(Chi lo sa – e del resto alla merda non c’è ma fine – magari all’interno c’è pure un capitoletto dedicato a quella volta che..)
Archivio mensile:gennaio 2009
tu – ovvero me stesso che leggerai queste pagine
Tu – ovvero me stesso che leggerai queste pagine in un futuro di cui ora non so niente – ti stai chiedendo come trascorrevi una giornata di quelle che ti senti di stare bene e non sai nemmeno il perchè?
Mh, te lo stai chiedendo? E allora te lo racconto.
Stamattina ti sei svegliato nemmeno tanto presto, e hai preso l’auto per andare a trovare due dottori che in questo edificio enorme dell’autorità sanitaria del Paese Basso ti aspettavano per discutere la tua ricerca dei prossimi mesi. Non è stato quello che vi siete detto – non è nemmeno il fatto che adesso ti danno retta, mentre parli di cose serie, ancora ti stupisci di questo fatto, ma non è questo – è stato piuttosto che poi quando sei uscito faceva sto freddo da Europa del Nord, e i gli steli d’erba attorno alla strada erano brinati epperò c’era il sole, e sole e ghiaccio assieme ti hanno fatto pensare a quante giornate si perdono, giornate stupende, seduti a lavorare. Non è che lavorare che ti pesi, è solo il perdere queste giornate, che ti basterebbero cinque minuti al giorno di autostrada senza automobili, non chiedi mica cose impossibili.
Sulla strada avevi le cuffie, e nel lettore c’avevi Astor Piazzolla che però hai snobbato ripetutamente a favore di Amy McDonald, e questo perchè sei giovane, e l’album ti piace tutto intero. E poi lei ti sta simpatica, con quella facciotta da bombolona si chiama pure McDonald, hai pensato: chissà quanto l’avranno presa in giro a quando non cantava e andava ancora a scuola.
Arrivato all’università sei andato alla tua scrivania. Adesso buona parte della tua settimana la spendi in questa stanza-alveare condivisa con altri studenti di qualche anno più giovani di te, di cui la metà con origini chiaramente indiane, e l’altra metà non lo sai, e però tutti hanno belle facce, studiano pochissimo e non ti danno fastidio mentre parlottano sullo sfondo. Avevi un panino semi cotto nello zaino, di quelli che vanno riscaldati nel forno o nella piastra sennò li mangi e muori. Hai preso in prestito la piastra da una abitante dell’alveare, ma quando hai infilato la spina è arrivato un Tizio Autoritario a dirti che non si poteva, tu gli hai detto che oggi non avevi altro da mangiare, gli hai fatto vedere il panino che se te lo mangiavi semicotto rischiavi di finire male, allora lui ti ha lasciato fare. Hai preso l’ascensore per recuperare un piatto dalla mensa, e nell’ascensore un signore vestito elegantemente ma con la faccia di Mick Jagger ha scherzato sul fatto che prendere un piatto vuoto dalla mensa non costa nulla. Gli ho detto Sì Sì, non so cosa ci sia da ridere ma comunque Sì. Il panino nel frattempo si era bruciato – e pazienza – lo hai comunque consumato sul tavolo del Dipartimento sfogliando un settimanale locale. Nel paginone centrale c’era la foto di quella che ti ha prestato la piastra che rispondeva all’intervistatrice su cose tipo “verso che età hai intenzione di diventare madre?” solo che non sei riuscito a decifrare la risposta dalla lingua arancione. Glielo avresti chiesto di persona, dopo, “a proposito: a che età avresti intenzione di diventare madre?” ma l’hai trovata che puliva la piastra dai resti del tuo panino bruciato. Le hai detto “lo faccio io, lascia stare” lei ha detto “sono tre settimane che non la pulisco, dovevo farlo prima o poi”.
