quelle che seguono

Quelle che seguono sono considerazioni di una banalità forse sconcertante.

I soldi non fanno la felicità, ma d’altra parte senza soldi la felicità è più lontana.

E fin qui ci siamo.

Epperò la mancanza di soldi ha un vantaggio: ti mette davanti ad una mancanza tangibile, a cui sono associate altre mancanze tangibili: probabilmente non c’è un lavoro, e quindi non c’è una casa confortevole, e quindi non ci sono le cose che vorresti nel frigorifero, non ci sono ipotesi di viaggi etc.

Puoi dare a queste mancanze la colpa di eventuale pomeriggio di insoddisfazione che ti salta addosso all’improvviso. Quando tutte queste mancanze non sono più mancanze (hai il lavoro, hai la casa, nel frigorifero ci metti quello che vuoi, quanto ne vuoi) allora quel pomeriggio di insoddisfazione è tutto tuo. Non puoi dare la colpa a niente. E’ una produzione purissima e indiscutibile di te stesso.

Non puoi dire “ah, ma se riuscissi a fare quel viaggio che ora non posso fare, sono sicuro che sarei meno triste”. Quel viaggio lo puoi fare. Fallo. Ma non lo fai, perché ora lo sai: non è quello il punto.

Sono considerazioni di una banalità forse sconcertante perché si può rifare lo stesso (banale) ragionamento sostituendo i soldi con un amore, con un’aspirazione.

Benedette mancanze. Benedette attese.

e poi ci sono quelli

E poi ci sono quelli che nelle conversazioni sembrano ascoltare chi sta parlando, sembrano interessati a quello che viene detto – come anche tutta la gente attorno a loro – ma poi quando prendono la parola riescono a portare la discussione su sé stessi nel giro di pochi secondi.

Quindi se qualcuno sta raccontando di propri successi o sofferenze o desideri, questi individui appena possibile – ovvero appena ci sarà uno spiraglio di silenzio – pronunceranno cose del tipo:

“hai ragione, a me per esempio è capitato che…” 
“sono d’accordo con te, io normalmente faccio così..”
“ho pensato la stessa cosa, ieri quando stavo…”

… e così introdurranno una nuova conversazione incentrata su sé stessi, sostituendosi forzatamente al soggetto della discussione.

Capiamoci: il parlare di sé stessi è uno sport ampiamente praticato, e ci sono dentro nel momento in cui scrivo queste righe. Quello che non riesco a sopportare è l’imposizione di sé stessi anche quando l’interesse è altrove; non riesco a sopportare la voglia incontenibile di sovrapporsi al prossimo.

Qualche giorno fa mi è capitato di assistere ad una conversazione tra due persone durante le quale ognuna parlava di sé senza tenere conto delle parole appena pronunciate dall’altra persona: ognuna delle due cominciava la frase con “Io…”, fino a quando l’altra non interrompeva con un’altro “Io…”.  Visto che non era la prima volta – ché era successo diverse volte, nel giro di poco tempo – sono sbottato e ho lasciato cadere la forchetta e ho chiesto, per favore, di rendersi conto di quello che stavano facendo, ché ognuna stava solo parlando di sé ignorando completamente le parole dell’altra. Di provare – perdio – a concepire un soggetto di conversazione che non fosse la propria stessa persona. Ché quella non era comunicazione, è piuttosto imporsi davanti alle telecamere dell’esistenza come fanno i disturbatori dei telegiornali dietro gli intervistati (quest’ultima non l’ho detta, l’ho pensata ora, lo ammetto).

Mi è stato risposto che quello è un modo normale di parlare.

e lo so che non ha molto senso

Quando si dice che bisogna riformare la legislazione sul lavoro per renderla attuale e in grado di affrontare le dinamiche contemporanee, il sottoscritto involontariamente mette la propria esperienza al centro del mondo e pensa che – ancora prima dell’articolo 18 – un diritto fondamentale di tutti i lavoratori dovrebbe essere quello di poter ascoltare della musica in cuffia durante l’orario di lavoro.

