si fossi tumblr: l’amaca di Serra 20/09/12

Qualora non fosse chiaro – anche se l’ho scritto in trilioni di post e continuero’ per sempre a farlo – la penso esattamente come Serra nel brano qui sotto.

In questo caso si parla del caso del rubacchione Fiorito, ma lo stesso concetto puo’ essere esteso a tutti i personaggi scoperti in questi anni, su su su fino ad arrivare Abberlusconi. Scrive Serra oggi:

Io questo Franco Fiorito lo conosco. E lo conoscete anche voi. Lo abbiamo visto dietro il bancone di un bar. Alla guida di un autobus. Alla cassa di una pescheria. In coda all’ufficio postale. È un normotipo popolare italiano. Franco Fiorito, “er federale de Anagni”, è uno di noi. La parola “casta” è perlomeno fuorviante. Lascia intendere che esista un ceto parassitario alieno alla brava gente che lavora, quasi una cricca di invasori. Purtroppo non è così. Tra casta e popolo c’è osmosi, e un continuo, costante passaggio di consegne. Fiorito non nasce ricco e non nasce potente. Fiorito è un prodotto della democrazia. Molti italiani che oggi sbraitano contro la casta, ove ne facessero parte, sarebbero identici a Franco Fiorito, per il semplice fatto che sono identici a Franco Fiorito anche adesso. Non si cambia un paese se non cambia il suo popolo, non migliora un paese se non migliorano le persone, la loro cultura, le loro ambizioni. Il mito della “democrazia diretta” non mi cattura perché non tiene conto di un micidiale dettaglio: se a decidere direttamente chi dovrà rappresentarli sono i Franco Fiorito, eleggeranno in eterno Franco Fiorito.

Da La Repubblica del 20/09/2012.

Il concetto non e’ nuovo, tantissimi ne hanno scritto. Purtroppo oggi cresce terribilmente  il successo di chi pensa esattamente il contrario. Sono talmente convinto di questa cosa (ancora di piu’ da quando vivo all’estero) che quando trovo qualcuno che ignora il concetto rischierei seriamente di fare a botte come un delinquente qualsiasi. E’ il terrorista da schiaffoni e calci negli stinchi che e’ dentro di me.

volevasi notare

Leggo che a Sanremo hanno fatto uno sketch su B. e Fini ridacchiando sulla questione delle zoccole, e allora hanno chiesto che per par condicio facessero uno sketch pure su quelli dell’altra parte. Alle volte la comunicazione ha le sue finezze. Primo punto: quelli che fanno gli sketch lavorano soprattutto grazie a B. Secondo punto: invece di fare uno sketch su quelli “dell’altra parte” hanno fatto uno sketch su Saviano e Santoro. Il che equivale a instillare dentro le cervella di dieci milioni di persone che quelli “dall’altra parte” siano un presentatore e uno scrittore coraggioso dall’aspetto un po’ cosi’, entrambi ricchi sfondati. Dieci milioni davanti alla televisione. Hanno scherzato con le zoccole, e instillato l’idea che se non ti piace quello delle zoccole (di cui comunque ah,ah, ridiamo) dall’altra parte ci sono un giornalista che canta bellaciao e uno scrittore tenebroso con la barba di due giorni. Quindi il nulla. Dieci milioni, eh. L’altro giorno in piazza c’erano – volendo stare larghi – un milione di persone. Chi protesta di questo? Nessuno. Bravi. Preparate la prossima manifestazione. 

litigio all'italiana

Osservavo questo video girato oggi a Milano di gente che urla. Il contenuto non mi interessa.