Sei sceso poi a prendere pezzi dell’ultimo sole sulla panchina, lì un ragazzo di due metri e dieci ti ha dato del francese, c’hai proprio l’accento francese, ha detto. Tu gli hai detto subito: ma quale francese, sono italiano, e allora quello ha cominciato a dire che c’è la mafia a San Marino, che tu sta cosa non l’avevi mai sentita prima. A San Marino? Per bruciare il silenzio hai detto Burocrazia, Governo, Always, e lui ha detto Sì. Era un po’ confuso. Di dove esattamente? ti ha chiesto. Del Sud Est, gli hai risposto, e quello ha battuto le mani e ha detto Aaaah! Cievo Veronna! No No, hai detto tu, da Lecce. Aaaaahh! Lecce in italiano significa Latte! No, quello è spagnolo, gli hai detto tu. Quando sei andato via ti ha salutato con un Take it Easy e poi urlando un EPERRICULOUSU SPARGARSAI. Tu gli hai ripetuto, non sono francese, quello ha detto che era una frase in italiano, e tu solo alla quarta volta hai capito che intendeva È PERICOLOSO SPORGERSI, frase letta su qualche espresso dalle parti di Venezia.
Sei andato ad una conferenza sulle macromolecole che passano o non passano la barriera ematoencefalica. Non ti interessava, ci eri costretto. La presentava Phil Collins. Tu osservandolo durante l’orazione, intristendoti della sua enfasi e delle risate che si procurava da solo commentando grafici di Excel, e seguendo attentamente la grandissima capacità che aveva di sollevare e abbassare le sopracciglia (trascinando di conseguenza tutto il cuoio capelluto e il ciuffetto di capelli rimasti al centro) hai pensato che tu non ce la faresti mai – ma davvero mai – a dedicare la tua intera vita ad una sola cosa come fanno gli scienziati.
Sei andato in palestra – adesso hai ricominciato con queste cose, ti costa solo 11 euri al mese – e hai pensato per l’ennesima volta che a fare girare il sangue poi gira tutto il resto, anche le idee, anche la voglia di fare, e infatti poi sei tornato a casa e hai messo le robe in lavatrice prima di pistolettare come uno scemo su internet.
Hai preparato la cena, e nel frattempo hai parlato con due dei tuoi coinquilini, lo psicologo metallaro innocuo, e il super uomo biondo gay. Gli hai parlato di Phil Collins, e per questo siete finiti a parlare delle diverse forme di intelligenza toerizzate da quelli che ste cose le studiano, dei Nerd e dei fisici premiatissimi che poi finiscono male. Nel frattempo, gli spagnoli che dovevano venire a visitare il super uomo erano in ritardo di due ore, lui mescolava l’impasto per il pancake e li immaginava caduti nel fiume.
Hai pensato – non c’entrava niente ma lo hai pensato lo stesso – che ci sono amici tuoi che stanno diventando proprio quello che non volevano essere. Ci sono quelli che si sposano in Chiesa sennò sembra brutto, per fare un esempio.. Tu non stai diventando quello che volevi essere – cioè, non lo sai, non hai mai avuto le idee chiare in merito – però non stai nemmeno diventando l’opposto. È complicato da spiegare, ma io mi sono capito, e tutta sta cosa come ho detto all’inizio, la scrivo soprattutto per me.
i fan dello stupro di gruppo su facebook
Gabriella Carlucci (Pdl): «E’ un indecenza»
Walter Veltroni (Pd): E’ una vergogna, quel gruppo va chiuso immediatamente.»
Gianpiero D’Alia (Udc): «Ormai è una giungla che si sta rendendo complice di ogni genere di nefandezza»
Volevo informare quella caterva di personaggi illustri che si sono scomodati per condannare con paroloni e indignazioni e strappamenti di capelli quel pirlotto che su FB ha aperto una pagina per i fan dello «Stupro di Gruppo», che dalle mie parti, quand’ero bambino, c’erano dei tipacci che accendevano i botti di capodanno in culo ai gatti, e per questa vergogna non c’è mai stato un solo comunicato stampa, ma nemmeno uno, e insomma per quanto mi riguarda, è proprio una vergogna.
