possono ricamarci sopra quello che vogliono

 

Possono ricamarci sopra quello che vogliono ma se le immagini di una suora che canta generano tanta attenzione è innanzitutto perché fa strano. Stupisce l’accostamento fra cose estremamente distanti fra loro, e quindi si scatena la voglia di spiare. I meccanismi emozionali sono gli stessi che si scatenano con i fenomeni da baraccone o con la pornografia. L’oggetto è diverso ma i meccanismi sono gli stessi.

Non mi interessano gli ordini religiosi e non voglio parlare di questo. Voglio parlare di logicità. E logicamente andrebbe detto – parlando di questa ragazza che ha già provato, non riuscendoci, quando non era suora, ad entrare ad Amici ed Xfactor – che quella ragazza, quella suora, semplicemente non dovrebbe essere lì a fare quello che fa.

Innanzitutto perché le suore, leggo, fanno voti di “povertà, castità ed obbedienza” ed un certo tipo di vocalità pop e determinate movenze pop sono più o meno velatamente sensuali. La frase rituale “chi ha detto che una suora non può..” non regge. Certe cose una suora “non può” perché ha deciso lei stessa e lo ha promesso, che non può. Io che vivo in questo mondo “sensuale” e che ritengo giusto il mio fornicare, posso. Lei non può. Oppure possiamo dire che può, ma in nome di una superficialità diffusa che scioglie qualsiasi legame con la logica e la coerenza.

Il “cosa” non è logico, ma neanche il “come” e il “dove”. Chiedere di farsi insegnare il mestiere di cantante pop ad Alessando Aleotti in arte JAx, che fra le altre cose cantava – ai tempi in cui gli chiedevo gli autografi – “le donne le uso solo come svuotacoglioni” non è opera di evangelizzazione. Muovere il corpo esattamente come le popstar contemporanee non è segno di modernità. E’ disconoscimento di quello che si è, per seguire quello che non si è. E’ farsi assorbire da canali e meccanismi antitetici a quelli a cui hai giurato fedeltà. Non è un cross-over di culture diverse: è rimpiazzare goffamente una cultura con un’altra. Quindi piuttosto che parlare di una religiosa che si apre al mondo si dovrebbe parlare della sconfitta plateale e in mondovisione degli ordini religiosi. Però non è la debolezza della singola Cristina che mi interessa quanto piuttosto l’effetto mediatico, sintomo di qualcosa di più grande. Perché entusiasmarsi e magari emozionarsi per queste immagini – al di là dell’istintiva simpatia che provocano tutti i calimeri di questo mondo – non vuol dire essere anime buone ma organismi semplici che involontariamente brindano alla superficialità.

(e per guardare il video su youtube ho dovuto prima sorbirmi la pubblicità “uncensored” di Dior Homme che a questo punto, visto l’argomento, consiglio)

So this is Michigan

michigan

Meno quindici quando ci arrivi.
L’auto del tuo collega è scuffundata sotto la neve (ti piace rimuginare parole dialettali mentre ti ubriachi di novità). Sei consapevole che ormai cominci a sperare che nel corridoio del nuovo albergo ci sia un distributore che includa anche cioccocose al burro di arachidi. La faccia delle signorine quando fai colazione sono paralizzate in un sorriso eccessivo e falso e cinguettante mentre ti chiedono se è tutto ok, se vuoi altro. La stessa espressione che notavi giusto ieri a tutt’altre latitudini. L’esagerazione lessicale è contagiosa. A che piano vai? mi chiede una specie di maggiordomo. Al sesto. Grazie, dico io (ché lo trovo normale). E’ un mio grande piacere, sir, risponde lui (ché evidentemente lo trova normale). Avete bisogno di qualche informazione? dice qualcuno nell’altoparlante. Well, se avete bisogno, allora andate lì e tizio “sarà più che felice di rispondervi”. Capito? Non felice: più che felice. Qualcosa che va proprio oltre. Talmente oltre che non esiste neanche un termine adatto per definirlo e si è costretti a descriverlo come in eccesso rispetto ad altro, che già sarebbe tanto.

Per sentirti americano giri per i corridoi con un caffè nel bicchiere di cartone in mano. Non sei americano per il bicchiere di cartone, non sei americano per il caffè (mezzo litro, e sarebbe quello “medio”) ma piuttosto sei americano per il modo di tenerlo in mano, ad altezza del petto. E per il fatto di portartelo appresso anche quando non ti va più. Sono cose queste che vedi spesso attorno a te a Brussèlle – ché con questa gente ci lavori, ne incontri spesso – però adesso sei tutto circondato.

