Un po’ mi indispettiscono i fiorentini, per quel modo che hanno di calcare l’accento, e ancora di più per quella presunzione che frasi ordinarie, pronunciate con un marcato accento toscano, storpiate in dialetto toscano, debbano per forza far ridere. Quando invece No.

Adesso che ho avuto tempo di scoprirla per bene, Firenze, i fiorentini mi indispettiscono per la quantità di bellezza alla quale possono attingere ogni giorno. Per fortuna negli angoli più belli della città – a causa del turismo massivo – pare di stare in Corea. E per provare meno gelosia mi piace immaginare – anche se poi non e’ vero – che l’unica vita possibile da quelle parti sarebbe in periferia (e le periferie un po’ si assomigliano tutte) oppure invasi dalla Corea.

So this is Manhattan

manhattan10122013

Esiste un tipo di turismo – forse il più diffuso in assoluto – che ha come obiettivo non quello di scoprire i posti, ma invece quello di viaggiare già sapendo esattamente come sono questi posti, perché si sono visti prima mille volte in fotografia, con l’unico gusto inconscio di confermare che i posti sono esattamente come nelle fotografie. A quel punto, una volta confermata l’uguaglianza tra aspettative e realtà, si scatta una foto. E si porta a casa una foto simile – spesso più brutta – di quelle che si sono analizzate poco prima di partire. Questo tipo di comportamento non è criticabile: se la gente gode così, è giusto che continui a farlo. Questi posti visitati possono essere più o meno belli. Tra i luoghi che più di tutti si fondano su questo tipo di turismo, al primo posto direi che ci mettiamo Manhattan a dicembre.

A Manhattan a dicembre fa un cazzo di freddo. Ed ogni luogo visitato, è come averlo già visitato. La bellezza dei luoghi è solo un’eventualità. Per esempio Times Square è oggettivamente brutta. Ma non è importante questo (nessuno la considera bella o la visita per questo, come Piazza Navona): piuttosto, è importante notare che quando ci arrivi è esattamente come te la aspettavi. E cioè, è esattamente come un reparto televisori di un centro commerciale in versione ingrandita e non si discosta neanche di un millimetro da come la immaginavi.

Tutta colpa dei film. La quinta strada. Gli scoiattoli di Lower Manhattan con la statua sullo sfondo. Il venditore di hot dog ambulante. Il tombino al centro della strada da cui esce vapore e il taxi giallo che ci passa sopra. Tutta colpa dei tanti film che hai visto durante la tua vita. E non è colpa di Manhattan se c’è tanta Manhattan nei film. E se a dicembre fa freddo, e quindi rischi di congelare e passeggiare per Central Park non è poi così piacevole. E’ così e basta, a parte tutto il woodyallenesimo che ci puoi mettere, sforzandoti. Andarci apposta ti potrebbe sembrare inutile, e il non esserci stato mai, altrettanto assurdo.

So this is America

Quando la signora mi ha chiesto come volessi il cheese sul cheesburger, ho esitato.
Lei mi ha imboccato la risposta: Ma Americano! Sei in America: allora americano, giusto? Giusto! ho risposto io, continuando a guardare comunque affascinato la partita di rugby di cui mai mai mai comprenderò le regole.

Credo che però il racconto debba partire dalla mattina. Entro in aereo e subito noto tanto spazio tra i sedili ed un ambiente molto pulito ed ordinato. Mi dico: meno male, se devo fare tante ore di viaggio, perlomeno starò comodo. Solo che non trovo il mio posto. Dopo due minuti di ricerca mi rendo conto che il mio posto è in tutt’altra zona dell’aereo, oltre una barriera fatta da steward gentili ed eleganti. A quel punto ricordo tutto: il mio posto è in business class. Non avevo prenotato io e perciò l’avevo dimenticato.

