volevasi segnalare: Sofie a Brussélle

Sofie e’ una studentessa belga fiamminga che con una telecamera nascosta ha registrato gli insulti a sfondo sessista e le avances che ha ricevuto camminando per le strade di Brusselle.

Non era sua intenzione stimolare il sentimento razzista – ha dichiarato – pero’ “un fatto è incontestabile. Quando si passeggia per Bruxelles, nove volte su dieci gli insulti provengono da stranieri“.

I fatti incontestabili, purtroppo, non possono essere discussi sul serio perche’ viviamo in un’epoca di fascismi ideologici. Ma per chi vive davvero in societa’ multiculturali, questi sono fatti clamorosi e incontrovertibili.

Tra l’altro il fascismo ideologico ci impedisce anche solo di avvicinarci, al concetto di razzismo, inteso come il riconosciemento di differenze innate di razza. Il concetto viene negato a priori, e quindi siamo tutti qui alla finestra, il mento fra le mani ad attendere che qualcosa cambi.

Ne riparliamo fra dieci anni.

caro filippo magnini

Caro Filippo Magnini, anche se sei il piu’ veloce, anche se i tuoi compagni non sono alla tua altezza, non puoi comportarti come cazzo di pare. Hai tutto il diritto di rimanerci male se chi gareggia con te e’ piu’ lento, o piu’ impreciso, o quello che vuoi.

Puoi pure tornare negli spogliatoi e – che ne so – sbattere una porta, tirare una manata contro il muro. Ma non hai il diritto di dire che i tuoi compagni non si sono impegnati a sufficienza di fronte ad una telecamera, con un microfono davanti. Perche’ ecco: sai a cosa servono telecamera e microfono? Lo sai che le tue parole, dopo, vanno in giro per il mondo? Prima devi essere assolutamente certo che chi gareggia con te non abbia dato il massimo (ma ragiona: perche’ mai uno dovrebbe spaccarsi il cuore per arrivare alle Olimpiadi per poi non gareggiare dando tutto quello che ha?). 

Tra l’altro considera pure che se uno di loro la prende male, anche se nuota leggermente piu’ lentamente di te, questo non vuol dire che se gli girano le palle non ti possa fare il culo, dopo, quando telecamere e microfoni non ci sono.

ma guarda che

Ma guarda che se tutti gli esseri umani comprendessero cosa significa avere dei figli negli anni dieci del nuovo millennio, e tutte le frustrazioni e complicanze c0nnesse che direttamente o indirettamente le persone che ho attorno mi raccontano, se tutte queste frustrazioni e difficolta’ venissero insegnate a scuola come materia fondamentale di studio – tipo che se non superi l’esame non passi, e ti chiudono in casa e non esci e non ti riproduci – se insomma si avesse una consapevolezza seria dell’argomento, si risolverebbero tante disgrazie personali, e pure il sovraffollamento mondiale.

E il traffico.

dunque nell’arco della stessa giornata

dunque nell’arco della stessa giornata ho:

– ascoltato i The Pains of Being Pure at Heart in auto
– bevuto caffè in una tazza regalatami dalla università del Paese Basso
– dato risposte in una riunione
– tenuto una presentazione e riuscito a far ridere chi ascoltava
– pranzato con una dose massiccia di salmone crudo
– cazziato gente lontana
– preso decisioni al posto di altri
– mangiato orsetti di gomma colorata
– spiato dalla finestra un donnone nero che cucinava con il fazzoletto in testa
– preso mentalmente in giro un gestore di palestra francofono che si sforza di parlare in italiano (“fonitto“?  Si dice finito, cretino)
– almeno tecnicamente, si potrebbe pure dire che mi sono drogato
– fatto una doccia alle undici di sera
– cenato con roba asiatica precotta
– (ma condita con basilico addirittura coltivato da me)
– entrato in una casa che mai c’ero stato prima
– fatto gli auguri ad un fratello per un compleanno importante
– considerato che ormai conosco una decina di portoghesi a brussélle
– bevuto birra anche calda
– parlato (per il quarto giorno consecutivo) di gente che divorzia. Quattro coppie diverse, tutte con figli
– spiato discorsi di italiani che tantissimo fuori contesto blateravano di sistemi sociali del nord europa
– scambiato parole con ragazzina dai modi gentili che però sta con una scimmia
– pisciato per strada a Saint Gillis (lo so, non si fa, ma quando ascolto o parlo il francese divento un po’ Depardieu)
– dato indicazioni in francese per raggiungere un posto (francese corretto, indicazioni forse sbagliate)
– ascoltato i Travis in auto
– letto tantissime notizie online su qualsiasi argomento
– aperto un libro nel letto, richiuso poco dopo

Oggi, non ho voglia di niente.

