animali che non lo erano

Sono sempre affascinato da come i siti di informazioni presentano le notizie sugli animali. Al di la’ dell’inevitabile ignoranza dei giornalisti mi affascina il taglio sentimentale con il quale impregnano qualsiasi didascalia, dal leopardo “che grazia il cucciolo di antilope non divorandolo” (no giornalista, non almeno non in quella specifica foto pubblicata, poi magari lo fa giusto un secondo dopo) alla cagna che “adotta e allatta il cerbiatto” (come se questo portasse alla crescita di un cerbiatto sano e robusto). La gente vuole credere certe cose, e i giornalisti, che quanto ad argomenti scientifici fanno parte a pieno titolo della gente, si adeguano.

In questa gara alla castroneria condita da dosi variabili di sentimentalismo, una menzione d’onore va ai giornalisti di Repubblica.it, tra i più frettolosi e superficiali in assoluto quando si scrive di animali (si si certo, gli autori saranno stagisti pagati due euro a pezzo che non avranno il tempo di controllare, pero’ anche se pagati male e’ il loro lavoro ed ecco, lo fanno male).

Due esempi recenti.

Genova viene inspiegabilmente definita “città europea dei pappagalli” in quanto un tizio ha fotografato dei parrocchetti dal collare. Si scrive che Genova e’ “l’unica città europea” in cui sarebbero presenti questi comunissimi animali, quando praticamente sono ovunque, anche fuori dalla mia finestra belga mentre scrivo.

E ieri: un signore lombardo di tanto in tanto incontra una tartaruga nelle sue passeggiate in campagna e si e’ convinto che sia sempre la stessa. Addirittura che sia la stessa tartaruga da terra che gli regalarono nel 1956 quando aveva otto anni, perduta e miracolosamente ritrovata. Lo racconta ai giornalisti e quelli ovviamente ci credono, essendo questa la ricostruzione più sentimentale tra tutte quelle possibili. Peccato che quella fotografata e pubblicata dal giornalista sia una comune tartaruga d’acqua dolce che vive al massimo una trentina d’anni.

 

Per i cultori, registriamo che quelli che erano i Macchianera Blog Awards ora non contemplano più la parola blog. Piccola furbizia per poter inglobare – oltre ai blog – pure twitter e facebook.

Non solo: un tempo, i protagonisti erano perfetti sconosciuti la cui fama era legata essenzialmente a quello che scrivevano (e per esempio Leonardo, per esempio Daveblog) e poi in un angolino c’erano i “vip” ovvero gente conosciuta molto prima di scrivere su internet. Erano questi gli anni ruggenti del 2.0, ovvero del Chiunque che poteva fare Qualsiasi Cosa. Perfino il sottoscritto veniva incluso nelle nominations e su Blogbabel “Rafeli” veniva prima del blog di Di Pietro di Linus.

Sono anni che non rimpiangiamo affatto.

Perché (forse sarà il mio un ragionamento privo di fondamenta) ma credo che quella fase – quel modo di ragionare e di credere che Chiunque Potesse Fare Qualsiasi Cosa – abbia raggiunto l’apice con l’invasione grillina al Parlamento. I germogli erano sempre quelli, insomma. Sta cambiando qualcosa? A guardare le nominations di quest’anno – e mi rendo conto di unire mondi veramente molto distanti – sembrerebbe di Sì.

l’anno nuovo

Siccome possediamo cervelli forgiati dalle esperienze di gioventù, e in gioventù l’anno nuovo cominciava dopo le vacanze, e dopo le vacanze qualcosa era sempre cambiato, ora che non ci sono molte cose da cambiare, fai finta di cambiare qualcosa modificando – ancora abbronzato come sei – le immagini del desktop dei computer sotto mano, a casa e al lavoro. Attualmente sei impegnato a cercare un degno sostituto di questo.

