Seppure la ricerca di una casa nuova è in pausa, continuano ancora adesso i miei sforzi per assegnare alla ricerca di una casa – e alle case in generale – significati altri.

Per esempio ho preso consapevolezza che il mio progressismo ha definitivamente perso, ora che fortissimamente voglio una casa in una zona a prevalenza etnica europea, non mediorientale, non nordafricana. Argomento questo difficile da snocciolare e da comprendere, se non si ha vissuto non dico a Brussèlle, ma almeno in una grande capitale europea.

Per esempio leggendo questo post sulla difficoltà di trovare una casa decente a Milano per i giovani professionisti di oggi con gli stipendi da fame – salvo che poi i giovani professionisti con stipendi da fame desiderano un appartamento proprio nelle zone più trendy della città. Leggo il curriculum dell’autore, leggo i commenti, e non so spiegare il motivo, ma subito penso che in una vita conta pure – e meno male – quante volte potendo scegliere hai imboccato la strada più difficile, invece della più facile, o della più attraente.

Lo so che è sempre lo stesso argomento – a partire dalla cicala e la formica questo è sempre lo stesso argomento – ma oggi mi viene in forma di strade: quella più facile e attraente e fica, e quella più complicata, e mi vengono in mente le volte che hai imboccato la strada più complicata, e mentre ti ci trovavi dentro, ancora potevi scorgere quelli che erano sulla strada più facile, e un poco li invidiavi, un poco ti bruciava il culo, a te che intanto eri dall’altra parte.

(E a proposito di case, e di imboccare strade complicate e di soddisfazioni collegate, ci metto pure queste foto del balcone di Andima)

Tra i motivi per perdere del tempo facendo teatro, e di farlo proprio a Brussèlle, c’è il fatto che a Brussélle tanta parte del tempo – per tanta parte della gente – è speso in lavori dai nomi altisonanti e dalle apparenze eleganti, pieni di formalità e di responsabilità.

E allora per compensare tutto questo, ti fai guidare da qualcun’altro (invece che guidare tu), deleghi responsabilità ad altri (invece che prendertele tu), fai qualcosa di molto fisico (invece di una scrivania ed un computer), dove ti devi sporcare, dove ad un certo punto sei dietro le quinte, seduto su un pavimento polveroso di legno, a bere vino rosso in bicchieri di plastica già usati da altri, e il caldo ti fa colare il trucco dagli occhi.

cose, 14 sette duemilatredici

fotoabbrEsistono parole come formattare e ancora non hanno inventato una parola per descrivere quel lento processo durante il quale l’abbronzatura scompare. Disabbronzatura? Ne esistono diverse varianti, c’è quella graduale, quella drastica che poi lascia le chiazze, eccetera eccetera.

L’edicolante sotto casa – rendiamoci conto – vende Donna Moderna.

Nei parchi di Brussèlle le ragazze musulmane col velo sono stese sul prato con i fidanzati, e fa niente che poco distanti altre ragazze siano seminude, e queste ultime non indossano neanche il costume da bagno per prendere il sole, il reggiseno è quello di tutti i giorni. Da questo dettaglio ti illudi di distinguere le barbare – cioè dalla linea brussellese in su – dalle mediterranee – dal confine brussellese in giù – partendo dal presupposto che le mediterranee non lo farebbero mai.

Ti piace poter incontrare per caso gente che conosci, ma allo stesso tempo ti piace poter pranzare al tavolo di un ristorante da solo, con un libro aperto davanti al piatto, sapendo che è cosa comune e normale. Ti piace che le due cose accadano nell’arco della stessa giornata.

Erano due anni, due mesi e 14 giorni che non venivi a Utrecht. Che poi sarebbe il luogo dove hai vissuto nei tuoi anni di Paese Basso.

Non eri felice, non eri triste, non ti sembrava neanche lo stesso luogo. L’incontro di lavoro era al quindicesimo piano di un palazzo tutto vetri e pareti interne ricoperte di fitta vegetazione come avevi visto fino ad ora soltanto in tv.

Mai nel tuo periodo di Paese Basso eri stato al quindicesimo piano di qualcosa, quindi la città barbara, vista da lassù, non ti sembrava neanche la stessa. Quando il tuo impegno è finito in larghissimo anticipo avresti avuto il tempo per girare il piccolissimo centro storico, l’unica parte bella della città. Ma non lo hai fatto, per motivi che ancora adesso non riesci a darti. Però tornando a casa – una volta scaricata la collega davanti ad un cancello – hai lasciato che lo stereo mandasse imbarazzante musica anni novanta.

