per due volte

Per due volte nell'arco della stessa giornata mi sono preso un “you are funny”. La prima volta da una collega, si parlava di cose serie, solo che poi comincio a scherzare, mi muovo e poi innesco la mimica facciale più di quanto dovrei. La seconda volta era di sera, mi trovavo sulla terrazza di una casa all'ultimo piano che si vedeva tutta Brùsselle, ad un barbecue dove conoscevo pochissimi nomi.

 

Per la prima mezz'ora sono rimasto nell'angolo che non avevo voglia di parlare con nessuno, poi mi sono convinto che non era giusto e ho cominciato a parlare con tutti. Il fatto è che come lo traduci you are funny? La verità è che lo traduci con: “sei uno scemo”. Mi muovo dalla trasparenza alla scemenza senza tappe intermedie. Potrei anche esistere nella moderazione intermedia, ma mi viene male, e di solito sono falso. Di solito, però stanotte per esempio No.

 

Quando anni fa raccontavo che mi sentivo in un vicolo cieco e non sapevo cosa fare e come fare, alcuni non mi hanno preso sul serio. Ma io lo sapevo che non mi trovavo in una bella situazione, epperciò adesso mi sento abbastanza un miracolato.

 

Ho visto Aniene di Guzzanti, ho visto Vuoti a Rendere, film ceco che parla di come il sottoscritto vorrebbe diventare vecchio.

domenica c'era il sole


 

Domenica c'era il sole e sono andato a correre nel posto della foto. C'erano facce bellissime.

E stavo benissimo.

 

Ma questo stare benissimo comincia a preoccuparmi. Non sono cresciuto con lo stare benissimo. Adesso che tutti i problemi si risolvono uno dopo l'altro, comincio ad aggrapparmi con le unghie a quello che sono io, ché non lo voglio perdere. Voglio rimanerci attaccato.

 

Per esempio ieri sera stiravo camicie e pensavo MA Che Palle Stirare Le Camicie. Il sangue mi va ai piedi e mi sento male. Mi viene una sete da malato. Sto male. E cosa succede? Stamattina vengo a sapere che ho agevolazioni pure nello stiraggio delle camicie da una agenzia specializzata. Truman show effect.

 

Per fortuna poi mi creo problemi da solo. Mi perdo nel supermercato più grande mai visto, ché ci trovo pure le macine del mulinobianco (hey, espatriati all'ascolto: le macine del mulinobianco, ho detto). Questo supermercato con il pavimento obliquo che se lasci il carrello quello se ne va, prende velocità e ti distrugge una sezione del reparto vini. Ci sono troppe cose in questo supermercato, e mi ci perdo. Continuo a girare fra mura altissime di cereali e sottaceti. Sindrome di Stendhal in the carrefour. Ci perdo un'ora, i miei surgelati sono ormai scongelati. Ma sono una persona seria, e me li porto a casa lo stesso. 

va bene così

Dice la mia capa spiandomi la faccia, stai sorridendo, non è così usuale vederti sorridere. Io che non avevo motivi per sorridere, sorridevo solo perché certe volte al lavoro mi sembra brutto mantenere una espressione neutra per troppe ore, allora prima di girare gli angoli in corridoio, o prima di entrare in una stanza, faccio le smorfie e monto su un mezzo sorriso. Non è usuale vederti sorridere – comunque, mi dice.

E il discorso finisce lì, anche se io volevo dirle No Aspetta, Parliamone. Io non ho voglia di sorridere la mattina appena arrivo, sai? Cioè, a volte succede, ma è raro. Molto più spesso non mi va. Anzi mi chiedo, mentre ticchetto sul computer, come si fa a ridere ogni mattina. A sghignazzare. Non mi da fastidio per niente. Fate fate pure, ma io mi chiedo come sia possibile. Anzi la domanda sarebbe un’altra. Anzi, non sarebbe neanche una domanda.