Mi si informa che il dominio rafeli.com e’ ora libero se per caso volessi acquistarlo (non lo era quando registrai il qui presente .org). Direi che resto cosi’, mi sono affezionato al .org che fa tanto organizzazione no-profit.

se c’era una cosa

Se c’era una cosa fra i servizi di Google che ho usato tutti i giorni in cui accendo un computer e’ iGoogle, la homepage personalizzata. Ci tengo l’email, il meteo, il post-it per le note da prendere al volo, un widget per ascoltare tutti i canali radio e una volta, quando funzionava, anche un dizionario online di sinonimi e contrari. Praticamente perfetto, utilissimo. Cosa vuoi di piu’ dalla vita? 

Che te lo cancellino, sto benedetto servizio.

caro signor wordpress

caro signor wordpress, sa quale sarebbe una bella idea per i blogghe del 2012?
I post privati.

Non i blog privati, ché quelli già ci sono. I post privati: dare la possibilità – una volta ogni tanto – all’interno di un blog aperto a tutti di pubblicare post che restino privati, o leggibili solo ad un ristrettissima cerchia di persone.

Signor wordpress, ti ho pagato cotanto dominio e pure cotanto font personalizzato, vuoi che non ti paghi pure questa opzione? E dai, pensiamoci. Dai.

come si chiama

Come si chiama quella sensazione tipo di pena per quelli o quelle che su internet si fanno rappresentare da foto che non gli assomigliano per niente? Come si chiama sta sensazione? Non lo so, comunque voi dello Zingarelli in ascolto, pensateci, che  è ora.

il blogoemisfero

Dopo aver letto i vincitori dei MacchianeraBlogAwards ho pensato: ma nessuno nota niente? Non vi dicono nulla questi vincitori? E a voi studiosi della blogopalla, non vi dicono nulla sullo stato attuale della blogopalla?

Quanto omogenei siano i vincitori – soprattutto politicamente – nessuno lo nota? Insomma tra i vincitori si trovano tutti quanti in fila Spinoza, Gilioli, Nichi Vendola, Virzì, Repubblica, Leonardo, Metilparaben, Marco Travaglio.

Nessuno lo nota questo arrotolarsi attorno al proprio ombelico? Ma davvero non vedete il problema se una parte di mondo viene totalmente ignorata? E’ una blogopalla o un blogoemisfero? Dice: sono i lettori che votano. Appunto! Proprio perchè votano i lettori, vi rendete conto cosa stanno diventando – nella media – i lettori della blogopalla? Quanto conservatori e omogenei e prevedibili – e di conseguenza manovrabili – stiano diventando? Come si fa a non porsi il problema?

Quello che vedo, sapete cosa vedo? verdo un cane, di quei cani che si stanno per acciambellare sul pavimento e allora cominciano a girare in cerchio per trovare la posizione giusta – solo che questo cane che è la blogopalla gira all’infinito su se stesso, gira gira e in questo infinito girare assapora soltanto la puzza del suo culo.

per la prima volta

Per la prima volta quest’anno, due dei film che poi hanno vinto l’oscar, io li avevo giá visti. Tutto bello, nel The Millionaire, eh, tutto da vedere. Quanto a Milk, non lo so. E poi certo, bla bla bla, ma soprattutto ci sarebbe da chiedersi: chi ha corrotto David Mills?     

Qui mi si additano gli accenti sbagliati, ma non so come spiegare che le tastiere barbare hanno le loro regole, che é inutile insistere, e alla fine un´accento sbagliato é sempre meglio di un apostrofo messo a fare la parte dell´accento. E comunque va benissimo l´ortografia, ma chi ha corrotto David Mills?

Non mi capacito del fatto che esista Wikipedia, che ci siano persone con sta pazienza di aggiornare le voci per le cose piú impensabili, tipo l’omosessualitá nei testimoni di geova, le parodie di Cappuccetto Rosso, i risvolti medici del personaggio Tafazzi, o l´imperdibile discussione su Carlo Conti (!!!!), per non parlare poi della domanda: chi ha corrotto David Mills?       

