So this is Manhattan

manhattan10122013

Esiste un tipo di turismo – forse il più diffuso in assoluto – che ha come obiettivo non quello di scoprire i posti, ma invece quello di viaggiare già sapendo esattamente come sono questi posti, perché si sono visti prima mille volte in fotografia, con l’unico gusto inconscio di confermare che i posti sono esattamente come nelle fotografie. A quel punto, una volta confermata l’uguaglianza tra aspettative e realtà, si scatta una foto. E si porta a casa una foto simile – spesso più brutta – di quelle che si sono analizzate poco prima di partire. Questo tipo di comportamento non è criticabile: se la gente gode così, è giusto che continui a farlo. Questi posti visitati possono essere più o meno belli. Tra i luoghi che più di tutti si fondano su questo tipo di turismo, al primo posto direi che ci mettiamo Manhattan a dicembre.

A Manhattan a dicembre fa un cazzo di freddo. Ed ogni luogo visitato, è come averlo già visitato. La bellezza dei luoghi è solo un’eventualità. Per esempio Times Square è oggettivamente brutta. Ma non è importante questo (nessuno la considera bella o la visita per questo, come Piazza Navona): piuttosto, è importante notare che quando ci arrivi è esattamente come te la aspettavi. E cioè, è esattamente come un reparto televisori di un centro commerciale in versione ingrandita e non si discosta neanche di un millimetro da come la immaginavi.

Tutta colpa dei film. La quinta strada. Gli scoiattoli di Lower Manhattan con la statua sullo sfondo. Il venditore di hot dog ambulante. Il tombino al centro della strada da cui esce vapore e il taxi giallo che ci passa sopra. Tutta colpa dei tanti film che hai visto durante la tua vita. E non è colpa di Manhattan se c’è tanta Manhattan nei film. E se a dicembre fa freddo, e quindi rischi di congelare e passeggiare per Central Park non è poi così piacevole. E’ così e basta, a parte tutto il woodyallenesimo che ci puoi mettere, sforzandoti. Andarci apposta ti potrebbe sembrare inutile, e il non esserci stato mai, altrettanto assurdo.

So this is America

Quando la signora mi ha chiesto come volessi il cheese sul cheesburger, ho esitato.
Lei mi ha imboccato la risposta: Ma Americano! Sei in America: allora americano, giusto? Giusto! ho risposto io, continuando a guardare comunque affascinato la partita di rugby di cui mai mai mai comprenderò le regole.

Credo che però il racconto debba partire dalla mattina. Entro in aereo e subito noto tanto spazio tra i sedili ed un ambiente molto pulito ed ordinato. Mi dico: meno male, se devo fare tante ore di viaggio, perlomeno starò comodo. Solo che non trovo il mio posto. Dopo due minuti di ricerca mi rendo conto che il mio posto è in tutt’altra zona dell’aereo, oltre una barriera fatta da steward gentili ed eleganti. A quel punto ricordo tutto: il mio posto è in business class. Non avevo prenotato io e perciò l’avevo dimenticato.

Ora, ci saranno quelli che già lo sanno cosa significa la business class dei viaggi intercontinentali. Bene: io non lo sapevo affatto. Di più: io non lo sapevo e poi tra l’altro viaggio tantissimo con Ryanair, al punto che per certe tratte le hostess mi riconoscono pure. Di più, gli americani esagerano sempre. E dunque dal mio punto di vista di pinolo e pivello mi sono stupito di tutto. In certi momenti ho dovuto copiare una signora mia vicina perché certe cose proprio non sapevano cos’erano, come funzionavano. Io che di solito leggo tantissimo in aereo, ho abusato di film americani, telecomandi e pulsanti, vino portoghese e sedili che diventano letti. Mentre ero sotto una coperta ho avvertito le turbolenze dell’aereo, ed erano turbolenze ritmiche, e quella sensazione di essere steso su qualcosa che vibra ritmicamente mi ha ricordato – solo chi lo ha provato può saperlo – le notti nelle cuccette dei treni disperati da Lecce a Bologna. Dopo alcune ore di viaggio mi ero già talmente abituato ad avere tutto sotto mano e pronto quando volevo e come volevo, che la semplice mancanza di una penna immediatamente a disposizione mi stava facendo innervosire. La parte meschina di me attendeva che George, lo steward simpatico e servizievole, venisse ad infilarmi una penna tra le dita già in posizione. Immediatamente.

