volevasi segnalare

Il piccolo eroe sedicenne della settimana, e poi anche questo brano strepitoso sul tè verde che ci sarebbe da scattare in piedi e spellarsi le mani dagli applausi – un po’ meno quando comincia a parlare di B. ma solo perché ormai stufa anche solo l’idea, ancora prima di parlarci.

spetta spetta fammi capire

Cucchi: nella seconda autopsia riscontrate lesioni prima non notate.

Spetta spetta fammi capire. Prima quando? Prima, nella prima autopsia.


Ah.


Quindi nei manuali di tecniche necroscopiche ci sono lesioni che le noti subito, altre invece che le noti solo dopo che il lesionato in questione ti è finito sui giornali, dopo che ne hanno parlato ministri, dopo che ne hanno discusso in televisione. Dotto’ vertebra fratturata? Mah, dipende. Quanto mi fa questo? Che ne so, dotto’, poco: due trafiletti in quarta pagina. Ah, be’, allora niente. E questo dotto’? Glielo dico: per ora sta a niente, ma pare che farà un Santoro e due prime pagine. Azzo! Apri apri che na cosa la troviamo. C’è na fratturina allo zigomo, ho scritto che è traumatica, che faccio: lascio? Lascia lascia: e a ematomi come stiamo? Dottò, gliene metto da parte due che so na favola.

così tanta pioggia

Così tanta pioggia e vento ieri sera mentre uscivo dal mio studiolo nell’universita’ e cercavo di raggiungere la macchina, cosi’ tante avversita’ una dietro l’altra – la pioggia laterale, il vento che fischiava fortissimo, l’ombrello che si rivoltata dall’altra parte come nei film, l’autobus che passa e ti schizza, un fiume che si forma all’improvviso dove prima non esisteva e che lo devi saltare senza scivolare nel letto di foglie marce, l’ombrello che ti scappa di mano e comincia a rotolare trascinato dal vento in un pozzanghera enorme – tutte queste cose insieme, quando sono arrivato finalmente alla macchina mi aspettavo di trovarci il mostro finale, quello che nei videogiochi anni 80 e 90 dovevi uccidere per passare al quadro successivo.

certe volte averci il blog

Certe volte averci il blog, vorresti che non lo sapesse nessuno. Nessuno nessuno delle persone che conosci – barra – che ti conoscono – virgola – nella vita materiale. Certe volte ti viene da pensare che dovresti chiudere e riaprire da qualche parte sotto un nome ancora meno riconducibile a te di quanto sia questo, che riconduce fin troppo bene a me. Aprire un altro posto sotto il nome per esempio di Ermino Stuffaldini – vediamo un momento su google se esiste, non esiste – e poi giuro sarei curioso di vedere gli effetti delle parole che lubrificate liscie e incontrollate fluiscono direttamente dal mio colon cerebrale. Che siamo a quattro anni e mezzo di scribanza, da queste parti, si cominciano a sentire. Sarei io il primo curioso a quel punto, e a seguire tutti gli altri. Non il contrario.

ogni tanto penso

Ogni tanto penso a cosa potrei fare invece di fare quello che faccio. Per lavoro voglio dire. Siccome non lo so concretamente, un pensiero costante è “meno male che non faccio questo”. Spio i commessi nei negozi di telefonia che parlano coi clienti illustando le tariffe e premendo tastini sui telefonini in esposizione e penso, meno male che non faccio questo. Sono stato per sbaglio ad un congresso in Germania – per sbaglio nel senso che il motivo per cui ci dovevo andare non c’era più, ma la mail di notifica mi è finita nello spam ed io cretino ci sono andato lo stesso – e guardavo gli ingiaccati cravattati che promuovevano sorridendo i loro prodotti e regalavano gadget inutilizzabili, e pensavo, meno male che non faccio questo. Gli italiani ai congressi internazionali li riconosci a chilometri di distanza. Sei in Germania? Ti vendono un weiss wurst! Che non lo sapevi? Se te lo compri non è che poi ti siedi di fronte a chi te lo ha venduto e chiami al telefono in Italia per raccontare tutto schifato del wurstelone arrostito che hai nel piatto. Ti mangi un tramezzino e amen, sennò. Sei in Germania, mica al finto oktoberfest a Casalecchio di Reno. Il Nordreno Westfalia ha un cielo che più brutto non si può, però la gente nasce si riproduce e muore anche lì, in linea di massima. Alcuni di loro vendono perfino telefonini.

