Erano due anni, due mesi e 14 giorni che non venivi a Utrecht. Che poi sarebbe il luogo dove hai vissuto nei tuoi anni di Paese Basso.

Non eri felice, non eri triste, non ti sembrava neanche lo stesso luogo. L’incontro di lavoro era al quindicesimo piano di un palazzo tutto vetri e pareti interne ricoperte di fitta vegetazione come avevi visto fino ad ora soltanto in tv.

Mai nel tuo periodo di Paese Basso eri stato al quindicesimo piano di qualcosa, quindi la città barbara, vista da lassù, non ti sembrava neanche la stessa. Quando il tuo impegno è finito in larghissimo anticipo avresti avuto il tempo per girare il piccolissimo centro storico, l’unica parte bella della città. Ma non lo hai fatto, per motivi che ancora adesso non riesci a darti. Però tornando a casa – una volta scaricata la collega davanti ad un cancello – hai lasciato che lo stereo mandasse imbarazzante musica anni novanta.

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DIstrazione

Anche se adesso mi trovo in Italia, non riesco a non smettere di pensare alle due volte che nell’ultima settimana mi sono trovato in Paese Basso – in città diverse, per motivi diversi. Le stessa allergia che credevo sarebbe ad un certo punto diminuita, mi ha assalito di nuovo.

Mentre guidavo le case erano identiche su entrambi i lati della strada, ed erano identiche per due chilometri. Quelli che ci hanno vissuto tutta la vita lo trovano normale, ed io impazzisco ogni volta che mi rendo conto che per loro è normale, e vorrei sapere se quando uscì al cinema, il Truman Show fu trasmesso anche nelle sale olandesi.

Osservo un barbaro che si ciba di fette di pane quadrate inframezzate da fette di formaggio quadrate, il tutto contenuto dentro una bustina di plastica di quelle che si usano per congelare i cibi. Lui lo trova normale, ha fatto tutta la vita così, è stato circondato da gente che fa così, e dunque è normale.

Questo cibarsi assomiglia più ad una ricarica della batteria del telefono, che ad un gesto di un animale complesso come un primate. I barbari eliminano tutti fronzoli, sono bravissimi in questo, ma portano questa eliminazione dei dettagli e dei fronzoli all’estremo, così che poi non viene concesso nulla al bello e al piacevole. Non si preoccuperanno di trovare un contenitore esteticamente più accettabile per i loro quadrati di pane e formaggio di quella busta di plastica orrenda e tristissima – magari riciclata più volte – semplicemente perché non è necessario. Apriranno il cartone del latte e berranno direttamente da lì, anche se ci sono dei bicchieri a disposizione, anche se per bere del latte da un cartone è necessario contorcere le labbra a culo di gallina, e poi alcune gocce comunque ti scenderanno sulla guancia. Il concetto di barbaria estetica è incomprensibile a chi ha vissuto tutta la vita in un paese latino, credo che si debba toccare con mano per capire davvero. Quindi mi rendo conto di quanto noiosa possa essere la lettura di questi pipponi abbastanza inconcludenti.

ho le ruote sgonfie

Ho le ruote sgonfie e un fanale che non funziona. E tu meccanico dalla giacca di velluto sei aperto anche dopo il mio orario di ufficio. Fantastico. Tu meccanico dalla giacca di velluto a coste e il capello semilungo mi pari un militante del Pci degli anni 70, anche se io non c'ero negli anni 70 – me lo hanno raccontato.

 

Tu meccanico in giacca velluto a coste mi vedi la targa e mi chiedi: italiano? E cosa ci fai qua? Ed io che mi aspettavo una domanda sul fanale che non funziona bofonchio mbuaaa, seguito da eeeehh. Lui mi dice:  ma se you have a beautiful country, che ci fai qua?

 

No guarda, meccanico in giacca a velluto a coste, se cominciamo così finisce che ti uccido. A parte che con un fanale che non funziona potevo pure continuare ad andare, tanto faccio vita monacale e non esco la sera, figuriamoci in automobile – ché come ho detto c'ho paura dei poliziotti barbari che mi sparano alle gambe per una birra ingurgitata. Sono le ruote, per la miseria, sono le ruote che mi costringono a rivolgermi a te. Sai cosa succede nella beautiful country? E precisamente cosa succede nella porzione terronica della beautiful country? Succede che se hai le ruote sgonfie vai dal benzinaio e dici: ho le ruote sgonfie. E lui – con le mani lercie e callose di uomo che ne sa – sistema tutto. Sa come dove e quando.

