le storie

Le storie della GenerazionePerduta pubblicate da Repubblica sono un naso ficcato dentro una realta’ che tu te la immagini piu’ o meno cosi’, ma non ci credi davvero che sia cosi’. Cose che ti verrebbe da venire in Italia da citofonare alla gente per chiedere: ma tu che vivi in questa casa e che ti puoi permettere sti metri quadri, che lavoro fai? No, spiegami. E quante ore lavori al giorno? E sei felice? Perche’ leggere solo le storie di chi si trova nella merda fino al collo forse distorce la realta’. Forse.  Poi ci sono quelli che si sono laureati in lettere medievali e specializzazione in cinema e non trovando lavoro se la prendono con Berlusconi. Di certo al sottoscritto ste storie paiono interessantissime in ogni senso – soprattutto perche’ ogni dieci storie ce ne sono almeno un paio di persone emigrate all’estero, con le quali mi confronto. E io c’ho bisogno di verificare. Questi che vanno all’estero dicono tutti le stesse cose, in Italia non trovavo, adesso invece sono contento, pero’ il caffe’ al bar e gli amici in piazza, quelli non li posso avere. Io che piu’ o meno sono d’accordo, aspetto sempre l’idea assoluta e vincente, quella che un giorno divampera’ nel mio cranio e mi permettera’ di diventare civilmente e legalmente ricco, in modo da poter decidere – se lo voglio – di volare dove mi pare, e prendere un caffe’ al bar dove mi pare, o passare a trovare i miei genitori con uno zaino con dentro regali casuali e nella testa almeno due ore di cose da raccontare.

e infine gli partì la bestemmia

(sempre a proposito di creativi ricchioni)

Il Federico Moccia perde clamorosamente il controllo parlando del suo ultimo lavoro: "Un giovane Holden al femminile", arriva a dichiarare.  Bravo Moccia. Adesso però visto che ci sei fai paro paro come Salinger, che da cinquant’anni se ne sta per i fatti suoi.


Moccia che pensa a come giustificare
il ritardo all’appuntamento con gli
amichetti. Probabilmente andrà sul
sicuro: "Scusa ma ho perso l’autobus".

poi uno dice che i creativi sono tutti ricchioni

No, capiamoci. La campagna pubblicitaria per "sensibilizzare" il popolo nei confronti dei cambiamenti climatici del globo funziona cosi’: ci sono delle modelle prima tutte imbacuccate nei cappottoni, che a causa del caldo (leggi: surriscaldamento globale del pianeta) si fanno vento, si spogliano, si spogliano, si spogliano, fino a restare in mutande e reggiseno. Ora, sta cosa in teoria dovrebbe far riflettere sui danni dei cambiamenti climatici, dovrebbe smuovere le coscienze,  dovrebbe.


cliccare sull’immagine per godere della genialata

Adesso Vediamo Se

Appena uscita la notizia del Marrazzo coi trans, spulciando fra i commenti la reazione piu’ diffusa é stata qualcosa che si puo’ riassumere molto velocemente con “Adesso Vediamo Se”. 

“Adesso Vediamo Se” uscira’ la notizia su Repubblica. “Adesso Vediamo Se” farete approfondimenti e interviste alle prostitute. “Adesso Vediamo Se” chiederete chiarezza. “Adesso Vediamo Se” chiederete le dimissioni. “Adesso Vediamo Se” direte che pubblico e privato non sono distinguibili per l’uomo pubblico.  

Uno dice “Adesso Vediamo Se” come fosse una sfida, quando crede che le cose non si verificheranno mai. Tutte queste cose poi invece sono successe. Patapum! e subito hanno fatto i titoloni su Repubblica, hanno fatto articoli di approfondimento, hanno chiesto dimissioni, infine si é dimesso. Piu’ che la notiziain se’, interessa capire il sistema operativo logico di chi pone tutti sti “Adesso Vediamo Se”.

Se ci pensi, chi pone sto tipo di sfide verbali di fatto ha gia’ in testa la risposta. Cioe’ crede che i sostenitori di un personaggio – proprio in quanto sostenitori – non chiederanno inchieste, non chiederanno dimissioni, non criticheranno. Credono questo a prescindere in quanto loro non lo farebbero MAI per un personaggio della loro fazione. Cercherebbero di giustificare, piuttosto. Allora quello che é interessante in una notizia come questa non é la faccia del trans (o in che senso trans, o quanto lo paghiamo a botta sto trans etc.), ma piuttosto prendere coscienza che – per l’ennesima volta – sta palla di mondo si divide in guelfi e ghibellini, in questo caso guelfi e ghibellini morali, con uno schema che si riflette paro paro nella comportamentismo da tifoso.    

Cioé.    