Ora, ci saranno quelli che già lo sanno cosa significa la business class dei viaggi intercontinentali. Bene: io non lo sapevo affatto. Di più: io non lo sapevo e poi tra l’altro viaggio tantissimo con Ryanair, al punto che per certe tratte le hostess mi riconoscono pure. Di più, gli americani esagerano sempre. E dunque dal mio punto di vista di pinolo e pivello mi sono stupito di tutto. In certi momenti ho dovuto copiare una signora mia vicina perché certe cose proprio non sapevano cos’erano, come funzionavano. Io che di solito leggo tantissimo in aereo, ho abusato di film americani, telecomandi e pulsanti, vino portoghese e sedili che diventano letti. Mentre ero sotto una coperta ho avvertito le turbolenze dell’aereo, ed erano turbolenze ritmiche, e quella sensazione di essere steso su qualcosa che vibra ritmicamente mi ha ricordato – solo chi lo ha provato può saperlo – le notti nelle cuccette dei treni disperati da Lecce a Bologna. Dopo alcune ore di viaggio mi ero già talmente abituato ad avere tutto sotto mano e pronto quando volevo e come volevo, che la semplice mancanza di una penna immediatamente a disposizione mi stava facendo innervosire. La parte meschina di me attendeva che George, lo steward simpatico e servizievole, venisse ad infilarmi una penna tra le dita già in posizione. Immediatamente.

Ad un certo punto ho vissuto un corto circuito personale osservando la mia vicina di viaggio americanissima – con cui avevo scambiato qualche parola prima del decollo – che si drogava sul suo schermo di sitcom americane, quel tipo di prodotto televisivo che conosco benissimo perché l’ho assorbito sin da bambino. Solo che io ero un bambino mediterronico e scalzo nella calura del Salento – e in tv c’erano le sitcom americane, totalmente diverse da me sudato e scalzo – adesso c’erano le sitcom americane e poi anche, giusto di fianco a me, una spettatrice identica alle protagoniste delle sitcom americane. Identica nell’aspetto e nelle movenze. Quindi automaticamente anche io ero nella sitcom americana mentre nel frattempo lo schermo mandava in continuazione sitcom americane. Dall’altra parte, il tizio seduto non era esattamente John Goodman ma ecco, se mi avessero detto che era suo cugino, ci avrei creduto. Un accerchiamento culturale improvviso.

E poi gli americani con quel loro lessico esagerato. Alla mia vicina e alla sua amica – due allegre signore periformi – dico il nome del paesino dove resterò per i primi tre giorni, sperduto nel nulla. Loro prima mi dicono che il mio inglese è “fenomenale”, che la giornata è “incredibile”, e poi che il posto dove andrò è molto, molto bello e interessante. Ah sì? rispondo io. E cosa c’è di bello da vedere? Vanno nel panico. Il centro commerciale, dice una di loro. Il centro commerciale, sì, ripete l’altra. E’ “fenomenale”, dice quella. Prima non volevo, poi ho pensato che avevo solo tre ore a disposizione e non potevo andare in altri posti. E poi ho concluso che antropologicamente, nulla sarebbe stato più interessante dell’immergermi tra gli americani nella provincia americana, proprio durante lo shopping natalizio.

E quindi eccomi là, l’unico che in un Mall è occupato ad osservare le persone, invece che le vetrine.

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montmartre

montmartre

Di fatto Parigi per me significa Montmartre, tanto che non dovrei dire vado a Parigi quanto piuttosto vado a Montmartre.

Mentre scattavo questa foto, la borsa appesa alla mia sedia veniva rubata da chissà chi, e così finalmente ho potuto provare quella sensazione sperimentata almeno una volta nella vita da ogni essere umano – e che ancora non avevo provato – cioè quella di perdere in un colpo solo tutti i documenti possibili. Il lato positivo è che avrò una patente nuova con una foto finalmente diversa, ché in quella attuale sembro (sembravo) un trafficante di droga che aveva dormito poco. Tra i lati negativi – tanti – è che però la patente nuova mi serve subito, ché tra qualche giorno troverò guidare per strade sconosciute dall’altra parte del mondo.

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Al mercatino sotto casa ci sono donne incinte, ragazzi che rollano sigarette, bambini che scivolano sullo scivolo, cani con la coda dritta all’insù, nonne coi capelli tinti male, venditori di piante di timo che scherzano in spagnolo coi figli degli acquirenti. Trovo un tipo che vende le orecchiette di bari e pezzi di polpo fresco lessi al limone. Compro tutto.

Mentre bevo vino bianco coi colleghi, un gruppo di bambine ottenni si avvicina e mi osserva in silenzio, a distanza di un metro. Tutte bionde, tutte sorridenti, osservano e non dicono niente. Dev’essere uno scherzo che fanno a tutti. Chiedo spiegazioni in francese, mi rispondono in inglese e tedesco, ma precisano che capiscono pure un po’ di francese aussi. Spariscono come sono apparse.