Sarebbe solo da dire: io Questo Sono. Cioè, mi togliessero questo broncio, non so cosa rimarrebbe. Mi togliessero tutte le cose che ho avuto con un broncio nella mia vita – la mia letteratura con il broncio, e la musica con il broncio, l’interesse per le persone con il broncio, la mia esistenza attorno all’adolescenza con il broncio, le mie prospettive con il broncio, tutto questo disseminato pure di momenti in cui invece ridevo – ecco, non so proprio dire cosa rimarrebbe.

volevasi segnalare

La voglia di tornare in Italia fa su e giu’ come un’altalena. Questo da sempre. Oggi la voglia e’ andata su ascoltando una puntata di Melog con frequenti spezzoni audio di commedia all’italiana degli anni  50, 60 e 70 (mangiando nel frattempo un panino e osservano oltre il vetro un barbaro con felpa adidas acetata su camicia a righe), poi e’ andata giu’ leggendo l’ennesima compilation di piagnistei organizzata dai geniacci di Repubblica.it.

poi ci sono quelli

Poi ci sono quelli – tipo me – che per essere piu’ credibili sul lavoro si inventano trucchetti semplici semplici e gratuiti. Che alla fine funzionano, e pazienza se uno si impegna tanto in altri modi, alla fine sti trucchetti funzionano. Per esempio – ma questo vale solo per chi ha a che fare con una lingua diversa, in questo caso l’inglese – mi dicono una cosa e non capisco. Allora dico: Mh? Quelli me la ripetono, io se non capivo pure la seconda volta, prima dicevo di nuovo: Mh? Adesso invece faccio: Ah! Come se avessi capito. Ma non ho capito. Pero’ lascio uno spazio di silenzio all’interno del quale prima o poi si inserisce qualcuno. Faccio la figura del riflessivo. L’altro trucchetto é abbastanza simile. Ti dicono una cosa, tu sai gia’ cosa rispondere – lo sai benissimo, lo sai perfettamente, lo sai fin nei minimi dettagli – pero’ fai finta di pensarci. Sposti lo sguardo dal tuo interlocutore verso la finestra, poi verso il pavimento. Fai finta di rispondere, ma ti fermi subito. Di nuovo finestra, di nuovo pavimento, e infine rispondi. Fai la figura del riflessivo. Apparire é meglio che curare.

camera trovata

Camera trovata. Enorme botta di culo. Ho cambiato così tante volte casa, e ho messo così tanti annunci in giro, che alla fine un vecchio coinquilino di una delle mie case passate ha visto il mio annuncio su internet (titolo: “not possible to live under the bridge”) e mi ha chiamato. Aveva cambiato casa pure lui. Adesso viviamo di nuovo insieme ma in un altra casa. Mi è toccata in sorte la camera del suo uomo che è dovuto andare via dal Paese Bassoper un po’. Che culo. La camera è finalmente enorme, con tre enormi finestre che danno sul quartiere. Una delle ragazze che viveva qui non conosceva bene la camera. Quando l’ha vista è rimasta sconvolta, la voleva lei ed è scoppiata a piangere. Io non sapevo cosa dire, mi sono fatto da parte e mi sono interessato alle bollette scritte in barbaro appese in corridoio. Mio vecchio coinquilino che sarebbe poi il prototipo dell’uomo perfetto già descritto su queste pagine tempo fa. Ho rincontrato la sua pianta d’appartamento nella sua nuova camera. Io adesso non so voi, ma a me non era mai successo di conoscere una pianta, prendersi cura di questa pianta (per sei mesi, mentre lui era via in Spagna) dormirci insieme, poi andare via per quasi un anno e rincontrarla in un altra casa. Entrare in una stanza ed esclamare: toh, ma io ti conosco! Sei…sei la pianta! Ecco, sono queste le cose che mi succedono.

Ho scaffali ampi e un nuovissimo parquet. Se pure uno non trovasse motivi per guadagnare tanti soldi, almeno dovrebbe farlo per vivere in un luogo decente in un quartiere decente. Nei quartieri meno sfracellati pure le facce sono diverse. Pure le facce. Il modo di camminare. La gente va a correre con le cuffie nelle orecchie. Però sta cosa di spostarsi sempre, alla fine succede che non faccio più caso a tante cose, per esempio le chiavi di casa mi sono state date con un portachiavi di legno intarsiato che io ho preso e messo in tasca, senza chiedermi perché, senza chiedermi cos’é. Questo non lo fanno le persone normali, le persone normali lo sanno cosa hanno in tasca. Se glielo chiedi te lo spiegano (“l’ho comprato ad un mercatino in Nepal un giorno che pioveva in diagonale”) io invece prendo e metto in tasca. Me lo chiedessero, direi che ne so. Non lo so.