Osservavo i movimenti degli urlatori. Che' non c'e' solo la lingua e i pensieri, ci sono pure movimenti tipicamente italiani. Per esempio nel litigare. Esiste questo modo tipicamente italiano di urlare durante un litigio che consiste nel:

 

1) urlare qualcosa in una direzione/verso qualcuno 

2) girarsi dall'altra parte come per andare via

3) rigirarsi e tornare nella direzione di prima, e urlare di nuovo 

 

Questa sequenza viene ripetuta tre o quattro volte dalla signora coi capelli castani nel video. E davvero questo Far-Finta-Di-Andare/E Poi Tornare e' un movimento che io in vita mia ho visto solo in Italia.

 

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e giù mazzate

Ah, e poi la questione di emergency e delle armi che forse Sì e forse No.

Di sto fatto non si sa niente. Anzi poco. Ma poco pochissimo. Quasi niente. Notizie concrete voglio dire. Non ce ne sono.

Epperò ovviamente si sono tutti schierati belli dritti da una parte e dall’altra. E giù mazzate.

Ché in giro c’è proprio gente con l’interruttore dietro la nuca che tu gli pronunci una parola, e quelli c’hanno sto circuito velocissimo che sanno già di essere pro o contro. Senza sapere niente.  A prescindere. Tipo tu dici, che ne so, emergency, e loro manco tu hai finito di dire la parola, già ti parlano di sopra: Pro! Contro! Pro pro pro! Contro contro contro! E giù mazzate.

il primo pirla che passa per strada

Il primo pirla che passa per strada si imbuca in una conferenza stampa e comincia a blaterare. Cercano di azzittirlo – non dovrebbe nemmeno essere lì e si mette pure a parlare, è come se un folle vi entrasse in casa e cominciasse a scompigliarvi i capelli e a pisciare sul divano – e allora siccome non sta zitto lo portano di forza fuori dalla sala. Sarebbe pure normale (voi cosa fareste se vi pisciassero sul divano?) però siccome parlava Berlusconi, allora quello è un gesto da condannare come chiaro segno di regime. Sarebbe come dire che se uno si imbuca nel bagno delle donne e non vuole uscire, se lo portano via di peso non va bene. Ecco il nuovo riflesso pavloviano degli antiberluscomaniaci.


(L’antiberluscomania riabilita tutti, non solo le battute che non fanno ridere. Prendi questo individuo, sarebbe un nessuno assoluto, e viene invece definito “giornalista freelance” ma senza tesserino, – allora pure io sono un giornalista freelance – e facente parte del "coordinamento nazionale contro i siti di stoccaggio nucleare”, che è come dire sono vicepresidente dell’"associazione mondiale della lega contro i piedi sbattuti sul comodino appena sveglio".)

I riflessi funzionano benissimo, e l’accanimento infatti è istantaneo: un esempio, un altro, un altro.

fra tutti

Fra tutti, uno degli effetti collaterali più sottostimati del berlusconismo, sono gli antiberlusconisti stessi. Quelli per cui siccome B. abbassa l’asticella del senso civile, estetico e morale, loro, che sono dall’altra parte – proprio perché sono dall’altra parte – allora sono migliori. Siccome sono dall’altra parte, loro sono migliori a prescindere. E divertenti. E intelligenti.

Il blog Spinoza ha ormai sfondato il muro di internet e adesso viene citato anche sui giornali e tv. Oltre ad offrire alcune battute divertenti (nel senso che ti "diverti" leggendole), ci sono pure tante battute che non fanno ridere per niente. Cioè, le leggi, e non ridi. E non è una cosa soggettiva, eh, è proprio che non puoi, ridere.

Argomento par condicio. Svolgimento:

impressioni del recente viaggio in Italia #1

L’Italia e’ il paese del mondo con in assoluto il piu’ alto numero di femmine coi capelli tinti. Era certamente gia’ cosi’ quando ci vivevo anche io, in Italia, ma non ci ho fatto mai caso.

