non è possibile che sia davvero tutto così, quando invece è proprio così. E poi di nuovo tornare a meravigliarmi e a non crederci, anche se ci sono ancora le tue pinzette dei capelli abbandonate sul tavolino della mia stanza, le hai dimenticate l’ultima volta prima di andare via.     

Perché tu, anche se non lo vuoi – e anche se fai finta di niente e ti giri dall’altra parte – ti porti appiccicate addosso tutte le caratteristiche dell’incredulità.   

Tutte appiccicate addosso, e se qualche volta io non ci credo e chiedo conferma, sappi che è colpa tua.

(chiusa parentesi)

adesso c'ho pure sto lavoro che devo andare in giro

Adesso c’ho pure sto lavoro che devo andare in giro per pub e ristoranti e circoli di palestrati ginnici per distribuire materiale pubblicitario. Adesso che c’ho sto lavoro che devo fare la trottola part time in giro per la città, mi succede di andare a finire in posti che non c’ero mai stato prima. 

Per esempio l’altro giorno sono andato a finire nel più famoso circolo ghei-lesbico di Bologna, che non c’ero mai stato prima. Mentre ero occupato a sistemare il materiale pubblicitario all’interno degli appositi contenitori, alle mie spalle c’erano due ghei che discutevano amabilmente fra di loro con pacche sulle spalle e sorrisini gaiosi. I due avevano scoperto che la procedura di “sbattezzo” – che sarebbe poi la procedura che dovrebbe annullare o revocare il battesimo – non è utile per fare arrivare meno soldi ai preti. Che non serve a niente. Che tu puoi pure sbattezzarti ma tanto ai preti del tuo quartiere i soldini dello stipendio non glieli diminuiscono. E quindi – constatavano i due ghei – alla fine non serve a nulla sta cosa dello sbattezzo, che tu ti puoi pure sbattezzare ma non è che risolvi qualcosa, quanto a monete che finiscono in tasca ai prelati maledetti.  

Io adesso sta cosa la riporto qui – che non volendo l’ho origliata mentre facevo il mio lavoro di pupazzo distributore – e il primo che mi dice che sono contro i ghei vengo a casa sua e lo mordo all’attaccatura dei capelli. Perché, insomma, sia chiaro una volta per tutte che a me di preti ghei e tutto il resto non me ne frega nulla; cioè, non me ne frega nulla di preti, ghei e di ogni categoria presa singolarmente.    

A me succede che danno l’orticaria le contrapposizioni, il non sapere CosaSei ma il sapere ControCosaSei. E quindi mi provoca l’orticaria il fascista che non ti sa dire per benino lui cos’è – non si sa definire per benino – ma ti sa dire con assoluta certezza che se incontra un comunista per strada lo prende volentieri a sprangate sui denti. E il comunista che non vuole i cortei fascisti per strada e fa le scenate isteriche urlando che c’è il regime. E così i ghei contro i preti. E il leghista contro il calabrese della situazione. E il calabrese contro il Mohammed della situazione che gli sbarca sulla spiaggia; e il leghista che per la proprietà transitiva è anche contro il Mohammed della situazione, e poi il  

Vabbè, basta, che sono uscito fuori traccia.  

E poi accendo la radio e c’è un programma su Radio Maria che telefonano i bambini e si mettono a recitare le preghiere. Ciao bella bambina come ti chiami? Mi chiamo Luisa. E cosa ci vuoi recitare? L’AveMaria. Fai pure, piccola Luisa. E poi telefona Lorenzo che recita pure lui l’AveMaria. Poi chiama Elena che tanto per cambiare recita l’AveMaria, con l’aspirazione fra le vocali tipica dei bambini di quattro anni, che te li immagini perfettamente col moccio al naso che scende dritto dritto in bocca. E poi telefona Francesco che recita il PadreNostro e sbaglia le parole. E poi di nuovo AveMarie. 

Sto post confuso l’ho scritto con la metà di me stesso che ancora non si è sciolta per il caldo, abbiate pietà di me.