(mai partecipato ad una catena prima di adesso, io)

i fan dello stupro di gruppo su facebook

Gabriella Carlucci (Pdl): «E’ un indecenza» 
Walter Veltroni (Pd): E’ una vergogna, quel gruppo va chiuso immediatamente.»  
Gianpiero D’Alia (Udc): «Ormai è una giungla che si sta rendendo complice di ogni genere di nefandezza»   

Volevo informare quella caterva di personaggi illustri che si sono scomodati per condannare con paroloni e indignazioni e strappamenti di capelli quel pirlotto che su FB ha aperto una pagina per i fan dello «Stupro di Gruppo», che dalle mie parti, quand’ero bambino, c’erano dei tipacci che accendevano i botti di capodanno in culo ai gatti, e per questa vergogna non c’è mai stato un solo comunicato stampa, ma nemmeno uno, e insomma per quanto mi riguarda, è proprio una vergogna.

(cioè: capito? Un pirla un giorno si sveglia e scrive una cretinata, e quelli fanno i comunicati stampa. Su internet ormai da dieci anni hanno capito che i troll provocatori vanno ignorati, quelli invece ancora si vantano di saper pronunciare cose come feisbuc.)

cose

Studio e lavoro in inglese, eppure non ho ancora capito come cavolo si pronuncia la parola “literature”. Siccome non lo so – perchè magari lo so eppoi lo dimentico – allora vado sui dizionari online che ti dovrebbero schiarire le idee. Secondo questo sito, per fare un esempio, la giusta pronuncia inglese sarebbe Li-ccia-ccià, mentre quella americana (si deve cliccare sull’iconcina con la bandiera, per ascoltarla) sarebbe addirittura Bli-dar-Ciàr, che somiglia di molto al ruttino post prandiale.  

Ora.

I topi non sono stati sconfitti, per la cronaca. Ogni notte consumano dosi massiccie di veleno. Allora delle due l’una: o il veleno non funziona, o nelle fessure della casa si nascondono migliaia di topi. Da capirsi.  

Qualcuno fra i commenti chiede del Cuggino Rasta. Posso solo dire che quello che non doveva succedere, è successo. Per il resto, le conseguenze sono state talmente deleterie che per motivi umanitari preferisco evitare di scriverne.  

L’ultima baggianata dei giornalisti italiani è quella di condire notizie da nulla con l’esclamativo di Facebook. Del tipo: questa cosa fa discutere molto «se ne discute su Facebook » oppure (peggio) il gruppo a sostegno di Pinco Pallino su Facebook «ha raggiunto i totmila iscritti». Utilizzando questo metodo precisissimo, questi alchimisti dell’informazione si sono scervellati a lungo, hanno analizzato tabulati complicatissimi, interpretato grafici intricaterrimi, e infine sono giunti alla conclusione che le tette grosse fanno audience

Il mio coinquilino biondo dagli occhi azzurri sembra tirare su con il naso mentre si fa il tè. Ha gli occhi rossi. Forse è raffreddato, forse è altro. È altro? mi interrogo. Se non glielo chiedo, allora sono io ad essermi «raffreddato». Infatti poi non glielo chiedo, non trovandomi d’accordo con me stesso.

facebook, il manifesto

Premesso che un iscrizione a Facebook non è da escludersi, ma solo in un ipotetico futuro, se mai Facebook dovesse diventare indispensabile alla mia vita su questo pianeta.     

Premesso che parlare di Facebook non è cosa da poco, perchè significa parlare di comunicazione e di quello che sta diventando oggi la comunicazione, e di come tutto questo influenzi la nostra concezione di comunicazione (per noi che esistevamo anche prima di Facebook) senza contare che questo sarà più o meno il modello di riferimento per quelli che verranno dopo di noi (perchè non sapranno com’era la vita prima del social networking).        