faccio cose 090909

E quindi non dormo abbastanza. Gia’ so di avere le occhiaie prima di tirarmi su dal letto. Dietro la porta il nuovo coinquilino tedesco dice: qui invece ci vive un ragazzo italiano. E poi una voce femminile che ride. Dev’essere la nuova coinquilina indonesiana. Io gli indonesiani onestamente non ce la faccio piu’. La puzza di cucina indonesiana pensavo di avere chiuso, e invece No.

Eppoi almeno in italiano dici indonesiano, che suona bene, in inglese invece dici indoníscia, aggettivo indoniscian, che non suona tanto elegante. Cerco casa. Mi chiamano per una casa. Ti piace la camera? mi chiede sto bovino barbaro. Mi piace. Anche senza pavimento? (non c’é il pavimento) senza intonaco, senza frigorifero e lavatrice e piano cucina (che non ci sono, li devi comprare a parte e metterli vicino al letto). Sí sí mi va benissimo, dico io. Dividerai il water – solo il water, eh! – con quello che vive di la’. Comunque é per poco, perché poi lo mandano via. Anzi, adesso é pure in galera. Ma va’? Vuoi la sua camera? Te la faccio vedere, li’ pero’ c’é il pavimento.

La porta é chiusa. Il bovino – é una bovina – infila una mano nella finestra, dal balcone, e sposta la tenda. Un tugurio, ma enorme, e col pavimento. Col pavimento! Ci mettiamo a discutere: secondo te lo portano via, il pavimento, prima di lasciare la camera?  Va be’, dico mi piace di piu’ quella di prima, Sí Sí tranquilla – bovina! – mi piace tantissimo. Poi invece quando torno a casa parcheggio la macchina, affloscio la testa fuori dal finestrino, ci penso due minuti e infine le mando un sms dicendo che mi dispiace, ma forse é meglio di No. Oh, fa lei – eri la mia prima scelta. In quel momento, dall’altra parte della strada, una ragazza si affaccia a intervalli regolari dalla finestra e chiama qualcuno, non capisco chi, ma dal tipo di nome dev’essere – lo spero per lui – al limite un gatto.   

faccio cose

Un vento oggi in Paese Basso che non si vive.

Piove e gli oriundi attendono che passi incollati ai tronchi degli alberi. Perché poi col vento passa. Io che non sono oriundo cammino come un cretino con l’ombrello. Ma sono un cretino, e il vento cambia sempre direzione, l’ombrello si apre al contrario, e dopo aver smadonnato penso che forse era meglio aspettare incollati ai tronchi degli alberi. Scopro questa cantante che si chiama Emiliana Torrini che però è islandese. Viene qui a suonare tra poco. Non mi piace. Cioè, è brava, ma non mi piace. La mia padrona di casa si lava i capelli rossi ingelatinati nel lavandino della cucina. La mia padrona di casa mi dice che la casa è in vendita e allora fra poco devo andare via da qui. Siccome è in vendita, e siccome la mia padrona di casa è un agente immobiliare, conosce tutti i metodi per vendere la casa. La casa per essere venduta, mi spiega, deve essere quasi vuota, che pare più grande. Così mi entra in camera e mi svuota la camera, nasconde tutto, con la promessa di mettere di nuovo tutto a posto, col risultato che non trovo il mio libro di Cappelli ma trovo un vaso di fiori viola sul comodino. Che non è mio, il vaso, e lo devo restituire. Col vaso che perde terra da sotto.