Al quinto giorno cominci ad attenuare il tuo tono moderato da europeo e rispondi molto energicamente come piace a loro. Efficienti energici e risoluti, bisogna essere. Non ti stupisce quindi, nel posto in cui scrivi queste righe, mentre bevi birra michiganiana pubblicizzata in quanto “belgian style”, leggere sul menu che se a pranzo la tua ordinazione non arriva entro un quarto d’ora, allora sarà gratis.  Alla fine di questo viaggio probabilmente vorrai un po’ più bene a questi personaggi. Solo che hai bisogno di analizzarli ossessivamente, dissezionare i comportamenti e quindi misurare le differenze, per avvicinarti – però molto  molto lentamente – a loro.

So this is America

Quando la signora mi ha chiesto come volessi il cheese sul cheesburger, ho esitato.
Lei mi ha imboccato la risposta: Ma Americano! Sei in America: allora americano, giusto? Giusto! ho risposto io, continuando a guardare comunque affascinato la partita di rugby di cui mai mai mai comprenderò le regole.

Credo che però il racconto debba partire dalla mattina. Entro in aereo e subito noto tanto spazio tra i sedili ed un ambiente molto pulito ed ordinato. Mi dico: meno male, se devo fare tante ore di viaggio, perlomeno starò comodo. Solo che non trovo il mio posto. Dopo due minuti di ricerca mi rendo conto che il mio posto è in tutt’altra zona dell’aereo, oltre una barriera fatta da steward gentili ed eleganti. A quel punto ricordo tutto: il mio posto è in business class. Non avevo prenotato io e perciò l’avevo dimenticato.

Ora, ci saranno quelli che già lo sanno cosa significa la business class dei viaggi intercontinentali. Bene: io non lo sapevo affatto. Di più: io non lo sapevo e poi tra l’altro viaggio tantissimo con Ryanair, al punto che per certe tratte le hostess mi riconoscono pure. Di più, gli americani esagerano sempre. E dunque dal mio punto di vista di pinolo e pivello mi sono stupito di tutto. In certi momenti ho dovuto copiare una signora mia vicina perché certe cose proprio non sapevano cos’erano, come funzionavano. Io che di solito leggo tantissimo in aereo, ho abusato di film americani, telecomandi e pulsanti, vino portoghese e sedili che diventano letti. Mentre ero sotto una coperta ho avvertito le turbolenze dell’aereo, ed erano turbolenze ritmiche, e quella sensazione di essere steso su qualcosa che vibra ritmicamente mi ha ricordato – solo chi lo ha provato può saperlo – le notti nelle cuccette dei treni disperati da Lecce a Bologna. Dopo alcune ore di viaggio mi ero già talmente abituato ad avere tutto sotto mano e pronto quando volevo e come volevo, che la semplice mancanza di una penna immediatamente a disposizione mi stava facendo innervosire. La parte meschina di me attendeva che George, lo steward simpatico e servizievole, venisse ad infilarmi una penna tra le dita già in posizione. Immediatamente.

Ad un certo punto ho vissuto un corto circuito personale osservando la mia vicina di viaggio americanissima – con cui avevo scambiato qualche parola prima del decollo – che si drogava sul suo schermo di sitcom americane, quel tipo di prodotto televisivo che conosco benissimo perché l’ho assorbito sin da bambino. Solo che io ero un bambino mediterronico e scalzo nella calura del Salento – e in tv c’erano le sitcom americane, totalmente diverse da me sudato e scalzo – adesso c’erano le sitcom americane e poi anche, giusto di fianco a me, una spettatrice identica alle protagoniste delle sitcom americane. Identica nell’aspetto e nelle movenze. Quindi automaticamente anche io ero nella sitcom americana mentre nel frattempo lo schermo mandava in continuazione sitcom americane. Dall’altra parte, il tizio seduto non era esattamente John Goodman ma ecco, se mi avessero detto che era suo cugino, ci avrei creduto. Un accerchiamento culturale improvviso.