Il giorno dopo uscendo dalla metro inaspettatamente mi trovo nel mezzo della Baloon’s day parade.

Domani, alla lista “posti che se non mi ci avessero portato, ancora non avrei visitato” si aggiunge Lisbona.

Nella lista “posti che se non mi ci avessero portato, ancora non avrei visitato“, nel senso che rimandi ad un “poi” indefinito nel futuro che prima o poi arriverà, in questa lista dicevo, ora possiamo metterci pure Dublino.

Nei pisciatoi dei pub dei bagni maschili si usano i cubetti di ghiaccio – la funzione non ti è chiara, forse per attenuare lo smell? – e le ragazze del luogo si abbronzano artificialmente con una crema che le rende tutte arancioni. Ti viene da pensare alle proporzioni che si studiavano con la matematica della seconda media, e quindi ti viene da pensare che sotto molti aspetti, nel bene e nel male, le italiane stanno alle irlandesi come l’alitalia sta alla ryanair.

questa estate nordeuropea

Questa estate nordeuropea con un caldo della madonna regala strane sensazioni.

Vivere dentro una città’con 30 gradi ti fa ricordare il te stesso bambino, i 30 gradi minimi del paesello quando per qualche motivo non si poteva andare al mare. Oppure sensazione da ultimo giorno di scuola, quando faceva abbastanza caldo per andare al mare – ma dovevi andare a scuola. Oppure da sessione estiva degli esami a Bologna, quando faceva abbastanza caldo.. – vabe’ ci siamo capiti.

Per dire, stasera sono arrivato a Berlino e mentre il tassista truffaldino – rima che non volevo – mentre il tassista truffaldino e mediorientale guidava lungo il fiume e ascoltava roba anni 60, a causa dell’afa ho pensato di essere – lo so che non c’entra un cazzo – in pianura padana.

Auf jeden fall, la Postdamer Platz da cui scrivo queste righe mi ha fatto scoprire meno conservatore, architettonicamente parlando. Voglio dire: una birra dunkel immerso in questo bozzolo di luci, una sera che c’e’ bel tempo, la posso pure capire e condividere – soprattutto se sei barbaro e  non hai conosciuto altro nella vita.

Di fronte a me ho una famiglia appena uscita dal cinema. I genitori ascoltano i due figli adolescenti che simulano scene del film. Uno dei due abbandona il tavolo improvvisamente per far vedere quanto e’ bravo a salire le scale mobili contro corrente zompando gradini a tre a tre. La madre – amarcord! – e’ un cristianomalgioglio.

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Sono tre settimane che ho una valigia aperta sul pavimento – perché parto, perché torno, perché sono tornato ma non posso disfarla che devo fare altro. Non conoscevo il Mont Saint Michel (nella foto), mi ci faccio trasportare che sono esausto e con le scarpe eleganti e i pantaloni da persona seria – proprio quello che ci vuole per arrampicarsi su un cocuzzolo pieno di turisti. Ciao turisti cinesi che pure se non siete cinesi, per me siete lo stesso cinesi. Ciao coppie cinesi che venite in Francia a fare il viaggio romantico in Francia. Sono così stanco e con le scarpe scomode che penso alla difficoltà di averci la fidanzata cinese, che passeggiando per strada (o in Francia) ne incontri tante uguali, che ti viene male il romanticismo, che ti viene male ad abbandonarti a quell’illusione dell’esclusività, dell’unicità.

In Francia i pensionati si comprano il camper e vanno a campeggiare sui bordi delle strade dove poi passerà il Tour de France – tipo tre o quattro giorni prima che passi – e nel frattempo attendono nel nulla, passeggiano al tramonto sul bordo dell’asfalto.

Quando la strada è lunga e non guido io, mi prende un nervoso che vorrei scendere dall’auto e prendere a pugni il primo che passa.

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Appena sbarcato in Normandia. Cioè, letteralmente sarebbe parcheggiato in Normandia. Il ragazzino che serve al sushi parla un francese peggiore del mio. Chiese puntute e piazze con la gente a maniche corte.

