i manifestanti di questi giorni a Roma

I manifestanti di questi giorni a Roma si lamentano che sui giornali escano solo notizie sugli spaccavetrine coi fumogeni e di quelli che attaccano la polizia.

(Un giorno ci si dovrà preoccupare di trovare una collocazione dove far sfogare queste piccole percentuali di cittadini invasati, tenuto conto che esistono ed esisteranno sempre, cambiando bandiera ed ideologia. E’ gente che ha bisogno di farlo, e bisognerebbe trovare delle zone dove farli sfogare in sicurezza. Non è comprensibile che lo Stato garantisca il metadone ai tossici ma non delle aree protette per far scannare liberamente chi ha – per sua natura intrinseca – la voglia irrefrenabile di farlo.)

Ma ora facciamo pure finta che questi violenti non esistano.

Per definire la manifestazione di ieri a Roma basterebbe lo slogan: “Una casa e reddito per tutti“.

Ecco, mi basta questo per crearmi la mia opinione. E posso pure fare finta che non esistano violenti, che non ci siano No Tav che mettono le bombe, che non esistano gruppi organizzati che occupano abusivamente le case rivendicando il fantomatico diritto di un’abitazione. Mi basta questo slogan.

Vado a pagare l’affitto.

bah

La storia della mancata sepoltura di Priebke, uno che ha ucciso cinquant’anni fa quando la scelta era uccidere o essere uccisi, mentre nello stesso tempo il capo del governo italiano che rifiuta la salma visita amichevolmente l’America, un Paese dove tanti in anni recenti hanno ucciso civili sapendo bene di uccidere civili – e in anni recenti hanno pure inventato prove per scatenare guerre durante le quali sono morti civili, a volte per sbaglio, a volte per puro sadismo – ecco tutta questa storia non è solo indegna, è proprio illogica.

a F.

Sai cosa ti avrei scritto se non fossi morto così presto?

Aspetta, facciamo che comincio dalle cose che invece non ti avrei scritto, e che invece metto qui per usare questo posto per quello che in teoria sarebbe – un diario – e per ricordare tutto in futuro.

Il giorno del colloquio dopo tre minuti non c’era più niente di formale. Si scherzava ed io mi lasciavo andare sulla sedia. Si parlava del mio futuro come se fosse scontato e come se tu avessi già deciso di prendermi. Più tardi mi hai offerto responsabilità che non avrei mai pensato possibili. Erano quelli i tempi in cui mi pareva di guidare un’astronave, come se fino a quel momento avessi guidato al massimo solo una bicicletta. Ma soprattutto, mi hai fatto vedere – vedere, non me lo hai insegnato – come si può fare tanto e comunque restare tranquilli e sorridenti. Stavo guidando un’astronave, capisci? e a volte mi veniva difficile sorridere. Ti stiracchiavi sulla sedia, mettevi le mani dietro la nuca, a volte ti sfilavi una scarpa. E mi dicevi che tanto ce l’avrei fatta. Mi dicevi – il giorno dopo la promozione -: adesso mi fa piacere se verrai a chiedermi un parere, però voglio che succeda meno spesso. Fai come ti pare, andrà bene sicuramente. Fai come ti pare, e se pure non dovesse andare bene, io sarò lì a difenderti davanti a tutti, in ogni caso, anche se hai sbagliato. Comunque vada ti difenderò. Ricordo quella volta che abbiamo attraversato il tunnel sotto la Manica nella tua auto, e durante l’attesa abbiamo visto un DVD di un telefilm che guardavi da ragazzo. Ricordo che arrivavi al mio tavolo alle spalle e mi afferravi per il collo. Quando mi voltavo e dicevo “Hey!” aspettavi due secondi prima di parlare, e in quei due secondi, sorridevi.

