Tanto traffico e il semaforo sta per diventare rosso.

Automobilista lo sai benissimo che se adesso superi il semaforo, resterai bloccato al centro dell’incrocio, bloccando a tua volta tutti le altre direzioni.

Non esiste una legge che ti impedisca di farlo: tu puoi farlo. Ma la tua coscienza ti permette di farlo perché te ne stracatafotti del mondo. Tu passi perché puoi farlo. E poi quando resti bloccato al centro dell’incrocio e gli altri suonano il clacson – io no, io preferisco lo sguardo mortifero, sperando che si veda attraverso i finestrini – quando gli altri suonano il clacson tu indichi il traffico come per dire: non è colpa mia se sono bloccato qui, è il traffico che non scorre.

Tu sei fratello, figlio – o forse sei tu stesso – di quelli che in aereo abbassano lo schienale del sedile senza chiedere a chi siede dietro. Sei quello che se ti mandano un video su whatzupp in treno, tu devi ascoltarlo ad alto volume. E gli altri devono sentire. Anche se il video dura un minuto e trenta secondi (testimonianza diretta di tre giorni fa sul Londra Bruxelles). Sei la stessa persona. Sei quella cosa che mi raddrizza le giornate, a volte, quando mi sveglio col cruccio di essere forse troppo egocentrico. Mi sveglio e incontro te all’incrocio, in aereo, in treno.

E sto meglio.

le nuovole di agosto sono le più dolorose

Le nuvole di agosto sono le più dolorose perché non dovrebbero essere lì, eppure ci sono. E sono più dolorose perché a queste latitudini brussellesi nonostante il freddo, le giornate sono ancora lunghe come è giusto che siano in estate. Quindi il pomeriggio all’uscita dal lavoro il buio non nasconde – ancora – la realtà dei fatti. Si potrebbe dire che gli inverni più o meno si assomigliano nonostante le latitudini – è solo una questione di gradi in più o in meno, ma quelli non li vedi, perché è buio ovunque – mentre le estati sono drammaticamente diverse.

Diverse.

Si cammina al ritorno dalle vacanze nelle arie condizionate dei supermercati illuminati dalle luci al neon. Ci si riconosce, noi tornati dalle vacanze, perché indossiamo abbronzature fuori contesto. Mi riconosco negli altri e allo stesso tempo mi ritengo unico in questa malinconia eroica, mentre scelgo la mozzarella, perché questa è abbronzatura causata dal mio sole, di quella mia casa; non invece il sole che – secondo me – ha illuminato le facce delle altre persone, e cioè un sole di un posto esotico e lontano, magari bellissimo, che però non li appartiene. Un sole acquistato assieme al pacchetto dell’agenzia viaggi a mezza pensione. Questa è l’abbronzature del mio sole, mi racconto mentre scelgo le banane, e quindi ho diritto di essere più malinconico di voi. E quindi skippo i brani nelle cuffie fino a quando non arriva il pezzo struggente. E col pezzo struggente passeggio nel reparto detersivi – e la struggenza è totale, perché non mi serve nemmeno, un detersivo.

Calcutta

Sarò a Roma mercoledì sera e innocentemente cercavo il modo di arrivare da Ciampino alla zona Eur con i mezzi pubblici, utilizzando il metodo a cui sono abituato, Google Maps. Metti la zona di partenza e di arrivo, specifichi l’orario, premi sul pulsantino con l’immagine del bus, e in teoria Google Maps ti dice come fare.

Con la mappa di Roma questo servizio non funziona. Non è che non funziona per questo tragitto in particolare: non funziona per niente, ovunque tu voglia andare.

Allora ho pensato: e a Calcutta?
A Calcutta funziona.

cose, qualche giorno fa

Sto diventando asociale, antipatica, e non mi va di vedere i miei amici. Invento scuse per non farmi trovare libera. Pero’ mi va di vedere te. Mi fa bene, sto bene.”

Silenzio.

Risposta ipotetica:

Ah be’, guarda: e’ tutto gia’ sentito, in altre latitudini, in altri contesti, con altre pareti di muratura attorno, davanti a occhi diversi. Vorrei far partire quel suono fastidioso, quel paaaaaah che mandano nei quiz alla tivvu’ dopo una risposta sbagliata, anche se lo so benissimo che non e’ colpa tua. La colpa e’ la conoscenza piu’ dettagliata del mondo e dei suoi meccanismi che mi porto appresso, e che ogni tanto mi fa invidiare i mongoli che sulle montagne mongole vivono delle mammelle secche delle loro capre spelacchiate e mongole.