(cioè: capito? Un pirla un giorno si sveglia e scrive una cretinata, e quelli fanno i comunicati stampa. Su internet ormai da dieci anni hanno capito che i troll provocatori vanno ignorati, quelli invece ancora si vantano di saper pronunciare cose come feisbuc.)
stai perdendo l'introspezione
«Stai perdendo l’introspezione» dice una voce dentro di me. Ma com’è mai possibile – rispondo alla voce – se proprio tu mi parli da dentro? Sono una voce da dentro, dice la voce, sono quindi una intro-voce, e posso benissimo esistere senza confutare il fatto che tu stia perdendo l’introspezione. Significa che non mi guardo dentro? Potrebbe essere così – dice la voce – forse lo fai ma poi non lo descrivi, forse dovresti ricominciare, non credi? Ma io non mi annoio affatto, sai? Come diceva il padre di Natalia Ginzburg, ricordi? «Voi non avete una vita interiore, ecco perchè vi annoiate!» diceva. Io ci credo, e quindi, se non mi annoio, evidentemente è anche grazie alla mia vita interiore, no? Lasciamo perdere – dice la mia voce interiore – non mi va di polemizzare con te.
Sul divano vorrei chiudere gli occhi e dormire, ma la Meisje mi mette un dito sul naso, poi me lo schiaccia e lo solleva fino a farlo diventare il muso di un porco. Poi mi guarda.
«Fossi stato così non ti avrei voluto. » dice lei.
« E ci credo.» dico io.
Poi si schiaccia il naso da sola, fino a diventare anche lei una porcella, e dice:
« Fossi stata io così, mi avresti voluta.»
«Mmmh, penso di No.»
« Lo vedi quant’è semplice? Lo vedi quanto basta poco?»
chi stupra il primo dell'anno
Lo stupratore di Capodanno – quello che drogato e alcolizzato ha violentato una ragazza chiuso in un bagno chimico durante una festa – viene definito dal poliziotto che lo ha arrestato «un ragazzo di buonissima famiglia, non certo un criminale» e che adesso si trova «in stato di profonda prostrazione e pentimento». In particolare non mi capacito di quel «buonissima famiglia»: cosa significa? Perchè il capo poliziotto è così magnanimo nel definire il ragazzo in questo modo? Non è vero che «non è un criminale», eccome se lo è (lo stupro è un crimine, vero?) e cosa c’entra indicare la provenienza da una «buonissima famiglia»? Perchè allora non parlare del suo gruppo sanguigno, o del colore dei capelli? Il pregiudizio ce lo vedi tutto, ce lo vedi davvero lampante in queste frasi (e cioè: in certe famiglie “buone” queste cose non succedono, mentre invece sono normali nelle famiglie “cattive”). Invece la verità è che in quelle famiglie che il poliziotto considera «buonissime» può benissimo succedere che il ragazzo si sfracelli il cervello di droga e poi vada a commettere crimini in giro (caro poliziotto, è possibilissimo che lo faccia anche tuo figlio, sai?). E poi lo vedi, questo poliziotto, con il suo pregiudizio luminosissimo, che gira per strada intransigente con quelli che non sembrano di «buona famiglia» mentre gli altri, se sono di «buona famiglia», sono compatiti a prescindere (il ragazzo, poverino, si trova «in stato di profonda prostrazione e pentimento» quando nell’interrogatorio di tre giorni prima negava tutto). E quali sarebbero poi i criteri per dire che la famiglia è «buonissima»? E’ una certificazione rilasciata dal ministero? Quali sono i parametri? Io non posso guidare se sono ubriaco, altrimenti potrei combinare dei guai, ma un poliziotto che se ne va in giro con questi pregiudizi nella capoccia invece va benissimo?
invece di lavorare
A leggere le indiscrezioni sulla canzone di Povia (il gay che si è sbagliato, che scopre che invece non è gay) ti verrebbe da dare uno spintone sulla spalla di Povia e dirgli qualcosa come «ma come caz*o ti viene in mente, Povia, di uscirtene con una cosa del genere? », oppure una smanacciata sul naso, o un dito nelle orecchie, ma poi comunque ti fermeresti lì, quando vieni a sapere che lui parla per sé e non a nome di qualcun’altro (è sposato in Comune, e le figlie non sono nemmeno battezzate). Quindi questo ti verrebbe da fare: uno spintone, come a dirgli, ma vai a cagare, Povia, va’, te e i tuoi piccioni. Dopodiché però, quando vieni a sapere che il parlamentare europeo Agnoletto ha deciso di presentare una interrogazione parlamentare urgente alla Commissione Europea per discutere di questa canzone, ti verrebbe invece da andare da Agnoletto e spianarli il cranio pelato con la grattugia, altro che Povia.