E lo so che non ha molto senso ma ci sono certi pomeriggi senza niente di piacevole fuori dalla finestra, e con poche prospettive per il resto della giornata, dei pomeriggi nei quali avere in cuffia la musica che vuoi al volume che vuoi diventa l’unica ancora di salvezza, l’unico modo per renderti sopportabile la cosa.

E se invece al contrario fuori dalla finestra c’è quello che vuoi e sei contento di quello che farai dopo aver finito – e magari sei pure contento di quello che stai facendo – in questi momenti, senza la musica che vuoi al volume che vuoi, potrai benissimo essere felice: ma solo fino ad un certo punto. Se invece vuoi essere felice ulteriormente e irrazionalmente, allora in certi pomeriggi seduto alla scrivania di fronte ad uno schermo potrai esserlo solo grazie alla musica. E questi momenti di felicità ulteriore e irrazionale dovrebbero – io credo, ed io lo farei fossi il capo indiscusso del mondo – essere garantiti per legge infrangibile e imperitura.

ad un certo punto avevo un asciugamano

Ad un certo punto avevo un asciugamano che mi calava sulla testa, come un turbante. Nella vasca da bagno l’acqua faceva rumore a causa dei getti laterali troppo potenti, regolabili con dei pulsantini difficilmente decifrabili. Una piccola placca di ottone riportava le istruzioni: “non usare troppo bagnoschiuma mentre sono in azione i getti di acqua, perché l’intero bagno potrebbe riempirsi di bolle“.  Mentre io ero disteso tra i getti e le bolle, D. era invece in piedi nella vasca, i capelli bagnati anche se non avrebbe dovuto, anche se a Londra l’altro ieri faceva un cazzo di freddo –  ero di nuovo da quelle parti – e lei il giorno dopo avrebbe dovuto difendere una madre di cinque figli in tribunale per una storia di violenze domestiche che non avevo compreso nei dettagli. In piedi, con l’acqua agli stinchi, si è portata alla bocca un pezzo di cioccolata ripiena di peanut butter. Dopo aver finito di masticare mi ha guardato e mi ha detto, seria:

Comunque la Smirnoff è da quindicenni

Allora ho posato la bottiglia sul pavimento, ma la bottiglia è caduta lateralmente. Ho ripensato a come avevo trascorso la mattina e il pomeriggio, a come (solo due piani più in giù nello stesso hotel) mi ero sistemato dritto sulla sedia per esprimere concetti brillanti rivolto ad un professore in cravatta rossa che aveva scovato il segreto dell’eterna giovinezza, e cioè la passione infinita per studi intricatissimi. E poi ho messo insieme l’immagine dell’asciugamano sulla testa, della cioccolata, del tatuaggio a forma di stella di D., la facciata del Victoria and Albert Museum appena fuori dalla porta, insomma tutto, e come alle volte mi succede avrei voluto averci una registrazione, di questo tutto.

“Bella battuta” le ho risposto  “no davvero, se un film cominciasse con una scena del genere, vorrei sapere come va a finire”
“Devi trovare un regista disposto ad ascoltarti”

Mi piace chiedermi se certe cose possano avere un significato e poi trovare la risposta subito dopo, nel modo più inaspettato possibile. Non avevo neanche cominciato a rimuginare nella testa l’appriopriatezza delle mie azioni, che avevo una testa piangente sulla pancia. Forse lo stereo mandava Edith Piaf, e nel frattempo mi venivano raccontate storie di malattie incurabili di parenti prossimi, e della tristezza e frustrazione che ne deriva. Ecco la risposta – mi dicevo – ecco che trovavo una connessione fra leggerezza e sofferenza potenziale. Niente di particolare, del resto è sempre la solita filosofia da quattro soldi: vivere il momento sapendo che tutto potrebbe finire da un giorno all’altro. E viverlo con stile – verrebbe pure da aggiungere. Niente di particolare, la cosa che mi divertiva era soltanto la velocità con cui trovavo risposta ad un interrogativo di pochi minuti prima.

