se mi offrissero

Devo spesso rispondere alla domanda: “se ti offrissero un lavoro in Italia, torneresti?“. Ogni volta devo rispondere utilizzando argomenti e logiche sconosciute da chi ascolta (ché spesso la domanda mi arriva da chi non è mai partito, neanche per brevi periodi).

La questione non è cercare tra tutti il luogo più bello del mondo e andare a vivere in quello. Oppure cercare il luogo più bello del mondo, il lavoro più bello del mondo, e cercare di combinare le due cose. Viviamo nell’epoca dei compromessi: chi non lo ha ancora capito piange alla tivvù nei programmi di denuncia, perché lavora come editor in una casa editrice che sta fallendo, mentre nel frattempo ha messo al mondo due figli che non sa come mantenere. Viviamo nell’epoca degli adattamenti e dei compromessi, e chi non lo capisce, nella scala evolutiva,  io lo vedo come un dodo che si rifiuta di imparare a volare, quando è ovvio che gli sarebbe necessario.

Se ricevo la domanda, cerco di infarcire la risposta con immagini concrete che possano essere visibili a chi ascolta.

Racconto che il posto dove mi trovo attualmente mi offre delle cose belle e incredibili, praticamente inimmaginabili qualche anno fa; ha pure dei lati negativi che però – lo ripeto sempre –  I can handle . Se mi offrissero un posto a Bologna, Verona o Firenze (e recentemente mi era pure successo), oltre ad accettare di guadagnare la metà e lavorare tante più ore al giorno, mi ritroverei a vivere in un luogo bello oltre certi limiti. Voglio dire, di un bello oltre un limite per cui – una volta arrivati a quel livello – sarebbe difficilissimo tornare indietro.

Se tutto questo poi un giorno venisse a mancare – di questi tempi queste mancanze improvvise sono la regola, con un futuro che promette nuvole nere – e se dovessi trovarmi di nuovo a smontare tutto e ricominciare altrove, per il me stesso di qualche anno più vecchio tutto questo sarebbe drammatico. Se poi dovessi ritrovarmi per bisogno a vivere chessò, a Dusseldorf, a Manchester o di nuovo in Paese Basso, o in determinata Scandinavia, ma pure a Londra, ecco, sarebbe impossibile da sopportare. Questo non è l’unico motivo, ma è uno dei motivi, e purtroppo a me riesce di spiegarli solo uno alla volta, con spiegazioni lunghissime, tanto che certe volte non vorrei affatto cominciare a farlo.

Per riformulare tutto in pochissime parole: sarebbe come stare con una ragazza bellissima che però lo sai da subito, è una che cambia facilmente idea.

14 pensieri su “se mi offrissero

  1. Non ho mai vissuto o lavorato all’estero, purtroppo – mi sarebbe piaciuto, ma non è capitato. Però credo di capirti. Quando mi sono trasferita a Milano il coro unanime è stato: ma Milano è brutta, io non ci vivrei mai. A volte sono pregiudizi, altre volte è un diverso ordine di priorità, spesso tutte e due le cose insieme. Se si è fortunati, come nel mio caso, magari si scopre che i pregiudizi erano del tutto infondati e che la città che hai scelto (o dovuto scegliere) offre tutto quello che cercavi – e pazienza se manca qualcosa.

    A proposito, posso dire? Orgogliosissima di trovare la mia Bologna tra le voci del bello. 🙂

  2. lo dici benissimo, ci son posti, che ci abiti, e poi puoi anche andare altrove, ma tendi sempre a voler tornare lì. (infatti per me è stato così, sono tornata)

      • eh, ci sono posti anche magnifici (tipo londra) e posti che invece son casa. ma avevo bisogno di andar via per un po’ per capire dove volevo stare. son tornata, e faccio una vita così diversa da prima che è buffo pensare che sono sempre io, sempre nello stesso posto

  3. Per me in qualche modo è diventato drammatico il pensiero di ripartire da zero altrove. Proprio io che dicevo “In Italia? Non credo proprio…” mi ritrovo adesso a pensare che da qui, da questo luogo così bello (e così incasinato purtroppo).. sarebbe difficile andarsene.

  4. Io appartengo al novero di quelli che non sono mai partiti, non ce n’è stata l’opportunità nè il bisogno, ed anzi i casi della vita hanno giocato nel senso di non favorire l’esperienza.
    Capisco però quello che dici sui compromessi e sulla necessità di “imparare a volare”, capacità che mi pare, serva ovunque.
    E grazie per avere messo Firenze, nel tuo elenco.
    Lasciami solo dire che la mia città a mille difetti e mille problemi, quindi, anche per lei vale il binomio “I can handle, I cannot”

  5. Pingback: Il 2013 | rafeli blog - il diario delle piccole cose

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