La lavatrice gira. Stiro le camicie.

questa casa in cui vivo – lezioni di sana e consapevole intolleranza

Questa casa in cui vivo mi fa conoscere aspetti di me che non potevo sospettare. Il cinese effeminato lo incontro in cucina con la sua tutina e la maglietta albicocca aperta sul petto, e sul petto ha questo enorme neo rotondo che vuole richiamare la mia attenzione, essendo piantato su lucida e glabra pelle cinese. Lui dice: Oh! In cucina non ci stiamo tutti. Oh!, scusa fammi passare (la cucina è microscopica), Oh! Scusa ho dimenticato il mio teapot. Cerco di prendere le impronte digitali alla mia tolleranza: ce la faccio a sopportare il cinese nella sua tutina che mi fa Oh! nella microscopica cucina? Credo di farcela. Quello che non riesco è tornare a casa e trovare l´altro cinese – che non sarebbe proprio cinese – che ogni sera ogni sera ogni benedettissima sera all´ora del mio ritorno a casa si fa trovare con il pentolino sul fuoco a cucinare tragedie speziate, mentre la casa diventa un girone dell´inferno speziato. La tolleranza, capiamoci sulla tolleranza. Io molto spesso, per trascorrere pochissimo tempo in cucina e a causa della mia pigrizia, mi preparo pizze surgelate o insalate giá pronte. Lui invece ogni sera ogni sera ogni sera ha il suo pentolino pieno di morte. La puzza sale per la casa, infesta il piano terra, arriva al primo piano, poi al secondo dove ci sono solo io, e mi entra in camera passando sotto la porta. Apro la finestra per cambiare l´aria, ed è il dramma: si crea una fortissima corrente ascensionale partendo dal suo pentolino fin dentro la mia camera, e la mia camera in un istante diventa Bangkok.  

la mia nuova camera


La mia nuova camera ha la forma di L per un totale di dodici metri quadrati. In questo momento mi trovo nel bel mezzo dell’angolo retto che si trova in tutte le L degne di questo nome. Il tetto è obliquo – sono in mansarda infatti – e c’è una finestrella che se la apro e metto fuori la testa, la mia testa diventa tegola fra le tegole di un tetto tegoloso di una casa barbara. La mia nuova camera ha la forma di L, ironicamente un’ala è stata subito battezzata La Zona Giorno, e l’altra ovviamente La Zona Notte. In un angolo della Zona Giorno c’è un televisore enorme che da solo occupa più di un metro quadrato (e arriviamo quindi a undici effettivi) che non mi è permesso lanciare giù dalla finestrella. Questo angolo del televisore viene pertanto battezzato Soggiorno, oppure Living Room, che tanto ormai sta parola fa parte del mio vocabolario giornaliero.

Chi vive in questa casa, non lo so. Ho incontrato un brutto ceffo per le scale, e di sfuggito ho visto una Mafalda in pigiama che sciacquava il piatto della cena. Di sicuro ci vive la padrona di casa, una cinquantenne Babbiona che incarna perfettamente lo sterotipo della donna nordeuropea CristianoMalgioglia – che i più fedeli fra i lettori ricorderanno bene. Lei in particolare si pone sulla variante CristianoMalgioglio gelatinato, una delle forme più gravi di CristianoMalgioglismo, aggravato dalla tuta acetata indossata in casa mentre lavora al computer e dal tartaro in tonalità conforme alla tintura dei capelli. C’ho il parquet.

In questa casa comunque le scarpe sono vietate, si cammina scalzi – toh! che ricordi – non è permesso usare la cucina dopo le dieci di sera per non svegliare la Babbiona, e la lavatrice la si può usare solo nel fine settimana. Qui sotto ci vive uno della Thailandia. Io sta cosa di cambiare casa in continuazione ho sviluppato un quattordicesimo senso per cui dopo dieci minuti in un luogo, dopo aver scaricato e messo nei cassetti la mia roba, mi pare subito di viverci da sempre. Io sta cosa di cambiare casa in continuazione ormai mi scivola addosso come fosse niente, in fondo mi basta sapere di poter parlare con chi voglio io, e di avere una lucina vicino al letto per leggere prima di andare a dormire, mi pare davvero di avere tutto. E non è che mi pare, è proprio così.  