Non mi piacciono le camere d’albergo dove non puoi aprire la finestra. Oltre al problema di non poter cambiare aria, hai il sospetto che vogliano evitare che qualcuno si lanci di sotto. Mi piacciono le omelette british con i funghi. Mi piace addormentarmi in treno per venti minuti dopo anni che non succedeva.

poi improvvisamente

poi improvvisamente la vita ha certe fiammate improvvise ed opportune che ti dimentichi pure di comprarti da mangiare e di pagare la bolletta della luce e affanculo va bene uguale, c’hai tutta la vita davanti per pagare la bolletta della luce.

dunque, due punti

Se alla nuotatrice ora piace un altro nuotatore oppure No, è poco importante. Perché tempo prima quello stesso nuotatore stava con un'altra nuotatrice. A me fa pena e tristezza a prescindere.

 

Questo comportarsi da femmine da branco, e da maschi da branco. Fai parte di un branco, quindi te lo scegli nel branco. Vi rendete conto quanto poco speciali siete l'uno per l'altra? E quanto invece siete misera coincidenza? Come sul lavoro, come a scuola, come in tutti i gruppi umani, come come come. Non so se mi spiego. Glielo avrei pure spiegato alla collega che prima manco sapevo come si chiamava, prima manco mi cacava, poi un giorno mi vede sudato in palestra e da allora me la trovo sempre appollaiata a fianco. È che bisogna piacersi da lontano porcamiseria. Piacersi da vicino, che cazzo di palle. Non è piacersi: è praticità.

 

È disinteresse verso i dettagli. Mi viene il sangue alla testa se la gente si disinteressa ai dettagli. È incapacità di rompere il vetro (spoiler per post che devo scrivere e che mi trascino da tempo) e mettere la mano oltre e afferrare quello che ti preme.

 

Io questo agosto se vi trovaste a venire in macchina con me, vi accorgereste che ascolto Mezze Stagioni degli Ex Otago e mi struggo pescando in giro (quelli che sono per me) inediti di Troisi. Un giorno che avrò una casa con un corridoio, ci metterò la foto di Massimo. Io questo agosto festeggio l'anniversario di un anno di insonnia, sono diventato uno che corre tantissimo fino a scoppiare, ho sostituito definitivamente il pane con il riso, mangio spesso salmone crudo e compro cibarie costose che poi mi scadono in frigo perché sono distratto.

p.s. ehi, ma io ho una categoria del blogghe che appunto si chiama "mezze stagioni", inaugurata molto prima di sto disco, che se uno fosse affezionato lettore potrebbe cliccarci sopra e fare un tuffo nel passato leggendo un me stesso d'annata.

non solo gli inglesi

Non solo gli inglesi guidano sbagliato, misurano le cose mediante misure sbagliate, e negli alberghi a volte ci trovi un rubinetto per l'acqua fredda E uno per l'acqua calda (così che se vuoi l'acqua tiepida, be', l'acqua tiepida non esiste) ma usano pure delle parole che tu non ce la fai. 

 

Per esempio.

 

“Caffé o te, sir?”

(sono io il Sir, che ci crediate o No)

“Caffè”

“Ah lovely”

“….”

“numero di stanza?”

“734”

“lovely”

 

Fermati un attimo essere umano britannico.

 

Lovely deriva da love, amore. Ma tu lo sai quanto sudore e cretinate e impegno e delusioni e telefoni disubbidienti e unghie mangiate e palpebre che tremano per il nervoso e delusioni e mi lavo la faccia che non si vede e mutande e delusioni e asincronismi dilanianti e madonna non ci credo e altre cazzate ci stanno dietro? E tu – davanti a tutto questo – se ti dico caffé, mi rispondi “lovely”?