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Leggere tra i commenti che mi sarei imborghesito fa sorridere. Altre cose capisco di me, mentre mi trascino nell’indecisione del prendere casa nuova – oppure non prenderla.

Ho scritto all’agente immobiliare per confermare che la prendo, e poi più tardi per dire che la prendo ma solo a condizioni complicatissime – tipo far partire il contratto a metà agosto – e tutto questo perché spero che mi dica No, la diamo a qualcun’altro. E spero che la diano a qualcun’altro perché se la prendo so che sarei assalito dai sensi di colpa.  Faccio il difficile per farmi mandare affanculo, in pratica. Un borghese dai sensi di colpa.

Ieri (prima che cominciassi a fare il difficile) l’agente ha telefonato e ha chiesto: quando potresti venire a firmare? Guardi è complicato – gli rispondo – le mando i giorni disponibili via email.  Scrivendo l’email mi accorgo che non è necessario fare finta di essere complicato. Visto che:

Domani mattina sono a Londra, e torno nella notte. Il giorno seguente, dopo il lavoro, devo leggere delle cose in pubblico qui. Il giorno seguente nel pomeriggio guido fino in Paese Basso e da lì volo fino al paesello. Torno dopo dieci giorni, ma tutti i giorni dopo il lavoro dovrò correre in un teatro a provare delle cose che non vorrei, ma ormai. Fino a sabato. Domenica parto per la Francia, da qualche parte a ovest dove non sono mai stato. Torno due giorni dopo. Resto un giorno a Brussélle, ma poi parto per il Paese Basso. Quindi torno finalmente a Brussèlle. Per una settimana, perché poi entro luglio sono a Berlino e di nuovo a Londra. Quindi due settimane di vacanze al paesello. A settembre ci sono Lisbona e Roma.

La casa non mi serve.

Lo sapevi già ma ne trovi conferma ogni giorno. Non sopporti chi non mette impegno nelle cose che fa.
Soprattutto se l’approssimazione e la superficialità finiscono per coinvolgere anche gli altri.

Mi concedo molte approssimazioni e superficialità, ma solo quando sono solo con me stesso. Se ci vanno di mezzo gli altri, chiunque essi siano – anche persone di cui non ho rispetto – non ce la faccio. Se ci vanno di mezzo gli altri, la sensazione sgradevole che provo attorno allo stomaco come la devo chiamare? Responsabilità? Pulsione morale? Gastrite da senso di colpa? Non lo so.

vengo a scoprire

Vengo a scoprire anni dopo che un brano vecchissimo di questo blogghe è stato inserito all’interno di un corso di italiano per spagnoli. Nella lezione sul connettivo generico.

Delle righe scritte annissimi fa, ancora prima di splinder, robe che sono ormai perse per sempre – o che credevo perse per sempre, salvo poi ritrovarmele in questo modo. Cose scritte ai tempi dell’Erasmus mentre tornavo a Bologna forse per un esame, e guidavo tra le Alpi dell’Austria.

italianoamemipiace

C’è questa grande casa in affitto qui vicino. Dalle ampie finestre, si vedono gli alberi, e dietro gli alberi, un laghetto. Laghetto e alberi, nel pieno centro di Brussélle. Al centro del laghetto, un getto di acqua e una grotta artificiale. Le anatre ci si addormentano sopra. Forse costa troppo. Ne scrivo per farmi passare la voglia.

update: ecco, per dire.

se mi offrissero

Devo spesso rispondere alla domanda: “se ti offrissero un lavoro in Italia, torneresti?“. Ogni volta devo rispondere utilizzando argomenti e logiche sconosciute da chi ascolta (ché spesso la domanda mi arriva da chi non è mai partito, neanche per brevi periodi).

La questione non è cercare tra tutti il luogo più bello del mondo e andare a vivere in quello. Oppure cercare il luogo più bello del mondo, il lavoro più bello del mondo, e cercare di combinare le due cose. Viviamo nell’epoca dei compromessi: chi non lo ha ancora capito piange alla tivvù nei programmi di denuncia, perché lavora come editor in una casa editrice che sta fallendo, mentre nel frattempo ha messo al mondo due figli che non sa come mantenere. Viviamo nell’epoca degli adattamenti e dei compromessi, e chi non lo capisce, nella scala evolutiva,  io lo vedo come un dodo che si rifiuta di imparare a volare, quando è ovvio che gli sarebbe necessario.