Ad un certo punto ho vissuto un corto circuito personale osservando la mia vicina di viaggio americanissima – con cui avevo scambiato qualche parola prima del decollo – che si drogava sul suo schermo di sitcom americane, quel tipo di prodotto televisivo che conosco benissimo perché l’ho assorbito sin da bambino. Solo che io ero un bambino mediterronico e scalzo nella calura del Salento – e in tv c’erano le sitcom americane, totalmente diverse da me sudato e scalzo – adesso c’erano le sitcom americane e poi anche, giusto di fianco a me, una spettatrice identica alle protagoniste delle sitcom americane. Identica nell’aspetto e nelle movenze. Quindi automaticamente anche io ero nella sitcom americana mentre nel frattempo lo schermo mandava in continuazione sitcom americane. Dall’altra parte, il tizio seduto non era esattamente John Goodman ma ecco, se mi avessero detto che era suo cugino, ci avrei creduto. Un accerchiamento culturale improvviso.

E poi gli americani con quel loro lessico esagerato. Alla mia vicina e alla sua amica – due allegre signore periformi – dico il nome del paesino dove resterò per i primi tre giorni, sperduto nel nulla. Loro prima mi dicono che il mio inglese è “fenomenale”, che la giornata è “incredibile”, e poi che il posto dove andrò è molto, molto bello e interessante. Ah sì? rispondo io. E cosa c’è di bello da vedere? Vanno nel panico. Il centro commerciale, dice una di loro. Il centro commerciale, sì, ripete l’altra. E’ “fenomenale”, dice quella. Prima non volevo, poi ho pensato che avevo solo tre ore a disposizione e non potevo andare in altri posti. E poi ho concluso che antropologicamente, nulla sarebbe stato più interessante dell’immergermi tra gli americani nella provincia americana, proprio durante lo shopping natalizio.

E quindi eccomi là, l’unico che in un Mall è occupato ad osservare le persone, invece che le vetrine.

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qualche giorno fa


Si era da queste parti, e si beveva per la prima volta Pastis.

Si riconoscevano gli italiani riconoscibilissimi, incafagnati nelle sciarpe, e si cercava di sfidare la fortuna con cose del tipo adesso entriamo qui a caso e vediamo se anche qui è bello.

Tu come al solito ti sei sentito in colpa, ma ormai questa cosa fa parte di te, e quindi pazienza. Addirittura ti senti in colpa per la bellezza e la perfezione, se in qualche modo ne sei responsabile. Ad un certo punto – causa senso di colpa – hai sperato che il tutto che avevate attorno non raggiungesse picchi esagerati di bellezza e perfezione. Che ci fosse qualcosa di stonato. Okay, poco dopo ti hanno rubato tutti i documenti e i soldi e le carte di credito, ma anche in quel caso dopo poche bestemmie senza neanche recitare ti sei calmato e hai pensato fanculo, chi se ne frega. Molto male, perché questo ha acceso una buona luce su di te, proprio nel momento in cui stavi cercando appositamente l’imperfezione.

Non solo si sostiene il Prof. Garattini per le minacce ricevute da cosiddetti “animalisti”, ma poi anche, leggendo le prime righe dell’articolo del Corriere sulla manifestazione di oggi a Milano l’occhio mi cade su un particolare.

Circa 300 persone, in gran parte donne, hanno sfilato sabato pomeriggio nel corteo dell’organizzazione Animal Amnesty, indetto nel capoluogo lombardo nella giornata della mobilitazione nazionale contro la vivisezione

Sarebbe ora di cominciare a farsi delle domande. Al di là delle posizioni dei singoli – tutte lecite – sarebbe ora chiedersi quali siano i motivi reali che stanno dietro certe motivazioni. Quanta razionalità e quanta emotività. E se poi è emotività, da cosa viene influenzata.