Cioé da una parte ci sono quelli che se fischiano un rigore per la Juventus, siccome loro sono della Juventus, il rigore é inesistente a prescindere, e l’arbitro é cornuto. Dall’altra parte ci sono quelli che se fischiano un rigore per la Juventus, guardano la moviola per capire se il rigore c’era oppure No, e se c’era allora dicono che c’era, e si dispiacciono che é contro la Juventus ma dicono che il difensore poteva stare forse piu’ attento invece di fare quel fallo.    

Diventa inquietante osservare come i primi diano per scontato che tutto il mondo si comporti proprio come loro, e che se qualcuno non lo fa, allora é un cretino. Forse lo é davvero, un cretino. Io per esempio certe volte mi sento davvero un cretino.

poi ci sono quelli

Poi ci sono quelli – tipo me – che per essere piu’ credibili sul lavoro si inventano trucchetti semplici semplici e gratuiti. Che alla fine funzionano, e pazienza se uno si impegna tanto in altri modi, alla fine sti trucchetti funzionano. Per esempio – ma questo vale solo per chi ha a che fare con una lingua diversa, in questo caso l’inglese – mi dicono una cosa e non capisco. Allora dico: Mh? Quelli me la ripetono, io se non capivo pure la seconda volta, prima dicevo di nuovo: Mh? Adesso invece faccio: Ah! Come se avessi capito. Ma non ho capito. Pero’ lascio uno spazio di silenzio all’interno del quale prima o poi si inserisce qualcuno. Faccio la figura del riflessivo. L’altro trucchetto é abbastanza simile. Ti dicono una cosa, tu sai gia’ cosa rispondere – lo sai benissimo, lo sai perfettamente, lo sai fin nei minimi dettagli – pero’ fai finta di pensarci. Sposti lo sguardo dal tuo interlocutore verso la finestra, poi verso il pavimento. Fai finta di rispondere, ma ti fermi subito. Di nuovo finestra, di nuovo pavimento, e infine rispondi. Fai la figura del riflessivo. Apparire é meglio che curare.

non possono esistere

Non possono esistere tristezze durevoli, o eccessivamente durevoli, o cose che non puoi mai venirne a capo. Si puo’ venire a capo di tutto, ci sono pure i libri che parlano di questo. Figuriamoci. Non li hai mai letti perche’ tanto ci credi a prescindere. Le foglie sono cadute dagli alberi e tutto intorno a casa si crea un materasso morbido e giallastro. E’ bello. Oppure e’ brutto. Dipende dall’umore, e quello – l’umore – cambia velocemente. Ci passi in bicicletta una domenica pomeriggio e ti sembra bello, e poi brutto, e poi bello, e poi brutto. Ma appunto niente e’ eccessivo: tutto deve per forza cambiare, come sempre cambia. Perfino quelle foglie. Sei grande abbastanza da saperlo bene. Presupponi di esistere ancora quando quelle saranno state portate via da spazzini sbrigativi e mulatti. Saranno foglie verdi, e non puoi sapere quale sara’ il tuo modo di vedere le cose quando le foglie saranno verdi. Boh.    

 

poi ci sono quelli

Poi ci sono quelli che quando parlano con una ragazza sono delicati e gentili, si dimostrano interessatissimi e pongono domande specifiche delicate e gentilissime sulla vita della ragazza, con voce suadente e ipnotica, e mentre quella risponde loro fanno “mmhh” “mmhh” con tono serio e comprensivo, disponibili a confermare qualsiasi squittio o gne gne gne della ragazza in questione, e se serve a consigliarla con garbo e gentilezza o a consolarla o a farla ridere. Come quello che sta parlottando in questo momento dietro l’angolo della mia scrivania, per esempio. Lo stesso che poi, quando le femmine della stanza sono tutte andate via, viene verso di me panza in fuori e mi chiede spavaldo mischiando inglese e italo-spagnolo: “e le Figas? Dove sono andate tutte le Figas?”

italondesi

Giovanni dimostra dieci anni più di quelli che ha, e nella sua pizzeria in questa città del Paese Basso alterna nello stereo Toto Cutugno con altre simili sconcezze, tipo Toto Cutugno e poi Al Bano, tipo Toto Cutugno e poi personaggi sconosciuti che cantano di amori perduti e lontani allungando eccessivamente le vocali con profusione di violini in sottofondo.