 

Qui invece i benzinai non esistono – e va bene che non esistono, in fondo siamo tutti capaci di estrarre/introdurre la pistola, e poi più o meno a tutti ci piace la puzza di benzina sulle mani – però se non esistono chi me le gonfia le ruote? I barbari se le gonfiano da sole. Io per niente capace, caro meccanico.

 

Tu non le gonfi, tu ti giri e mi dici: il lavoro? E te ne vai. Poi quando torni mi dici: Sì ma ancora non mi è chiaro perché sei qui, con la beautiful country che c'hai. Sono stato a Sanremo l'anno scorso. E  pure a Chhnua. Cosa? A Ccchhénuua. Tradotto dalla pronuncia barbara, sarebbe Genova. (ah, non ci credete? Google translate – listen). E il mare, e le strade, e le case, e il caldo… E insomma ti ammazzo, caro meccanico? No. Ti lascio lì. Penso che pure nella beautiful country quando dico Paese Basso quasi tutti mi rispondono sognanti: ahh, Paese Basso. Siete voi che non sapete, i primi che sospirate. Non sapete. Noi che siamo nel mezzo, invece, sappiamo (cosa sappiamo?). In ogni caso Signore perdonali perché non sanno quello che fanno, ho pensato, mentre facevo manovra e andavo via. Dodici euro senza fattura.

nell'ospizio dove vado a comprare il mio pranzo

Nell’ospizio dove vado a comprare il mio pranzo c’e’ odore che mi pare di conoscere. Mi ricorda il pastone bagnato che si da ai pappagalli appena nati.

Un odore dolciastro che dopo cinque minuti ne hai abbastanza. Sono forse i vecchi che emanano questo odore? No, loro No. Tra di loro c’e’ una vecchia fantastica in sedia a rotelle automatizzata che si fuma tantissime sigarette al giorno, la portano in giardino apposta per quello. Fuma lentissima mentre gli altri parlano. Pure loro lentissimi. Forse smettera’ quando l’artrosi non le permettera’ di avvicinare la mano alla bocca.

Comunque quell’odore non sono i vecchi: e’ la zuppetta che fanno li’ dentro. I barbari da sempre abituati a odori di pastone da pappagallo sollevano il coperchio estasiati e infilano il naso. Poi dicono mmmhhh buono! Il mio fatto di disprezzarli quando fanno cosi’ non e’ dovuto alla differenza culturale, e’ solo che sono barbari e basta.

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Dopo aver conosciuto lui su youtube ho deciso che devo ricominciare a studiare la lingua barbara.
Ho ricominciato.

Il problema è che se vuoi veramente una cosa, la fai. Se la desideri davvero, allora fai in modo di raggiungerla. Però prendiamo la lingua barbara: non mi piace. Mi devo sforzare tanto per parlare poi una lingua che non mi piace? Diamo un esempio di lingua barbara per dare un’idea ai telespettatori a casa.

Non mi piaccio: sono vendicativo nei confronti delle falene che si intrufolano in camera. Falene, voi entrate? Voi entrate e frullate con le vostre ali per ore contro i muri, contro i vetri, sul mio naso, e non mi fate concentrare? Falene, io vi lascio morire qui in camera mia. Si chiama selezione naturale della camera mia. Siete portatrici di informazioni genetiche fastidiose che vi spingono ad entrare in camere di persone tranquille e posate come me – nonostante solo un piccolo pertugio sia aperto, e tutto il resto chiuso. Voi la vostra informazione genetica non potete tramandarla alla prole. Io desidero un mondo di falene educate che al limite – se proprio vogliono entrare – poi sanno trovare da sole la via d’uscita.

uno se lo immagina da giovane

Uno se lo immagina da giovane, di entrare in un posto dove ti vedono e chiedono “il solito?”, al che tu rispondi il Solito senza incrociare gli occhi del tizio dietro al bancone. Uno se lo immagina da giovane per tutta la vita – a me doveva succedere in questo momento storico, in questa pizzeria italiana del Paese Basso, dove entro e quello dietro al bancone mi chiede se è il solito, e io rispondo “Sì”, oppure rispondo “il Solito” – se per caso sono in vena di usare due parole invece di una.

E poi mi giro dall’altra parte a mangiare, senza parlare con nessuno.