Intanto sono anni che attendo, a braccia incrociate, una manifestazione di questa gente – come dice l’articolo, in gran parte donne – contro le derattizzazioni delle fogne dei loro comuni.

Ah, e ovviamente non c’e’ nulla da festeggiare per la decadenza di Abberlusconi.

Mi ripeto: se il Sindaco di un Comune e’ mafioso, e per questo viene rimosso, la gente che lo ha eletto diventa forse migliore di prima? No, la gente che lo ha eletto e’ la stessa di prima. Non c’e’ da festeggiare per la rimozione della punta dell’iceberg, se poi resta l’iceberg. E potrei continuare con le metafore all’infinito.

I libri di storia parleranno di chi e’ sceso in piazza per sostenerlo, di chi ‘e sceso in piazza per festeggiare le sue disgrazie. E probabilmente si dimenticheranno dei silenziosi che erano nel mezzo, a disagio nel mettersi da una parte, oppure dall’altra.

montmartre

montmartre

Di fatto Parigi per me significa Montmartre, tanto che non dovrei dire vado a Parigi quanto piuttosto vado a Montmartre.

Mentre scattavo questa foto, la borsa appesa alla mia sedia veniva rubata da chissà chi, e così finalmente ho potuto provare quella sensazione sperimentata almeno una volta nella vita da ogni essere umano – e che ancora non avevo provato – cioè quella di perdere in un colpo solo tutti i documenti possibili. Il lato positivo è che avrò una patente nuova con una foto finalmente diversa, ché in quella attuale sembro (sembravo) un trafficante di droga che aveva dormito poco. Tra i lati negativi – tanti – è che però la patente nuova mi serve subito, ché tra qualche giorno troverò guidare per strade sconosciute dall’altra parte del mondo.

quando

Quando una ragazza – o un essere umano in generale – parla inglese con un accento eccessivamente americano oppure (peggio) eccessivamente britannico, e quindi si muove nel mondo gestualità e comportamenti eccessivamente americani o eccessivamente britannici, come per esempio (per gli americani) essere entusiasti di tutto a prescindere, e (per i britannici) non dire mai le cose come stanno ma girarci cautamente attorno (potremmo chiamarlo girattornismo), ecco, in questi casi subito mi viene da classificare la persona come appartenente ad un mondo lontano, magari interessante ma lontano, un posto remoto che lo so bene non mi troverò mai completamente a mio agio.

in questo preciso momento

In questo preciso momento c’è Abberlusconi che parla dal palco al congresso del suo partito. E parla – lo ascolto con le mie orecchie – del suo maestro di scuola media che gli raccontava dei soviet russi sotto il comunismo, dei comunisti che se li piaceva una donna, facevano fuori suo marito, se volevano l’appartamento di fianco, uccidevano il proprietario e se lo prendevano. E che quindi oggi (oggi in Italia nel 2013) i nostri beni e la nostra libertà sono a rischio. E dice “preoccupiamoci”, perché solo arrivando alla maggioranza dei consensi, si potrà difendere la nostra libertà contro questi pericoli.

Giuro.

In una scena de La Grande Bellezza, il protagonista del film Jep Gambardella (impersonato da un perfetto Toni Servillo, uno che invecchia come il vino) è nel letto a fumare una sigaretta. Seduta al bordo del letto c’è Isabella Ferrari – pure lei come il vino – che racconta al protagonista quanto è “brava a fare le fotografie”. Lui dice qualcosa del tipo “ma dai” e allora lei si sente incoraggiata e continua “se vuoi vado di là prendo il computer e ti faccio vedere le mie foto su Facebook, dicono che sono molto brava”. Allora Isabella Ferrari va di là, ma quando torna con il computer Jep Gambardella non è più nel letto.