Avessi fatto in tempo, ti avrei scritto raccontandoti di una mattina precisa a Londra, seduti nel bar di un albergo. Raccontavi delle scelte dell’università dei tuoi figli. Uno aveva già deciso, l’altro ancora No. Descrivevi tutte le possibilità. Ed io pensavo: va bene, se questi ragazzi hanno assimilato anche solo una decima parte di questa attitude, di questo modo di stare al mondo, allora non avranno problemi: qualunque decisione sarà quella giusta. Qualunque fallimento, non sarà mai troppo grave o definitivo. Scherzando – avrei avuto il coraggio di scherzare? non lo so – ti avrei detto che ci credevo perché era una proporzione matematica: dovevo pensare a tutto quello che avevo ricevuto io nel corso di un paio di anni, quantificarlo e moltiplicarlo per tutti gli anni che i tuoi figli erano stati con te. Moltiplicarlo per l’intensità maggiore che ci devi aver messo con loro. In fondo, se uno sta per andare via, di cosa può aver paura? Di andare via, innanzitutto – mi sono detto – e di non poter far nulla per chi rimane. Ecco, avessi fatto in tempo, avrei usato un lungo giro di parole per spiegarti che secondo me non dovevi preoccuparti troppo, perché stavi lasciando tanto.

Un periodo che non scrivo non per mancanza di cose da scrivere, quanto piuttosto per eccesso.

Ho ascoltato voci che parlano di futuro. Ho visto occhi che mi guardano in un modo che io lo so – certo che lo so – devo provare a non fidarmi. Ho scritto righe per una persona che sta per lasciare questo mondo. Ho avuto voglia di fare dei regali. Mi sono comprato le scarpe nuove – in francese. Ho trovato una foglia a forma di cuore nell’insalata e l’ho portata in processione da tutti i colleghi: mi pareva la notizia più importante della giornata.

E se un giorno dovessi morire giovane, probabilmente sarà perché mi metto a far polemica con quelli che non rispettano la fila, senza pensare alle dimensioni e alla faccia da malavitoso.

Un esempio concreto ed efficace del concetto di relatività? E’ davvero tutto molto relativo, quando sta per cadere il governo, la nazione è sull’orlo del baratro, ma mi trovo in riva ad un lago appena fuori Roma a contemplare gente che si vuole tantissimo bene, penso solo a quello ed il resto non esiste.

E’ davvero tutto molto relativo, se a Lampedusa affogano centinaia di migranti ma nel frattempo cerco di adeguarmi alla moda del momento, quella del fotografarsi i piedi col mare sullo sfondo – o le rotule? non ricordo bene – mentre arriva ottobre e non mi arrendo alla fine dell’estate.

ottobre

mandare a fare in culo

Se penso alla vicenda della presunta omofobia del Sig. Barilla, sento un’irrefrenabile voglia di mandare a fare in culo tutti. Tutti indistintamente.

Mandare a fare in culo il Sig. Barilla ma non perché presunto omofobo, piuttosto perché così stupido da cascare nel tranello di giornalisti iene che non aspettano altro che la dichiarazione choc, per poi saltellare battendo le mani tutti eccitati e lanciare la notizia all’Ansa.

Mandare a fare in culo quelli che protestano e invitano a boicottare la pasta Barilla, perché non comprendono il significato di pubblicità: a questo punto mi chiedo perché non rappresentare anche i maschi sfigati nelle pubblicità di automobili (non hanno diritto pure loro ad essere rappresentati?), e anche le donne tarchiate nelle pubblicità dei cosmetici (non hanno diritto pure loro ad essere rappresentate?). Mandare a fare in culo quelli che “queste cose nei paese civili non succedono” perché non sanno quello che dicono. Tutti quelli che pensano – aderendo alla protesta, amplificandola, esasperandola – di aiutare il mondo omosessuale. E mandare a fare in culo me stesso che ne scrivo quando mi ero promesso di non farlo.

Per i cultori, registriamo che quelli che erano i Macchianera Blog Awards ora non contemplano più la parola blog. Piccola furbizia per poter inglobare – oltre ai blog – pure twitter e facebook.