Dichiaro che la mia opposizione a Facebook è dettata dai seguenti motivi:

Se non ci fosse, non ci sarebbe assolutamente bisogno di inventarlo.         
FB non aggiunge niente a quello che già c’era. Vuoi comunicare con qualcuno in particolare? Vuoi comunicare col mondo? Oppure solo con una ristretta cerchia di amici? Bene, hai la mail, Skype, Messenger, i blog (privati, o pubblici), gli spazi web gratuiti, i siti per caricare fotografie e video, siano essi privati o pubblici. Te li scelgli tu, come piacciono a te. La differenza è che con FB è tutto integrato in una sola cosa. Che poi vuol dire, in altre parole: ci sono molti più vincoli. Ma soprattutto: è un bisogno che ti è stato proposto. Non ne avevi bisogno, poi te lo hanno proposto ed hai pensato: cacchio, ne ho proprio bisogno! Lo voglio! Come i telefoni zeppi di optional che poi alla fine non usi. Non ne avevi bisogno, ma poi lo hai comprato lo stesso perchè era troppo bello. E adesso con FB i vostri dati sono tutti lì, non più sparpagliati nella marea di internet, ma belli incasellati e pronti per la consultazione. Contenti voi.        

Io di amici ne ho al massimo, ma proprio volendo stare larghi, una quindicina.           
Con FB invece si raggiungono le centinaia, se ci si lascia andare a considerare “amici” anche vecchie conoscenze, colleghi e il fratello della fidanzata della zia morta vent’anni fa in Lussemburgo. Una cosa bella di FB è che pure non essendo iscritto, posso vedere chi sono gli amici delle persone che conosco. Ed io so benissimo che alcuni fra quelli che vedo non sono nemmeno lontani conoscenti. Alcuni proprio si odiano. Il numero di “amici”, poi,  è una delle prime informazioni che ti danno, e sta sempre lì in evidenza.. Tizio ha tanti amici, mentre Caio qualcuno di meno, ma promette bene. Nasce il sospetto che per il Facebokkiano diventi una gara ad accumularne sempre di più. Nella mia vita normale non mi sono mai posto il problema di pensare quanti amici ho – tranne in questo momento – o quante persone conosco. È irrilevante. È qualcosa che fa parte dei telefilm americani, dove si parla della ragazza pon pon “popolare” confrontata con la “sfigata” che sta sempre nell’angolo che ha solo due altre amiche sfigate come lei.       

Ma che fine hai fatto? E come stai? E dove stai? Ma pensa te.      
E poi niente più. Voglio dire, puoi pure ritrovare il vecchio amico che non sentivi da dieci anni – questo lo concedo, può succedere, che bello – ma quanti degli amici ritrovati ti eri impegnato a cercare? Chi cerca trova: tu hai cercato? Li hai aggiunti ai tuoi amici perchè FB ti ha fatto nascere il bisogno di «cercare amici perduti» o davvero ci avevi provato in passato, di ristabilire un contatto con loro, e non ci eri riuscito? E quando li hai trovati, hai poi ristabilito un rapporto con loro oppure ci scambi frasi smozzicate in chat? Li hai poi chiamati al telefono, questi amici ritrovati? E adesso vi sentite come prima o è stata solo una carrambata di una sera? E se è stato solo un momento – ma magari No – però adesso questi mezzi sconosciuti verranno a spulciare ogni giorno nelle tue cose, e allora quello che scriverai, le fotografie che metterai, saranno influenzate da questo sbirciare, che per alcuni è anche compulsivo.             

Affezionato a certi ricordi, non mi va di barattarli con nulla.     
Ho pochi amici, alcuni li raggiungo con la voce via internet, mentre alcune persone – che ci sono cresciuto insieme – non le vedo quasi mai. Ci rivediamo una volta all’anno, oppure meno, e ogni volta, quando succede di reincontrarsi sono sinceramente felice di avvicinarmi a loro, di incrociare il loro lo sguardo, della pacca sulla spalla che ricevo, di quella che do,  dell’odore che riconosco e che riporta immagini agli occhi, della mezza ruga che scopro sulla faccia, e di tutto quello che è stato e che ho cristallizzato da qualche parte nella testa. Mi piace il reincontrarsi, mi ricorda la trama di Due di Due, mi pare giusto che le cose vadano così, e se proprio non è giusto – se anche potrebbe andare diversamente – mi piace che nella mia vita vada proprio così, che ci siano questi momenti. Mi piace ascoltare il racconto dei cambiamenti, riconoscere le espressioni facciali mutate nel tempo ma che in un certo senso sono sempre quelle. Mi piace poi dirsi Ciao che tanto prima o poi ci si rivede, e invece già lo sai che passeranno mesi ma anche anni, però comunque la prossima volta sarà bello uguale. Magari si può cancellare tutto questo tenendosi in contatto continuo (con relativo aggiornamento fotografico) e nessuno garantisce che sia sbagliato – fatelo pure, voi Facebookkiani – ma io ste cose voglio tenermele così come sono, e voglio sapere che negli anni potrà essere ancora così.              

