fatto pure questo

Fatto pure questo.

Per ogni testa ci sarebbero un significato ed una motivazione diversa.

Già provare ad indovinare le loro ragioni superando le nuche sudate ti fa passare il tempo e la fatica. Ma mi piace pensare che correndo uno semplicemente festeggi il fatto di essere in grado di farlo.

bisogna guardare le cose per quello che sono

Bisogna guardare le cose per quello che sono e poi trarre le conseguenze.

Berlusconi chiede che il Presidente della Repubblica venga eletto con voto diretto dei cittadini, e questo significa un intero popolo che mette la crocetta sul nome piuttosto che elezione attraverso camera e senato. Poi dice che non esclude di essere lui stesso, il candidato per questa elezione. Perche’ evidentemente crede che se valesse la regola delle crocette per tutti i cittadini, lui potrebbe farcela. Bisogna guardare le cose per quello che sono. E le cose sono che ha ragione, potrebbe farcela.

Non ora, forse, dove tutto quello che tocca si trasforma in merda. Ma tra un po’ di tempo Si’.

Quanto ci mettono gli italiani a dimenticare? Pochissimo. Anzi c’e’ una grossa fetta che non ha neanche bisogno di dimenticare, perche’ proprio non sa. E un’altra porzione che non vuole dimenticare perche’ gli e’ piaciuto. Metti insieme queste porzioni, sottrai i voti di protesta grilliani che sono sempre utilissimi (a lui) in queste situazioni, aggiungi quelli che votano sempre il contrario della fazione al governo, sottrai gli astenuti, aggiungici un pizzico di Vendola che parla complicato e una spolverata di Bersani che ti compare in tv con la fronte lucida e le ascelle pezzate, e vedi che c’ha ragione lui, puo’ farcela.

Poi e’ chiaro che glielo impediranno (non puo’ volere troppo: ha gia’ barattato l’assoluzione in tutti i processi con l’appoggio a questo governo, per non dire che in pratica lo tengono per le palle fino a quando questo governo non arriva al termine) ma se dovessimo parlare di democrazia, sarebbe un furto alla democrazia. Auspicabile, ma pur sempre un furto. 

Stiamo parlando di politica? Sto scrivendo di politica? No, a parte i nomi che sono inevitabili per spiegare le cose. Scrivo dell’Italia, mi pare.

ci sono parole

Ci sono parole che all’estero – e in particolare nel mondo anglofono – vengono considerate italiane ma che italiane non sono. Generalmente hanno a che fare con il cibo e con un uso scriteriato del plurale. Per esempio “salami” per dire salame, “pepperoni” per dire peperone, “zucchini” per dire “zucchina”.  In paesi a lingua barbara, come il Paese Basso e le Fiandre, si usa anche “panini” per dire “sandwich”. Quindi la gente dice tranquillamente I would like one panini e crede di parlare quasi italiano.

Queste sono le parole che definisco “orfane” nel senso che gli anglofoni le attribuiscono all’italiano (dal quale certamente derivano, non essendo presenti pero’ nel dizionario) e gli italiani le ignorano. Sono parole orfane e apolidi eppero’ utilizzatissime.

Siccome questo qui e’ un argomento frequente e che snocciolo spesso, adesso devo controllare se ne ho gia’ scritto, e se l’ho  fatto, welcome arteriosclerosi.

suona bene ma non significa niente

Il Festival della Stupideira non si ferma. C’è di tutto. C’è soprattutto un esuberanza di belle frasi prive di senso e fondamento.  La retorica melensa purtroppo non provoca allergie di massa e quindi non c’è speranza per il futuro. Ma ci sono anche sbavature interessantissime. Il famoso comico dichiara in tv che gli attentatori “non sono esseri umani ma neanche bestie, perché le bestie queste cose non le fanno”. Con il ditino alzato andrebbe chiarito che invece Sì, lo fanno e pure abbastanza regolarmente, e fanno pure di peggio. Ma siccome suona meglio dire che non lo fanno, allora non lo fanno.

l’ipertrofia dell’informazione

L’ipertrofia dell’informazione significa che ci sono molti più spazi dove mettere le cose da dire che cose da dire.