Se non ci fossero tutti questi capelli tinti in Italia – tutti sti biondeggiamenti, rameggiamenti, colpi di sole – sarebbe molto piu’ chiara la nostra natura di razza mescolata ai mediorientali e nordafricani. Sarebbe molto piu’ chiaro qual’e’ la mescolanza di sangue che ci circola davvero nelle vene, che’ quando ti trovi qui in Paese Basso e vedi certe turche per strada ti paiono uguali uguali a certe persone che conosci in Italia – molto piu’ somiglianti delle barbare, perlomeno – solo che non capisci dove sia la differenza principale. Te lo dico io dove sta: nei capelli. Che’ loro li portano o coperti dal velo, oppure non tinti – che senno’ il padre le scoppia di mazzate, evidentemente.

Comunque, in Italia ho passato il tempo a calcolare percentuali di capelli tinti su crani femminili. Le percentuali variano da un minimo (minimo!) del 50-60 % ad un massimo di 100% in certi bar di Roma Termini. Probabilmente la maggiore concentrazione  di capelli tinti in quelle zone e’ da correlare con la vicinanza all’epicentro di questo fenomeno (gli studi televisivi dei programmi di mariadefilippi) anche se non ci sono prove definitive a riguardo.

(e i capelli tinti e altre tante belle cose saranno l’argomento della puntata di "Ma Come Fanno i Benzinai" in diretta con il sottoscritto, oggi a partire dalle 20, come quasi ogni venerdi’, su RadioFlo)

gli italiani quando li incontri

Gli italiani quando li incontri in gruppo non essendoci più abituato, hanno gli occhi dolci da volpe. Dolci, ma pur sempre da volpe. Li guardi in faccia e di colpo ti ricordi tutto, da dove vieni e con chi hai vissuto fino a qualche anno fa. Ti ricordi di quella signora che in cucina preparava il cenone di capodanno con le amiche, seminando battute truci e poi guardando gli altri negli occhi per vedere se ridevano, che è una cosa tantissimo italiana. L’italiano ha un sapore particolarissimo, solo che fino a quando ne sei circondato non puoi conoscerlo. Queste stature medie, questi capelli scuri oppure tinti, e questi cappottoni da Alaska quando non serve. Il trucco delle ragazze. Le bestemmie. E la sensazione, quando ti ci trovi in mezzo, di essere dentro una gita scolastica. Tu che quando le gite scolastiche le facevi credevi che quell’atmosfera fosse dovuta all’età; son dovuti passare vent’anni per capire che non c’entra l’età. Non c’entra niente.

Al No B Day di Amsterdam ci sono poi passato. Tardi ma ci sono passato. Mi ha fatto piacere vedere che non ci fossero speciali bellicismi da parte dei presenti. Tutto tranquillo. I giapponesi facevano le foto. Cantavano Bella Ciao, sti ragazzini – ché di ragazzini per lo più si trattava – e vai a capirne il motivo. Ogni motivo che provo a darmi non mi da pace. E lo cantavano tutti assieme, non è che prendo l’estremo per ridicolizzare il gruppo. Tutti assieme. Rimane il fatto che non si migliora se governa uno oppure un altro, ma si migliora solo se si evitano fazioni di ultras, e se si ha la pazienza, dopo una giornata a cantare Bella Ciao che non c’entra nulla, di leggersi i giornali pure nelle pagine di Economia, o interessarsi ai riassunti dei disegni di legge, facendolo senza pregiudizio e con tranquillità. Qualcuno lo farà anche, ma in quella allegria caciarona ci ho anche rivisto i miei compagni di scuola delle occupazioni, così felici di urlare al corteo, così sbadiglianti quando arrivavo con le fotocopie del decreto da leggere almeno una volta per capire di che cosa si trattava quella legge che portavano in giro scritta sugli striscioni. E c’è sempre tanta tanta confusione, in quella che viene vista come la parte positiva del Paese, e invece è sempre la stessa sotto diverse bandiere (a volte sempre le stesse) che si muove tra la consapevolezza di alcuni e la tanta confusione di altri. Tantissima confusione. Quando ieri al No B Day di Amsterdam qualcuno ha urlato che il povero Cucchi, fosse stato ancora vivo, sarebbe venuto anche lui, pare che nessuno abbia alzato la voce per lanciare un vaffanculo da spaccarsi le tonsille.