dalla mia finestra spio

Dalla mia finestra spio la finestra del palazzo di fronte. C’è una mano che passa più volte su qualcosa. Sono dei capelli. C’è una mano che passa più volte su dei capelli. Non vedo altro. Penso – la mia testa pensa: c’è qualcuno che accarezza qualcun altro. Ecco. Vedi che bravi? Poi guardo ancora. Non smette di accarezzare. Non smette. La testa si muove, tutto il corpo si sposta quel tanto che basta a farmi capire meglio: è un uomo che guarda il monitor del computer, forse legge qualcosa, e nel frattempo si passa la mano fra i capelli. Dunque non è vero quello che credevo. Quello che credevo lo ha creato la mia testa in mancanza di dettagli sufficienti. Penso: sono contento della mia testa, se in mancanza di dettagli sufficienti, ha prodotto una situazione migliore di quella che invece è. La mia testa vuole vedere questo, piuttosto che l’uomo intento a controllarsi il conto in banca sul computer di casa. Si immaginava un accarezzamento pomeridiano e gratuito, mentre fuori piove. E adesso la chiave del catenaccio della mia bicicletta si è piegata in due, e non funziona più. Non posso chiudere la bicicletta a chiave. Lascio la catena aperta, ma annodata in un modo che potrebbe apparire chiusa. Potrebbe, ma non è. Confido nelle teste degli altri, che vedendola penseranno che è chiusa – in mancanza di dettagli aggiuntivi appunto – e sperando che pure loro come me si accontentino di quello che vedono, senza andare a controllare. Sono due giorni che funziona.

volevasi segnalare

“se avesse vent’anni, lei, cosa farebbe?” 
“me ne andrei all’estero.”  
“non proverebbe a cambiare l’Italia?” 
“ci ho provato per lungo tempo. ho qualche difficolta’ a credere che si possa cambiare da soli. tutto avviene per piccoli gruppi. i cambiamenti devono coinvolgere gruppi molto consistenti; se non si raggiungono queste dimensioni é difficile cambiare. é un miraggio che qualcuno, o un elite, spesso anche marginalizzata, possa creare un cambiamento di quelli significativi..”  
“qual’é il cambiamento che potrebbe aiutare?”  
“un cambiamento fondamentale sarebbe quello di premiare la gente per quello che vale”

ma poi

Ma poi, tornando un momento al crocifisso. Ci sono quelli che ti spiegano perche’ la sentenza é giusta mettendo in campo tutta una serie di motivazioni ineccepibili. Si scaldano, si accapigliano, si indignano, dicono che siccome “lo Stato é laico allora etc etc. sta pure scritto nella Costituzione etc etc… o mettiamo i simboli religiosi di tutte le religioni in ogni luogo pubblico oppure non ne mettiamo nessuno, altrimenti si discrimina eccetera eccetera…”. Bravi. Fila tutto. In termini logici e razionali, voglio dire. Avete ragione. Pacca sulla spalla. Inattaccabili. Bravi.        

Ma se siete cosi’ bravi, dovreste pure intuire – dopo decenni di battaglie laiciste quasi tutte finite nel cesso – che se davvero uno usasse la razionalita’ come metodo di valutazione, non é che si aggrapperebbe ad un crocifisso, no? Se uno lo fa, é che non mette la logica ai primi posti. Lui vede le lacrime di Padre Pio, le vede proprio: allora cazzo gli parli in termini di ragione e diritto? Blaterate piu’ o meno a vanvera, oppure parlate perche’ vi piace ascoltarvi. Sono due linguaggi diversi, come chiedere che ore sono? e sentirsi rispondere “zemra ka arsyet e saj qe arsyeja nuk e di” (e non ho premuto i tasti a caso).          

Eppoi, ti pare illogica la pretesa di avere il crocifisso appeso? Embe’? Ovvio che é illogica. Tu prendi invece il precetto “ama il prossimo tuo come te stesso”. Non é illogico. Lo accetti. Ti pare una bella cosa. Infatti chi se ne frega di difendere sto concetto. Hai mica visto qualcuno fare pressioni politiche per difendere sto concetto? No. Cioe’, mica tanto. Difendere l’indifendibile é altra storia, da’ una misura della tua influenza. Se domani riuscissero ad impormi un dogma – tipo che ne so, che si ci si deve pettinare tutti con la riga in mezzo – se ci riuscissero, senza darmi alcuna spiegazione, ecco che avrei una chiara misura della loro potenza. Ma poi insomma, basta, mi ripeto sempre, erano cose gia’ dette parlando di sta cosa qui, nemmeno troppo tempo fa.

fatti non foste

Si parla in giro di questo video – che documenta l’ignoranza abissale di certi esseri viventi, qui la trascrizione completa – e ci si domanda: ma con questa ignoranza che c’é in giro, si puo’ pensare ancora al suffragio universale? Alla democrazia? Cioe’: é accettabile che alle elezioni il voto di un Giovanni Sartori valga quanto il voto di quella giumenta che dice che Piersilvio Berlusconi é il presidente della Repubblica, e se le chiedono conferma, quella dice Si’, Si’, Piersilvio?   