Osservo oltre al vetro giovani barbari che passeggiano in maniche corte perché il calendario ha suggerito loro che è il momento delle maniche corte, anche se poi i dieci gradi vigenti attualmente dal dietro al vetro li intuisci tutti, compreso il vento che schiaffeggia il petto alle giovani donne. Ché forse quella maglietta è stata appena acquistata, e allora.

E poi tu, cinese che condividi la stanza di questo edificio universitario. Io lo capisco che vuoi essere amichevole: sei straniero come me, sei in quella stanza insieme a me, e cerchi di attaccare bottone. Io lo capisco, inizialmente pensavo fossi gay (e mi facevi tornare alla mente quel coinquilino cinese gay dell’anno scorso, con un grosso neo sul petto glabro che lo notavo sempre per quella sua mania delle magliette scollate a V) poi dopo ho capito che invece No, epperò cosa vuoi che ti dica io, sociopatico come sono.

E poi non sei nemmeno cinese, sei del Taiwan, che per quanto mi riguarda non è neanche un luogo, io mi fermo al Made in Taiwan. E il tuo nome, inutile che me lo ripeti, non mi entra nella testa, con le consonanti tutte diverse, cerco di imitare il suono della tua voce, tu mi correggi ma poi io ci provo di nuovo con entusiasmo sempre minore e penso al caffè, quasi quasi mi faccio un caffè. Tra l’altro parti fra un mese e torni in MadeinTaiwan, e pure io volendo senza motivo aprirmi una cerchia di amicizie taiwanesi, tu parti fra un mese, e allora. Capisci che io ancora scambio email coi compagni di scuola che non vedo da tipo due anni?

E poi a metà mattina il riparatore di computer mi chiama al telefono per dirmi che il mio laptoppino è pronto. Parlerebbe in inglese, ma visto che ha imparato “une poco de italiano pe’ strada” allora vuole spiegarmi tutto in italiano de’ strada (ma in che senso per strada? Quale strada?). E io dico va bene, ma se parlo italiano lui non mi capisce, parla di “conneblessi del reggistrazione” e allora ci sono io, praticamente, che parlo italiano deficiente in corridoio, spiato dai barbari che passeggiano dopo l’ora di pranzo.

dopo venti giorni

Dopo venti giorni di mancata automobile per mancanza di targhe, eccomi di nuovo sulle quattro ruote. E il Paese Basso e’ in assoluto il luogo dove ti rendi conto che la macchina certe volte non serve. Io poi vengo dal paesello del Salento dove pure per fare cento metri si prende la macchina, e quando ti capita di muoverti a piedi ti senti come Keanu Reeves in Matrix che esce dalla realta’ virtuale. Va bene, solo per dire che la macchina anche se non ce ne rendiamo conto e’ un lussissimo, una cosa che se ti fermi a pensare, e’ incredibile. Poniamo che devi spiegarlo ad uno che viene da Plutone. C’e’ sto parallelepipedo smussato di acciaio e plastica e vetro – gli diresti – che e’ mio perche’ ci infilo la chiave, e lo uso per muovermi in giro, e occupa un determinato volume di spazio del nostro mondo e gli altri (che pure sono uguali a me) se anche non lo fossero contrari (al fatto che io occupi una porzione di volume del  mondo con plastica e acciaio) non potrebbero farci nulla che tanto io lo faccio lo stesso. E poi pensa – diresti al Plutonese – che in ogni macchina ci sono tipo 5 posti eppero’ 4 di questi sono quasi sempre vuoti. Quelli tre di dietro praticamente sempre a meno che non ti sei riprodotto. A proposito, come vi riproducete voialtri su Plutone? Eccetera eccetera.

una delle prove

Una delle prove piu’ evidenti dell’inferiorita’ del popolo barbaro me la trovo davanti quasi ogni giorno. I giovani barbari che indossano una camicia a righe e – SOPRA la camicia – una felpa col cappuccio. La felpa col cappuccio e la camicia. Eresia. O meglio, inferiorita’. In fondo non sanno quello che fanno.

faccio cose

Un vento oggi in Paese Basso che non si vive.