ma poi

Ma poi, tornando un momento al crocifisso. Ci sono quelli che ti spiegano perche’ la sentenza é giusta mettendo in campo tutta una serie di motivazioni ineccepibili. Si scaldano, si accapigliano, si indignano, dicono che siccome “lo Stato é laico allora etc etc. sta pure scritto nella Costituzione etc etc… o mettiamo i simboli religiosi di tutte le religioni in ogni luogo pubblico oppure non ne mettiamo nessuno, altrimenti si discrimina eccetera eccetera…”. Bravi. Fila tutto. In termini logici e razionali, voglio dire. Avete ragione. Pacca sulla spalla. Inattaccabili. Bravi.        

Ma se siete cosi’ bravi, dovreste pure intuire – dopo decenni di battaglie laiciste quasi tutte finite nel cesso – che se davvero uno usasse la razionalita’ come metodo di valutazione, non é che si aggrapperebbe ad un crocifisso, no? Se uno lo fa, é che non mette la logica ai primi posti. Lui vede le lacrime di Padre Pio, le vede proprio: allora cazzo gli parli in termini di ragione e diritto? Blaterate piu’ o meno a vanvera, oppure parlate perche’ vi piace ascoltarvi. Sono due linguaggi diversi, come chiedere che ore sono? e sentirsi rispondere “zemra ka arsyet e saj qe arsyeja nuk e di” (e non ho premuto i tasti a caso).          

Eppoi, ti pare illogica la pretesa di avere il crocifisso appeso? Embe’? Ovvio che é illogica. Tu prendi invece il precetto “ama il prossimo tuo come te stesso”. Non é illogico. Lo accetti. Ti pare una bella cosa. Infatti chi se ne frega di difendere sto concetto. Hai mica visto qualcuno fare pressioni politiche per difendere sto concetto? No. Cioe’, mica tanto. Difendere l’indifendibile é altra storia, da’ una misura della tua influenza. Se domani riuscissero ad impormi un dogma – tipo che ne so, che si ci si deve pettinare tutti con la riga in mezzo – se ci riuscissero, senza darmi alcuna spiegazione, ecco che avrei una chiara misura della loro potenza. Ma poi insomma, basta, mi ripeto sempre, erano cose gia’ dette parlando di sta cosa qui, nemmeno troppo tempo fa.

a fare l'italiano

A fare l’Italiano in Italia, puoi anche schifare Sanremo. A fare l’italiano all’estero, Sanremo invece va visto, almeno un poco, pensavi l’altro giorno mentre di fatto Sanremo non lo avevi visto per niente. Sono i particolari, che visti da qui, in questo luogo civile eppure di barbari (ché sempre barbari sono,eh) sti particolari insomma, balzano agli occhi. Come la giacca di tessuto pregiato del presentatore che scende perfetta sul polsino della camicia bianca, per esempio. Questo è un particolare, di cui ti accorgi come italiano all’estero. Gli occhi ti si sono abituati ai barbari in felpino sdrucito, e allora ste cose le noti.     

A vedere Bonolis che suda nella cazzo di gag che prende l’amico suo e gli fa fare la parte del deficiente (Cosa dice? Venga! Dica! Fermiii!), o  prende qualcuno da pubblico e gli fa fare pure a lui la parte del deficiente (Cosa dice? Venga! Dica! Fermiii! Quantunque!) ti viene da immaginartelo fra trent’anni a continuare a fare ste cazzo di gag, e raccogliere comunque quei dodici milioni di telespettatori. E d’altra parte cosa vuoi dire cosa, se poi in fondo ha ragione lui.