 

Siamo due culture diverse.

scoppia un brufolo alla madre terra

Quando ieri andavo in aereoporto per volare in Danimarca, la Meisje avrebbe dovuto telefonare per chiedermi: Sei sicuro che vieni? Ed io avrei dovuto rispondere: ma certo che sono sicuro, a meno che non vengano giu’ due metri di neve, vengo. In ogni caso siamo in primavera, e quindi. A meno che non ci sia un terremoto, ma pure ci fosse un terremoto, noi si vola, e quindi. Avrei dovuto rispondere: a meno che un vulcano non decida di eruttare e spargere sporcizia nel cielo proprio una mezzora prima del decollo, e precisamente in quella zona di Europa interessata dal mio volo, vengo. Ma comunque figuriamoci – avrei detto – é una cosa che non é mai successa nella storia, pensa te se proprio questo pomeriggio.

dovendo trovare i lati positivi

Dovendo trovare i lati positivi del trovare il finestrino della propria macchina sfondato dai ladri (sì, giusto un mese dopo questo), i lati positivi sono che il ladro è così fesso da non trovare niente di quello che avrebbe potuto portare via, tipo lo stereo, o il navigatore. E il secondo lato positivo è che la riparazione ti costa il doppio di quanto avevi pagato l’ultima volta a Bologna per lo stesso motivo, epperò l’aggiustatore dei vetri ha una sala d’aspetto con televisione satellitare, caffè, riviste e wireless libero per tutti. Ultimamente non mi incazzo più per nulla.

A proposito di incazzature.

L’incazzatura e il litigio saranno l’argomento del mio programmino in onda  in diretta questa sera  dalle 20.00 su RadioFlo (ascoltabile online dal sito). Questa cosa di averci il programmino radiofonico e di spargere on air parolone in accento mediterronico va avanti da qualche mese ormai, però viene inspiegabilmente pubblicizzato su queste pagine soltanto adesso.

so this is christmas

In questo momento è andata via la luce. Scrivo al buio affondato in un enorme letto pieno di cuscini rosa. E bianchi. L’annuncio su internet diceva che la stanza è arredata in stile 1890-1914. Cioè, in altre parole, anteguerra. Io non c’ero a quei tempi quindi non posso confermare. Un bambino che non mi conosce piagnucola al piano di sotto. Ne sento la voce attraverso il pavimento. Quando nella neve di questi giorni in Paese Basso la mia scarpa si è bucata, facendo quindi bagnare il mio piede in continuazione, avrei dovuto prenderlo come avvertimento, invece ho ignorato la cosa. Oggi sarebbero dovute cominciare le mie vacanze di Natale dell’anno 2009, ma la strada dal Paese Basso all’aeroporto di Charleroi in Belgio è stata troppo lunga e lenta, sono arrivato troppo tardi e ho perso l’aereo. Allora mi sono incazzato per circa due minuti, poi ho preso una camera nella periferia di sta cittadina della Vallonia, ché una notte in Vallonia alla fine è pur sempre vacanza. Il bambino mi pare di capire non è un bambino, sono invece due bambini, e giocano dietro la mia porta. Se esco si spaventeranno? Saranno abituati agli estranei che affittano le camere dei genitori? La madre mi ha detto – aveva un enorme neo sul mento che mi distraeva mentre parlava, ed era molto gentile – che se entro a casa devo suonare una campanella per far capire a tutti che sono arrivato. Ho pure una vasca da bagno enorme che mi guarda dal letto. Devo metterci una foto per rendere l’idea. Fuori ci sono meno dieci gradi e il mondo è lastricato di ghiaccio. Non posso andare in giro a fare una passeggiata per via della mia scarpa bucata. Avevo un altro paio di scarpe ma sono più affezionato a queste. Farò un bagno nella vasca – da quant’è che non faccio un bagno in una vasca? Saranno tipo sei anni.