Roma

A causa dellacrisi gli albergatori di Roma abbassano i prezzi delle camere al di sotto del livello legale, e poi sulla ricevuta scrivono che la tua camera ha qualche problema, per esempio non c’è acqua calda, per giustificare lo sconto assurdo. A Roma c’era sciopero dei mezzi pubblici ma i mezzi pubblici andavano comunque. A Roma nella metro trovi sempre tantissima pubblicità di spettacoli teatrali con attori che altrimenti tu – che non vivi a Roma – conosceresti solo attraverso la televisione. E gli stessi spettacoli non li trovi pubblicizzati in altre città così che poi ti viene il dubbio che certi spettacoli in realtà li tengano solo a Roma e non nelle altre città, ti immagini proprio questi attori pigri che vivono a Roma e non vogliono spostarsi fino – per dire – a Trento e allora tra una comparsata televisiva e l’altra fanno pure gli attori in teatro, ma solo se è dietro casa. E’  difficile che tutto questo sia vero ma te lo immagini ugualmente, mentre giri per Roma.

Le ragazze hanno occhi cerbiatti e i palazzi del centro sono bellissimi. Ti colpiscono quelli – i palazzi – molto più dei monumenti, ti colpiscono ora che sei diventato sensibile alla bruttezza architettonica mitteleuropea (e in particolare del Paese Basso, e in particolare dei paesotti fiamminghi e scandinavi che hai visitato, oltre a buona parte di Brussélle). Ti colpisce e ti fa stare male tutta questa bellezza, anche se poi lo sai che in quei palazzi del centro non ci vive gente normale, e sicuramente non potresti mai viverci tu.

comunque esiste un fascino abbastanza inesplorato

Comunque esiste un fascino abbastanza inesplorato – almeno per me – della grande citta’ in orario di lavoro. Girarci quando gli altri lavorano e tu invece No. Adesso Milano, ieri Bologna in ora di pausa pranzo: ieri ho deciso di trascinarmi il cadavere della valigia dal Pratello fino in Stazione a mano, niente bus, solo per spiare i lavoratori che prendevano caffè  nei bar. Quello che si dicevano. Le dinamiche etologiche di questi gruppetti o grupponi di persone che entrano ed escono dai locali, con gli uomini a fare la parte degli uomini, e le donne a fare le donne, gregarie nel gruppo, in attesa che gli uomini facciano strada. E’ tutto molto discoverychannel, anche se loro non lo sanno, li osservo come i leoni alla tv. E poi a Milano cerco disperatamente i fighetti rampanti, ne trovo pochi ma forse non ho spiato i luoghi giusti. Pero’ anche con quelli che ho scovato, c’e’ questo tic che hanno alcuni giovani uomini rampanti di tirarsi il colletto della camicia in fuori, con indice e pollice, non so se si capisce cosa voglio dire, questo tirarsi il colletto della camicia quando in pratica non serve, e’ la versione moderna della mano di Fonzie che passa tra i capelli.

le cose da ricordare per adesso

Le cose da ricordare per adesso includono l’autista del bus che nel traffico di Napoli bestemmia per un sorpasso azzardato e poi urla non lo fare cchiu’, un aperitivo a salame e vino rosso in spiaggia a Novembre con centinaia di persone ed io che arrivo per ultimo, ma non per fare il figo, solo perché  c’era lo sciopero dei treni della Circumvesuviana.

A parte questo, un giro nella Circumvesuviana lo consigli a tutti (se sono abbastanza massicci per fare a spintoni ed entrare superando la calca in periodo di sciopero), lo consigli per la dose massiccia di neorealismo che ne deriva, soprattutto se hai seduta di fronte una tipina nata nei tardi novanta che non smette mai di telefonare e dopo trenta minuti conosci tutta la sua vita, progetti futuri e programmi per la serata.