se questo é un uomo



Eppure in tutta questa storia – che potrebbe sembrare chiarissima, e invece non lo é – mi pare di perdere il filo. Voglio dire, se esiste qualcuno capace di incaponirsi così tanto per costringere in vita un corpo privo di corteccia cerebrale, ci sará pure un motivo che non sia quello (farlocco) della difesa della vita in senso cristiano del termine, no? Io questo mi chiedo, e su questo perdo il filo. Provando a inventarne qualcuno a cazzo, di motivo, viene subito da pensare alla totale ignoranza delle persone in fatto di anatomia e fisiologia. Vabbe’, bravi, conoscete questo e quell’altro, ma secondo me dovreste essere invitati alla discussione solo dopo aver assimilato le basi minime di neurologia, capire cos’é una corteccia cerebrale, a cosa serve, come si trasmettono gli impulsi nervosi, eccetera. Anche l’etica, certo, ma dopo. Prima studiate, poi parliamo di etica. E se queste cose la vostra anima benedetta le ignora totalmente, perché le considera irrilevanti, allora non dovreste proprio parlare, che siete voi, gli irrilevanti. Perché a grandi linee li conosco, i vostri dogmi (che poi é anche facilissimo: la vita é la vita, e in quanto vita va difesa, perché la vita la vita la vita).

Come punto secondo, viene da pensare che se uno si incaponisce a imporre le proprie idee, l’assurditá delle idee é una misura del suo potere. In altre parole, se io ti impongo di volere bene al prossimo tuo, é troppo facile. Perché la gente questo concetto lo trova facilmente condivisibile. É come se uno si mettesse per strada vestito da Hitler ad urlare: “e atesso, io fi ortino ti RESPIRARE!”. É troppo facile, mica puoi quantificare il tuo potere con ordini del genere. Peró se imponi il tuo punto di vista su cose che sono chiaramente fuori dal mondo – tipo considerare in vita un corpo metabolicamente attivo grazie all’inerzia del tronco cerebrale, ma privo di coscienza per la corteccia degenerata da quindici anni – allora ecco che se riesci ugualmente a imporre le tue cose, invece di essere rinchiuso in un manicomio, o di essere preso a calci in culo, non c’é niente da dire, di potere ne hai davvero a pacchi.

basta pasta

Io lo ripeto sempre ai miei coinquilini: da quello che vedo da qui dell’Italia, da tutti gli stereotipi che circolano da queste parti, da quello che voi credete che sia l’Italia, dai vostri piatti di merda a forma di spaghetti che consumate tagliando il tutto con forchetta e coltello, dalla radio che quando manda canzoni italiane, manda il peggio del peggio, tipo canzoni Bocelliane mai sentite prima, ecco, se io fossi olandese, da quello che posso vedere da qui dell’Italia sicuramente l’Italia mi farebbe orrore, penserei mioddio l’Italia che orrore, non voglio avere niente a che fare con gli Italiani. 

Sta cosa volevo scriverla sul blogghe da tempo, ma avevo paura di non rendere bene l’idea di quello che volevo dire, e non volevo che poi passasse il concetto sbagliato. Poi oggi pomeriggio, passeggiando per Amsterdam – io e la Signorina – abbiamo incontrato questo camioncino dei gelati, ed io ho detto alla Signorina per favore fai una foto, per favore, cerca di prendere anche quel “MassiNo Ranieri” se puoi, che sto baraccone condensa tutto il mio rigurgito in pochi metri quadrati, che stavolta forse riesco a farla passare, quell’idea che c’avevo in testa e che non ero certo di riuscire a farla passare.   

No, dico, l’ho fatta passare?

(clicca per ingrandire)

ma davvero

Ma davvero dei bravi ragazzi, sti ragazzi che c’ho in casa. Ti lavano la padella e ti chiedono Ma Dimmi Un Po’ l’Italia? E io che di solito non ho voglia di vedere facce, ad averli intorno al tavolo c’ho piacere a parlare, un po’ di piacere mi viene in superficie, e parlo.     