Se ricevo la domanda, cerco di infarcire la risposta con immagini concrete che possano essere visibili a chi ascolta.

Racconto che il posto dove mi trovo attualmente mi offre delle cose belle e incredibili, praticamente inimmaginabili qualche anno fa; ha pure dei lati negativi che però – lo ripeto sempre –  I can handle . Se mi offrissero un posto a Bologna, Verona o Firenze (e recentemente mi era pure successo), oltre ad accettare di guadagnare la metà e lavorare tante più ore al giorno, mi ritroverei a vivere in un luogo bello oltre certi limiti. Voglio dire, di un bello oltre un limite per cui – una volta arrivati a quel livello – sarebbe difficilissimo tornare indietro.

Se tutto questo poi un giorno venisse a mancare – di questi tempi queste mancanze improvvise sono la regola, con un futuro che promette nuvole nere – e se dovessi trovarmi di nuovo a smontare tutto e ricominciare altrove, per il me stesso di qualche anno più vecchio tutto questo sarebbe drammatico. Se poi dovessi ritrovarmi per bisogno a vivere chessò, a Dusseldorf, a Manchester o di nuovo in Paese Basso, o in determinata Scandinavia, ma pure a Londra, ecco, sarebbe impossibile da sopportare. Questo non è l’unico motivo, ma è uno dei motivi, e purtroppo a me riesce di spiegarli solo uno alla volta, con spiegazioni lunghissime, tanto che certe volte non vorrei affatto cominciare a farlo.

Per riformulare tutto in pochissime parole: sarebbe come stare con una ragazza bellissima che però lo sai da subito, è una che cambia facilmente idea.

metto

Metto in una categoria a parte quelle ragazze che appena le incontro sono certo – e mi bastano cinque minuti –  che se facessi una figlia con loro, non avrei nulla da ridire su come la vorranno vestire verso i quattro anni, una mattina che si dovrà uscire per una passeggiata al parco.

piccolo mondo

Mi trovavo a margine di questo congresso in Baviera, a mangiucchiare i biscotti al cioccolato rimasti, ad attendere che smettesse di piovere per passeggiare in quella Leopoldstrasse conosciuta così bene. Siccome piove resto a parlare con le persone rimaste. In questi contesti devi esercitarti a raccontare chi sei cosa fai cosa hai fatto e poi – magari, se ne sei capace – a riuscire pure brillante, per fissare l’immagine di te nel cervello degli altri all’interno del cassetto cerebrale dei ricordi positivi.

Questa ragazza magra e sorridente mi dice – mentre mangio biscotti al cioccolato – che è serba e che però da qualche anno vive in Paese Basso. Smetto di masticare. La guardo meglio. Osservo le gocce di pioggia dentro un laghetto artificiale fuori dalla finestra. Osservo la statua di bronzo di un pavone. La osservo meglio.

Ora, i lettori di medio termine sapranno dei miei troppi traslochi in Paese Basso, delle troppe case che ho cambiato, e di quanti colloqui ho dovuto sostenere ogni volta per essere accettato in una nuova casa, di quante cazzate ho raccontato, e di conseguenza, di quante persone ho incontrato. 

“La tua camera a Utrecht non era molto grande.” le dico “La finestra era molto piccola. E vivevi con un’altra ragazza.”
“…”
“E dalla cucina si arrivava ad una terrazzina lunga e stretta”
“Come fai a saperlo?”

Lei sorride ma è nervosa. Le spiego cosa è successo, perché ci conosciamo già, come mai ci siamo già incontrati in una vita precedente – ed io che appena qualche giorno fa parlavo di perdite della memoria.

uno degli effetti

Uno degli effetti dei picchi di stress e della privazione di sonno e’ il mio dimenticare – talvolta – i nomi delle persone. Di amici, colleghi o personaggi pubblici. Soltanto i nomi dimentico: per il resto ricordo perfettamente il viso, gli eventi, i tic, le imperfezioni epidermiche e le macchie sui denti, ricordo i dettagli più’ insignificanti, ma dimentico il nome.

Dovevo prendere un bus che mi avrebbe portato in aeroporto, oggi, e improvvisamente mentre chiudevo la valigia mi e’ venuta in mente la faccia di Calderoli, ma senza ricordare il nome Calderoli. Non mi sono chiesto il motivo di tale immagine mefistofelica in una situazione del genere, del me stesso che chiude una valigia mentre  Brusselle fuori finalmente splende di sole. Ho una passione per il nonsense, e ste cose le accolgo come un regalo.