Cara Rossella Urru che si spera sei stata liberata per davvero

Cara Rossella Urru che si spera sei stata liberata per davvero,
hai una faccia sorridente in tutte le foto: ti immagino simpatica e gentile, ma pure cazzuta a sufficienza per fare quello che fai. Siccome ti immagino simpatica e gentile, causa ancora piu’ fastidio pensare alla dose di sofferenza causata da tanti giorni da ostaggio in luoghi ostili, in preda a persone certamente meno simpatiche e gentili di te (ma altrettanto cazzute, se non di piu’).

Possiamo festeggiare e basta, oppure guardare quello che e’ successo da un punto di vista piu’ alto e generale. Cosa voglio dire, mi spiego.

Se guardo al dettaglio, vedo te che lavori con passione nei campi profughi e aiuti gente che e’ vittima spesso di guerre o di sistemi autoritari. Se scendo ancora di piu’ con lo zoom, vedo te che accarezzi la testa di un bambino con la mosca sul naso. Se guardo al dettaglio, percepisco il vantaggio netto di avere al mondo una persona come te: le persone aiutate non possiamo contarle, ma certamente ci sono.

Questo se guardo al dettaglio specifico e mi fermo li’.

Ma se vado oltre, da un punto di vista piu’ alto e generale, devo pure pensare pure ai dieci milioni pagati – si dice – per il tuo rilascio. Che non sono stati dati ai profughi, ma ad un oscuro personaggio che tanto per generalizzare brutalmente possiamo immaginare responsabile di guerre o di altre azioni che possono portare ad altre ingiustizie, e di conseguenza ad altri profughi. Ora lui ha dieci milioni in tasca in piu’ per fare quello che vuole.

E non finisce qua: ha dieci milioni e sa che ne potra’ avere altri attraverso lo stesso sistema. Quindi fai tu una cifra: venti milioni, trenta? Fai tu. 

Ovviamente non ti si puo’ dare colpa del pagamento, e non possiamo darla a nessuno: in questi casi e’ quasi impossibile capire quale sia il gesto giusto.

Ma adesso come minimo dobbiamo riconsiderare le tue scelte, e anche quelle di altri che verranno dopo te: non ci si puo’ fermare al bambino che hai salvato, ma nella somma totale dobbiamo mettere pure le conseguenze future di quei milioni. Fai la somma totale e guarda il risultato finale. Dimmi se nel risultato finale ci vedi un piu’ oppure un meno. Cosa ti senti di consigliare a quelli che vorranno fare come te?

Io sono codardo e non riuscirei a fare quello che facevi tu. In realta’ credo che nessuno sia capace di farlo per davvero. Perche’ farlo per davvero significa essere pronti alle probabili conseguenze. Oggi sappiamo che il Governo italiano prima o poi, paga sempre i rapitori. E che difficilmente gli ostaggi italiani vengono rilasciati senza pagamento di riscatto, e che questo riscatto finisce sempre nelle mani dei terroristi.

Quindi sei io oggi fossi nelle mani dei rapitori, saprei che avrei davanti due possibilita’: morire o sperare nel pagamento di un riscatto. Non potrei far finta di non sapere. La seconda opzione (sperare nel riscatto) significa pero’ anche rinnegare gli obiettivi delle mie missioni umanitarie (pensando al risultato finale di cui prima). Ogni giorno che mi terrei in vita ad attendere il riscatto, starei rinnegando tutte le buone azioni che ho compiuto fino a quel momento. Non sto dicendo che avresti dovuto impiccarti, ma pensa a questo.

Due opzioni quindi.
Una terza, di cui non si e’ parlato, era restare a casa.

settimo anno

Il 21 maggio questo blogghe ha spento le candeline per il suo settimo anno. E’ in seconda elementare e perde gli incisivi, praticamente. Ogni anno da padre sventurato quale sono ne dimentico la ricorrenza. In realta’ le origini risalirebbero al 2004 ma le tracce di quei tempi sono ormai andate perse – e per fortuna, direi.

Per esempio ricordo quella volta che postai un testo di canzone tutto intero, senza commenti, un semplice copia e incolla di cui ancora mi vergogno a causa di una mia idiosincrasia nei confronti della mancanza di creativita’ spiattellata sui canali comunicativi. Ma ci siamo passati tutti, tipo la varicella.

(Se ti è piaciuto leggi pure questo)

ciao me stesso del passato

Ciao me stesso del passato.

Siccome sei del passato non puoi sapere che un giorno avresti fatto bella figura guidando colleghi tedeschi e belgi in un villaggio del Paese Basso, che conosci molto bene perché anche se non ci vivevi tu, in quel paesotto ci viveva lei.

Avresti superato il bar dove alcune domeniche si giocava a dama: quando lei perdeva un po’ si arrabbiava, ma solo un poco. La stradina dove c’era il mercato. La salita che era difficile fare tutta in bici quando lei sedeva dietro e allora serviva prendere la rincorsa. Il negozio dove hai comprato i palloncini per la sua festa di compleanno, poco prima della fine. La strada che prendevi per tornare alla tua, di casa, quando a volte ti arrivava un messaggio che diceva grazie di tutto.

