Il viaggio da Roma al paesello ha avuto il suo epilogo verso le quattro di notte, quando col valigione e la stanchezza di mille fatiche di Ercole mi sono presentato davanti alla porta di casa. La mia genitrice al telefono aveva avvertito il figliuolo – e cioè io – del cambio di serratura e del fatto che avrei potuto trovare le chiavi nascoste sotto al vaso del ciclamino, o forse del gelsomino, o forse di qualcosa che comunque finiva con “ino”. Sotto al vasino col fiorellino, qualcosa così, comunque.
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Sulla porta di casa ho trovato solo il ciclamino e quindi ogni dubbio – per esclusione, mica per altro – è svanito immediatamente. Ho aperto la porta ed ho posato il mio valigione a rotelle incapace alla stazione eretta sul pavimento, ho dato un’occhiata al salone di casa, ed ho esclamato dentro alla mia persona stanchissima e sfatta:
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“ O Giesù”
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(e subito dopo Sbam! il tonfo del valigione sul pavimento di marmo)
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Dal lampadario in alto sul soffitto a volta, ho visto quattro lenzuoli immensi e marroni che scendevano giù al centro per poi risalire verso le pareti attorno, alle quali erano incollati con dei semplici pezzi di scotch. La prima impressione era quella di un tendone da circo in miniatura. Dal lampadario scendeva anche una cordicella dorata con tre o quattro elefantini impiccati. Sul tappeto al centro del salone un enorme narghilè, e puzza di tabacco nell’aria. Nel salone freddo e buio delle quattro di notte ho subito pensato: Ecco, mia madre è impazzita completamente. Ho pensato anche di staccare tutto immediatamente, ma poi ho creduto fosse meglio aspettare il giorno seguente, per non ferire eccessivamente l’artefice di quell’ obbrobrio.
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Il freddo mortale delle case antiche della costa salentina in inverno è qualcosa che entra nelle ossa e non esce più. E’ qualcosa che esiste solo qui, e lo dico io che un anno fa trotterellavo senza sciarpa sotto la neve bavarese a meno quindici gradi. Col freddo umido che già mi stava irritando le intenzioni, sono entrato nella mia camera. La mia lucetta vicino al letto, quella per leggere i libracci prima di dormire, non c’era più. Sparita. In compenso ho trovato un nuovo mobile immenso piazzato al centro della stanza che impediva il passaggio. Ho iniziato a madonnare in silenzio per la casa, passando e ripassando sotto al tendone da circo montato nel salone, col freddo bestia che mi faceva uscire le nuvolette dalla bocca mentre imprecavo in silenzio rivolto verso nessuno, perché tutti erano nel letto a dormire sotto quintali di coperte di lana. Ho cominciato ad aprire cassetti e armadi alla ricerca di un qualcosa in grado di illuminare le mie imprescindibili letture notturne, perché Va Bene il freddo siberiano, Va Bene il tendone da circo nel salone, Va Bene la valigia che non si regge in piedi da sola e Va bene che entro nel bagno e ci trovo barattoli e flaconi sparsi sul pavimento, Va Bene il portacenere stracolmo lasciato posato su di una sedia davanti al camino manco fossi in una bettola di infimo ordine, però se mi fanno sparire la lucetta per leggere sotto le coperte, ecco, allora io mi incazzo. Poi è chiaro che basta girare e girare per un quaranta minuti nella casa deserta e buia, con Silvano che pigola nella gabbietta per il rumore che faccio, smadonnare con le nuvolette che escono di bocca, e alla fine succede che l’incazzatura passa come tutte le altre volte che sono tornato a casa, perché ogni volta che torno a casa devo imbestialirmi per un motivo, e di solito il motivo è il bordello che ci trovo, ogni volta diverso, ogni volta più bordello, ogni volta più anarchia e decadentismo e mozziconi di sigaretta lasciati nei posti più improbabili. Con l’incazzatura in fase calante – ma non ancora sparita del tutto – mi sono infilato nel letto e ho cominciato a leggere utilizzando la lucina del telefono. C’avevo duemilaeduecento chilometri di viaggio alle spalle, e allora il sonno è arrivato presto.
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La mattina dopo vengo svegliato da una lamentela melodica arabeggiante . Vado nel salone per vedere cosa crispio succede e mi ritrovo in una Casbah di Algeri. Il circo che scende dal lampadario è ancora lì, e pure il narghilè. I divani sono spariti e al loro posto ci sono teli e cuscini decorati con fantasie arabe posati sul pavimento. Se un cammello entrasse in quel momento e cacasse di fianco all’acquario, lo troverei assolutamente coerente con il contesto. Mio fratello il Piccolo (D.Pennac all rights reserved) arriva col sorriso scimunito e mi chiede: Mbe’, che ne dici, ti piace? Allora in quel momento capisco tutto, l’Harem nel salone non è colpa di mia madre: è solo il compleanno di mio fratello. Mio fratello il Piccolo che è nato la vigilia di Natale e allora ogni anno si inventa un qualcosa per ricordare al mondo che il 24 dicembre non è solo la vigilia di Natale, ma è soprattutto il suo compleanno. Quest’anno è il turno della festa araba, con buona pace di tutti.
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Mio fratello il Medio per uno sputo di febbre si dichiara malato terminale e sparisce nel letto. Vado a trovarlo con una aspirina in mano (che ora posso citare solo scrivendo Aspirina®) ma lui dal letto di morte con una coppola in testa mi dice che “di queste cose lui non ne prende”. Cerco di non calcare la mano spiegando che prendere un Aspirina(®) non è poi così grave ma evito di scendere nella bieca pubblicità. A pranzo mia madre mi dice che questa scelta è forse l’influenza di una sua amica fattucchiera dell’università che si cura con le erbe e gli intrugli naturali. Mi viene da pensare Che Bello mandare i figli all’università, che poi ti ritornano indietro progrediti e illuministi.
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A pranzo siamo solo io e mia madre, ché il Medio resta nel letto e il Piccolo esce per andare a casa di mio padre. Subisco il rigurgito dell’incazzatura notturna e comincio a sbottare con mia madre che non è possibile che così, che non è possibile che colà, che ogni volta che torno mi devono girare per forza le palle eccetera eccetera, ma poi alla madre vengono i lacrimoni agli occhi – lei che da due settimane aveva cominciato il conto alla rovescia per la mia venuta – e allora mi devo fermare, e come ogni volta mi ricordo che tutte ste cose io le posso solo sopportare, sopportare e basta, ché discuterne non è affatto cosa buona e giusta.
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Per il resto, non ho una connessione internet ed ho un simpatico virus al telefono cellulare che mi ha fatto perdere quasi tutti i numeri e i messaggi ricevuti nell’ultimo anno. Mi sento come un cittadino della periferia di un paesello dello Yemen, solo che nello Yemen ( ovunque sia lo Yemen) fa di certo più caldo che qui. E di certo nello Yemen (come anche a Bologna, Colonia o Londra o GiesùBambino City) un’ora all’internet point situato in Affanculo Boulevard Avenue NON costerà mai tre euro e cinquanta come invece qui.