E poi gli americani con quel loro lessico esagerato. Alla mia vicina e alla sua amica – due allegre signore periformi – dico il nome del paesino dove resterò per i primi tre giorni, sperduto nel nulla. Loro prima mi dicono che il mio inglese è “fenomenale”, che la giornata è “incredibile”, e poi che il posto dove andrò è molto, molto bello e interessante. Ah sì? rispondo io. E cosa c’è di bello da vedere? Vanno nel panico. Il centro commerciale, dice una di loro. Il centro commerciale, sì, ripete l’altra. E’ “fenomenale”, dice quella. Prima non volevo, poi ho pensato che avevo solo tre ore a disposizione e non potevo andare in altri posti. E poi ho concluso che antropologicamente, nulla sarebbe stato più interessante dell’immergermi tra gli americani nella provincia americana, proprio durante lo shopping natalizio.

E quindi eccomi là, l’unico che in un Mall è occupato ad osservare le persone, invece che le vetrine.

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Un esempio concreto ed efficace del concetto di relatività? E’ davvero tutto molto relativo, quando sta per cadere il governo, la nazione è sull’orlo del baratro, ma mi trovo in riva ad un lago appena fuori Roma a contemplare gente che si vuole tantissimo bene, penso solo a quello ed il resto non esiste.

E’ davvero tutto molto relativo, se a Lampedusa affogano centinaia di migranti ma nel frattempo cerco di adeguarmi alla moda del momento, quella del fotografarsi i piedi col mare sullo sfondo – o le rotule? non ricordo bene – mentre arriva ottobre e non mi arrendo alla fine dell’estate.

ottobre

vengo a scoprire

Vengo a scoprire anni dopo che un brano vecchissimo di questo blogghe è stato inserito all’interno di un corso di italiano per spagnoli. Nella lezione sul connettivo generico.

Delle righe scritte annissimi fa, ancora prima di splinder, robe che sono ormai perse per sempre – o che credevo perse per sempre, salvo poi ritrovarmele in questo modo. Cose scritte ai tempi dell’Erasmus mentre tornavo a Bologna forse per un esame, e guidavo tra le Alpi dell’Austria.

italianoamemipiace

Può succedere anche – dopo una sera in cui hai parlato in francese smozzicato di workaholic, poi in inglese di compleanni imbarazzanti, poi in italiano – dopo aver bevuto tipicissima birra belga, ti può succedere prima di tornare a casa di passare da un bar a prendere al volo della rosticceria e dolciumi tipici salentini, praticamente a cento metri dal parlamento europeo – cento metri –  ad un orario in cui se volessi le stesse cose nel centro del tuo paesello non troveresti niente aperto, mentre qui invece Sì, contro ogni aspettativa e ipotesi possibile. Il minestrone pazzesco che è Brussèlle non smette di stupirti.

e che ci posso fare

E che ci posso fare se sono affascinato dalle manifestazioni eclatanti di ignoranza. Mi affascina l’ignoranza, mi affascina (e sono masochista) la morte di ogni speranza che deriva dall’ignoranza.

A Brescia hanno il Tar ha bloccato un trattamento con cellule staminali a tre bambini. Non sto a spiegare i motivi perche’ questa scelta sia giusta sotto diversi profili (etico, giuridico, scientifico, medico e pure umanitario).

Quello che mi affascina in questa storia sono i commenti alla notizia.

C’e’ chi se la prende con il Vaticano.

C’e’ chi (certo che in altri Paesi questa terapia sia disponibile) suggerisce di “far curare i figli all’estero”. C’e’ chi se la prende con le multinazionali (le staminali non farebbero guadagnare, secondo loro,e percio’ sono ostacolate).

Chi con i giudici, chi con la burocrazia. Chi dice che certe terapie sono disponibili solo se sei parente di cardinali.

Non c’e’ bisogno di entrare nel merito: io penso che questa gente inzuppata di pregiudizi contro qualsiasi autorita’ (politica, economica, giuridica, scientifica) la trovi per strada, prende decisioni, vota, costituisce una nazione. Questi pregiudizi sono non solo figli dell’ignoranza, ma pure talmente dogmatici che finiscono per diventare religiosi.

E quindi chi si lamenta che “e’ colpa del Vaticano” fa tutto il giro: e’ cosi’ ignorante da diventare dogmatico, talmente dogmatico da essere religioso, talmente religioso da diventare oscurantista, talmente oscurantista da diventare un intralcio al progresso.

le coppie

Le coppie che vanno insieme in palestra, va bene. Le coppie che vanno insieme in palestra e si danno i bacetti, meno bene, soprattutto se ambedue brutti e over venticinque, però lo accettiamo.