Purtroppo poi il navigatore è stato crudele ed ha deciso di passare pure sulle rive di un canale, vicino ad un piccolo prato dove brucavano le oche. Le piaceva portare il pane alle oche quando si usciva senza motivo. Un paio di volte le hai detto: quando te ne andrai, io verrò qui da solo, mi siederò e strapperò gli steli d’erba. Tu mi guardavi come avessi bestemmiato. Ci sono passato, dal prato ma non mi sono seduto – anche se poi scrivere queste righe è un po’ come averlo fatto.

Non mi sono seduto e nel frattempo sono diventato un’altra persona che oggi neanche riconosceresti, che prende la vita e le persone per la nuca e i fatti per quelli che sono – una persona che comunque non ti interessa conoscere.

E quindi.

La cosa che resta però è la consapevolezza profonda che non bisogna mai fidarsi delle parole di nessuno, davvero di nessuno, per quanto profonde e sentite e incredibili siano queste parole nel momento in cui vengono pronunciate. Mai fidarsi e mai pianificare pezzi della propria esistenza sulla base di queste parole, perché tutto può essere spazzato e accartocciato e buttato via in pochi giorni. Non si tratta di essere bugiardi. Certe parole sono sincere quando vengono pronunciate, solo che non sono rivolte proprio a te – sono rivolte alle aspirazioni e ai progetti che ognuno ha per la sua vita. Può capitare  di incarnare (temporaneamente) uno dei personaggi di questo film che ognuno ha progettato per la sua vita, e quindi ricevere queste parole. Ma ecco: si resta fedeli al film, non ai personaggi. Se serve, questi possono essere sostituiti con altri, purché lo spirito della trama resti uguale.

(Le oche erano ancora lì, comunque.)

paese basso

A volte ritornano. Mi trovo da ieri sera in Paese Basso per un congresso, in una di quelle realta’ in cui cammini per corridoi di alberghi con un badge appeso al collo con sopra scritto il tuo nome. In uno di quei luoghi sulla costa del mare del Nord che ci hai abitato part time per un paio di anni e che conosci bene – anche se oggi non lo vorresti.

Ad un certo punto nel corridoio incontro la Prof dell’Università a cui in un certo senso avevo dedicato le parole di qualche giorno fa, solo che lei sembra sinceramente contenta di vederti, tu pure, allora forse quelle cose non gliele dici, o forse gliele farai sembrare più dolci bevendo un caffè insieme e sorridendo tanto.

le coppie

Le coppie che vanno insieme in palestra, va bene. Le coppie che vanno insieme in palestra e si danno i bacetti, meno bene, soprattutto se ambedue brutti e over venticinque, però lo accettiamo.

Le coppie che vanno insieme in palestra e si danno i bacetti e lui usa il proprio asciugamano per passarlo sulla fronte sudata di lei, invece, lo dico tranquillamente: lanciafiamme.

volevasi segnalare: tristezze milanesi

Quanta tristezza riesce a generare questo articolo sulla movida milanese. Selezioni all’ingresso severissime, liste, prezzi sballati, entrata gratuita “se arrivi con una modella” e locali che pagano royalties salatissime solo per appiccicarsi addosso il nome di uno stilista famoso. Tutto quello che si racconta non e’ proprio nuovo, pero’ ancora una volta conferma che in Italia l’istinto alla gerarchizzazione e all’autoinclusione in presunte elites e’ un istinto diffuso a tutti i livelli.

Chiunque puo’ – e anche se non puo’ – fosse pure per poche ore, vuole tantissimo autoincludersi in una piccola casta. 

Che – attenzione – non e’ la casta di quelli che possono spendere 20 euro per un cocktail, ma la casta di quelli che non ritengono volgare spendere 20 euro per un cocktail.

se c’era una cosa

Se c’era una cosa fra i servizi di Google che ho usato tutti i giorni in cui accendo un computer e’ iGoogle, la homepage personalizzata. Ci tengo l’email, il meteo, il post-it per le note da prendere al volo, un widget per ascoltare tutti i canali radio e una volta, quando funzionava, anche un dizionario online di sinonimi e contrari. Praticamente perfetto, utilissimo. Cosa vuoi di piu’ dalla vita? 

Che te lo cancellino, sto benedetto servizio.

un’altra cosa

Un’altra cosa che mi rendo conto mi manca – dopo quattro giorni di Italia fra persone che conosco da una vita – sono le amicizie femminili di quel tipo di amicizie femminili che sei sicuro che rimarranno sempre tali.

Perche’ non so se e’ il momento storico o la mia crescente inadeguatezza, ma da ste parti c’e’ sempre un sottofondo di sesso, implicito o esplicito, consumato o potenziale, che alla fine rovina complica tutto, o lo uccide sul nascere.