qui si scappa tutto il giorno

Qua si scappa tutto il giorno in preda alla frenesia. Questa cosa del lavorare e studiare significa che mi trovo a scappare tutto il giorno in preda alla frenesia. Mi porto addosso certe occhiaie che mi ricordano i tempi andati, e in tutto questo le mani non sono piú sufficienti a trattenere con me le cose che mi servono. Il me stesso di questi tempi – infatti – scappa sotto la pioggia con uno zaino appeso ad una spalla che gli rende la corsa sbilenca verso un lato, mentre una mano trattiene una busta e con l’altra una banana (dice che la banana fa bene all’umore) e poi siccome non ha piú mani, quell’importante articolo da leggere prima di sera se lo tengo in bocca, epperò siccome non ha mani per un ombrello l’articolo si bagna, eppoi mentre scappa cerca di prendere l’ombrello dallo zaino spostando la banana nella tasca del giubbotto (dice che la banana contiene serotonina, ecco perchè può aiutare l’umore) però infilando le mani nello zaino invece dell’ombrello tira fuori un paio di mutande, perchè stando tutto il giorno fuori casa ormai si porta dietro qualsiasi cosa.  

Ieri un benzinaio romeno parlava italiano e mi raccontava che lui è stato a Bormio, ecco perchè parlava italiano. Io masticavo chewing-um e pensavo ad altro, a tutt’altre cose che non c’entravano niente, mentre cercavo in tasca i soldi per pagare.

fra le cose che non si possono spiegare

Fra le cose che non si possono spiegare c’è la gioia di avere il confine italiano distante un migliaio di chilometri, e cioè distante quel tanto che basta ad andare in giro in bicicletta ascoltando rino gaetano e morricone nelle cuffie, per sentirsi italiano come pare a te. Perchè io alla fine sono contento di essere italiano, è solo che non mi piacciono gli effetti collaterali.  

Però sono contento, eh. 

Poi sgusci in fra le stradine del centro e devi fermarti un momento perchè c’è l’ingorgo delle biciclette e non si passa più: proprio in quel momento c’è Rino che canta «Ma a tolto il cane/ Escluso il cane /tutti gli altri son cattiviii» e tu ti ritrovi improvvisamente ad abbracciare una ragazza bionda con una collana di fiori attorno al collo che tiene in mano un cartello con la scritta “Free Hugs”. Una ragazza bella che non l’avresti detto mai – a vederla da lontano – che potesse puzzare così tanto di cipolla. Ma le cose per conoscerle veramente devi esserci vicino. E in generale il senso di queste quattro parole, e il succo della sensazioni di questo mio pomeriggio a scarpinare per la città, è che le cose per capirle veramente ci devi essere dentro. Per cui non chiedetemi come sto, venite a toccarmi la fronte di persona, venite a guardarmi negli occhi, e poi fatevi un’idea.


Comunicazione interna per il me stesso fra dieci anni: Non ti ricordi cosa hai comprato coi soldi del tuo primo stipendio? Un paio di pantaloni kaki in offerta a 25 e 90, forse troppo corti ma del colore giusto. Poco prima una commessa obesa è venuta a stanarti in camerino perchè il negozio stava chiudendo. All’uscita sei stato schiaffeggiato dall’odore della Loempia vietnamita, una cosa fritta di verdure e pollo che avevi provato una settimana prima. Non ti era piaciuta, ma già sapevi che l’avresti riprovata per poi poterlo raccontare in giro.

tutto questo vivere facile

Tutto questo vivere facile – dicevo qualche giorno fa – fa venire pure degli interrogativi. Tutto questo benessere e questa disoccupazione nazionale al 2 per cento, e questo direttore di banca simpaticone che ti accoglie col caffè e si fa tante risate con te mentre ti apre un conto che non dico nemmeno quanto poco costa solo per non suscitare nervosismi. Tutte queste cose. Tutti questi giovani pieni di salute e affabili. Ti si pongono degli interrogativi. Tutti questi ragazzi che incarnano l’ideale del giovane studente, alto biondo in salute, la felpa col cappuccio e i jeans sdruciti.

L’iconografia cinematografica e pubblicitaria del giovane studente corrisponde a questi ragazzi che vedo ogni giorno. Siamo cresciuti con queste immagini nei telefilm e negli spot, pero’ poi ti sei trovato a vivere con personaggi diversi, diversi proprio fisicamente. Sei cresciuto fra i GiulianiSangiorgi mentre l’iconografia ti proponeva le facce nordiche dei modelli del Postalmarket. Ti sei trovato a crescere con personaggi come questi (e pure gli hai voluto bene) che Bologna ne è piena, oppure vecchietti in anticipo con le giacche Belstaff e la cintura, o ragazze vecchie in anticipo con il trucco pesante e le borsette firmate. Adesso c’hai tutto attorno la gioventú come te l’hanno fatta vedere sui giornali, ragazze che se fossero nate al tuo paesello adesso starebbero a tirarsela in un bar patinato esaminando in prospettiva le carriere dei possibili pretendenti, qui te le ritrovi col berretto di lana che scappano in bicicletta bagnate di pioggia e con gli orli dei pantaloni sporchi di grasso.  