Risposta reale:

Ah, grazie.

ci sono quelle che ti parlano

Ci sono quelle che ti parlano tutte interessate. Tu non sei interessato però ci parli – poco eh, per non creare fraintendimenti. Poi queste trovano qualcosa o qualcuno da abbracciare, ma lo capisci molto prima di vederle abbracciate, ché improvvisamente non ti parlano più tutte interessate.  Ci si sente come il tappo di sughero delle bottiglie, ci si sente.

certe volte averci il blog

Certe volte averci il blog, vorresti che non lo sapesse nessuno. Nessuno nessuno delle persone che conosci – barra – che ti conoscono – virgola – nella vita materiale. Certe volte ti viene da pensare che dovresti chiudere e riaprire da qualche parte sotto un nome ancora meno riconducibile a te di quanto sia questo, che riconduce fin troppo bene a me. Aprire un altro posto sotto il nome per esempio di Ermino Stuffaldini – vediamo un momento su google se esiste, non esiste – e poi giuro sarei curioso di vedere gli effetti delle parole che lubrificate liscie e incontrollate fluiscono direttamente dal mio colon cerebrale. Che siamo a quattro anni e mezzo di scribanza, da queste parti, si cominciano a sentire. Sarei io il primo curioso a quel punto, e a seguire tutti gli altri. Non il contrario.

ogni tanto penso

Ogni tanto penso a cosa potrei fare invece di fare quello che faccio. Per lavoro voglio dire. Siccome non lo so concretamente, un pensiero costante è “meno male che non faccio questo”. Spio i commessi nei negozi di telefonia che parlano coi clienti illustando le tariffe e premendo tastini sui telefonini in esposizione e penso, meno male che non faccio questo. Sono stato per sbaglio ad un congresso in Germania – per sbaglio nel senso che il motivo per cui ci dovevo andare non c’era più, ma la mail di notifica mi è finita nello spam ed io cretino ci sono andato lo stesso – e guardavo gli ingiaccati cravattati che promuovevano sorridendo i loro prodotti e regalavano gadget inutilizzabili, e pensavo, meno male che non faccio questo. Gli italiani ai congressi internazionali li riconosci a chilometri di distanza. Sei in Germania? Ti vendono un weiss wurst! Che non lo sapevi? Se te lo compri non è che poi ti siedi di fronte a chi te lo ha venduto e chiami al telefono in Italia per raccontare tutto schifato del wurstelone arrostito che hai nel piatto. Ti mangi un tramezzino e amen, sennò. Sei in Germania, mica al finto oktoberfest a Casalecchio di Reno. Il Nordreno Westfalia ha un cielo che più brutto non si può, però la gente nasce si riproduce e muore anche lì, in linea di massima. Alcuni di loro vendono perfino telefonini.

ma poi

Ma poi, tornando un momento al crocifisso. Ci sono quelli che ti spiegano perche’ la sentenza é giusta mettendo in campo tutta una serie di motivazioni ineccepibili. Si scaldano, si accapigliano, si indignano, dicono che siccome “lo Stato é laico allora etc etc. sta pure scritto nella Costituzione etc etc… o mettiamo i simboli religiosi di tutte le religioni in ogni luogo pubblico oppure non ne mettiamo nessuno, altrimenti si discrimina eccetera eccetera…”. Bravi. Fila tutto. In termini logici e razionali, voglio dire. Avete ragione. Pacca sulla spalla. Inattaccabili. Bravi.        

Ma se siete cosi’ bravi, dovreste pure intuire – dopo decenni di battaglie laiciste quasi tutte finite nel cesso – che se davvero uno usasse la razionalita’ come metodo di valutazione, non é che si aggrapperebbe ad un crocifisso, no? Se uno lo fa, é che non mette la logica ai primi posti. Lui vede le lacrime di Padre Pio, le vede proprio: allora cazzo gli parli in termini di ragione e diritto? Blaterate piu’ o meno a vanvera, oppure parlate perche’ vi piace ascoltarvi. Sono due linguaggi diversi, come chiedere che ore sono? e sentirsi rispondere “zemra ka arsyet e saj qe arsyeja nuk e di” (e non ho premuto i tasti a caso).          

