Ciao occupanti del grattacielo di Milano del progetto “Macao”, prima di scrivere ste righe ho cercato di informarmi il piu’ possibile, ascoltare le vostre ragioni. E dopo tanto ascoltare non ho trovato una sola dichiarazione che fosse anche solo lontanamente condivisibile. Non l’ho trovata. Piuttosto ho trovato motivazioni tutte diverse (“per avere uno spazio dove esprimersi”, “uno spazio dove fare cultura”, “per dimostrare che non si possono sgomberare le idee”, “perche’ i lavoratori dell’arte non riescono a trovare 20 mq da affittare per lavorare”, “perche’ il palazzo e’ abbandonato”, “per riappriopriarci”, “per fare un dibattito sulla nostra condizione di lavoratori precari”, “per il concetto di bene comune”, “perche’ questo e’ un luogo simbolo della finanza corrotta”, “perche’ abbiamo pensato che in quanto gente di cultura fosse giusto un gesto che inverte un po’ la rotta” eccetera eccetera).
Tante motivazioni tutte diverse ma con pochi punti in comune: la pretesa di ottenere qualcosa, la pretesa di rappresentare una citta’ pur essendo minoranza, la pretesa di non pagare le conseguenze naturali del gesto – pretesa quest’ultima che (lo ripetero’ fino alla nausea) sminuisce l’importanza stessa del gesto. Il video qui sotto a partire dal minuto 5 e’ indicativo della “chiarezza” delle idee.
Ma sapete cosa mi rimane dopo essermi informato cari occupanti del Macao? Un pessimismo piu’ solido e nero di prima sul futuro del Paese. Non sto neanche a spiegare i motivi nei dettagli, che dovrebbero essere lampanti, ma voi di fatto agite da perfetti Berlusconi, siete solo limitati nell’ambito del vostro orizzonte piu’ ristretto e quindi generate meno danni, siete come la Juventus che si recrimina gli scudetti che non merita perche’ ha agito illegalmente, siete come i lanciatori di bombe ad Equitalia, siete una spada nella schiena a chi si spacca per ottenere i suoi piccoli risultati civilmente e silenziosamente (e che vi piaccia o No, se merita, questi risultati li ottiene anche senza gridare, anche senza prevaricare), siete la cicala che una mattina si accorge di essere cicala, ed invece di cambiare per evitare di morire da cicala, pretende la sussistenza da parte delle formiche che tanto ha perculato fino a quel momento.
Voi che vi definite “lavoratori dell’arte e della conoscenza e dello spettacolo” e che pretendete uno spazio per lavorare ed esprimervi. Innanzitutto esprimetevi meglio: cio’ che pretendete e’ uno spazio gratuito dove esprimervi, non uno spazio dove esprimervi. La richiesta e’ ingiustificata, ma accettiamola per un momento e chiediamoci: uno spazio gratuito e’ stato mai – in qualche luogo dell’epoca moderna – una condizione necessaria all’emersione di geni incompresi dell’arte e dello spettacolo? Siccome sarete intelligenti non mi farete certo l’esempio degli antichi mecenati. Ancora, dettagliando meglio la domanda: l’assenza di spazi gratuiti e’ stata mai ostacolo invalicabile all’emersione di opere d’arte degne di nota? Avete un esempio da portare per giustificare anche solo minimamente il gesto? Per giustificare quello che volete, e cioe’ una facilitazione della vostra esistenza?
Perche’ questo volete: una facilitazione della vostra esistenza di (presunti) artisti. Ma l’arte non si giova delle facilitazioni. E’ il contrario. Il talento – quando c’e’- prende linfa dagli ostacoli sulla strada, dalla difficolta’ di emergere. Il talento si affina per farsi notare e sopravvivere nelle condizioni paludose in cui e’ nato. Forse sara’ un talento piccolo piccolo, oppure apprezzato solo da una piccola nicchia: allora sopravvivera’ arrancando invece di fiorire. Ma se e’ apprezzato cosi’ poco che non riesce a sopravvivere, allora quasi sempre e’ giusto non coltivarlo, perche’ non e’ talento. Se non riuscite col vostro lavoro a pagare l’affitto neanche di venti metri quadrati, se non riuscite ad ottenere nessuno dei tanti edifici messi a bando dal Comune di Milano – se quindi siete arrivati a questi livelli di estrema irrilevanza nella societa’ in cui vivete – allora non potete pretendere che altri paghino per voi. A parita’ di irrilevanza, chiunque potrebbe pretendere lo stesso privilegio.
Ma seriamente pensate che privarvi di questi spazi significhi “uccidere” la cultura? Per quanto mi riguarda cultura e arte significano soprattutto letteratura. E’ una visione personalissima e parziale ma che ci vogliamo fare, sono mediamente ignorante sul resto, ed ho le mie preferenze e passioni. E quando si tratta di letteratura e spazi mi vengono in mente le vita incredibili di Rayomond Carver, o di Haruki Murakami. Lui che molto prima di diventare lo scrittore conosciuto in tutto il mondo gestiva un baretto in Giappone e scriveva il suo primo romanzo dopo aver lavorato tutto il giorno, dopo aver pulito il bar e rovesciato le sedie sui tavoli. Stanchissimo, ci provava senza nessuna garanzia per il futuro, e spesso si addormentava con la testa posata sul foglio.
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