Le coppie che vanno insieme in palestra e si danno i bacetti e lui usa il proprio asciugamano per passarlo sulla fronte sudata di lei, invece, lo dico tranquillamente: lanciafiamme.

breaking eggs

Quindi la sorpresa degli ovetti kinder non si apre più come si apriva una volta quando eravamo giovani. Forse già da tempo ma io l’ho scoperto stamattina. Forse a causa di un bambino che ha ingoiato la porzione piccola -un bambino probabilmente americano, a sto punto, ché da quelle parti ti denunciano pure se respiri troppo.

Conosco una che conosce una che per lavoro – da studente – ha fatto quella che chiude le sorprese dentro le capsule gialle, ma che poi dopo tre giorni di lavoro le facevano troppo male i muscoli delle spalle, ha dovuto smettere.

ci sono parole

Ci sono parole che all’estero – e in particolare nel mondo anglofono – vengono considerate italiane ma che italiane non sono. Generalmente hanno a che fare con il cibo e con un uso scriteriato del plurale. Per esempio “salami” per dire salame, “pepperoni” per dire peperone, “zucchini” per dire “zucchina”.  In paesi a lingua barbara, come il Paese Basso e le Fiandre, si usa anche “panini” per dire “sandwich”. Quindi la gente dice tranquillamente I would like one panini e crede di parlare quasi italiano.

Queste sono le parole che definisco “orfane” nel senso che gli anglofoni le attribuiscono all’italiano (dal quale certamente derivano, non essendo presenti pero’ nel dizionario) e gli italiani le ignorano. Sono parole orfane e apolidi eppero’ utilizzatissime.

Siccome questo qui e’ un argomento frequente e che snocciolo spesso, adesso devo controllare se ne ho gia’ scritto, e se l’ho  fatto, welcome arteriosclerosi.

l’ipertrofia dell’informazione

L’ipertrofia dell’informazione significa che ci sono molti più spazi dove mettere le cose da dire che cose da dire.

Ci sono molti più contenitori (giornali, telegiornali, siti di informazione online) che contenuto. Quindi se non c’è niente da dire o scrivere, qualcosa la devi comunque dire o scrivere. Perché se la quantità di notizie disponibili ogni giorno è variabile (a volte molte, a volte poche) i contenitori sono sempre lì che attendono di essere riempiti. E allora nei giorni di magra, certi fatti che sarebbero piccoli e insignificanti vengono messi in risalto per mancanza di altro. Nei giorni in cui non succede nulla, in cui non c’è nulla da dire, le notizie si inventano, partendo da fatti veri se ne deducono altri – però falsi, o non confermati – perché i contenitori ipertrofici sono lì che attendono, famelici, di essere nutriti con qualcosa.

La bomba di Brindisi per esempio è collegata alla mafia in funzione del fascino di questo collegamento, non della probabilità del collegamento.

meredith

Non potevo non seguire la storia soprattutto dopo questo. Le considerazioni sono che esiste una giustizia non scritta, per cui due colpevoli siccome sono molto giovani e in fondo bravi uaglioni, se questi giovani si sono cacati addosso per quattro anni può bastare, allora vengono assolti pure se sono colpevoli. Io non lo so, forse hanno perfino ragione loro. C'è il colpevole ufficiale per un pezzo di cacca. Ci sono quelli che stanno fuori ad un tribunale ad aspettare la sentenza (ma che gente siete?). Ci sono quelli che filmano con il telefonino quelli che stanno fuori ad un tribunale ad aspettare una sentenza (ma che gente siete?). C'è la sorella della morta che sta adesso in televisione ad ascoltare nell'auricolare la traduzione di Bruno Vespa che si collega con un ingresso di un carcere vuoto, dove non passa nessuno, dove c'è un inviato che si deve inventare qualcosa da dire per riempire lo spazio per non essere a sto punto mandato affanculo. Fuori onda.

poco meno di uno stuzzicadenti

Il capo dei vescovi italiani se la prende con abberlusconi che va a buttane, però senza nominarlo. Comportamenti tristi e vacui, dice lo vescovo. Ci rendiamo conto di quanto è grave sta cosa? Ma non perché lo vescovo non nomina abberlusconi. E non per abberlusconi stesso, definito triste e vacuo in quanto buttaniere, e dunque “difficilmente compatibile con il decoro delle istituzioni”.