ma se devo dirla tutta, qui non è il paradiso

Una ragazzina rom allatta il suo bamboccio accovacciata per terra, vicino all’entrata del supermercato; il bamboccio poppa la sua razione quotidiana di latte materno e fumo di scappamento di autobus, forse misto a qualche acaro di piccione. Un nordafricano magrissimo alla fermata ha la faccia secca e stanca, ampi spazi vuoti nell’arcata dentaria superiore e una schiena storta verso destra – o verso sinistra, non ricordo – e la sua pelle marroncina non suda sotto sto sole assassino. Indossa una felpa – con questo caldo – sgualcita e stinta, con la scritta “Siamo O Non Siamo un Bel Movimento? Jovanotti” che forse avrà ripescato fra le scorze di melone in qualche discarica. Mentre cammino in questo caldo assassino mi chiedo dove l’avrà trovata – sta felpa antichissima che mi ricorda le mie scuole elementari – e che faccia avrà adesso il primo proprietario della stessa.   
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La ragazzina rom continua a porgere la mammella affumicata al bamboccio e gli autobus scappano sulle strade, non devono fermarsi che di gente da caricare ce n’è poca.   
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Le commesse dei negozi del centro non hanno da badare ai clienti, ché i clienti sono tutti moribondi lungo le strade a causa del caldo, e allora possono sbucare sulla porta dei negozietti per cinguettare con i loro pretendenti. Il pretendente della commessa da negozio di abbigliamento del centro è tipicamente un uomo armato di scooter di grossa cilindrata con pantalone colore pastello e nei casi più gravi perfino bianco, anche se io preferisco quelli col pantalone color albicocca e il mocassino marroncino chiaro. Se il pretendente della commessa arriva a bordo di una grossa motocicletta – al posto dello scooter –  allora probabilmente avrà anche uno di quei giubbottini da motociclista, di quelli duri e asfissianti e con le spalle rinforzate. Sono quei giubbottini che solo a guardarli ti prende un senso di Sahara nell’animo, ma che al pretendente-della-commessa invece non fanno alcun effetto, anche sotto sto sole assassino, e per questo motivo cominci a pensare che forse ste motociclette moderne c’avranno un sistema di raffreddamento del guidatore che tu ancora non conosci, tipo un tubo di aria condizionata che si infila su per il deretano e che ti raffredda dall’interno. 
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Le vetrine sono piene di immagini di ragazze con i femori spropositati, ma per le strade invece passeggiano tutti femori nella norma. Se c’è qualche femore spropositato, allora è rinchiuso nei negozi di abbigliamento a fare la commessa, ma spesso anche lì ci sono molti femori nella norma. Ad un incrocio trovi un paio di veri femori spropositati femminili – cioè, ne trovi due paia, quindi quattro lunghissimi femori – che sono impegnati in una promozione di un profumo e distribuiscono campioncini alle passanti anche loro, quanto a femori, normodotate.    
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Questo fatto dei femori spropositati che sono così rari – ma allo stesso tempo così pubblicizzati – questo squilibrio tra immagine e realtà, che quando ne trovi uno ti pare di aver incontrato una deformità anatomica, mi fa ricordare del me stesso bambino che al paesello guardava i telefilm americani con i protagonisti di colore. Che io lo sapevo, grazie ai telefilm, che esistevano i colorati, ma al paesello erano tutti bianchi, tutti nessuno escluso, ché al paesello non è come nella grande città che ci trovi il colorato già nella tua stessa classe come compagno di banco. Al paesello il primo colorato lo vedi la prima volta che sei già grande, e la prima volta riesci pure a spaventarti.  
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Una cosa che non c’entra niente, volevo infilare un’immagine del Jovanotti dell’epoca della felpa di cui sopra, ma non l’ho trovata. Ho trovato invece questa, che non c’entra niente ma è così bella che dovevo infilarcela per forza.

beverly hills

Ti arriva una laurea dritta dritta nei denti, e all’improvviso ti senti un po’ meno pischello. Trovi in tivvù le repliche di Beverly Hills 90210, e allora ne riguardi qualcuna per far finta di essere ancora un pochino pischello. Ripassi tutte le vicende principali: non ti ricordavi le storie di droga di David, e ti eri perso un vecchio fidanzato di Brenda. Sapevi già che Kelly era stata più o meno con tutti, ma non ti capaciti di come i produttori siano riusciti a far passare Dylan per un diciassettenne, con tutta quella sfilza di rughe sulla fronte. Ti sembra di essere tornato indietro negli orridi anni novanta, però poi ti succede di leggere una notizia che ti riporta subito coi piedi per terra.

p.s. E per chi vuole la mazzata finale, il video della reunion

p.s. # 2 Be’, mica tanto mazzata: dopo tanti anni i masculi se la passano molto meglio delle fìmmine, eccetto Luke Perry che nel tempo si è trasformato in Roberto Benigni.    

p.s. # 3 C’ho tutta una vita da masculo davanti a me.

il mio sfavillante ingresso # parte seconda

E in tutta questa vita assurda da pupazzo promozionale trascorsa in piedi da solo in un negozio deserto della provincia bolognese, l’evento che rende l’assurdità – se possibile – ancora più assurda, è una voce di donna che di tanto in tanto si spande fra gli scaffali, e che dice:
girare a destra, quindi mantenere la destra, alla fine della strada girare a destra

Qualche secondo di silenzio, e poi di nuovo:

girare a destra, quindi mantenere la destra, alla fine della strada girare a destra

Al bancone espositivo dei navigatori satellitari ci sono tre o quattro navigatori che vengono lasciati sempre e comunque accesi, e fra questi ce ne sono un paio che continuano a litigare. Il più logorroico fra i due continua a dichiarare: “girare a destra, quindi mantenere la destra, alla fine della strada girare a destra” mentre un altro, più timido, rimane zitto quasi tutto il tempo; solo di tanto in tanto si azzarda a contraddire il suo compagno affermando “girare a sinistra fra ottocento metri”.