Non solo: un tempo, i protagonisti erano perfetti sconosciuti la cui fama era legata essenzialmente a quello che scrivevano (e per esempio Leonardo, per esempio Daveblog) e poi in un angolino c’erano i “vip” ovvero gente conosciuta molto prima di scrivere su internet. Erano questi gli anni ruggenti del 2.0, ovvero del Chiunque che poteva fare Qualsiasi Cosa. Perfino il sottoscritto veniva incluso nelle nominations e su Blogbabel “Rafeli” veniva prima del blog di Di Pietro di Linus.

Sono anni che non rimpiangiamo affatto.

Perché (forse sarà il mio un ragionamento privo di fondamenta) ma credo che quella fase – quel modo di ragionare e di credere che Chiunque Potesse Fare Qualsiasi Cosa – abbia raggiunto l’apice con l’invasione grillina al Parlamento. I germogli erano sempre quelli, insomma. Sta cambiando qualcosa? A guardare le nominations di quest’anno – e mi rendo conto di unire mondi veramente molto distanti – sembrerebbe di Sì.

ciao aspirante studente universitario

Ciao aspirante studente universitario che di solito in questo periodo ti lamenti dell’esistenza dei test di ammissione universitaria, che secondo te non dovrebbero esserci, che secondo te tutti tutti tutti dovrebbero avere il diritto di studiare quello che vogliono, che secondo te non e’ giusto che la vita di una persona si decida tramite un centinaio di risposte date in pochi minuti, che secondo voi e’ un test anonimo che vi priva della vostra identità eccetera eccetera.

A parte il non senso dell’affermare che la selezione verso i vostri sogni non dovrebbe essere all’ingresso, ma dopo, cioè una volta laureati e inseriti nel mondo del lavoro, visto che nel favoloso mondo del dopo esiste un plotone di gente come te (ma qualche anno più grande e con una laurea in tasca) che si lamenta di non riuscire a trovare qualcosa di adatto al proprio profilo formativo (brrr..).

A parte il fatto che produrre gente che si lamenta non e’ affatto gratis ma costa molto (no, non parlo delle tue tasse universitarie, quelle coprono solo una piccola parte dei costi totali) e il beneficio di questo sforzo economico per lo Stato – attualmente – e’ solo avere in giro ulteriore gente che si lamenta e che nei casi peggiori pretende una soluzione. A parte che nessuno si lamenta seriamente della mancanza di laureati, tranne i folli compilatori di tabelle comparative tra l’Italia e altri Paesi. A parte il fatto che negli anni ho conosciuto tantissimi studenti stranieri che hanno cambiato nazione pur di inseguire il proprio sogno, l’ultimo giusto la settimana scorsa, un trentaduenne israeliano che si e’ fatto il culo per anni in una fabbrica per mettere da parte i soldi e perfezionare una lingua e un alfabeto a lui sconosciuti ed ora – a trentadue anni – e’ orgoglioso di essere al primo anno di medicina, e te lo racconta con le palpebre che gli calano visto che nel frattempo continua a farsi il culo e lavorare per sopravvivere.

A parte tutto questo, e anche ipotizzando che quanto appena scritto sia tutto sbagliato, e ignoriamolo per un momento.

Ecco, resta il fatto che nella vita e’ assolutamente normale trovarsi in momenti cruciali,  momenti nei quali la tua vita viene decisa in pochi istanti, ed e’ normale che alcuni arrivino impreparati e non ce la facciano, ed e’ anche normale che alcuni arrivino preparati ma poi si caghino addosso dalla paura, fallendo causa assenza di sangue freddo. Ed e’ normale che il sangue freddo – o le “palle”, il “polso” o come vuoi chiamarla sta cosa – nel corso di una vita ti faccia andare più avanti di altri.  Ed e’ anche normale fallire – seppure fino ad ora ti hanno raccontato tutt’altro. Quindi No, non e’ assolutamente ingiusto, o irreale, o spersonalizzante: e’ soltanto un piccolo assaggio di realtà che ti viene offerto, caro aspirante studente universitario, prima di cominciare una pausa (dalla realtà) che durerà qualche anno.