La camera stacca su Jep che passeggia in una piazza romana, e si ascolta la sua voce dire tranquilla:

arrivato a sessantacinque anni, non posso più perdere tempo a fare, cose che non mi va di fare“.

Ecco, a parte i sessantacinque anni, ci sentiamo molto Jep Gambardella.

certe volte

Certe volte ti piace l’imprevedibile. Ti piace non essere convinto ma ugualmente lasciarti portare via dal flusso delle cose.

Alla fine di una cena durata fino quasi a mezzanotte, avevi deciso che la serata sarebbe finita lì. Però siccome non vuoi passare per asociale ha richiamato chi t’aveva invitato a fare un giro, sperando – come spesso succede – che a causa del rumore nessuno rispondesse alla chiamata. A quel punto avresti avuto la coscienza a posto, spegnendo il telefono e annullandoti con una doppietta di Breaking Bad. Ma ti hanno risposto.

Allora ti sei fatto vedere, pero’ con il progetto preciso di dichiarare: Soltanto Una Cosa Da Bere, e poi sparisco. Per sottolineare le tue intenzioni divergenti dalla realtà degli eventi, lungo la strada ascoltavi Un Oceano Di Silenzio. Quindi hai annuito a tutti i progetti per la serata e alla fine hai dichiarato: No No, bevo una cosa e poi sparisco.

Qualche ora più tardi hai posato un bicchiere sul tavolo in un luogo rumoroso e stipato di gente, e hai detto: me ne vado, ciao. Poi ecco l’imprevidibilità.

Ed ecco che all’improvviso mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei, e consideri ancora una volta che non e’ per niente scontato che domani potrai decidere se lasciarti andare al flusso delle cose oppure No.

Tra le note da prendere, ricorderai occhi chiusi, piedi scalzi sul marciapiede freddo, il rumore di un camion della nettezza urbana verso l’alba, mirto bevuto per sbaglio a colazione perché il bicchiere era nel posto sbagliato, risate sincere che non ti saresti aspettato, una spesa al supermercato dodici ore dopo essere uscito da casa e non esserci mai tornato, il passo incerto mentre ti avvicini al banco frigo e dei capelli appiccicati sotto la suola delle scarpe.

C’e’ un gioco che mi diverte di sti tempi, quando in una stanza entra una ragazza bella sopra la media delle ragazze, di quel tipo di presenza che rompe l’aria e che poi dopo in quella stanza l’atmosfera non e’ più la stessa.

Quando in una stanza entra una ragazza cosi’, mi sforzo di intercettare lo sguardo dei maschi presenti – di quelli che non possono fare altro che osservarla. E mi incuriosiscono soprattutto gli occhi di quelli più adulti, di quelli più incravattati. Osservo quanto deboli appaiano in quei momenti, quanto in un istante tutti gli orpelli di homo sapiens cadano a terra, e di come non resti altro che la scimmia nuda.

Fanno tenerezza – pure – perché osservano con insistenza per tanti secondi di fila, neanche ipotizzando che potrebbero essere scoperti a farlo, e quanto triste possa apparire questa cosa, tenendo presente la loro attuale posizione di dominanza nella formale gerarchia degli uomini.  Forse perché quando e’ stato il loro tempo  non hanno imparato a dissimulare, a spiare senza farlo vedere, ad scrutare come fanno i gatti. O forse perché non hanno più niente da perdere.

 

– Guarda gli animali, secondo te loro ne sanno qualcosa della felicità? 
– Beh’ penso che anche gli animali ogni tanto si sentono tristi o felici, solo che non riescono a esprimere i loro sentimenti… – ho risposto io.

Lui mi ha guardato in silenzio e poi ha detto:

– E lo sai perché Dio ha dato all’uomo una vita più lunga di quella degli animali?
– No, non ci ho mai pensato…
– Perché gli animali vivono seguendo il loro istinto e non fanno sbagli. L’uomo vive seguendo la ragione, quindi ha bisogno di una parte della vita per fare sbagli, un’altra per poterli capire, e una terza per cercare di vivere un’esistenza senza sbagliare.

N.Lilini – Educazione siberiana.