se stanotte non ho dormito
Se stanotte non ho dormito, in parte é per colpa di Tolstoj, in parte non lo so. É sempre la parte che non so, a crearmi grossi problemi. Devo cercare di risincronizzarmi con il mondo circostante: ultimamente mi sfugge il motivo dell’affannarsi dietro alla moneta, per esempio. Stamattina il sonno era uno svergognato, non aveva nessuna remora ad attaccarsi al mio cranio come fosse stato una zecca enorme. L’ho presa con ironia, sorridendo piú del necessario e lavorando come se davvero non volessi fare altro se non esattamente quello. Questi giorni senza valigia mi hanno fatto sentire come un San Francesco spogliato di tutti i miei averi, solo che una parte degli averi mi era rimasta, ed era sufficiente per contare su di un ricambio di mutande. Adesso mi sento ricchissimo, e quindi non capisco tutto sto affannarsi per la moneta. Ho visto YesMan di Jim Carrey, film che consiglio, e cerco anche di consigliarlo a me stesso, il film vorrebbe averci un significato di fondo che dovró tenere bene a mente in futuro. Resta il fatto che in lingua originale il sottoscritto comprende soltanto la metá. É proprio una questione di pigrizia mentale, dopo dieci minuti di attenzione sull’accento americano comincio a focalizzarmi sui colori delle cravatte e la curvatura del mento.
hasta la victoria
Sì va bene faceva tenerezza, ma uno fra me e lui qui dentro era di troppo. La Meisje, che pure aveva seminato gruzzolini di semi avvelenati per la casa, proprio come avevo fatto io, una volta saputo del ritrovamento continuava a saltellare coi pugnetti vicino alla bocca, dicendo che poverino, così piccolino, così carino, era proprio una cosa da esseri brutti e crudeli.
cose che non c'entrano niente
Sono sul balcone a riflettere sul significato del mondo, circondato da tre sacchi di spazzatura e un floscio pungi ball rossonero. Forse anche qui ci sono i topi ma io non li ho mai visti. I pantaloni che indosso sono troppo leggeri per queste temperature. La strada è molto piú giú, dove macchine scorrono illuminate da una luce giallina. Un ragazzo corre al ciglio della strada, poi attraversa sballonzolando con lo zaino sulle spalle. Al centro della strada noto che due cose – dal mio balcone non capisco cosa siano, sembrano mutande – si staccano dal suo zaino. Lui non se ne accorge. Interrompo la mia riflessione sul senso del mondo e gli urlo: “ Tu! Tuuuuu! Hai perso qualcosa per strada!” Lui sente la mia voce, si gira per un attimo, non mi vede – potrebbe convincersi di essere in un Truman Show – rallenta il passo e si guarda attorno. Ma non torna indietro. Io urlo di nuovo – stavolta non mi vede nemmeno, è andato piú lontano. Non vuole saperne di tornare. Io mi dico che tanto non torna, ed entro in casa chiudendo la finestra.