L’olandese che abita sopra la mia testa – e che ha un marcatissimo accento olandese – lavora come ricercatrice sul fine vita. Ovvero cose che hanno a che fare con la morte, o con i mesi poco prima della morte. Ho intuito che fosse olandese dalla bicicletta legata ad un palo con una catena, senza paura dei probabili furti – manco fossimo in nordeuropa.

Sei salentino? mi chiede uno. Sì che lo sono – rispondo, considerando che a parlare tutto il tempo inglese o al limite francese, questo accento perfortuna purtroppo non si accentuerà mai e resterà riconoscibilissimo ovunque. Lui è un ricercatore (salentino) che da ste parti studia terapie innovative contro l’Alzheimer.

Perché a Brussèlle abbiamo sta cosa che le storie interessanti le trovi nei pertugi, dove meno te le aspetti, dietro facce e nomi che non lo diresti mai.

Mi piacciono gli annunci dei gatti smarriti.  La tristezza e l’inestetismo estremo di questi fogli A4 con l’immagine tagliata male di un gatto sul divano e gli occhi rossi causa flash, una foto magari scattata a Natale, e l’annuncio lacrimevole in Times New Roman, e lo scotch inzuppato di pioggia avvolto attorno al palo del divieto.

gabbiani

Sulla gradinata del lago, arriva un signore sulla settantina con camicia e pantaloni corti. Sistema un asciugamano, poi si spalma la crema solare solo sulle ginocchia. Si stende, in modo che il busto sia all’ombra del muretto e le gambe al sole – ecco il motivo della crema solare, ti spieghi. Si accende la pipa. Poco lontano, i gabbiani si mettono in fila per farsi imboccare al volo dal signore con la paglietta.

(Praça do Comércio, Lisboa)

mercatino1

Al mercatino sotto casa ci sono donne incinte, ragazzi che rollano sigarette, bambini che scivolano sullo scivolo, cani con la coda dritta all’insù, nonne coi capelli tinti male, venditori di piante di timo che scherzano in spagnolo coi figli degli acquirenti. Trovo un tipo che vende le orecchiette di bari e pezzi di polpo fresco lessi al limone. Compro tutto.

Mentre bevo vino bianco coi colleghi, un gruppo di bambine ottenni si avvicina e mi osserva in silenzio, a distanza di un metro. Tutte bionde, tutte sorridenti, osservano e non dicono niente. Dev’essere uno scherzo che fanno a tutti. Chiedo spiegazioni in francese, mi rispondono in inglese e tedesco, ma precisano che capiscono pure un po’ di francese aussi. Spariscono come sono apparse.

Il giorno dopo uscendo dalla metro inaspettatamente mi trovo nel mezzo della Baloon’s day parade.

Domani, alla lista “posti che se non mi ci avessero portato, ancora non avrei visitato” si aggiunge Lisbona.

i belgi

I belgi ti sembrano tutti diversi l’uno dall’altro.

E questa è una cosa positiva – per te che guardi con occhi comunque da italiano. Perché vivendo all’estero hai capito una cosa: un popolo è tanto più diverso da te, quanto più gli individui di quel popolo ti sembrano tutti uguali.

E’ un concetto semplice ma fondamentale: se un popolo lo percepisco come moltitudine di individui tutti diversi tra loro, allora vorrà dire che in un certo senso io sono dentro, e vedo tutto da dentro. Se invece il mio cervello considera un popolo come un gregge di essere umani più o meno tutti uguali, allora vorrà dire che – rispetto a loro –  io sono fuori, e vedo tutto da fuori (sto quindi osservando qualcosa di troppo diverso da me).

Sembrerà poco interessante, o sembrerà interessante solo per chi come il sottoscritto vive in un posto altro da sé, e rimugina su queste differenze.

I barbari del Paese Basso – per motivi diversi – a parte poche eccezioni, mi parevano tutti uguali. La prova del nove della mia teoria appena partorita potrebbe essere la percezione che tutti noi abbiamo degli asiatici: a meno che tu non sia asiatico, per te loro sono tutti cinesi. Anche se non è vero. A prescindere.