Piove e gli oriundi attendono che passi incollati ai tronchi degli alberi. Perché poi col vento passa. Io che non sono oriundo cammino come un cretino con l’ombrello. Ma sono un cretino, e il vento cambia sempre direzione, l’ombrello si apre al contrario, e dopo aver smadonnato penso che forse era meglio aspettare incollati ai tronchi degli alberi. Scopro questa cantante che si chiama Emiliana Torrini che però è islandese. Viene qui a suonare tra poco. Non mi piace. Cioè, è brava, ma non mi piace. La mia padrona di casa si lava i capelli rossi ingelatinati nel lavandino della cucina. La mia padrona di casa mi dice che la casa è in vendita e allora fra poco devo andare via da qui. Siccome è in vendita, e siccome la mia padrona di casa è un agente immobiliare, conosce tutti i metodi per vendere la casa. La casa per essere venduta, mi spiega, deve essere quasi vuota, che pare più grande. Così mi entra in camera e mi svuota la camera, nasconde tutto, con la promessa di mettere di nuovo tutto a posto, col risultato che non trovo il mio libro di Cappelli ma trovo un vaso di fiori viola sul comodino. Che non è mio, il vaso, e lo devo restituire. Col vaso che perde terra da sotto.

La lavatrice gira. Stiro le camicie.

poi uno si chiede

Poi uno si chiede perchè mai il Paese Basso, ed io non so dare una spiegazione valida e comprensiva di tutto. Però lo scorso weekend i miei datori di lavoro mi hanno offerto due giorni in una ridente cittadina del Belgio a fare la caccia al tesoro, così senza motivo preciso, e poi tutti assieme a bere qualcosa in centro; e da qualche giorno la mattina prendo la bicicletta e costeggiando il fiume vado a seguire un corso in un museo della scienza, che le pareti sono di vetro e ci sono sempre le bevande fredde e calde a disposizione sul tavolo casomai ti venisse il bisogno impellente di ingurgitare qualcosa, e se si deve discutere dell’articolo scientifico allora ci si va a sedere sul prato nel bel mezzo di un orto botanico – in linea di massima non mi piace sedere nei prati a studiare, ma è per rendere l’idea.

allora mi chiedevo

Allora mi chiedevo, l’altra sera che ero sceso in strada a guardare gli alberi, e una ragazza col cane é passata vicino a me e si é voltata e mi ha detto Hello, e io ho risposto Hello, e non ci conoscevamo, e questa cosa qui mi succede sempre, se da queste parti per strada incontri qualcuno e ci sei soltanto tu e questo qualcuno di passaggio, allora ci si saluta, si sorride pure, certe volte, ed io mi chiedevo se questa cosa succedeva pure in Italia, di sicuro mi ricordo che a Bologna non succedeva, anzi in quei momenti calcolavo con precisione il numero di passi necessari prima di voltare lo sguardo da un’altra parte.

perché poi una cosa che ho capito

Perché poi una cosa che ho capito del vivere esperienze internazionali, è che in giro ci sono tante persone che si portano questa internazionalità come condizione di vita. Che internazionali non significa soltanto – per fare un esempio – essere nati in Italia e vivere in Paese Basso. No: è proprio una malattia che ti accompagna per la vita.

Ieri sera c’era sta festicciola qui vicino, per fare un esempio. Il festeggiato si proclamava tedesco, eppure era da una vita in Paese Basso. Ovviamente parlava anche un poco di francese, e sua moglie era messicana. Il loro pappagallo invece salutava in spagnolo. Poi c’erano due polacche, che però non arrivavano dalla Polonia, ma da Parigi. Infatti a tratti parlavano francese. Una di loro viveva a Londra. Ma ricordava con piacere gli inverni sulle montagne francesi. Poi c’erano quelli che venivano dalla Francia, ma che non erano francesi, erano marocchini. Non andate mai a mangiare nei ristoranti marocchini che non siano in Marocco, hanno detto. Poi c’era l’olandese che era cresciuta in Francia. Poi c’era quello appena arrivato, che ti hanno detto: quello è greco. Perfetto: una razza una faccia, hai pensato. Solo che era biondo con gli occhi azzurri, e invece del greco, parlava tedesco e olandese. Poi c’era il portoricano che suonava bene la chitarra. Poi c’era l’amica indiana che a parte il fatto di essere indiana, aveva fra tutti quelli il nome più facilmente pronunciabile in italiano. E poi c’erano quelli che non sapevi esattamente da dove venivano, ché non si può stare tutto il tempo a parlare con tutti.