Due considerazioni velocissime da ignorante quale sono sulla cattura dell “imprendibile cammorista:” di cui parlano oggi i giornali. Punto Uno: sto presunto successo non è il frutto dell’indagine della polizia, ma solo il risultato di una soffiata. Io dico: ma se qualcuno che lo conosce ti viene a dire a te, poliziotto, dove sta nascosto il camorrista, tu poi ci vai e lo trovi davvero lì, come cazzo ti viene, dopo, di festeggiare? Voglio dire: non ti senti un burattino? Ma proprio per niente? Se ti hanno fatto la soffiata, o poliziotto che ora festeggi (e ministro che ora ti complimenti) è evidente che volevano farlo fuori, no? è evidente che c’era il bisogno – da parte della camorra stessa – di farlo fuori, e tu poliziotto hai fatto solo la parte del burattino che esegue gli ordini della camorra. Lo avessi lasciato lì, si sarebbero scannati fra di loro. E invece tu fai pulizia per conto di qualcuno – quello che ti fa la soffiata anonima – che non sai nemmeno chi è. Dopodichè arriva il Punto Due, che sarebbe: ma è possibile, viene da chiedermi, che ogni volta che ne prendono uno devono farci vedere queste scenetta di macchine della polizia che arrivano strombazzando, parcheggiano concitate davanti alla questura e poi spintoni e urla ai giornalisti di farsi da parte, e nervosismi, e arrestati che vengono fatti uscire dalle auto fra spintoni e schiamazzi, e flash dei fotografi – e poliziotti che si incazzano coi fotografi e coi curiosi – e poliziotti che imbacuccano gli arrestati per non farli fotografare in faccia? Io dico: ma non è proprio possibile fare altrimenti? Non esiste un vialetto interno (o non si può predisporne uno) nelle questure e nei carceri, dove svolgere queste operazioni? Se non lo fate, o poliziotti, allora vuol dire che i fotografi e i giornalisti possono benissimo stare lì dove sono, e possono benissimo accalcarsi davanti agli arrestati, e tutto sta concitazione e ste urla mi paiono – a me che sono ignorante – una cosa tanto per fare, tanto per urlare, tanto per fare gli oranghi che si battono sul petto. E se uno pensa che tutto accade perchè qualcuno vi ha fatto la telefonata, allora mi viene da pensare che fareste meglio ad stare tranquilli, invece di…
Chiudo la finestra, la faccio scorrere fino all’ultimo – è una grossa lastra di vetro che va dal pavimento al soffitto – fino a che non sento il click. Per strada allora vedo lui, che finalmente ha deciso di tornare (perchè ci hai messo tanto?) e mi rendo conto che anche io, certe volte, capisco quello che mi è stato detto solo dopo un po’ di tempo. Come quelli che quando gli dici qualcosa, ti rispondono “Eh?” in modo preventivo, ma poi subito dopo rispondono per davvero. Che c’hanno bisogno di quel mezzo secondo per sistemarsi le parole in testa.
È inutile che insisto, le camicie non mi stanno mai bene. Porta nuvole fino a mercoledì . La valigia è tornata, poi.
cose
Studio e lavoro in inglese, eppure non ho ancora capito come cavolo si pronuncia la parola “literature”. Siccome non lo so – perchè magari lo so eppoi lo dimentico – allora vado sui dizionari online che ti dovrebbero schiarire le idee. Secondo questo sito, per fare un esempio, la giusta pronuncia inglese sarebbe Li-ccia-ccià, mentre quella americana (si deve cliccare sull’iconcina con la bandiera, per ascoltarla) sarebbe addirittura Bli-dar-Ciàr, che somiglia di molto al ruttino post prandiale.
Ora.
I topi non sono stati sconfitti, per la cronaca. Ogni notte consumano dosi massiccie di veleno. Allora delle due l’una: o il veleno non funziona, o nelle fessure della casa si nascondono migliaia di topi. Da capirsi.
Qualcuno fra i commenti chiede del Cuggino Rasta. Posso solo dire che quello che non doveva succedere, è successo. Per il resto, le conseguenze sono state talmente deleterie che per motivi umanitari preferisco evitare di scriverne.
L’ultima baggianata dei giornalisti italiani è quella di condire notizie da nulla con l’esclamativo di Facebook. Del tipo: questa cosa fa discutere molto «se ne discute su Facebook » oppure (peggio) il gruppo a sostegno di Pinco Pallino su Facebook «ha raggiunto i totmila iscritti». Utilizzando questo metodo precisissimo, questi alchimisti dell’informazione si sono scervellati a lungo, hanno analizzato tabulati complicatissimi, interpretato grafici intricaterrimi, e infine sono giunti alla conclusione che le tette grosse fanno audience.
Il mio coinquilino biondo dagli occhi azzurri sembra tirare su con il naso mentre si fa il tè. Ha gli occhi rossi. Forse è raffreddato, forse è altro. È altro? mi interrogo. Se non glielo chiedo, allora sono io ad essermi «raffreddato». Infatti poi non glielo chiedo, non trovandomi d’accordo con me stesso.
ho preso una penna
Ho preso una penna – fossile fra i regali di Laurea – ed esattamente sulla natica settentrionale, alla Meisje, le ho scritto YesWeCan, non come motto d’incitamento, ma solo per avere una natica al passo coi tempi. È la frase dell’anno, si dice in giro.