Vende pizze al taglio e pizze a domicilio, Giovanni. Ma solo qua intorno, troppo lontano non ci vanno, i suoi scugnizzi. È arrivato in Paese Basso ventuno anni fa, quando nel suo paesino siciliano si presentò quello che lui chiama “l’esattore” con la cartolina della proscrizione militare. Ho mandato tutti affanculo, mi racconta, e me ne sono andato via. Via dove? Qui in Paese Basso, dove in pratica ci ha passato più anni di quelli che ha vissuto nel paesino siciliano. Ah, Lecce, bella Lecce, mi dice. Se non fossi scappato la cartolina mi diceva di andare a fare il militare proprio a Lecce. Bella Lecce. Va male il Lecce in serie B, mi dice. Parla barbaro fluentemente ed è pure dotato di moglie barbara. Le pizze sono buone solo che c’hanno tutte la cipolla di mezzo: funghi e cipolla, peperoni e cipolla, qualcos’altro e cipolla. Ho capito che era italiano non dal bianco rosso e verde all’entrata – ché quelli ci sono in tutte le pizzerie, pure quelle gestite da turchi o che ne so, lituani – e nemmeno dal menu in italiano, e nemmeno per Toto Cutugno che cantava a tutto volume, quanto per una pila altissima di giornali scandalistici italiani ammonticchiati in un angolo. Che poi ho sfogliato mangiando le pizze. Buone le pizze. E poi gli ho detto, con occhio laterale: italiano! E lui: Sì, italiano! Sembri polacco, però. Ma questa del sembrare polacco è una storia lunga. Sono papawojitila, io. I giornali scandalistici: adesso so che Ligabue ha un figlio di undici anni e che gli piace fare il Sudoku – a Ligabue, non il figlio – in spiaggia coi capelli bagnati di acqua di mare piegati tutti da un lato. Alessia Marcuzzi invece ha trentasei anni.

in ritardo

Adesso che Up il nuovo film della Pixar e’ uscito pure in Italia non posso piu’ scrivere il post-must del blogger vivente all’estero, che proprio in quanto vivente all’estero lo ha visto prima degli altri, e quindi fare riferimenti a scene, frasi e musiche che invece tutti gli altri poveracci non possono fare che’ sono racchiusi nello stivale. Mannaggia.


una delle prove

Una delle prove piu’ evidenti dell’inferiorita’ del popolo barbaro me la trovo davanti quasi ogni giorno. I giovani barbari che indossano una camicia a righe e – SOPRA la camicia – una felpa col cappuccio. La felpa col cappuccio e la camicia. Eresia. O meglio, inferiorita’. In fondo non sanno quello che fanno.

la mia libreria

Certe volte guardo la filazza di libri che mi porto appresso di casa in casa, la guardo trattenendo il respiro – le voglio bene, alla mia filazza di libri ingombranti – e penso: questi sono i libri che mi sono portato appresso nell’ultimo anno e mezzo. Li infilo nelle scatole, quelli restano nelle scatole per mesi, poi vengono fuori, poi tornano dentro. Eccetera. E sono solo i libri letti in questo anno e mezzo, e sono tanti, e gli voglio bene. Quello che penso e’: cosa sarebbe successo se avessi sempre avuto i soldi per comprare i libri che volevo, invece di prenderli in prestito per anni dale biblioteche. Cosa sarebbe succeso se avessi vissuto sempre nello stesso posto, o al limite con piccolo variazioni ma non di centinaia o migliaia di chilometri. Sarebbe successo che adesso avrei una biblioteca bellissima, che mi coprirebbe tutta una parete di una camera, o forse due, dal pavimento fino al soffitto. Ci sarebbero libri che si riempiono di polvere, che si accumulano negli anni e dopo anni ti dimentichi la trama e poi tornare a rileggerli, e a volergli bene di nuovo, ad annusare le pagine di nuovo. Se penso alla gioia e al calore che la mia attuale fila di libri mi offre, seppure cosi’ eterogenea e sgualcita, se penso a questo, poi penso alla mia biblioteca che non e’ mai stata, e mai sara’, perche’ pure a vincere alla lotteria e comprarli tutti nuovi non e’ la stessa cosa. Sono pensieri come dopo un aborto, che pensi ad una cosa che sarebbe potuta essere, e non e’ stata, e comunque ci puoi girare attorno quanto vuoi, ma non sara’ mai.

cosa – festeggiate – cosa?

Adesso festeggiate che lo processano. Bravi.  

Sarebbe come dire che una famiglia di merda cresce un figlio di merda, lo vezzeggia, lo accarezza, gli permette tutto, qualsiasi cosa, e quello di conseguenza cresce come un figlio di merda che se ne fotte delle regole, del rispetto delle persone e spara bugie tutto il giorno. Un giorno arriva la polizia e lo arrestano per qualche casino combinato tempo prima. Lui se ne va, ma voi rimanete nella famiglia di merda che ha creato il mostro. Vi verrebbe voglia di festeggiare? Festeggiate.

volevasi segnalare

Il cantautore romano che afferma che la Calabria non dovrebbe esistere, il giornale online che riporta la notizia per innescare il vespaio forse sperando in un sanguinoso tutti contro tutti, e poi i commentatori dell’articolo, calabresi e in generale meridionali,  che invece di seguire il titolista sulla polemica, in maggioranza dicono che in effetti é vero, la loro terra fa abbastanza schifo.

