Qualora non fosse chiaro – anche se l’ho scritto in trilioni di post e continuero’ per sempre a farlo – la penso esattamente come Serra nel brano qui sotto.
In questo caso si parla del caso del rubacchione Fiorito, ma lo stesso concetto puo’ essere esteso a tutti i personaggi scoperti in questi anni, su su su fino ad arrivare Abberlusconi. Scrive Serra oggi:
Io questo Franco Fiorito lo conosco. E lo conoscete anche voi. Lo abbiamo visto dietro il bancone di un bar. Alla guida di un autobus. Alla cassa di una pescheria. In coda all’ufficio postale. È un normotipo popolare italiano. Franco Fiorito, “er federale de Anagni”, è uno di noi. La parola “casta” è perlomeno fuorviante. Lascia intendere che esista un ceto parassitario alieno alla brava gente che lavora, quasi una cricca di invasori. Purtroppo non è così. Tra casta e popolo c’è osmosi, e un continuo, costante passaggio di consegne. Fiorito non nasce ricco e non nasce potente. Fiorito è un prodotto della democrazia. Molti italiani che oggi sbraitano contro la casta, ove ne facessero parte, sarebbero identici a Franco Fiorito, per il semplice fatto che sono identici a Franco Fiorito anche adesso. Non si cambia un paese se non cambia il suo popolo, non migliora un paese se non migliorano le persone, la loro cultura, le loro ambizioni. Il mito della “democrazia diretta” non mi cattura perché non tiene conto di un micidiale dettaglio: se a decidere direttamente chi dovrà rappresentarli sono i Franco Fiorito, eleggeranno in eterno Franco Fiorito.
Da La Repubblica del 20/09/2012.
Il concetto non e’ nuovo, tantissimi ne hanno scritto. Purtroppo oggi cresce terribilmente il successo di chi pensa esattamente il contrario. Sono talmente convinto di questa cosa (ancora di piu’ da quando vivo all’estero) che quando trovo qualcuno che ignora il concetto rischierei seriamente di fare a botte come un delinquente qualsiasi. E’ il terrorista da schiaffoni e calci negli stinchi che e’ dentro di me.
Ha ragione, purtroppo! Di cosa ci si scandalizza? Purtroppo quando ti “sbattono” una realtà così evidente non ti rimane altro che prenderne atto e farsi un esame di coscienza.
Ciao Raffaele
Sara
Guarda, ho pensato la stessa identica cosa ieri, quando il tassista al momento della ricevuta mi ha chiesto “Ao, che cifra scrivo? Dieci? Venti? Quanto le serve pe farse rimborsà?” –‘
Quanto mi duole essere d’accordo con te…
l’ultima frase del post mi ha fatto ridere. ma per il resto non c’è niente da ridere, hai ragionissima
Non solo ti do ragione ….. ma ho sempre cercato una spiegazione a questo male intimo che percepivo nella società italiana. Il “perché siamo diventati così” e “perché fuori dai nostri confini l’aria sembra diversa” sono temi interessantissimi ma mai affrontati oltre il livello della chiacchiera o della battuta. Ho trovato molto semplice e lucida l’analisi di Roberto Scarpinato che vede l’Italia come un paese il cui habitus culturale più veritiero è rimasto all’epoca rinascimentale (e quindi tardo medioevale). L’Italia avrebbe mantenuto un forte tratto “premoderno” avendo vissuto tutte le innovazioni della “modernità” come importate da fuori e le ha assorbite solo superficialmente senza che siano penetrate nel tessuto profondo. Il machiavellismo culturale sarebbe dunque il vero fondamento di larghi strati della popolazione ed esso è in perenne conflitto con gli elementi moderni come i principi costituzionali e lo stato di diritto ….
Scusami, sono prolisso e poco chiaro, magari meglio vedere questo …..
e se negli anni 60 avevano già detto tutto, e tutto è comunque rimasto uguale…
Non è rimasto uguale … è peggiorato! Oggi farebbero ridere i comportamenti di Tognazzi … ma bellissima come è piazzata la scena finale con la morale contro i politici. La vecchia grande commedia all’italiana riusciva veramente a guardare nell’animo della nostra società italiana, anche più della letteratura.
E oggi ho pensato al tuo post. Leggendo questo:
Ha sollevato polemiche lo spot (non più in onda) della nuova trasmissione di Michele Santoro nella quale “gente comune”, sollecitata per la strada a dire la sua sui politici ladri, risponde che li ammazzerebbe, magari con “una schioppettata”. Le polemiche riguardano la cruenza delle frasi carpite a questo o a quel passante, inserite nello spot, come è ovvio, per scelta e non perché lo ordinava il dottore. Ma al di là degli acuti, nello spot colpisce il fiducioso affidamento alla vox populi di un giudizio (di condanna) tanto assoluto quanto generico. Si parte dal presupposto che gli interpellati – in quanto popolo – parlino da una condizione di innocenza tradita: non è tra loro che, neanche per caso, possa celarsi uno dei trafficoni o dei galoppini o degli stipendiati a scrocco o dei venditori di voti o dei ladri di appalti o dei falsi invalidi o degli evasori che (a milioni) reggono lo strascico alla “casta”, lucrandone più di qualche spicciolo, e spesso essendone il mandante. Chi ha vissuto gli anni di Tangentopoli conosce bene questo genere di umori. E sa anche che chi sventola il cappio sarà il primo, domani, a suggerire un padrone peggiore del precedente. Il più feroce nemico dei politici corrotti, a quei tempi, fu Vittorio Feltri.