Il tempo che porta via.           
Ore e ore. Va bene, tu invece lo sbirci solo una volta al mese. Però si dice in giro che FB porti via molto tempo, e che scateni un atteggiamento compulsivo trascinando verso la dipendenza. Se ho tempo, scrivo. O corro, o leggo. O studio. Soprattutto leggo. Mi manca solo diventare dipendente di un giochino succhia tempo.      

Siamo soli.            
Questo è un concetto filosofico: noi siamo soli, e saperlo fa un po’ male. È una cosapevolezza che si cerca di tappare con le pezze che si hanno a disposizione. La socialità compulsiva, le amicizie morbose – una volta era ciondolare al bar – adesso i messaggini, il social networking, il chatta chatta. Per alcuni queste sono solo delle pezze. Sono solo un rimandare il momento della consapevolezza, oppure per lenire il dolore di questa consapevolezza. Sono molte meno ore da soli con noi stessi, le ore che non va di sopportare. Gli amichetti virtuali, il plin plin dei messaggi che arrivano in chat, tutto questo aggrapparsi ostinatamente agli altri, sono analgesici che funzionano finchè ci credi. Io cosa posso farci, non ci credo. Non ci riesco. Cosa posso farci.           

+961% solo nel 2008, ma si sgonfierà.          
Però intanto siete stati i cerini di questa fiammata. E siete pronti per fare i cerini della prossima che prima o poi arriverà.  

e mica finisce qui, eh

«L’eccezione di un ambito chiuso dentro Internet che viene preferito a Internet, nei miei pensieri e’ destinato a essere superato domani. O cosi’ almeno intimamente spero. Ma non ditelo in giro.»


Questo quello che dice Mantellini su Facebook. Quanto a me, la mia battaglia inutile e solitaria non è certo finita. È solo che devo trovare cinque minuti per argomentare le mie considerazioni in modo circostanziato, anche se lasciarmi andare a sproloqui infondati e vaneggianti è comunque molto molto alta.

vita virtuale

Io perlomeno posso assicurarvi che, rispetto al pomodoro di cui sopra, sono molto ma molto più bello.

second life(qui la storia)

Poi se lasciamo perdere Second Life e consideriamo Facebook, volete dirmi che i Facebookkiani, nei loro profili Facebookkiani, non si fanno vedere più belli di come in realtà sono? Volete dirmi questo? Va bene, ditelo (ditemelo? dicetemelo?). Io farò finta di crederci.


io non ce la faccio

Io non ce la faccio. Io non ce l’ho il Facebook, va bene? Non ce l’ho e sono pure anni che cavalco sta cosa del blogghe, quindi internet diciamo che un po’ lo conosco. Ci sguazzo, dentro internet, da un po’. E quindi non sono uno che non sa di cosa parlo.     

Internet, io so di cosa parlo se mi metto a parlare di internet. Ma Facebook non ce l’ho. E non è che tutti sti Facebookkiani per me sono dei pazzi. Facebookkiani, vi rispetto. Accetto la vostra esistenza, fate quello che volete (a proposito, cosa fate con sto bendetto Facebook?) ma perfavore lasciatemi in pace quando vi rispondo che io Facebook non ce l’ho. Non ce l’ho. Provo a darmi una ragione per averlo, e non la trovo. La storia dei compagni di classe perduti per strada non regge. Per me è cosa buona e giusta che siano perduti per strada. Provo a focalizzare l’immagine di qualcuno di loro, invecchiata di quindici anni e penso: meno male, che esiste la strada, e che ci si può perdere, lungo la strada.     