Mi sono detto, fin quando non mi verrà  in mente il nome Calderoli – cioè fino a quando non mi verrà’ in mente il nome di quello li’ – non uscirò a prendere il bus, e rischierò  di perdere il mio aereo. Il nome poi e’ arrivato – del resto sono quello che ricorda senza motivo i nomi del’intero cast di Beverly Hills 90210 – e mi trovo adesso a Monaco di Baviera, un luogo dove la voce della signorina della metro e’ rimasta uguale a quella che ascoltavo ai tempi dell’Erasmus, e che per connessioni neurologiche imperscrutabili resta collegata all’odore di una crema giallina che usavano nella mensa universitaria, cosi’ che l’odore mi tornava al naso ad ogni Bitte Zuruck Bleiben ascoltato nella U-Bahn.

Ora, se uno fosse come me e ricordasse chi era Ian Ziering, rimarrebbe stupito dal sapere che l’anno prossimo quello compirà  cinquant’anni.

(e googlare non vale)

Quando sto per salire sull’aereo per tornare a Brussèlle – uno dei tanti ritorni dal paesello verso le città dove ho vissuto in questi anni – poco prima di passare il gate, i pensieri si attorcigliano sempre sugli stessi argomenti conosciuti solo da chi vive questo tipo di vita.

Allora sparo la musica alta in cuffia, così che all’improvviso non sia più musica ma colonna sonora, e quello che vivo non sia più vita ma film, e quello che parte non più io ma un attore, il quale, diciamolo, sa fare benissimo la parte.

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Quando il cameriere viene a portare altro vino bianco smettiamo per un momento di parlare. Lei ha molti anni meno di me e quasi non la conosco. Viene dalle coste del Mar Nero, studia cose che hanno a che fare coi soldi e quindi in pratica vuol dire che viene da un mondo diverso. Eppure la conversazione procede liscia. Siamo andati a finire sull’essere o meno analitici o osservatori. Ha cominciato lei ed io la seguo. Mi aspetto però che non dica la verità: si è vestita troppo bene – è evidente che vuole fare bella figura, e se vuoi fare bella figura l’onestà è spesso soltanto un’eventualità.  Ad un certo punto divento anziano.

“Anni fa ero orgoglioso come te di scovare i dettagli, di riuscire spontaneamente ad analizzare minuziosamente le persone e le situazioni. Oggi penso che sia allo stesso tempo un vantaggio ed uno svantaggio. Quando i dettagli ti saltano agli occhi più facilmente che agli altri, quando anche non volendolo analizzi la realtà più a fondo rispetto agli altri, succede pure che giungi a conclusioni molto più velocemente degli altri, e a quelle conclusioni gli altri – a volte – non ci arrivano per niente. A quel punto ti puoi fermare e fare notare agli altri tutte le cose che non hanno visto, e quindi farli arrivare alle tue stesse conclusioni. Una volta fatto questo gli altri saranno d’accordo con te e forse ti osserveranno con occhio ammirato.  Ma prima, ecco, prima di questo sforzo, tu sei da solo. Questo talento che hai ti trascina continuamente alla solitudine.”

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Eri nella hall dell’albergo e hai notato questa ragazza tagliare la stanza da parte a parte, in quel modo che hanno le ragazze di muoversi ben sapendo di essere osservate, e quindi con occhio nervoso passo svelto e dita che vanno a sistemare ciocche di capelli che non ne avrebbero bisogno. Hai osservato il passo deciso e la giacca di pelle e le caviglie perfette. Hai pensato che stai muovendoti verso una fase della tua vita in cui non puoi tollerare la mancanza di eleganza, nelle movenze e nelle proporzioni. Ti trovi spesso in disaccordo con te stesso su questo punto, sai che non dovresti essere così, ti rendi conto che l’estetica è solo estetica, ma poi ti arrendi e pensi che non puoi farci nulla, se sei così è molto meglio accettarlo che nasconderlo, è molto più conveniente vivere il fastidio piuttosto che fingersi diversi, e vivere la frustrazione che ne consegue.

Molto meglio.