E poi ci sono questi bambini trichechi pallidi, che entrano nel negozio trascinando certi nonni decrepiti e con la faccia abbronzata tagliata da rughe definitive (siamo in campagna, del resto). Questi bambini trichechi con la panza infantile e un pallore che tende al grigio, che si portano dietro il loro nonnetto verso il reparto videogiochi – reparto videogiochi molto più grande della zona aspirapolvere o degli impianti stereo, per intenderci – e qui rovistano fra le centinaia di confezioni di videogiochi, ne scelgono uno o due, e quindi trascinano il nonno alla cassa; e il nonno paga mogio queste cifre spropositate per i giochi del tricheco. Quindi vanno via, ed io da pupazzo mi immagino il bimbo tricheco che riposiziona il nonno nel luogo dove lo ha prelevato, lo ringrazia per la cifra spropositata appena sborsata, e quindi si rinchiude di fretta in casa per smanettare col nuovo gioco per i giorni seguenti, anche per rinvigorire il suo pallore intaccato da mezza mattinata trascorsa all’esterno. E poi mi immagino il nonnetto che ha solo la vaga idea di aver fatto qualcosa di gradito per il nipote pallido, ma non capisce esattamente cosa, non avendo bene chiara nella sua testa rugosa il concetto di videogioco.  

E poi un figlio alto quasi come me, che tenta di giocare con una Playstation da esposizione spenta incollata al muro. Il padre si avvicina alle spalle del ragazzone che preme pulsanti invano sull’aggeggio; il padre si toglie le occhiali che ha in faccia, osserva con occhio aggrottato il figlio che smanetta con un oggetto morto che non risponde. E i due restano così per due minuti buoni, il figlio a premere pulsanti che non danno risposta, e il padre alle sue spalle a spiare con l’occhio di chi è abituato ad averci gli occhiali in faccia, e le mani tenute dietro la schiena, l’aria condizionata che gli asciuga qualche goccia di sudore sulla fronte.

il mio sfavillante ingresso nel mondo del lavoro

Il mio sfavillante ingresso nel mondo del lavoro si è verificato l’altro ieri mattina presso un grosso negozio di elettronica ed informatica sperduto nella campagna bolognese. Qui sono stato ingaggiato come pupazzo promozionale di un software molto molto famoso che la mia natura omertosa mediterronica non mi permette di menzionare. Mi è stato richiesto di sfavillare per dieci ore in piedi – nel giorno del mio sfavillante ingresso nel mondo del lavoro – tentando di convincere i clienti provenienti dalle campagne a comperare questo software tanto costoso ma tanto efficiente. Bisogna immaginarselo, il pensionato di campagna con la faccia segnata dal sole, i pantaloncini corti inguinali e la camicia a quadretti celesti ad avvolgere panze di una certa importanza, che si compra il software tanto costoso ed efficiente. La mattina alle nove ero già lì che sfavillavo in silenzio nella desolazione del negozio vuoto, fra gli scaffali ordinati e zeppi di oggetti colorati e giochini per la Playstation.
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Il problema in questi casi di sfavillamenti solitari fra gli scaffali di un negozio non è il lavoro umiliante che ti fanno fare, il problema non è la paga misera che ti danno e non è neanche l’orario full time distruttivo da trascorrere in piedi. Il vero problema in questi casi sono le dodici televisioni e monitor che tappezzano le pareti del negozio a tre metri dal tuo scaffale, decine di monitor che tutti assieme, sintonizzati su Mtv ti vomitano addosso la musica dei giovani d’oggi. Decine di monitor enormi che ti riversano addosso l’intero repertorio della musica di tendenza dei ragazzi di oggigiorno. La musica di tendenza, dovete sapere, è davvero molto limitata, per cui dopo tre ore di cocktail di Christina Aguilera, Mondomarcio e San Giustino Timberlake, si ricomincia dall’inizio, e poi ancora, e poi ancora. Dopo una mattinata di Aguilera, MondoMarcio e Giustino Timberlake, ecco che poi arriva il notiziario. La cronista del notiziario giovanile parla del dilemma del momento: Ma insomma – ci si chiede in tutto il mondo – Christina Aguilera è incinta oppure No? (parte il video di Christina Aguilera, quello che ormai già conosci a memoria) Perchè se è incinta – e il marito assicura che è incinta – come mai non le è cresciuta affatto la panza? ( zoom sulla panza della Christina) 
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Che un miscredente qualsiasi adesso potrebbe pensare che sto esagerando, che sto drammatizzando tanto solo per provocare la pietà del lettore innocente di passaggio. Potrebbe anche essere così. Però – per sapere davvero cosa si prova – potrei consigliare ( e già mi sento uno chef di un ristorante dell’inferno ) un bel trittico di video musicali; che ne so, proporrei un MondomarcioJAxGiustino Timberlake da consumarsi per tre volte di fila col monitor a mezzo metro dal naso; per concludere consiglierei invece un bel dessert di Gemelli Diversi, che questa è stata un’ottima annata.
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Durante le mie due ore di pausa pranzo sono andato a gettare il mio corpo martoriato dalla musica di tendenza su una panchina di sto paesello della campagna bolognese. Sotto l’ombra degli alberi c’era un bel fresco, e mi sono stravaccato lasciando le scarpe lontano da me e gettando la testa all’indietro a osservare le foglie degli alberi. Una porzione di panchina era stata bombardata da tante piccole merdine di piccione; con un occhio aperto ed uno chiuso e le gambe divaricate verso la strada quasi deserta e battuta dal sole ho controllato – ma neanche attentamente – che una ulteriore merdina sganciata non facesse plof nelle mie narici rivolte verso l’alto.