Abbiamo i topi in casa. Ma come, è del tutto normale in Paese Basso: non lo sapevi? Non lo sapevo, e comunque sono riuscito a scovare un topino minuscolo infilato all’interno di una busta della pasta. Volevo rinchiuderlo lì dentro usando la piastra per capelli della Meisje, ma lei ha detto No. Lo fracasso di mazzate, allora, ho proposto, e lei di nuovo ha detto No, mi dispiace. La colpa di tutto questo ovviamente è sua. D’altra parte, quando lei il giorno dopo ha scoperto di avere l’intero ripiano cucina, pentole e cassetti scacazzati da un orda di topini incontinenti, ha deciso che Va bene, si poteva anche passare alla guerra chimica. Adesso però si è scoperto nel battiscopa un buchino ad arco tale e quale a quello dove si nascondeva Jerry di Tom e Jerry. Allora lei dice che abbiamo ammazzato Jerry.
Essere in Paese Basso significa anche uscire a correre la domenica mattina che c’è meno cinque, e appena fuori in strada, siccome qui la strada costeggia il fiume, spaventare le coppie di cormorani che riposano sulle barche, e che vedendomi arrivare – è mattina presto, e sono vestito malissimo per questo freddo – scappano via svolazzando sguaiati e inciampando nell’acqua come anziane signore nelle buste della spesa.
che il signore li abbia in gloria
Questo viaggio ha inizio nella fornitissima libreria dell’Aereoporto di Brindisi, dove il sottoscritto prende in mano un libro ancora non letto di Amélie Nothomb, autrice belga, e invece di portarselo via come avrebbe fatto negli anni passati, decide di lasciarlo al suo posto. Questo smacco al Belgio verrà poi pagato nel seguito di questa storia. Una troupe televisiva intanto cerca qualcuno da intervistare riguardo ai disguidi aerei del giorno prima, io dico che No, non ho niente di cui lamentarmi (ancora non sapevo).
Che poi, questa storia comincia in realtà a Barcellona, dove l’aereo che mi avrebbe riportato a Parigi (e da lì in treno fino in Paese Basso) va a scontrarsi con un muletto porta bagagli. Niente aereo Myair quindi (Sì, diciamolo, Myair, che poi se vogliono querelano). Al suo posto, si presenta un anonimo aeroplanino tutto bianco, che poi si scopre essere aeroplanino moldavo. E munito di personale di bordo anch’esso moldavo. Il personale di bordo (Myair, se non è vero querelami) è costituito da uomini vestiti alla bavarese e chiaramente incinti, una palla sferica al di sotto della camicia. L’aereo, sgarrupatissimo, non riesce neanche a trasmettere le comunicazioni attraverso gli altoparlanti, che la voce va e viene. Tranquillità e fatalismo nei sedili sgarrupati, traducendo a caso le pubblicità moldave per ingannare la paura. Al posto delle solite pizzette e coca cole, vengono distribuiti bicchieri di plastica e acqua direttamente dalla bottiglia, ovviamente aggratis. Robe d’altri tempi, o anche – se vogliamo – robe da sequestro di ostaggi in banca.
Arriviamo a Parigi con due ore di ritardo, io che smadonno dentro di me – ho un treno per il Paese Basso che non devo perdere – ma poi gli smadonnamenti diventano inutili quando non vedo arrivare il mio bagaglio, e capisco che non solo il treno è palesemente perso, ma pure il bagaglio è anch’esso perso; il mio autcontrollo invece No, nonostante mi trovi nel mezzo dell’Europa privo di ricambio di mutande. La signora dell’ufficio bagagli arringa la folla inferocita, squittendo in francese. Io mi avvicino e le chiedo qualcosa in inglese, lei strabuzza gli occhi e vomita parole a caso. Non parla inglese. Io vorrei prenderla per le orecchie come il manubrio di una motocicletta e urlarle che Cazzo, non si può lavorare in un aereoporto internazionale, e non sapere l’inglese. Sta cosa mi irrita, lo ammetto, e vorrei davvero tenerla per le orecchie, così per fare, e recitarle il Sabato del Villaggio nell’italiano arcaico di Leopardi tanto per fare, perchè se lei si ostina a dire Oui Oui allora perchè io non posso dirle che «I fanciulli gridando/su la piazzuola in frotta,/e qua e là saltando,/ fanno un lieto romore;/e intanto riede alla sua parca mensa,/fischiando, il zappatore »?