Dopodichè, i contenuti. Io non lo so, ma alla fine internet è sempre quella cosa dove migliaia di blogghe nascono e muoiono e nel frattempo tra nascere e morire ci trovi solo canzoni copiate e incollate, o citazioni, o fotografie copiate e incollate o altre cose copiate e incollate. Oppure le mail a catena, dove uno si mette a costruire un power point simpatico (punto interrogativo) e poi centinaia e migliaia si inoltrano la mail piena di Fwd Fwd Fwd. Ora, già lo sappiamo che internet è uno strumento potente, così potente che dato in mano a gente poco potente, finisce inevitabilmente per essere povero di contenuti. Detto questo (si può negare?) la nascita di Facebook come fenomeno a propagazione mooolto più ampia dei blog, era largamente prevedibile.        

Io per esempio fra le chiavi di ricerca di sto blogghe, ci trovo da mesi sempre qualcuno che cerca su Google “cose carine da mettere sui blog”. Ogni mese. Ogni mese. Voglio dire, se c’è tanto bisogno di contenuti per riempire uno strumento potente, ecco che ti arriva Facebook, dove ci metti la faccia, non c’è bisogno di altro, e hai finito. Io esisto. Non so bene cosa dire, ma esisto. Eccomi qua.   

Poi alla scuola media, per esempio, c’erano quelli che sul diario copiavano compulsivamente le frasi di Jim Morrison. Io il nome Jim Morrison l’ho scoperto così, a undici anni. Oppure scrivevano (brivido lungo la schiena mentre ci ripenso) cose del tipo «come la barca lascia la scia/io ti lascio la firma mia». Solo io ce lo vedo la connessione fra tutte ste cose? Forse sì. Pazienza.        

Per sta cosa di Jim Morrison copiato compulsivamente, comunque, io poi Jim Morrison non l’ho mai potuto sopportare.

la parabola

Un ominide del ventunesimo secolo che dopo anni di ignobile pirataggio musicale, decidesse magari un bel giorno di comprare musica da internet – spronato alla legalità dall’esistenza di uno stipendio fisso – questo stesso ominide del ventunesimo secolo quel giorno scoprirebbe che la musica da internet la può comprare – per esempio da quella cosa chiamata Itunes – epperò una volta acquistata, la musica stessa a causa di restrizioni legali e cavilli protettivi complicatissimi, resterebbe solo attaccata al computer da cui è stata presa, e non trasportata in giro, a meno di laboriose operazioni di copia e incolla.  

Lo stesso ominide in pigiama, conscio della situazione, la sera prima di andare a dormire aprirebbe il cancello del recinto dove è tenuto chiuso il fido muletto, e lo lascerebbe andare in giro per tutta la notte. Alla mattina seguente, l’ominide del ventunesimo secolo, dopo aver speso soldi invano a comprare file legali scomodissimi, scoprirebbe copie degli stessi file (stavolta comodissimi) incollati alla criniera del fido mulo, che così potrebbe tornare felice trottorellante nel suo recinto.

Illustrazione esplicativa.

nel 2001 mi collegavo ad internet

Nel 2001 mi collegavo ad internet una volta ogni tre-quattro mesi. Ricordo di aver trovato un computer a libero accesso in un centro commerciale di Londra e di aver controllato la mia casella di posta (a quel tempo si chiamava angelboom@hotmail.it e non capivo come mai non volesse accettare l’accento dopo il «boom») e di aver anche scoperto che la casella si era praticamente addormentata per il prolungato inutilizzo. Erano i tempi che le caselle di posta si addormentavano per il mancato utilizzo. Insomma, quello era il 2001.  

Questo invece è Google come era il primo gennaio 2001 – tirato fuori nell’occasione dell’anniversario – e ci sono dentro solo i siti che c’erano nel 2001. Nel 2001 – sembra ieri – ma praticamente se ci guardi bene non c’era nulla. Potrebbe sembraer una cosa da niente, ma a me pare la cosa più vicina ad una macchina del tempo che io abbia mai avuto a disposizione. Non c’era nemmeno Wikipedia, che è arrivata il 15 gennaio dello stesso anno. Tutto sti fèisbuk e blog e youtube sono arrivati dopo. Siamo solo muschio di superficie.