La mia condizione di pupazzo promozionale in pausa pranzo afflosciato su di una panchina coi piedi scalzi – ho pensato – è giusto un gradino sopra a quello dei gruppi di rumeni che si nutrono di wurstel crudi apparecchiando le panchine di ferro dei giardini pubblici con i fogli di giornale. Giusto un gradino sopra – mi sono detto- ma neanche tato sopra. Quello che mi differenzia è una certa dose di cultura ed una buona padronanza della lingua italiana, anche se con una marcata inflessione mediterronica, oltre ad una elevata concentrazione di Christina aguilera nel sangue. Solo un spruzzatina di cultura a differenziarmi. 
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E poi dicono che studiare non serve a niente.

attenzione, tutti dietro i sacchi di sabbia

Le carampane di Fabrizio Moro – c’era da aspettarselo –  hanno sferrato un attacco verso questo blogghe: gli ultimi post sul grande carciofo sono stati bersagliati dai loro commenti aciduli e frenetici. Sono carampane agguerrite, che vogliono difendere il loro idolo con i denti e con i loro sbalzi ormonali incontenibili. Sono carampane per davvero – non sono mica finte – sono il prototipo della carampana classica, di quel genere che talvolta si esprime mediante un abuso di k, o che lancia frasi bomba a difesa dell’eroe che:  

…denuncia la società che ormai ci vuole tutti omologati, che ci chiede di scendere a compromessi e Fabrizio dice no a tutto questo, e incita se stesso ed ognuno di noi a FAR SENTIRE LA NOSTRA VOCE e a non PERDERE mai di vista LA LUCE davanti a noi


Stringiamoci a korte, siam pronti alla morte.

andare a nuotare

Andare a nuotare in una piscina scoperta significa che oltre a nuotare puoi prendere il sole. Poter prendere il sole significa che in piscina ti ritrovi personaggi ad abbronzarsi che sarebbe molto meglio catturarli in una fotografia e metterli in mostra qui, piuttosto che tentare di descriverli a parole.  

La tettona con le mammelle di plastica che paiono avvitate sul petto come ruote di scorta per il Suv. Le mammelle di plastica che uno le osserva e non si sente contrario a priori, alla mammella artificiale, però se alla mammella ci aggiungi il set completo di labbra, naso e zigomo plastificati, ecco che ti sembra davvero un piccolo mostriciattolo di poliuretano espanso. Di quelli che costano poco.  

Che nei bei tempi andati, quando eravamo piccole anime candide e passeggiavamo per le spiagge col costumino da bagno sporco di ghiacciolo al limone, se pure una mammella di plastica avvitabile ti passava a fianco non te ne accorgevi neanche, anima candida e innocente com’eri, anima inesperta e pura che se ti mangiavi un panino non tornavi in acqua per due mesi, per non far preoccupare la mamma.    

Adesso invece basta scontrarsi con un naso artificiale di poliuretano espanso – chè quelli si riconoscono al volo – per essere certi che, abbassando lo sguardo, ci troverai sicuramente anche un paio di labbra di gomma sintetica, e poi scendendo ancora – è matematico – pure le mammelle avvitabili di cui sopra. Il kit completo, insomma.  

(anche se devo dire, qualche anno fa, mi successe che… ma questa non la racconto, è meglio)

Poca voglia di scrivere, ultimamente.
Molta voglia di ghiacciolo al limone, invece.
Molta voglia di batti batti le manine.