Gli ambienti internazionali, uno che non ci è mai stato, come se li immagina? Oggi fanno parte del quotidiano, e non sono affatto come me li immaginavo. Forse sono io diverso dal me stesso che li immaginava, o forse bah. In ogni caso sono diversi. Soprattutto, non sono ambienti sofisticati. Non ci sono vezzi assurdi, non esistono snobismi. Si mangiano dolci buonissimi sui vassoi posati direttamente sul prato, mentre un cane fa finta di niente e allunga la lingua. Quando uno dei signori afferra il pezzo di torta al cioccolato e se lo porta alla bocca, prima che lo morda tu glielo dici – guarda che lo ha leccato il cane, quello – e lui ti risponde Pazienza, non importa, e se lo caccia tutto in bocca.

scrivo un post come questo circa ogni sei mesi

Scrivo un post come questo circa ogni sei mesi, ogni volta cioé che mi pongo la stessa domanda, la quale sarebbe all’incirca: mi prendesse un colpo in questo momento, e qualcuno mi volesse cercare, c’é qualcuno che saprebbe dove cercarmi? Siccome mi rendo conto che praticamente No (la babbiona, non vedendomi, potrebbe pensare che sono andato a fare una vacanza, e il puzzo del mio cadavere potrebbe essere scambiato per avanzi di cucina cinese dai cinesi qui presenti) allora mi ricordo che forse dovrei notificare il mio indirizzo a qualcuno. Io adesso mi verrebbe di continuare la discussione dicendo qualcosa tipo By the way, e poi bla bla bla, ma non so quanto possa essere giusto mescolare inglesismi e lingua italiana, e soprattutto non so come possano essere recepiti all’ignaro lettore che viene dallo stivale. Perché da queste parti si mastica eccessivamente inglese, e ad un certo punto le parole italiane vengono meno.Non so come dire: vengono meno. Ma soprattuto, un By The Way detto in Italia potrebbe essere preso come un arroganza modernistica, mentre qui diventa una scorciatoia per non affaticare il cervello nello switch (arieccoci) continuo da una lingua all’altra. Non so se mi spiego. By the way, parlando di case, ho deciso che voglio andare a vivere in campagna. Voglio la rugiada che mi bagna. Ieri si era fra i campi incredibili di tulipani, e una settimana fa zompettavo felicissimo in un bosco. Qui del resto la campagna non é mai troppo estrema, ché il Paese é piccolo (la gente NON mormora) e si é sempre – sempre – a quindici/venti chilometri da una cittá, da tutti i suoi orpelli che non possiamo farne a meno, di centri storici vissuti, eccetera eccetera. Voglio andare a vivere in campagna. Staremo a vedere.

se il mio nuovo dottore

Se il mio nuovo dottore qui nel Paese Basso si lascia andare sulla poltrona, mi guarda in faccia e mi chiede: Italiano? E cosa fai qui: studi? Ecco, se mi chiede se sono qui a studiare, nonostante questa faccia deformata dal sonno mancante, allora vuol dire che non sono messo troppo male.

E la notte nel letto, ancora mi succede, e per fortuna mi succede, di dirmi Non Dormire! per continuare a leggere – giá assaporando la stanchezza improponibile del mattino seguente. Quando suona la sveglia mi ripeto che è improponibile, improponibile. La solitudine dei numeri primi ha un titolo insuperabile, e qualunque cosa ci fosse stata scritta in quel libro, il titolo sarebbe stato comunque piú bello. Sono due cose che mi restano da questo libro: la consapevolezza che le cose possono scriversi semplici – e andare bene lo stesso – e una considerazione su De Carlo che però sarebbe lunga da spiegare.

Il mio dottore pare una brava persona, ma si lecca il pollice in continuazione per sfogliare i moduli del sistema sanitario barbaro.

I ragazzi del camion della spazzatura sorridono mentre lanciano i sacchi di plastica nel camion. Vanno avanti, e quando li supero in auto, quelli ridono ancora.

Le avrei volute avere io, quando ero a Bologna, le biblioteche che chiudono alle tre di mattina.

É caduto un aereo a due passi da qui, in territorio Basso. Il cielo come si vede nelle foto é un cielo barbaro e assomiglia a certe pianure lombarde di inverno, per quanto le conosco poco e male, le pianure lombarde d’inverno.

La nuova abitudine di Febbraio 2009 é andare in mensa avendoci, nella tasca dei pantaloni, qualcosa stampato appositamente per essere letto durante il pranzo. Oggi era il turno di Chinaski e Galli Della Loggia.