Le cose da ricordare e’ essere scambiati per stranieri quattro volte in una giornata, quattro volte in modo eclatante e poi altre volte in cui alla fine non riveli l’identità  e quindi puoi ascoltare indisturbato discorsi di italiani. In pratica sei diventato trasparente, solo che non puoi entrare nei bagni delle donne. E poi da ricordare c’e’ che ti fanno arrivare un’automobile per portarti da un posto all’altro, una specie di taxi senza la scritta taxi, l’autista e’ già  davanti al volante, un altro si avvicina alla portiera posteriore e la apre, quindi tu – che alla fine resti un coglione – pensi che debba entrare in auto con te, invece la porta la apre per te, coglione che ti accomodi dietro pronunciando un Ah Gia’ avendoci una banana in mano mangiata per meta’. Ti accomodi sul sedile e pensi che non conosci la traduzione esatta in italiano di naïve.

tour novembre 2012

Si parte giovedi pomeriggio: scalo a Monaco di Baviera e poi Napoli. Quindi Sorrento. Cena e mattina di lavoro. Poi treno se ci riesco per Bologna. Se non ci riesco, pazziamo a Napule, oppure a Roma. Poi Milano in ogni caso per tornare da ste parti verso martedi’.

L’obiettivo come sempre da quando espatriai, e’ osservare gli indigeni, limare le differenze fra l’idealizzazione dei propri connazionali che intanto cresce dentro a tutti gli eradicati come me, ripassare i lineamenti delle campagne del centro nord ai lati delle ferrovie, camminare tanto a Bologna (l’eterno ritorno dona a me o signore).

alors


Alors
, con le carte di Barcelona ancora sparse sul tavolo domani mi avvio verso Eindhoven. Prima di questo, qualcuno avrà voglia di farsi trenta e passa chilometri per venirmi a dire ciao per neanche mezzora e poi tornare subito a casa. A Eindhoven si farà il pieno di melatonina, ché in Belgio te la danno solo su prescrizione e a prezzi irragionevoli. Da Eindhoven si parte nel pomeriggio per Pisa. A Pisa si posano le valigie e si va a fare festa in un paesino sconosciuto ma tanto non guido io quindi sapranno loro dove si va. Nella notte dormirò nello stesso letto con Billigiò – che solo gli aficiondados ricorderanno – tremando di paura per le sue celeberrime scorreggie notturne che gli fecero guadagnare una fama internazionale già un quindici anni fa. La mattina seguente partirò per Bologna, ma belle, che vedrò per poche ore. C’è una cena organizzata, ed io reduce da poco sonno e scorregge, vorrò davvero esserci tantissimo. Non andrò a dormire, ma verso le tre mi caricherò su un taxi e alle 6 di mattina partirò per il paesello giù al tacco.

Abbiamo un corpo, dobbiamo usarlo, porcalamiseria.

le assistenti di volo

Le assistenti di volo sono tra i miei oggetti di analisi preferiti. Ne ho scritto altre volte, ne parlo sempre se qualcuno mi siede di fianco in aereo. Soprattutto quelle delle linee low cost.

 

Della loro condanna a vivere con gente che va a divertirsi, della peggior specie. Con gente che le incolpa di colpe che non sono loro. Di bambini che vomitano. Di gente che vola un'ora e per forza si deve mangiare il cazzo di panino col prosciutto stretto fra altri corpi e bambini che vomitano. Ma soprattuttto quel convivere continuamente gente che va in vacanza – soprattutto i gruppi rumorosi – per cui (concludo) si finisce inevitabilmente per odiare il genere umano, e in particolare il genere umano che si diverte.

 

Ieri sono stato costretto alla prima fila in aereo, e le ho potute controllare in ogni movimento.

 

Nei momenti morti, una assistente di volo che avevo già visto altre volte si siedeva in un angolo e non vista faceva il sudoku. Durante l'atterraggio parlavano fra di loro di smalto di unghie. E intanto pensavo: per loro siamo numeri. Per loro – giustamente – siamo pecore. Tutti questi esseri umani per loro non sono nulla. Abituate come sono a smistare esseri umani, come faranno poi nella vita privata ad interessarsi ad uno di loro? Siamo numeri, pensavo. E poi:

 

“Tu prendi spesso questo volo” mi dice la hostess durante l'atterraggio.

“Sì” dico io “è come un bus”.

L'ho preso tre volte quest'anno, tre volte andata, tre volte ritorno.

 

Ma la barriera ormai è rotta. Lo stargate fra me che penso a numeri e pecore e disinteressi privati e smistamenti di corpi umani, è rotta. Improvvisamente, nel momento preciso in cui mi davo del povero numero, non ero più un numero.

bruxelles

Bruxelles non e’ bella: e’ belloccia. Uno la gira e si rende conto che e’ un po’ grigia e che c’e’ moltissima Italia; che a volte e’ triste, a volte e’ confusa, altre volte e’ disordinata, ma e’ anche pulsante di vita.