 

Per il vescovo. Per i vescovi.

 

Perché fossero stati zitti, come erano stati zitti fino ad ora, sti vescovi, uno avrebbe pensato: i vescovi non si pronunciano su cose di buttane. Benissimo. Oppure, ad essere proprio magnanimi, uno avrebbe pensato: sti vescovi non leggono, non si informano.

 

E invece No: sti vescovi leggono e si informano. Sti vescovi si pronunciano, eccome.

 

Ma allora se si pronunciano e si informano, se ne deduce che uno non è “triste e vacuo” se va con una buttana (perché restano zitti). Se va con due (perché restano zitti). Se va con tre (…). Se va con quattro. Se si sceglie buttane di quasi sessant'anni più giovane. Se si sceglie buttane deboli con problemi personali e glieli risolve a botte di cinquemila euri.

 

No, uno deve proprio arrivare a caricarsene quaranta in casa, di buttane, per essere triste e vacuo. Deve comprare casa che non sa più dove metterle. Deve settarsi in modalità mitraglietta e farsene otto di fila e poi lamentarsi che gliene sono avanzate tre, per essere triste e vacuo.

 

Ma ci rendiamo conto quale immonda moralità buttaniera esce fuori da questa esternazione? Dove sti vescovi pongono l'asticella? Ma lo dico pure per voi, benedetti vescovi: se facciamo passare sto concetto di assoluzione buttaniera quasi totale, poi uno si viene a confessare solo quando ha inseminato mezza città. Vi scavate la fossa da soli facendo così, con la vostra asticella altissima che ormai pare poco meno di uno stuzzicadenti. 

non aver posseduto una televisione

Non aver posseduto per anni una televisione, poi mi succede che osservo le pubblicità e mi cade la mandibola a terra. Il mondo sta finendo se fanno una pubblicità del genere.

 

Anzi No: il mondo sta finendo se fanno una pubblicità del genere che funziona. Se c'è qualcuno lì fuori su cui questo messaggio fa presa. Se c'è qualcuno là fuori che non decodifica il meccanismo.

 

Dovrebbero insegnarlo a scuola, il meccanismo di decodificazione della pubblicità. E poi mostrare uno spot del genere e dire: questo è l'esempio più basso, ragazzi, l'esempio più banale. Sono sicuro che nessuno di voi potrebbe cascarci. (quando invece, oggi, a quanto pare…)

 

Nella vita tutto quello che fai è dire Sì.

 Ma se provassi a dire No.

 No alle regole. No al conformismo.

 Solo così scoprirai un'auto diversa dalle altre."

 

le mie cose quasi tutte impacchettate

Le mie cose sono quasi tutte impacchettate. Però poi mi chiamano dal Nebraska mentre dormo. Mi sveglio e prendo il telefono. È la signora che si occuperà di gestire il mio trasloco. Mi dice che subito dopo di lei mi chiamerà un traslocatore barbaro, contattato da lei nel Nebraska. Io mi sollevo su dal letto e osservo le mie quattro scatole piene di cose di pochissimo valore – non fosse per i libri. Il traslocatore mi dice che non devo impacchettare nulla, impacchettano tutto lui e la sua banda. Ah Sì? Ma pensa, dico alle mie scatole: non valete niente e c'è gente che si preoccupa per voi in due continenti del mondo.

 

E quindi domani mattina dovrebbe cominciare la mia quarta vita a Brussèlle.

 

Però intanto oggi pomeriggio faccio ancora in tempo a presentarmi in un edificio storico del centro di questa città barbara, sede storica dell'università barbara, e farmi laureare un'altra volta. 

i messaggi dei telefonini

Non avevo proprio nulla da fare, allora ho controllato le frasi che trovi come sms di default nel un telefonino. Ne deduco che, secondo i produttori di telefonini, noi umani facciamo una vita di merda. Ho trovato le seguenti frasi in memoria:

– sono in ritardo sono in riunione, chiamami alle
– adesso sono impegnato, richiamerò più tardi
– la riunione è annullata
– ti amo anch'io!
– Auguri!
– Grazie!

Va bene ci puoi pure scherzare, però da qualche parte nel mondo ci sarà pure stato qualcuno che camminando nella pioggia – completamente privo di qualsiasi fiato creativo nel  suo cervello – per rispondere ad un messaggio ha selezionato “modelli” e poi “ti amo anch'io!” e poi ha premuto invia. Brrr.