Ci sono molti più contenitori (giornali, telegiornali, siti di informazione online) che contenuto. Quindi se non c’è niente da dire o scrivere, qualcosa la devi comunque dire o scrivere. Perché se la quantità di notizie disponibili ogni giorno è variabile (a volte molte, a volte poche) i contenitori sono sempre lì che attendono di essere riempiti. E allora nei giorni di magra, certi fatti che sarebbero piccoli e insignificanti vengono messi in risalto per mancanza di altro. Nei giorni in cui non succede nulla, in cui non c’è nulla da dire, le notizie si inventano, partendo da fatti veri se ne deducono altri – però falsi, o non confermati – perché i contenitori ipertrofici sono lì che attendono, famelici, di essere nutriti con qualcosa.

La bomba di Brindisi per esempio è collegata alla mafia in funzione del fascino di questo collegamento, non della probabilità del collegamento.

ciao occupanti del grattacielo di Milano

Ciao occupanti del grattacielo di Milano del progetto “Macao”, prima di scrivere ste righe ho cercato di informarmi il piu’ possibile, ascoltare le vostre ragioni. E dopo tanto ascoltare non ho trovato una sola dichiarazione che fosse anche solo lontanamente condivisibile.  Non l’ho trovata. Piuttosto ho trovato motivazioni tutte diverse (“per avere uno spazio dove esprimersi”, “uno spazio dove fare cultura”, “per dimostrare che non si possono sgomberare le idee”, “perche’ i lavoratori dell’arte non riescono a trovare 20 mq da affittare per lavorare”, “perche’ il palazzo e’ abbandonato”, “per riappriopriarci”, “per fare un dibattito sulla nostra condizione di lavoratori precari”, “per il concetto di bene comune”, “perche’ questo e’ un luogo simbolo della finanza corrotta”, “perche’ abbiamo pensato che in quanto gente di cultura fosse giusto un gesto che inverte un po’ la rotta” eccetera eccetera).

Tante motivazioni tutte diverse ma con pochi punti in comune: la pretesa di ottenere qualcosa, la pretesa di rappresentare una citta’ pur essendo minoranza, la pretesa di non pagare le conseguenze naturali del gesto – pretesa quest’ultima che (lo ripetero’ fino alla nausea) sminuisce l’importanza stessa del gesto.  Il video qui sotto a partire dal minuto 5 e’ indicativo della “chiarezza” delle idee.

Ma sapete cosa mi rimane dopo essermi informato cari occupanti del Macao? Un pessimismo piu’ solido e nero di prima sul futuro del Paese. Non sto neanche a spiegare i motivi nei dettagli, che dovrebbero essere lampanti, ma voi di fatto agite da perfetti Berlusconi, siete solo limitati nell’ambito del vostro orizzonte piu’ ristretto e quindi generate meno danni, siete come la Juventus che si recrimina gli scudetti che non merita perche’ ha agito illegalmente, siete come i lanciatori di bombe ad Equitalia, siete una spada nella schiena a chi si spacca per ottenere i suoi piccoli risultati civilmente e silenziosamente (e che vi piaccia o No, se merita, questi risultati li ottiene anche senza gridare, anche senza prevaricare), siete la cicala che una mattina si accorge di essere cicala, ed invece di cambiare per evitare di morire da cicala, pretende la sussistenza da parte delle formiche che tanto ha perculato fino a quel momento.

Voi che vi definite “lavoratori dell’arte e della conoscenza e dello spettacolo” e che pretendete uno spazio per lavorare ed esprimervi. Innanzitutto esprimetevi meglio: cio’ che pretendete e’ uno spazio gratuito dove esprimervi, non uno spazio dove esprimervi. La richiesta e’ ingiustificata, ma accettiamola per un momento e chiediamoci: uno spazio gratuito e’ stato mai – in qualche luogo dell’epoca moderna – una condizione necessaria all’emersione di geni incompresi dell’arte e dello spettacolo?  Siccome sarete intelligenti non mi farete certo l’esempio degli antichi mecenati. Ancora, dettagliando meglio la domanda: l’assenza di spazi gratuiti e’ stata mai ostacolo invalicabile all’emersione di opere d’arte degne di nota? Avete un esempio da portare per giustificare anche solo minimamente il gesto? Per giustificare quello che volete, e cioe’ una facilitazione della vostra esistenza?