camera trovata

Camera trovata. Enorme botta di culo. Ho cambiato così tante volte casa, e ho messo così tanti annunci in giro, che alla fine un vecchio coinquilino di una delle mie case passate ha visto il mio annuncio su internet (titolo: “not possible to live under the bridge”) e mi ha chiamato. Aveva cambiato casa pure lui. Adesso viviamo di nuovo insieme ma in un altra casa. Mi è toccata in sorte la camera del suo uomo che è dovuto andare via dal Paese Bassoper un po’. Che culo. La camera è finalmente enorme, con tre enormi finestre che danno sul quartiere. Una delle ragazze che viveva qui non conosceva bene la camera. Quando l’ha vista è rimasta sconvolta, la voleva lei ed è scoppiata a piangere. Io non sapevo cosa dire, mi sono fatto da parte e mi sono interessato alle bollette scritte in barbaro appese in corridoio. Mio vecchio coinquilino che sarebbe poi il prototipo dell’uomo perfetto già descritto su queste pagine tempo fa. Ho rincontrato la sua pianta d’appartamento nella sua nuova camera. Io adesso non so voi, ma a me non era mai successo di conoscere una pianta, prendersi cura di questa pianta (per sei mesi, mentre lui era via in Spagna) dormirci insieme, poi andare via per quasi un anno e rincontrarla in un altra casa. Entrare in una stanza ed esclamare: toh, ma io ti conosco! Sei…sei la pianta! Ecco, sono queste le cose che mi succedono.

Ho scaffali ampi e un nuovissimo parquet. Se pure uno non trovasse motivi per guadagnare tanti soldi, almeno dovrebbe farlo per vivere in un luogo decente in un quartiere decente. Nei quartieri meno sfracellati pure le facce sono diverse. Pure le facce. Il modo di camminare. La gente va a correre con le cuffie nelle orecchie. Però sta cosa di spostarsi sempre, alla fine succede che non faccio più caso a tante cose, per esempio le chiavi di casa mi sono state date con un portachiavi di legno intarsiato che io ho preso e messo in tasca, senza chiedermi perché, senza chiedermi cos’é. Questo non lo fanno le persone normali, le persone normali lo sanno cosa hanno in tasca. Se glielo chiedi te lo spiegano (“l’ho comprato ad un mercatino in Nepal un giorno che pioveva in diagonale”) io invece prendo e metto in tasca. Me lo chiedessero, direi che ne so. Non lo so.

(non) si può fare

Dunque ipotizzando che dobbiate scrivere la sceneggiatura di un film dove c’è una coppia che va in crisi. Una coppia che va in crisi perché uno dei due si fa prendere troppo dal lavoro. La prima idea che vi viene in mente ovviamente è che quello che si fa prendere troppo dal lavoro ad un certo punto torna a casa tardissimo e trova il partner che lo aspetta, che ha cucinato la cena, preparato la tavola, ma siccome l’altro non è arrivato, la cena si è freddata miseramente nei piatti.

Questa siccome è la prima idea che vi viene in mente – e siccome l’avete vista centinaia di volte in mille salse diverse eppure simili – la scartate. La scartate, vero? E invece No, gli sceneggiatori di Si può fare, film italiano del 2008, evidentemente rinchiusi in casa senza televisione e lettore dvd negli ultimi trent’anni, hanno deciso che non era scontata e allora questa scena ce l’hanno infilata, nel loro film. Ed è solo una delle innumerevoli trovate scontate di sto film che però in giro ha delle recensioni osannanti che non mi spiego. Il film tratta di un tema umanitario, è un film “che fa pensare” si dice in giro (pensare a cosa?). Il tema sarebbe quello del recupero dei malati di mente mediante il lavoro. Benissimo. Solo che è impossibile credere alla storia, lasciarsi andare, dimenticarsi che è un film (in fondo è questo quello che uno vuole da un film, no?). Gli attori impegnati nell’arduo compito di fare la parte dei ritardati di mente non hanno voluto rinunciare a sfoggiare una dizione perfetta da attori navigati (appunto). E alcuni belli e curati come modelli. I malati di mente generalmente dicono poco sensate, oppure non dicono niente. Spesso stanno zitti o parlano dandoti le spalle. Invece nel film azzeccano condizionali uno dietro l’altro a favore di camera. Finisce di parlare uno, comincia l’altro, quindi l’altro, e infine l’altro. Ordinati. Bisio in tutto questo sfacelo di sceneggiatura, si conferma attore enorme che se nella vita non avesse fatto prevalentemente il Bisio, adesso sarebbe sicuramente riconosciuto e ricordato da tutti come attore enorme.


Nella foto uno degli attori, Andrea Bosca,
come si può notare tipica faccia da manicomio,
che i manicomi ne sono pieni.