Ma che ne so. Mi viene da pensare altro. Mi viene da pensare che fette di ignoranza cristallina sono sempre esistite, pero’ oggi sta cosa va vista in modo tutto diverso. Voglio dire. Se prima c’erano gli educati e gli ignoranti, un ignorante migliorava la sua conoscenza a, diciamo, 10 km/h, mentre un educato (in quanto interessato alle cose del mondo, a differenza dell’ignorante) a 50 km/h. Poi siccome i canali d’accesso alla cultura erano pochi, l’educato guardava all’ignorante con una certa pieta’ e benevolenza. Povero ignorante, toh, mangiati sto pezzo di pane duro e fai quello che ti dico io. Non toccarti che diventi cieco, bestia! No, non picchiatelo, é solo ignorante, non é colpa sua.   

Ecco.   

Adesso invece i canali di informazione sono altri, piu’ veloci e accessibili. L’ignorante continua ad andare a 10 km/h ma il curioso, quello che ha voglia di sapere che cosa succede, va oggi a 140 km/h. Internet, per la miseria! Che ieri sera prima di andare a dormire – per interessi miei vagamente letterari e sociologici – ho fatto un veloce paragone tra il prodotto interno lordo pro capite di Danimarca, Italia e Senegal, e ci ho messo 2 minuti e 50 secondi. La mia considerazione é durata circa 4 secondi, poi mi sono lavato i denti e infilato a letto.

Questa velocita’ enorme rende il distacco sempre piu’ invalicabile. Adesso se ti informi, ti informi quasi tutto il giorno, tutti i giorni, senza sosta. La tua conoscenza – se hai la curiosita’ di farlo – cresce come un tumore, si ingrossa, trasforma i tuoi punti di vista. Quindi se poi all’improvviso ti mettono davanti un essere umano che apparentemente parla la tua lingua, vivo! (si muove) maturo (ha la barba!) e integro (é giovane!) e che afferma – sorridendo del sorriso del sorriso degli ignoranti – che Londra si scrive L – apostrofo – ONDRA, tu, che eri intento poco prima a leggere l’ultima esternazione di Tremonti e la immagazzinavi insieme alle altre informazioni nel tuo cervello, tu, vedi sto essere, e lo credi di un altro pianeta. Il tuo mondo e il suo mondo sono troppo distanti. Per te é un alieno. Un Gremlin catapultato da un mondo lontano. Poi per un momento…        

Per un momento perderesti anche la calma, ma non in questa realta’, in un’altra realta’, dove non usi la logica. Gli piomberesti addosso violentemente, dopo che ha detto L apostrofo ONDRA, e lo fracasseresti di mazzate. Il sangue. Un calcio negli stinchi per farlo cadere a terra e poi giu’ mazzate su quella faccia che fino a poco fa sorrideva beata, della beata ignoranza. Perche’ sei colpevole, brutto Gremlin, non puoi dirti esente da colpe. Non puoi dirlo. La tua ignoranza – di cui oggi sei responsabile – ha influenzato e influenza la mia vita. Ma tu non lo sai, tu anche questo lo ignori. Non ti posso spiegare nemmeno perche’, non capiresti. Il tuo cervello assimila concetti semplici: caldo freddo, amaro dolce, luce buio, dolore piacere. E allora eccoti il dolore, tieniti il dolore, prendi…        

No. Non si fa.
Rimane negli occhi quello sguardo che sorride beato, mentre tu beato non lo sei affatto, e mai lo sarai. Eppure va bene cosi’.

Lu crocifisso

Se c’é stata una cosa che mi ha smitizzato completamente la religione é stato proprio lu crocifisso in classe – scusate, troppo forte la tentazione dell’articolo determinativo salentino anche oggi che sono all’estero, ricordando i vecchi tempi.