Ma dicevo, tutta sta facilita’, poi finisce che ti fai delle domande. 

Perchè sei cresciuto in tutt’altro mondo, dove le cose sono aspre e l’erba è secca. E cosa succede a buttare un pesce di acqua salata in un laghetto di acqua dolce, tu ancora non lo sai. Le prospettive sono buone, ma ancora non lo sai. E allora finisce che ti fai delle domande. Perchè sei cresciuto nella melma con prospettive di melma, e tutta questa facilita’ non l’avevi messa in conto.

ragazzi di altre latitudini

Tra un paio di giorni si lascia questa casetta e si va nella nuova – poco distante da qui – dove ho pronta una camera di diciotto metri quadrati per i prossimi sei mesi, un water ed una doccia da condividere con una tipa che ancora non so chi sia, più un totale di sette (uno,due,tre,quattro,cinque,sei,sette) coinquilini. Ma non si vuole parlare della casetta nuova, e non si vuole parlare nemmeno della casetta vecchia: si vuole parlare invece del ragazzo che mi offre la sua camera per i prossimi mesi.  

B. è un olandese alto e biondo. Lascia la sua camera per un Erasmus in Spagna. Potrebbe benissimo fare il modello, coi suoi muscoletti e la sua presenza di giovine alto e biondo. E invece studia biologia all’università. La prima volta che ci siamo incontrati ho pensato, che ragazzo gentile, sto ragazzo qua. Proprio gentile. Eccolo che mi spiega dove firmare, eccolo che mi spiega cosa significa quella frase sul contratto, mi spiega che mi pulirà tutta la camera prima di andare via, che se ci sono problemi basterà scrivere una mail e lui mi risponderà. E davvero ogni volta che hai un dubbio glielo scrivi, e quello ti risponde con lunghe mail dettagliate e addirittura ironiche, e quindi tra le qualità ci devi mettere alto, biondo, muscoloso e pure ironico. Ti chiedi: sarà mica gay? Capisci che non è gay. Poi firmi il contratto, e tra i suoi libri scovi tante guide sul Sudamerica e la Spagna. Poi leggi ad alta voce qualche titolo di romanzo, e quello subito ti parla della trama del romanzo, di questo e di quello, e del contesto storico eccetera eccetera. Non fa la figura del precisino, falsifica pure la firma del padre e poi appena fuori dalla porta c’ha un paio di calzini vecchi in simbiosi con una palla di polvere. Hai bisogno di un certificato e quello te lo procura subito, scusandosi del ritardo. Ti chiede di andare a prendere il certificato al suo posto di lavoro. Perchè non solo studia, sto ragazzo, ma lavora anche. In un negozio di cremine cosmetiche nel centro della città. Allora pensi: sarà gay? Non è gay. Però arrivi lì che sta consigliando una vecchina grigia sulla prossima cremina da acquistare. E’ alto e biondo, muscoloso ma non appariscente, gentile ma non precisino, gentile ma anche cazzone quanto basta, cazzone ma apprezza anche la letteratura, pulito ma con una certa percentuale di backstreetboys nello stile, studente ma lavoratore, nordico ma interessato alla cultura mediterranea e sudamericana.    

E’ quel tipo di crossover umano che ti capitato rarissime volte di incontrare nella tua vita. Quel tipo di personaggi che non li puoi infilare in una sola casella, che una sola casella non ti basta. Quel tipo di mescolanza a cui tu in un certo senso ti ispiri, a cui vorresti arrivare, sebbene poi a te non riesce altrettanto bene, oppure riesce in un modo più sghembo: forse perchè non ne sei altrettanto capace, o forse per quella parte di albertosordi impacciato e sconclusionato che vive dentro di te.