Leggere tra i commenti che mi sarei imborghesito fa sorridere. Altre cose capisco di me, mentre mi trascino nell’indecisione del prendere casa nuova – oppure non prenderla.

Ho scritto all’agente immobiliare per confermare che la prendo, e poi più tardi per dire che la prendo ma solo a condizioni complicatissime – tipo far partire il contratto a metà agosto – e tutto questo perché spero che mi dica No, la diamo a qualcun’altro. E spero che la diano a qualcun’altro perché se la prendo so che sarei assalito dai sensi di colpa.  Faccio il difficile per farmi mandare affanculo, in pratica. Un borghese dai sensi di colpa.

Ieri (prima che cominciassi a fare il difficile) l’agente ha telefonato e ha chiesto: quando potresti venire a firmare? Guardi è complicato – gli rispondo – le mando i giorni disponibili via email.  Scrivendo l’email mi accorgo che non è necessario fare finta di essere complicato. Visto che:

Domani mattina sono a Londra, e torno nella notte. Il giorno seguente, dopo il lavoro, devo leggere delle cose in pubblico qui. Il giorno seguente nel pomeriggio guido fino in Paese Basso e da lì volo fino al paesello. Torno dopo dieci giorni, ma tutti i giorni dopo il lavoro dovrò correre in un teatro a provare delle cose che non vorrei, ma ormai. Fino a sabato. Domenica parto per la Francia, da qualche parte a ovest dove non sono mai stato. Torno due giorni dopo. Resto un giorno a Brussélle, ma poi parto per il Paese Basso. Quindi torno finalmente a Brussèlle. Per una settimana, perché poi entro luglio sono a Berlino e di nuovo a Londra. Quindi due settimane di vacanze al paesello. A settembre ci sono Lisbona e Roma.

La casa non mi serve.

tutta la vita davanti

Io sono un cinefilo distratto – purtroppo – e i film mi passano accanto mentre sono distratto, oppure succede che li vedo e poi li dimentico. Detto questo, in questi giorni ho letto qualche recensione molto positiva sul nuovo film di Paolo Virzì (Tutta la vita davanti) e sto Paolo Virzì mi comincia ad essere pure simpatico: ho ascoltato qualche intervista, ho letto qualcosa qua e la’. Davvero una persona gradevole, sto regista Virzì. Il film non l’ho ancora visto (aspetto che venga messo in groppa, ehm, diciamo così, al mulo) ma già da ora mi sovvengono tutta una serie di considerazioni.     

Ora, il film parla di precari laureati col massimo dei voti che finiscono a lavorare in un call center. Questa figura del “laureato precario impiegato nel call center” è ormai una figura costante di libri e film e canzoni e opere teatrali dell’Italia duemilesca. Non è certo una novita’. C’è la velina, il partecipante al GF e il precario del call center. È giusto che se ne parli perchè si tratta di cose vere, di problemi reali. Quindi va bene, parliamone. Parliamone, facciamo i dibattiti, scriviamo i saggi, andiamo a vedere i film e poi usciamo dal cinema piú o meno incazzati o emozionati.      

Però, cerchiamo di metterci d’accordo su di una cosa: qual’è il messaggio?     

Voglio dire, si intuisce che nella figura del “laureato precario operatore di call center” ci sia un qualcosa di negativo. Su questo sono tutti d’accordo. Ma cerchiamo di capire precisamente cosa c’è negativo. Il negativo è legato al fatto di lavorare in un call center? Forse. Ma insomma, i call center esistono e qualcuno dovra’ pure lavorarci dentro, no? Mica possiamo bombardare i call center solo perchè è un brutto lavoro. Anche i call center hanno diritto di esistere.          

E allora? Il negativo è essere laureati? Non credo, la gente studia per anni per poter dire che c’ha la laurea. Non è certamente una cosa negativa in termini assoluti.        

Dunque ne risulta che il negativo sta nella somma laureato+call center. È questo che non va bene. Da cui ne deriva il messaggio implicito che il laureato “dovrebbe” essere da un’altra parte, ma non nel call center. E di chi è la colpa se il laureato va a finire nel call center?     

Di chi è la colpa?          

Questo punto divide me stesso dal resto dell’umanità. Quando si parla di laureato nel call center, generalmente si punta il dito contro qualcuno/qualcosa che non si capisce bene chi sia. Lo stato? La società? Il mondo di oggi? Mastella? La fame nel mondo? La globalizzazione? Facciamo il film su questi benedetti laureati nel call center, scriviamo gli articoli, cantiamo le canzoni: a chi è rivolta l’accusa?           

Voglio dire: io lo sapevo che con la mia laurea potevo fare ben poco, e me ne sono andato. Ma per il resto, se l’Università continua a sfornare centinaia di sociologi e scienziati politici, migliaia di comunicatori e letterati, poi questi dove li mettiamo? In un Paese in declino verso la povertà, dove li mettiamo? I primi dieci scienziati della comunicazione riusciamo a sistemarli, i primi mille ce la facciamo ancora, ma poi? E se diventano duemila? E se poi sono tremila? E se poi arrivano a cinquemila? A quale cifra possiamo dire che la colpa è (forse) del laureato?             

Io – per quanto mi riguarda – mi sono preso la mia parte di colpa. La vado a recitare in giro, la mia colpa, le mie scelte sbagliate. Ho fatto due palle così alle persone che mi conoscono. Adesso sono qui, e cerco di venirne a capo. Ogni anno ne escono mille con la mia stessa laurea, e mille sono troppi, e per questo motivo il lavoro non c’è. Ma gli altri? Finiscono a lavorare nei call center, o a contare scatole di pelati di notte nei supermarket, ma se le cose stanno così di chi è la colpa? Del governo ladro? Il laureato in giurisprudenza numero cinquantamila della lista dell’anno duemilaeotto, fino a che punto – e su quali basi – può davvero inscenare un piagnisteo?