Ché uno nascendo in Italia, cresce con il timore reverenziale delle cose di Chiesa, é automatico no? e poi lentamente – naturalmente – questo timore cala col tempo. Comincia a calare molto tempo prima di leggere di preti pedofili e verginita’ prematrimoniale. Comincia con cose tipo lu crocifisso in classe. In classe, capito? Sarebbe questo il luogo dove ho assistito alle piu’ infime celebrazioni di bassezza umana, a mediocrita’ devastanti e maggioritarie. Lui era li’, lu crocifisso, e non muoveva nemmeno uno dito di plastica, osservando tutto sto sfacelo. E fino a quando te lo trovi gigante, in Chiesa, magari il timore ancora resiste. É enorme e mette paura mentre tu sei piccolo piccolo. Ma se te lo vedi la mattina presto – tutte le mattine presto – in classe, in certi inverni di freddo mortale che restavi mani in tasca del giubotto fino alle dieci, e sopratutto se te lo vedi li’ sul muro mentre tu cresci in altezza tanto da poterlo toccare e notare da vicino com’é piccolo, che volendo potresti staccarlo e portarlo via, ecco che il timore scende paurosamente. In classe ci si massacrava allegramente di mazzate, con mille armi diverse. Fionde, taglierini, quadernoni di cartone pressato, matite appuntite. Se ci si massacrava di mazzate vicino alla cattedra, poi, in mancanza di altro, si staccava lu crocifisso e lo si martellava sul cranio dell’amico fraterno. Toc, toc, toc! Beccati stu crocifissu! Toc! Basta? Non basta? E cosí via. Toc! Mazzate purissime e divertentissime che si tornava a casa con la pancia dolente dal ridere. Oggi mi ricordo di sto crocifisso di classe, che a causa delle manipolazioni  – o forse perche’ non era fissato bene al chiodo e cadeva spesso giu’ – si era rotto a livello delle gambe di plastica, poco sopra le ginocchia. I piedi erano collegati piu’ in basso alla barretta di legno, ma non essendo piu’ vincolati al resto del corpo, ora potevano roteare liberamente con moto circolare. Dopo averlo utilizzato per scavare buchi nei crani dei cari compagni di classe, lo si rimetteva a posto poco prima che la ricreazione finisse. Si cercava di riposizionare le gambe roteanti in assetto verticale, in modo da farlo apparire integro. Ma poi – segno del divino? vittoria dell’illuminismo newtoniano? che ne so– durante l’interrogazione vaneggiante dei professori, quello improvvisamente Opla’! tornava con le ginocchia rivolte al pavimento. Bei tempi.

trasposizione della responsabilita'

Continuo a scervellarmi leggendo le storie della GenerazionePerduta su Repubblica.it. Sono interessatissimo ai percorsi di sti personaggi che hanno lasciato la loro testimonianza quanto a esperienze lavorative. Fa parte della mia mania delle biografie, ne leggo sempre (e per questo sempre sia benedetta wikipedia nell’alto dei cieli). Siccome sono tantissime, ste testimonianze – 1700 in questo momento – non si puo’ fare una generalizzazione, pero’ ho letto tante storie che hanno tutte un punto in comune, che io chiamo oggi (magari domani ci cambio il nome) “trasposizione della responsabilita’”.   

Ovvero. 

C’é di solito in queste storie un ragazzo PincoPallo che si mette a studiare Lettere Moderne (o Psicologia, o Archeologia, o Comunicazione, o Architettura). Pinco Pallo prima di studiare Lettere Moderne potrebbe aver fatto una ricerca per capire se studiare Lettere Moderne servira’ a trovare un lavoro. Lo ha fatto? Si? Allora studia ugualmente e accetta il rischio. No? Be’, se non lo dovesse poi trovare, é responsabilita’sua che non si é informato prima. Pinco Pallo si laurea con 110 e lode e trova lavoro solo come cameriere a 3 euro l’ora per 4 ore alla settimana in un bar della periferia dove i vecchi vanno a bere l’amaro dopo pranzo. Non puo’ andare a vivere da solo. Si incazza contro il suo Paese di merda che non gli garantisce un lavoro nonostante la sua cultura derivante da 4 anni di sottolineature di testi universitari.   

Prima domanda: se esistesse un corso di laurea in Robbie Williams (per diventare come Robbie Williams, per intenderci) e io lo frequentassi e mi ci laureassi pure – se poi non dovessi diventare ricco e famoso e rockstar con le fan che mi aspettano nel letto – poi me la dovrei prendere con il mio Paese?    