L’italiano che non ha viaggiato pensa la stessa cosa dei tedeschi. L’italiano contaminato e mitteleuropeo invece non la pensa più – perché per lui già i tedeschi sono meno diversi. E del resto come ha scritto un disgraziato, per il salentino ortodosso e ignorante tutti quelli con un accento del Nord sono comunque “milanesi”.

Vabe’, quello che volevo spiegare mi si e’ accartocciato fra le mani mentre scrivevo, ma non mi va di tornare su a correggere.

volevasi segnalare

Samuele Bersani racconta un incontro con una ragazza a Bologna.

Certe persone – quando gli succedono certe cose – hanno lo sguardo e il tono di voce di chi gli e’ crollato qualcosa addosso, e non possono farci nulla, sono sotto le macerie e basta. E non hanno bisogno di spiegare quanto sia bello eccetera eccetera, si limitano ad elencare i fatti oggettivi e scarni, poi tutto il resto viene fuori comunque.

E poi cazzarola tutto questo a Bologna.

Gli sceneggiatori dell’ultimo film della Pixar – Monster University – hanno deciso di basare la storia su alcuni pilastri abusati della cultura cinematografica americana: confraternite universitarie, bullismo tra sfigati e popolari, l’ovvia evoluzione dei gruppi di nerd con l’apparecchio ai denti che inizialmente perdono e poi alla fine vincono sui fighi e palestrati e cattivi.

Quindi – a parte la grafica, e molte trovate come al solito strabilianti, come lo studente lumaca e la madre dai cinque occhi – hanno basato la storia su elementi tanto americani, solo americani. Come se fosse un film solo per gli americani. Dispiace, visti i precedenti che raccontavano storie dal contenuto universale (ci metto Up, su tutti). Mi verrebbe da sedermi di fronte ad uno degli sceneggiatori, prendergli la testa tra le mani e spiegargli che No, non siamo mica tutti americani, qua.

(E invece un film molto europeo che si consiglia è Un Sapore di Ruggine e Ossa)

Nella lista “posti che se non mi ci avessero portato, ancora non avrei visitato“, nel senso che rimandi ad un “poi” indefinito nel futuro che prima o poi arriverà, in questa lista dicevo, ora possiamo metterci pure Dublino.

Nei pisciatoi dei pub dei bagni maschili si usano i cubetti di ghiaccio – la funzione non ti è chiara, forse per attenuare lo smell? – e le ragazze del luogo si abbronzano artificialmente con una crema che le rende tutte arancioni. Ti viene da pensare alle proporzioni che si studiavano con la matematica della seconda media, e quindi ti viene da pensare che sotto molti aspetti, nel bene e nel male, le italiane stanno alle irlandesi come l’alitalia sta alla ryanair.

l’anno nuovo

Siccome possediamo cervelli forgiati dalle esperienze di gioventù, e in gioventù l’anno nuovo cominciava dopo le vacanze, e dopo le vacanze qualcosa era sempre cambiato, ora che non ci sono molte cose da cambiare, fai finta di cambiare qualcosa modificando – ancora abbronzato come sei – le immagini del desktop dei computer sotto mano, a casa e al lavoro. Attualmente sei impegnato a cercare un degno sostituto di questo.

summer13

Appena tornato a Brussèlle, sei consapevole che in una vita da expat, le pause della vacanza – per compensare – devono essere necessariamente molto local. E infatti è quello che hai fatto durante due settimane di salsedine. Solo che poi tutto il tempo lo hai trascorso con persone che per la vast majority sono nelle tue stesse condizioni – di delocalizzati intendo – chilometro più, chilometro meno.

Sei contento di come hai speso il tuo tempo, spendendolo male, ripetendo i gesti all’infinito, diventando un perdigiorno, diminuendo allegramente la stima di te stesso.

Ricominceresti domani.