uno dei problemi principali

Uno dei problemi principali del lavorare, per quanto mi riguarda, e’ che riesci tanto meglio quanto piu’ costringi tutta la tua personalita’ dentro recinti di schiene dritte, saluti standardizzati, battute contenute. La considerazione che si fanno gli altri di te e’ proporzionale a quanto sei capace di restare discreto e contenuto. Certo, e poi quanto sei bravo e veloce sul lavoro eccetera eccetera. Ma l’apparenza conta perlomeno la meta’. Contano i risultati, ma conta pure se indossavi una camicia stirata, mentre raggiungevi quei risultati. Per il me stesso di oggi questo e’ abbastanza difficile, perche’ per me la vita sta tutta compressa proprio in quelle sbavature che non dovrebbero esserci, e che invece ci sono. Nelle osservazioni che ti vengono all’improvviso e che collegano cose che non c’entrano niente, e che pero’ dimostrano che c’hai uno sbriccicolio da qualche parte nel cervello che fa le capriole.

chi stupra il primo dell'anno

Lo stupratore di Capodanno – quello che drogato e alcolizzato ha violentato una ragazza chiuso in un bagno chimico durante una festa –  viene definito dal poliziotto che lo ha arrestato «un ragazzo di buonissima famiglia, non certo un criminale» e che adesso si trova «in stato di profonda prostrazione e pentimento». In particolare non mi capacito di quel «buonissima famiglia»: cosa significa? Perchè il capo poliziotto è così magnanimo nel definire il ragazzo in questo modo? Non è vero che «non è un criminale», eccome se lo è (lo stupro è un crimine, vero?) e cosa c’entra indicare la provenienza da una «buonissima famiglia»? Perchè allora non parlare del suo gruppo sanguigno, o del colore dei capelli? Il pregiudizio ce lo vedi tutto, ce lo vedi davvero lampante in queste frasi (e cioè: in certe famiglie “buone” queste cose non succedono, mentre invece sono normali nelle famiglie “cattive”). Invece la verità è che in quelle famiglie che il poliziotto considera «buonissime» può benissimo succedere che il ragazzo si sfracelli il cervello di droga e poi vada a commettere crimini in giro (caro poliziotto, è possibilissimo che lo faccia anche tuo figlio, sai?). E poi lo vedi, questo poliziotto, con il suo pregiudizio luminosissimo, che gira per strada intransigente con quelli che non sembrano di «buona famiglia» mentre gli altri, se sono di «buona famiglia», sono compatiti a prescindere (il ragazzo, poverino, si trova «in stato di profonda prostrazione e pentimento» quando nell’interrogatorio di tre giorni prima negava tutto). E quali sarebbero poi i criteri per dire che la famiglia è «buonissima»? E’ una certificazione rilasciata dal ministero? Quali sono i parametri? Io non posso guidare se sono ubriaco, altrimenti potrei combinare dei guai, ma un poliziotto che se ne va in giro con questi pregiudizi nella capoccia invece va benissimo?

Lo scrivevo qualche anno fa

Lo scrivevo qualche anno fa sulla colonnina del blogghe: «Quando diventerò dolce e disponibile con tutti, allora andrò a fare il missionario in Burundi.». Poi ieri ho scoperto che il mio compagno di corso, quello che ci devo anche lavorare assieme, è proprio del Burundi. Come tutti gli africani in occidente che non siano rapper esagitati, veste abiti formali e rassicuranti. Io quando avevo scritto Burundi manco lo sapevo dov’era sto Burundi, e nemmeno adesso lo so, però la differenza è che adesso c’ho una faccia nera a due metri da me con cui devo discutere di problemi epidemiologici, senza farmi distrarre dall’interno roseo delle sue labbra.   

Oggi nell’ordine mi sono imbattuto con: il traffico criminale, la paura di non fare in tempo, la consapevolezza di non aver fatto in tempo, la consapevolezza di non sapere perchè dovevi fare in tempo, una sedia calda, una cosa giusta pronunciata al momento giusto, una canzone che la volevo cantare per forza anche non avendo alcuna voglia di cantare, la sorprendente capacità di rispondere a domande ovvie impostando la voce, la frenesia del lavoro al computer, la frenesia del lavoro al computer, la cazzo di frenesia del lavoro al computer, una corsa sotto la pioggia con due panini caldi appena usciti dal forno in mano, la cazzo di frenesia del lavoro al computer, l’indecisione al reparto ortofrutta, una birra in lattina fredda ma non come la volevo io, poco pochissimo tempo per scrivere come invece vorrei scrivere.

che poi mica ti ci hanno costretto, no?