Perche’ questo volete: una facilitazione della vostra esistenza di (presunti) artisti. Ma l’arte non si giova delle facilitazioni. E’ il contrario. Il talento – quando c’e’- prende linfa dagli ostacoli sulla strada, dalla difficolta’ di emergere. Il talento si affina per farsi notare e sopravvivere nelle condizioni paludose in cui e’ nato.  Forse sara’ un talento piccolo piccolo, oppure apprezzato solo da una piccola nicchia: allora sopravvivera’ arrancando invece di fiorire. Ma se e’ apprezzato cosi’ poco che non riesce a sopravvivere, allora quasi sempre e’ giusto non coltivarlo, perche’ non e’ talento. Se non riuscite col vostro lavoro a pagare l’affitto neanche di venti metri quadrati, se non riuscite ad ottenere nessuno dei tanti edifici messi a bando dal Comune di Milano – se quindi siete arrivati a questi livelli di estrema irrilevanza nella societa’ in cui vivete – allora non potete pretendere che altri paghino per voi. A parita’ di irrilevanza, chiunque potrebbe pretendere lo stesso privilegio.

Ma seriamente pensate che privarvi di questi spazi significhi “uccidere” la cultura? Per quanto mi riguarda cultura e arte significano soprattutto letteratura. E’ una visione personalissima e parziale ma che ci vogliamo fare, sono mediamente ignorante sul resto, ed ho le mie preferenze e passioni. E quando si tratta di letteratura e spazi mi vengono in mente le vita incredibili di Rayomond Carver, o di Haruki Murakami. Lui che molto prima di diventare lo scrittore conosciuto in tutto il mondo gestiva un baretto in Giappone e scriveva il suo primo romanzo dopo aver lavorato tutto il giorno, dopo aver pulito il bar e rovesciato le sedie sui tavoli. Stanchissimo, ci provava senza nessuna garanzia per il futuro, e spesso si addormentava con la testa posata sul foglio.

video

sono illuminanti

Sono illuminanti davvero questi momenti in cui mi trovo a che fare con amici randomici – persone che c’ho pochissimo in comune e che pero’ si fanno sentire spesso al telefono.

Ci sono io mi distraggo con una birra fra le mani mentre mi si parla, sono nel mezzo di un baretto, e’ domenica pomeriggio, mi rendo conto che questa persona che ho di fronte mi parla incessantemente di femmine: ma non di fatti (che sarebbero anche interessanti), No, soltanto di ipotesi, e di piani per stanarle, ste benedette femmine, come nella caccia alla volpe col branco di cani. Ritorno in me – ipnotizzato com’ero dalla schiuma della birra – e chiedo:

– ma sto parlare sempre di femmine, insomma..
– cosa
– e’ da ieri che non ti fermi
– ….
– voglio dire, si puo’ parlare anche di altro no?
– ngh
– voglio dire: altrimenti cosa credi di offrire ad una femmina, a parte il tuo intenso desiderio di femmina?
– ngh
– voglio dire: cosa pensi di offrire come persona? guarda che il resto e’ consequenziale. guarda che si intuisce che hai solo quello, poi.
– consequenziale?
– esatto
– e vabbe’ di cosa dobbiamo parlare allora: di sociologia? di architettura brussellese?

Porcamiseria Si, avrei detto, Sì Sì Sì, ma non l’ho detto.
E in questo non dirlo, c’era tutta la distanza percepita.

faccio cose, 12 cinque duemilaedodici

Cenare poco perché chiedi pollo al curry con pochissimo curry, ma quello non capisce. Parlare di programmi radiofonici e povertà nel mondo e della sua inevitabilità. La mattina seguente esci per comprare banane e succhi di frutta. Perché non rispondi se ti chiede di pianificare un viaggio in Francia? Più tardi in libreria decidi di tenere fede alla tua promessa degli anni di università, quella di comprare finalmente tutti i libri letti ma che a suo tempo prendesti in prestito in Sala Borsa. Parlare di maratone col libraio. C’è un pianoforte addossato alla parete, la sera passerà di lì Capossela, devo ancora riuscire a definire con poche parole efficaci il mio disinteresse nei confronti di Capossela – tranne forse due canzoni. Ci sono clown sui trampoli sotto la Commissione. Un piccione volando va a sbattere contro un vetro troppo pulito, ti fermi a controllare se riesce a rimettersi in piedi e così fanno pure due ragazzini dodicenni che stavano fino a quel momento leccandosi sul muretto.