Ma Dimmi Un Po’ L’Italia, ti chiedono, e prima o poi finiamo sempre a parlare di mafia, che alla fine si parte dalla monnezza per arrivare ai calcestruzzi c’è sempre qualcosa da dire da lasciarli a bocca a perta, e se Roberto Saviano è in ascolto sappia che le sue vendite impenneranno anche nel duemilaeotto in Olanda sarà anche per merito mio.        

Il ragazzo lungo che vive al piano di sopra, e la sua ragazza lunga, entrambi alti e biondi e ossuti, di questa delicatezza complessiva che li prenderesti per uno spot dei jeans, ste gambe lunghissime che ti paiono tre metri di tessuto blu che foderano culetti nordici impercettibili. Io poi non mi rendo conto che loro in fondo sono lunghi proprio come me, io che a immaginarmi dall’esterno mi immagino sempre più basso e piccolo, e invece sono tra i più alti della casa. Nel frattempo la coinquilina lesbica consuma un budino col suo amore catamarano, affondate entrambe nel divano, e la rima non la volevo fare ma è venuta così.       

(io sorseggiavo piano/un vino sudamericano…va bene, la smetto)          

Oggi c’era il sole alle otto di sera, e mi hanno chiesto se ero contento che fra qualche mese avrei avuto il sole anche alle dieci e mezza di sera, e io non sapevo che rispondere, ché qui non si tratta di essere contenti oppure No, ché la felicità è solo un ipotesi scritta a matita su di un pezzo di carta, un pezzetto di carta appallottolato nella tasca dei pantaloni, e se vogliamo dirla tutta qui c’è solo da essere pronti, e per quanto mi riguarda sono pronto – mi sento mediamente pronto – e le ipotesi per confermarle poi c’abbiamo tutta la vita davanti.

vivere in un paese

Vivere in un paese dove l’ubriaco che investe e uccide due ragazze viene mandato ai domiciliari, non è bello, perchè non è giusto.  

Però: vivere in un paese dove l’ubriaco omicida – che lo dice la legge, può stare ai domiciliari – poi viene trasferito in galera a seguito di tutte le polemiche e della cagnara che si è sollevata, è proprio un paese di pupazzi di cacca, diciamolo. Voglio dire, se la legge lo permette, se la legge dice che può andare ai domiciliari, allora è li’ che deve andare. Dice: lo ha chiesto lui di andare in galera. E allora? Mica si va in galera per richiesta. È una cosa schifosa che la legge permetta questo, ma non sono mica i titoli indignati dei giornalisti che devono decidere cosa va bene e cosa No. La legge è sbagliata: embè? Siamo ancora ai tempi dei romani col pollice verso? Ma vi rendete conto dell’assurdita’ della storia?

percorro in questi giorni

Percorro in questi giorni l’intera filmografia di Monicelli – sempre per quella storia dell’essere italiano «da lontano» – e molti di questi film sono ambientati negli anni 60. E allora stavo pensando: fossi nato negli anni 60? Sarebbe stata una tragedia, ho pensato. Ma una tragedia.   

Già oggi, con tutta la prospettiva storica che si dovrebbe avere dopo quasi dieci anni nel millennio nuovo, i miei coetanei mi fanno vergognare di un certo numero di cose, dal conformismo integralista all’alternativismo militante. Ma fossi nato negli anni 60 sarei morto all’istante, praticamente. Ascoltavo le canzoni dei Rokes (ma che colpa abbiamo noi se non siamo come voi) e dei Nomadi (chi vi credete che noi siam per i capelli che portiam) e giungo alla conclusione – ed ero giunto a queste conclusioni già tanto tempo fa ogni volta che ste canzoni sono state passate alla radio – che il conformismo giovanile italiano ha proprio radici profonde. E’ proprio radicato dentro la cultura, scavato e cementato. Piazzato al centro. Una colonna di certezza irremovibile.   