Allora fatemi capire – perchè forse sto diventando vecchio e non capisco – ma se ti metti a scarpinare in cima ad una montagna di ottomila metri, e lo sai benissimo che è molto pericoloso fare ste cose, e se poi all’improvviso scivoli e cadi in un crepaccio e muori, e se fai tutto questo sapendo che a casa ti aspettano moglie e tre figli in tenera etá, noi che stiamo qui a leggere la notizia come ti dobbiamo ricordare? Come un avventuriero? Come un eroe? O come un pirla? E i tuoi figli che adesso sono in tenera etá orfani di padre perchè tu te ne andavi a fare le scarpinate a ottomila metri, poi quando cresceranno come ti dovranno ricordare?  

ecco, appunto

Io c’ero. Questa è una cosa che posso dire di aver provato. Erano tutti arancioni attorno a me, e mi facevano le smorfie alla Marlon Brando ne Il Padrino. Bisogna esserci e provare, per poi raccontarlo da vecchi. Una simpatia che non si può spiegare. Sono pure dovuto tornare a casa in una macchina di indigeni che strombazzava per le strade. Il secondo tempo rifugiato in un kebabbaro etiope che chissà perchè era fan sfegatato degli olandesi. Con sta trombetta arancione che faceva pe pe pe. Ma io dico, etiope, se sei etiope: rimani etiope, no? Che figura di cacca, proprio.

ultimamente mi tiro su dal letto

Ultimamente mi tiro su dal letto che c’ho una porzione di cranio ricoperta di capelli ritti. Si drizzano solo da un lato – e generalmente questo lato cambia sempre – e non vogliono tornare giù. Devo passare la capoccia sotto il rubinetto dell’acqua calda, solo dal lato coi capelli rizzati. Questa operazione si chiama lo shampoo laterale, e l’ho inventato una settimana fa. Questo è l’elemento più tangibile dei miei sogni irrequieti e delle mie notti insonni.

Il pavone comincia a diventare un elemento preponderante di questo luogo. Il pavone davvero bussa alla finestra per farsi dare il pane. Il pavone davvero si ingozza con certi pezzi di pane che neanche il mio cane. Il verso del pavone – l’ho scoperto ieri mentre ero a colloquio con la mia capa – è un miao felino molto più acuto e stirato di quello del gatto. Ero di fronte alla mia Capa e all’improvviso da dietro la finestra: Miaoooooo!

Ora tu lettore diffidente dirai: eh, dici così per fare il simpatico, figurati se il pavone miagola. E invece No, giuro che è così. 

L’inquietudine di cui già detto qualche giorno fa resta inquietudine, però ci sto lavorando su. Gli elementi che mi aiutano in questo senso sono:

– La lenta costruzione di una Prospettiva. Sta cosa per adesso non la posso spiegare. Ci sto lavorando su, alla mia Prospettiva. Ci sono ricerche da fare sul webbe con la gola che si asciuga e la sensazione di averci la febbre. Ma ci sto lavorando su.
– Aver sbirciato quanti soldini riceve la mia Capa per una sola ora di consulto. Io a quella cifra non ci arrivavo neanche con tre settimane del caro vecchio lavoro di distributore di cartoline, e io sono il suo assistente, e queste son cose.
– La signorina.
– La consapevolezza che se non stringo i denti adesso, allora vuol dire che non valgo niente.

E comunque dalla regia mi avvertono che il pavone non miagola, bensì paupula.

proprio non me lo spiego

Ma insomma, fatemi capire: perchè quella donna rapita e fatta a pezzi è per tutti i giornali “la figlia del notaio”? E se dovessero rapire la cugina di un parrucchiere? La sorella di un architetto? Eh? 