Pinco Pallo dice: ho la laurea, non il lavoro. La colpa é del Paese. Di Berlusconi. Di un sistema marcio e oscurantista che non apprezza la mia cultura. O forse – e qui viene il bello – la mia cultura non é abbastanza. Allora mi iscrivo alla specialistica in editoria, dai. Due anni di editoria. Avra’ Pinco Pallo fatto una ricerca per capire se una specialistica in Editoria serve a trovare un lavoro oppure No? Stesse risposte di prima. Quando Pinco Pallo sara’ laureato in Editoria, dira’ “Ho due lauree, e non trovo lavoro”. Tradotto: adesso ho DUE motivi per dire che il mio Paese é una merda. Due motivi is megl che one. Dunque Pinco Pallo continuera’ a lavorare nel baretto decrepito, pero’ la sua coscienza avra’ 2 motivi (piuttosto che 1) per autocommiserarsi e credere di essere nel giusto. Guardarsi attorno per capire quali lavori servono, ancora No. Per questo si iscrivera’ ad un Master di Conservazione dei Beni Archeologici. Poi dopo averlo finito fara’ uno stage non pagato per 6 mesi in una biblioteca pubblica a fare fotocopie e cambiare il nastro delle telecamere di sicurezza.

Dopo il primo motivo per dire che il suo Paese é una merda, adesso ne ha due, tre, quattro etc (specializzazioni, master, stages, etc.). Dopo aver detto che il Paese é una merda, dira’ pure che é tutto un magna magna perche’ trovano un vero lavoro solo i raccomandati. Come sappiamo questo é in larga parte vero. Solo che Pinco Pallo, oltre a ripetere cio’ come un mantra (raccomandati, raccomandati!!) non agira’ di conseguenza. Lui la raccomandazione non ce l’ha, eppure continua a farsi calpestare da raccomandati. Piuttosto che imparare la lezione, persevera e persevera. Concorsi di dottorato tanto per farsi dire di No e poi lamentarsi con la mamma. Accumula ulteriori motivi per dire che lui é nel giusto, mentre é il resto del mondo ad essere una merda. Non posso pagarmi l’affitto che il paese é una merda, non posso farmi una famiglia che il paese una merda. Trasposizione della responsabilita’, appunto. O giustificazionismo. Che non ti sazia se hai fame, non ti riscalda se hai freddo, ma consola la coscienza. Tantissimo.   

E invece ad essere cinici si chiama pure Rigurgito Di Selezione Naturale. Millenni fa c’erano due uomini delle caverne stupiti di fronte alla prima fiammata. Uno di loro mette la mano sul fuoco, si scotta, urla (guardalo, pare na scimmia!) ma poi la mano sul fuoco non la mette piu’. L’altro vede il compare urlare, se ne frega e ci mette la mano ugualmente. Si scotta pure lui, ma insiste. Insiste e insiste. Muore carbonizzato. Noi discendiamo dal primo, il secondo ha fatto crescere gli alberi.

Testimonianza no.1405 (Disoccupato, 31 anni).

Laureato in filosofia con lode, dottorato di ricerca in filosofia fuori città e monografie, articoli e altre pubblicazioni. Conoscenza buona di inglese, tedesco e francese. Ora, da mesi attendo opportunità di proseguire le mie ricerche in ambito accademico; ma la crisi ha dimezzato ogni possibile assegno di ricerca o altro. Non contiamo poi le varie schifezze cha caratterizzano il mondo dell’Università. Altri lavori: nessuno. Nei licei graduatorie bloccate, nell’editoria niente di niente. E io cosa faccio? Come mi mantengo? Devo lavorare da cameriere o al call center con un dottorato di ricerca in filosofia e con monografie varie pubblicate? Tutti gli anni di abnegazione e di studio meritano questo? Non lo so, ditemi voi. Io so solo che sono amareggiato, triste e depresso, per quanto cerchi di convincermi ogni giorno a non mollare e a non perdere la speranza…ma è proprio dura!

volevasi segnalare

“…Un’ultima annotazione. La tristezza non é necessariamente triste. La tristezza é un approccio, un paio di lenti, un paio di occhiali con cui tu guardi il mondo. Con cui io guardo il mondo, e a me non dispiace mica tanto eh, neanche troppo. Non perche’ io sia masochista, la tristezza in fondo é un sentimento abbastanza tenue. Perche’ appunto mi piacciono i sentimenti tenui e i colori tiepidi: preferisco i pastelli, gli acquerelli, alle tele con colori troppo violenti..”

Questo é Ilvo Diamanti su un poadcast Feltrinelli che non riesco a linkare, scovabile facilmente su Itunes.