sarà interessante solo per me

Sarà interessante solo per me, o indicativo di una follia contemporanea soltanto per me, ma l’altro giorno al Tg3  prima hanno fatto la lista dei suicidi “causa crisi” degli ultimi giorni, e poi hanno detto che “causa crisi” ormai si sentono in giro storie incredibili di giovani che abbandonano la ricerca di un lavoro coerente con i propri studi per dedicarsi ad altro. Per esempio all’agricoltura, dice la giornalista. Per esempio Tizio, dice la giornalista, che invece di fare l’ingegnere ha deciso di darsi all’agricoltura.

Caspita caspita – penso io – sentiamo sta storia.

E poi la storia non era affatto quella di un ingegnere che aveva abbandonato il sogno di fare l’ingegnere “causa crisi” e che si era reinventato contadino per campare, ma un faccia da ebete ex studente di ingegneria che “dopo qualche esame” aveva abbandonato gli studi per guidare il trattore nell’azienda del padre. Cioè in pratica uno come ce ne sono tanti, come sempre ci sono stati e sempre ci saranno: quelli che abbandonano perché non ce la fanno, o perché non fa per loro.

La differenza è che la follia contemporanea sta offrendo scuse preconfezionate a tutti, perfino al faccia di ebete autista di trattore “dopo qualche esame” all’università. Scuse da riscaldare al microonde e usare senza ritegno. Tutto viene rivisto e filtrato attraverso le lenti del vittimismo.

Ma avrei pagato per assistere dal vivo alla scena di una troupe televisiva che segue un trattore, e un cronista che nel campo di sterpaglie allunga il microfono al ragazzo, e lui che giustifica la sua scelta parlando vagamente di altri amici più grandi che una volta laureati non trovano un lavoro facilmente. Avrei pagato.

E la scena nel suo insieme, vista dall’esterno (quindi ad includere pure il cameraman che inciampa nelle zolle di terre, il padre emozionato dell’ebete che si emoziona poco distante fuori inquadratura) sarebbe stata una bella rappresentazione artistica della follia contemporanea.

mannò

Mannò, se adesso svelate che l’artigiano bergamasco incazzato con il fisco – quello che si era chiuso nell’Agenzia delle Entrate con un fucile e gli ostaggi – il debito di 44mila euro in realtà non ce l’ha, anzi ne ha uno di 1400 euro perché ha deciso arbitrariamente che lui il canone della televisione non lo paga per dieci anni,  e se svelate che non era sul lastrico ma che c’aveva pure soldi per farsi l’arsenale di armi, ecco, se svelate tutte queste cose, poi finisce che non possiamo farne un eroe, non possiamo più citarlo come martire sbraitando con la bava alla bocca non appena ci mettono un microfono davanti, in un periodo come questo dove c’è tantissimo bisogno di eroi e di giustificazioni, c’è un popolo intero che ha bisogno di sentirsi vittima di un governo malefico, presentatori abbronzati che alla tv continuamente descrivono storie di gente disperata perché “deve soldi allo Stato” e non entrano mai nei motivi (vedi mai che questi soldi siano davvero dovuti).

In realtà volevo solo segnalare questa lettera.

colleghi maschi e femmine

Colleghi maschi e femmine che quando si fa tardi non tornate a casa dalle vostre famiglie ma soprattutto dai vostri bambini: quando non tornate a casa ché c’è da lavorare io non penso niente.

Però quando non c’è da lavorare ma lo stesso vi fermate a chiacchierare per delle belle mezzore, a ciondolare nei corridoi, io penso che non volete tornare a casa, che il lavoro alla fine è una scusa per stare lontano a prendere aria, altrimenti non si spiegano queste lunghe mezzore. E non mi trovo la spiegazione di queste facce di bambini sui desktop – o forse a pensarci bene Sì, a sto punto.

Dice il libro di biologia delle medie – che rileggiamo con occhio cinico – l’essere umano nasce cresce si riproduce e muore.

Poi mi passa.