E poi, si può capire quanti bambini muoiono ogni anno schiacciati sotto i cancelli scorrevoli che escono dal binario? Ma cos’è: non si gioca più a nascondino? Tutti a far baldoria sotto i cancelli pericolanti?

Mah.

e l'avevo pure proposto io

E l’avevo pure proposto io, di andare a fare un giro fino in spiaggia, che io da bravo mediterronico dovevo vederlo per forza sto benedetto mare del nord, e poi poter pensare di aver spaccato l’europa in solitaria da parte a parte, vuoi mettere? Che poi arrivare in bicicletta fino alla spiaggia del mare del nord, succede che ti senti sopraffare dalla natura, dai cavalli che galoppano nei prati e dai torrenti di acqua verde che ci sono per davvero e non è che dico così tanto per impressionare gli impressionabili. E la spiaggia sconfinata e piatta che ti pare di essere, che ne so, a Malibu, anche se a Malibu non ci sei mai stato però hai visto tante puntate di Baywatch, e se trovi una spiaggia più chilometrica e più piatta di quella del tuo paesello – che comunque resta imbattibile sul colore dell’acqua – allora ti viene da pensare alle coste americane di quando David Hassellhoff era ancora una persona normale.

E comunque – senza girarci attorno –  nel silenzio che ti avvolge mentre pedali fra le dune di sabbia, cominci a pensare Ah la Natura, Ah i Cavalli liberi nei prati, Ah i torrenti di acqua verde, Ah gli Uccelli nel cielo. Poi nel silenzio più assoluto ovviamente succede che ti scivola via un piede dal pedale della bicicletta – e non sai perchè o percome – ti incastri nel telaio e fai un volo lento e rumoroso, tanto lento e tanto rumoroso che la ragazza che ti precede sullo stesso percorso fa in tempo a sentire i tuoi grugniti e una bestemmia in puro dialetto salentino – a cento metri dal mare del nord! – e a voltarsi per vederti lottare contro l’inevitabile, cincischiare un paio di secondi con il busto tutto davanti al manubrio e poi finalmente accartocciare sulla striscia di asfalto fra le dune di sabbia del mare del nord, che tu (e qui sta la morale della favola) giustamente se proprio devi fare una figura di merda ti piace scegliere le location più suggestive. E tu neanche hai posato il culo per terra che già ti viene da ridere.

cose da mettere in bocca

Un comico viene licenziato per alcune frasi volgari e gratuite pronunciate alla tivvù. Tu che non hai la tivvù, leggi le frasi sui giornali e pensi che quelle parole fanno davvero un po’schifo. Cacca e pipì in bocca a persone che non c’entrano nulla con quello che sta dicendo. Tanto per dire. Il comico dice che quella è satira, ma tu sta satira non la vedi per niente. Ti sembra tutto un po’  schifoso, e gratuito, e triste. Il comico non ti è simpatico (lo hai ascoltato troppe volte ripetere con orgoglio un suo tristissimo sketch sul matrimonio) e non ti piace nemmeno la censura.

Ma il punto non è questo.

Il punto è che già sai che presto si formeranno due coalizioni, da una parte quelli che urleranno Censura!Censura! con le mani fra i capelli e la bava alla bocca, e dall’altra parte quelli che diranno Ma Quale Censura, quell’uomo è un folle, va messo da parte. Già sai che le fazioni si prenderanno a cazzotti verbali e la storia verrà rivangata per mesi e anni, mentre il comico in questione con la corona di spine sul capo andrà per teatri a fare i miliardi.  

Chi da una parte, chi dall’altra, e giù cazzotti.

Ti viene da pensare che riuscire a restare in Italia vuol dire anche riuscire – quando accadono ste cose – a sentirsi da una parte o dall’altra. E’ quando non ci riesci più, quando ti pare tutto un prendere a schiaffi il vento, che cominci a chiederti cosa ci stai a fare.