Eppoi, ti pare illogica la pretesa di avere il crocifisso appeso? Embe’? Ovvio che é illogica. Tu prendi invece il precetto “ama il prossimo tuo come te stesso”. Non é illogico. Lo accetti. Ti pare una bella cosa. Infatti chi se ne frega di difendere sto concetto. Hai mica visto qualcuno fare pressioni politiche per difendere sto concetto? No. Cioe’, mica tanto. Difendere l’indifendibile é altra storia, da’ una misura della tua influenza. Se domani riuscissero ad impormi un dogma – tipo che ne so, che si ci si deve pettinare tutti con la riga in mezzo – se ci riuscissero, senza darmi alcuna spiegazione, ecco che avrei una chiara misura della loro potenza. Ma poi insomma, basta, mi ripeto sempre, erano cose gia’ dette parlando di sta cosa qui, nemmeno troppo tempo fa.

questa casa in cui vivo – lezioni di sana e consapevole intolleranza

Questa casa in cui vivo mi fa conoscere aspetti di me che non potevo sospettare. Il cinese effeminato lo incontro in cucina con la sua tutina e la maglietta albicocca aperta sul petto, e sul petto ha questo enorme neo rotondo che vuole richiamare la mia attenzione, essendo piantato su lucida e glabra pelle cinese. Lui dice: Oh! In cucina non ci stiamo tutti. Oh!, scusa fammi passare (la cucina è microscopica), Oh! Scusa ho dimenticato il mio teapot. Cerco di prendere le impronte digitali alla mia tolleranza: ce la faccio a sopportare il cinese nella sua tutina che mi fa Oh! nella microscopica cucina? Credo di farcela. Quello che non riesco è tornare a casa e trovare l´altro cinese – che non sarebbe proprio cinese – che ogni sera ogni sera ogni benedettissima sera all´ora del mio ritorno a casa si fa trovare con il pentolino sul fuoco a cucinare tragedie speziate, mentre la casa diventa un girone dell´inferno speziato. La tolleranza, capiamoci sulla tolleranza. Io molto spesso, per trascorrere pochissimo tempo in cucina e a causa della mia pigrizia, mi preparo pizze surgelate o insalate giá pronte. Lui invece ogni sera ogni sera ogni sera ha il suo pentolino pieno di morte. La puzza sale per la casa, infesta il piano terra, arriva al primo piano, poi al secondo dove ci sono solo io, e mi entra in camera passando sotto la porta. Apro la finestra per cambiare l´aria, ed è il dramma: si crea una fortissima corrente ascensionale partendo dal suo pentolino fin dentro la mia camera, e la mia camera in un istante diventa Bangkok.  

ma per esempio come bisogna fare

Ma per esempio come bisogna fare con quelli che ridono tantissimo delle proprie parole? Si deve ridere? Non si deve? Voglio dire, se ridono, e tu non ridi, sembra che li odi. Tu non li odi, è solo che non ti fanno ridere. Eppure dovrebbero capirlo, visto che ti limiti a fare eh, eh, giá …e poi distogli lo sguardo. No, invece non lo capiscono. Ti raccontano banalitá  con quel tono Anvedi cosa ti Racconto, e poi invece non ti raccontano niente di che. Ridono, e verso la fine della risata, emettono pure quel suono acuto (aaaaaaahhh o iiiiiihhh) che è proprio della soddisfazione di una risata pasciuta. Quegli acuti che nelle vere risate ti manca il respiro. Loro te lo propongono giornalmente. A te è capitato tipo dieci volte in vita tua, loro te lo propongono giornalmente. 

da due settimane

Da due settimane una delle mie occupazioni giornaliere consiste nell’esaminare tutte le procedure terapeutiche in atto in questo momento nell’intero mondo occidentale. Durante questi scroll su infinite pagine in arial 11 e search in pdf lunghi quanto vecchi testamenti io nel frattempo abuso di Mentos, una dietro l’altra, ed é inutile imporsi di attendere dieci minuti prima della prossima. Inutile. Scopro così che esistono patologie chiamate “Uncontrolled Crying & Laughing” e che ci sono personaggi in giro per il mondo che stanno provando metodi di trasferimento del grasso dalla liposuzione direttamente dentro le tette. Il problema, dicono, é che non sai che forma puó prendere. Col silicone, invece, é molto piú prevedibile. E poi non sai mai quanto grasso puoi togliere, o almeno non lo sai con certezza in anticipo, e si rischiano sorprese.

I video di youtube adesso hanno il titolo sul fotogramma iniziale. Sta cosa non mi piace. Prima si potevano usare i video di youtube come didascalia alle parole, che uno prima leggeva e poi guardava, e fra leggere e guardare – in quell’accostamento deciso dall’autore c’era imprevedibilitá. Vediamo un po’ cos’é sto video, veniva da chiedersi – guardando quel fotogramma che da solo non voleva dire nulla. Adesso lo sai prima, cos’é. (Come per il silicone)