Gli anni 60 hanno proposto lo stereotipo del giovane italiano che non dice niente, che è il nulla, solo che si cresce i capelli e suona la chitarra e che si scaglia contro ipotetiche critiche lanciate al suo indirizzo.  

Quando per strada noi passiam  
Voi vi voltate per guardar   
Ci vuole poco a immaginar  
Quello che state per pensar
  

Che poi è un po’ come quelle ragazze che "vuoi dire che ho il culo grosso? ma guardati te, guardati!" quando ancora non hai aperto bocca. Di canzoni autoreferenziali sulla stessa solfa ce ne sono tantissime. Ma proprio a pacchi. Dove c’è il giovane che si lamenta di ipotetiche esclusioni e derisioni della società. Solo che lo fa in prima serata sulla televisione di Stato democraticacristiana. Che è un po’ come dire, per fare un esempio, quei ragazzi che battono le mani nel pubblico delle trasmissioni, quelli che servono a fare la parte dei giovani, ecco bravi mettetevi qua vestiti da giovani, magari con una cresta e un orecchino al sopracciglio ma sempre sorridenti e puliti, così i pensionati da casa sprofondati in poltrona pensano quanto sono giovani questi giovani. E infatti poi ste canzoni erano tutte fondate sul Noi, Voi, Voi credete che Noi siam, se non siamo come Voi, Noi Voi, se non pensiamo come Voi, che colpa abbiamo Noi.        

A vedere queste cose si capisce che un Paese conformista non lo si costruisce in un attimo, serve il lavoro certosino che parte da lontano. Servono i giovani disposti a recitare la parte dei giovani (vi chiamiamo capelloni, e santiddio non voglio vederne nemmeno uno coi capelli corti, capito?!?) e poi magari qualcuno che ti mette un po’ paura (ma sempre entro i limiti) al pensionato che guarda la tv a casa con il tovagliolo a bavetta per non sporcarsi di pastasciutta. E le cose non cambiano mai, un Dj Francesco che zompa vestito da pirla è un po’ come il batterista dei Nomadi che si sforza di fare le smorfie davanti alle telecamere. Poi i puristi si indignano ma insomma, il video dice tutto. Si può dire che questa è storia, che sono miti della musica, ma le immagini del batterista dei Nomadi davvero non sono paragonabili – quanto a giovanilismo sforzato – nemmeno al peggior Jovanotti dell’epoca d’oro.         

E poi negli anni le cose continuano sempre allo stesso modo: nei miei anni 80 da bambino ricordo che a carnevale i genitori ti vestivano da «punk». Ti strappavano un paio di jeans al ginocchio e ti drizzavano i capelli col gel. I punk, capito? Perchè un paese-balena irremovibile è capace di masticare digerire e cacare tutto. Tutto sotto controllo. Tutto che diciamo noi come dove e quando. Poi inviti Brian Molko e quello giustamente ti spacca tutto davanti al pubblico di incravattati, e per un momento vedi il cortocircuito fra due culture troppo diverse.

   
Dice: ma che cazzo ti è preso oggi con sta storia dei giovani? Non lo so, non lo so. Sto pensando ai monaci tibetani uccisi per le strade, davvero. Giuro, sto pensando ai monaci tibetani. Ci sono proteste in Italia, adesso, per tutti sti monaci trucidati? Pare di no, vero? Sto pensando a cosa ha scritto Leonardo su questa cosa, e oggi mentre tornavo a casa c’era un sole che si specchiava sull’asfalto bagnato e non mi faceva vedere nulla. E ho partorito tutta una serie di pensieri che poi andavano a finire – non so come, mischiandole con Monicelli – a queste considerazioni. Mi ricordo solo il punto di partenza e il punto finale, ma non tutto quello che c’era in mezzo.    

Pazienza.