Causa nebbia il battello che doveva accompagnarti dall’altra parte del Thames – eri a Londra, difatti – non è partito, e quindi per la fretta hai saltato la colazione e ti sei infilato in un bus prenotato da una collega. Hai poi fatto colazione da Starbucks ricordando il grembiule verde che per anni è stato utilizzato nella tua casa bolognese, residuo bellico di un estate dei primi anno zero, rubato non ti ricordi bene da chi. Il grembiule verde di Starbucks – mancando Starbucks a Bologna – appeso  nello stesso angolo per tanti anni, è stato sempre collegato nella tua testa ai pomeriggi mogi di vita casalinga bolognese, piuttosto che alla vita da metropoli, come invece dovrebbe essere.

Più tardi eri seduto in questa sala conferenze, e in un momento di estrema noia hai preso le cuffie posate sul tavolo, quelle che a volte utilizzano per inviare le traduzioni simultanee ai delegati, hai staccato lo spinotto e lo hai infilato nel tuo lettore mp3. E mentre sul tuo monitor passavano le slides di una presentazione e tu annuivi convinto, nelle orecchie avevi i The Killers.

Mi rendo conto che uno degli obiettivi della vita è raggiunto: indossare la cravatta così raramente che tra una volta e l’altra non ricordo più come si fa il nodo.

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E a proposito di eremitaggio: è sabato mattina e mi sono perso in una libreria a leggere le lezioni di Barthes in inglese, seduto su di uno sgabello. Di fianco ho una signora che sceglie cartoline. Nelle cuffie ho i The Naked and The Famous. Sul tavolo di casa ho lasciato un fazzoletto, dove sopra c’è scritto a penna: “…e alla fine mi sono portata via una banana, perché mi da un pezzettino di gioia ogni giorno: dovresti provare a collegare un oggetto con la felicità, e ogni volta che te lo troverai davanti you’ll feel somehow happier“. E poi, prima di prendere la metro ho comprato un angelo di ceramica, di un modello che online non si trova, e quindi uguale uguale non ve lo posso mostrare.

Ma cosa mi vieni a dire che non mi faccio vedere mai, che non chiamo mai. Hai presente quella sensazione tremenda e tristissima di sentirti la persona più interessante nei tuoi dintorni? No No No guarda non è bello per niente: è abbastanza triste. Ti taglia le gambe. Di questi tempi le persone mi annoiano quasi tutte, o meglio, quasi tutti mi annoiano quasi sempre. Ci sono soltanto rare persone e rari momenti: tutto il resto è noia. Anzi, guarda, si ferma tutto molto prima della noia, ché di solito mi astengo dalle relazioni sociali. E’ vero che mi sono creato tutta una rete di cose da fare da seguire, che alla fine sono sempre occupato. Ma fosse per me – non ci avessi gli obblighi che mi sono imposto – mi asterrei di continuo, fino all’eremitaggio. Sempre caro mi fu, l’eremitaggio.

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Ho fatto un movimento brusco e ho urtato il bicchiere che è caduto. Il liquido si è allargato sul pavimento assieme ai cubetti di ghiaccio. Quella non era casa mia però sapevo dove trovare un rotolo di carta per pulire. Lei mi diceva di lasciar perdere, io continuavo il mio discorso:

“Perché se ci rifletti bene, è quasi impossibile trovare delle canzoni struggenti scritte da donne. Voglio dire, dei pezzi veramente struggenti che parlino di delusioni dolorosissime e che siano capaci di trasmettere questo messaggio in modo credibile. Non solo nella musica, puoi pure cercare nella poesia. E non vale che ci metti le omosessuali, altrimenti uno potrebbe citare Virginia Woolf, o la Nannini. Pensaci, mentre di poesie e di canzoni di questo tipo te ne vengono tantissime, soprattutto nella tradizione italiana di donne quasi niente. Adesso è tardi, se mi concentrassi qualcuna la troverei pure, però in questo momento non mi viene in mente. Uno può essere d’accordo oppure No, ma diamine, l’evidenza parla chiaro. E se uno accetta l’evidenza, non mica è per puntare il dito: non si vuole accusare, è solo per descrivere in modo circostanziato una differenza proprio biologica, costituzionale. Se ci rendessimo conto di questa differenza in giovane età, vivremmo vite più facili. Non credi?”

Ciao wordpress, perché mi cancelli i post? Lo sai che li scrivo in momenti di imbizzarrimento non ripetibili no? Ecco, allora non cancellarli, ché poi già cinque minuti dopo dimentico cosa volevo dire, e soprattutto come volevo dirlo.