Lascio perdere, e mi precipito scapicollandomi alla stazione dei treni. Nella metro che porta in stazione, un fisarmonicista suona La vie en Rose e a me viene da ridere, nonostante un termolìo della palpebra che vorrebbe dirmi qualcosa di diverso.
In stazione mi fanno notare che il mio biglietto per il Paese Basso, a quell’ora, posso anche usarlo per fare un aeroplanino. Ne compro un altro, allora, dico io. Niente treni a quest’ora, mi dicono. Niente treni!?! Niente, mi dice la Maria Maddalena della biglietteria, e tra l’altro, se ne vuoi uno fino a Bruxelles dimmelo ora, che io chiudo fra quattro minuti, altrimenti Taci Per Sempre. Aspetta, fammi pensare, dico io. Tre, dice lei. Tre cosa? Tre minuti. Dammi sto cazzo di biglietto. Tra parentesi, un’ora e ventitre di viaggio per modici novanta euro.
Nel treno scopro la superiorità delle Ferrovie dell Stato italiane che almeno hanno inventato quei portelloni a scorrimento per i cessi. In questo treno da novanta euro per ottanta minuti di viaggio (quasi un euro al minuto, se ci pensi) le porte si chiudono all’interno, così poi succede che se c’hai uno zaino sulle spalle, puoi anche pisciare, ma poi ti devi rassegnare a trascorrere il resto della tua vita incastrato lì dentro.
A Bruxelles ci sono meno nove gradi, e una volta giunto lì chiamo amico compare che pratica la sua avvocatura da quelle parti.Gli spiego la cosa nel metodo più scarno possibile. Sono ostaggio di forze avverse in paesi stranieri, gli dico, e non so dove andare. Lui, gentilissimo, mi dice che mi verrà a prendere volentieri in stazione. Io che mi porto una sfiga addosso che ormai credo sia diventata visibile pure ai passanti, scopro in seguito che l’ho chiamato nel mezzo di una litigata con la sua ragazza. Io non so cosa dire, penso solo ai meno nove gradi di Bruxelles. Gli dico che evidentemente è colpa mia, di sta nuvola di cacca che mi segue dal Salento. Ho visto per la prima volta la sede della Commissione Europea, comunque. Spero che emanino regole condivise sulla portellatura dei cessi di treno, perlomeno, in futuro.
Sono riuscito ad arrivare a casa verso le due del pomeriggio, oggi, dopo un viaggio di ventisei ore. C’era il sole. Ho sbagliato pure l’ultimo treno, estasiato dal sole, quando ero a due chilometri da casa. Alla fine tutto sto casino, è vero che palle, ma c’era comunque il sole. Amelie Nothomb la comprerò sempre, prometto. Mi portavo appresso invece “Brothers” di Yu Hua e l’ultimo di Paolo Villaggio. Ed il Corriere, che a comprarlo all’esterno non solo costa il doppio, ma macchia pure le mani. E poi non penserò che i musicisti da metropolitana danno fastidio. Anzi, certe volte fanno pure ridere, senza motivo.
in questo preciso momento
Mi trovo in un letto non mio, in una casa non mia, nel centro di Bruxelles. Niente era programmato. I perchè e i percome verranno esposti appena possibile. Nel frattanto mi rendo conto che come conseguenza di tutto questo dovrei essere di molto incazzato, ma invece non lo sono affatto. Quindi ne deduco che il sottoscritto è invecchiato d’un botto.
tanti auguri (brrom!) in campagna ed in città!
Ma poi: in che senso 23 anni?