 

Poi ti fermi un istante e ti dici Aspetta Un Momento: anche tu alle volte sei un po’ grigio, alle volte confuso, disordinato, e non ti dimentichi mai dell’Italia. Anche tu quando non sei triste, hai una vita pulsante che cancella il grigio di prima. E’ una illuminazione.

 

Poi ti trovi in questo baretto di legno nel pieno centro, e leggi il giornale bevendo e mangiando da solo come del resto molte persone attorno. Alcuni scrivono, addirittura. Sei sul tavolino piu’ vicino alla vetrata, come nei film. In un sottofondo di francese. Poco lontano un signore mangia dal suo piatto e legge da un libro. Tu riconosci la grafica inconfondibile delle edizioni Sellerio di Palermo.

 

Poi camminando vicino alla casa di AmicoQuasiParente in una strada in discesa (o mioddio, in discesa!*) schiacci il naso sulla vetrina di questa libreria (barra) enoteca e nuovamente ti dici mioddio. La giornata continua in un mood che e’ molto meglio non descrivere a parole per evitare di doverle rileggere piu’ avanti – se le cose non andranno come devono andare –  ma che possiamo descrivere con le immagini qui sotto (io sono la capra).

*effetto collaterale del piattume barbaro.

 

a roma

A Roma le ragazze rom sfoggiano la mammella e allattano il bambino in metropolitana. Tengono il bambino con una mano mentre con l'altra premono il pulsante della biglietteria automatica al posto tuo. Quindi ti chiedono un contributo per il lavoro (svolto benissimo, peraltro) di spingitrici di pulsanti di biglietterie automatiche. Io però fossi in loro mi sputerei sul dito per rendere più conveniente il servizio (cioé se non vuoi lordarti della mia saliva dammi venti centesimi). Ma comunque.

 

A Roma mangio pizze. Tre in un giorno. E pilucco gelati camminando verso piazza Navona e penso che sta città è una fantastica segregazione fra privilegiati e formiche, ed io conosco solo formiche mentre potrei solo immaginare chi sono gli eletti. Però c'è il vantaggio che con la mia coppetta di stracciatella passeggiare vicino all'enormità di piazza Venezia diventiamo di colpo uguali io le formiche e i privilegiati. Con la differenza che io poi dopo prendo la metropolitana. Una livella della bellezza, praticamente.

 

Non ascoltavo un clacson da mesi. Poi sono venuto a Roma. E poi pensavo che un turista per spiegargli Roma, e quindi l'Italia, e quindi noi tutti che ci siamo nati in Italia, devi portarlo a vedere i semafori pedonali di certe zone periferiche con l'arancione che dura un'enormità. Questo arancione lunghissimo che non vuol dire né No, né Sì: è un limbo, vuol dire Fai un Po' Come Ti Pare, epperò stacci attento.

 

Il paesello all'arrivo è ventoso e lugubre, foglie volano via vorticose. Chiamo una persona al telefono che tossisce, stava dormendo; ne incontro un'altra per strada che si è appena svegliata. Sono le quattro del pomeriggio.

 

E pensavo, finirà con l'indifferenza, altro che razionalità e anti consumismo. C'è stata una lunghissima fase di viva il Natale coi suoi strascichi tossici fino ad oggi, e un ondata di reazionaria di Affanculo il Natale. Ne arriverà una terza, che per quanto mi riguarda comincia oggi – diciamo così, vediamo se funziona – nella quale chi se ne frega di tutto.

nel mio essere trottola

Nel mio essere trottola natalizia, stanotte dormo fra i monti in provincia di Trento. Mi hanno indicato una macchia scura in lontananza dicendomi che è il lago di Garda. Ma domani sera sarò già a Roma, e se c'è un'anima buona all'ascolto, ella sappia che il sottoscritto necessita di un giaciglio per la notte tra il 22 e il 23 verso cinecittà. Ho voglia di mischiarmi nel traffico e ispezionare lo sguardo volposo dei venditori di panini del centro, e ho bisogno urgente di trovare un negozio di giocattoli.