Innanzitutto chiariamo che vous n’êtes pas Charlie, voi non siete affatto Charlie. Avete soltanto premuto il tasto “condividi” su Facebook. Neanche io sono Charlie, sebbene la sera dell’attentato sia stato in giro per Brussélle – città pesantemente islamica – ad affiggere vignette blasfeme, come da fotografia.
Dopodiché non chiedetevi come sia possibile compiere questi gesti in nome della religione. Togliete di mezzo la religione e immaginatevi a vivere in palazzi squallidi alla periferia del bel mondo. Immaginatevi poveri e appartenenti ad una porzione di società considerata inferiore e sgradita. Immaginatevi che l’appartenenza a questa porzione di società vi si legga in faccia, nei vostri tratti somatici e nel nome che portate – non potete nasconderla nonostante tutti i vostri sforzi.
Siete condannati a farne parte.
Adesso immaginate le vostre madri, mogli, figlie, che puliscono i cessi degli uffici dove pisciano gli appartenenti alla società dei “superiori”. Immaginate che questo non sia un lavoro come un altro, una sfortuna frutto del caso, ma un fatto scontato: le madri dei vostri amici fanno lo stesso, o qualcosa di simile. Non è un’esagerazione: sono quasi quattro anni che in questa parte di Europa gli schizzi della mia urina vengono puliti via da donne arabe che indossano il velo. Che la mia spazzatura viene raccolta da arabi. Che mi faccio portare in giro da taxi guidati da arabi. Immaginate insomma di essere nati dalla parte giusta del mondo ma di avere la faccia e il nome sbagliati, e per questo condannati all’emarginazione. Immaginate di rendervi conto che la sola vita a vostra disposizione verrà vissuta arrancando ai bordi, nell’underclass, ospiti poco graditi ma accettati finché tengono la testa bassa e non provano ad entrare in sala di comando.
Immaginate di essere circondati da tantissime persone nella vostra stessa condizione. La rabbia che provate, riuscireste ad ingoiarla o provereste l’istinto di sfogarla? In Francia molto prima delle motivazioni religiose, le masse di disperati hanno dato fuoco alla città. Anche se gli incendi sono finiti, la rabbia e la frustrazione sono rimaste.
Nella stessa situazione, riuscireste ad ingoiare la rabbia? Potreste rispondervi che la cosa più giusta da fare sarebbe sopportare: è vero, ma siete sicuri che tutti sceglierebbero la cosa giusta? E se – date le condizioni di cui sopra – non avreste niente da perdere, quanto attraente potrebbe sembrarvi una reazione che implichi vendetta e rivalsa verso chi vi è “sopra”? Quanto attraente sarebbe una reazione alla frustrazione che implichi generare paura?
Estremista è chi – ignorando il disagio della massa di disperati – accusa la religione di essere la causa delle carneficine.
Ma esiste una via per diminuire questo disagio, per sperare in una vera integrazione? Probabilmente No; ma questo è un altro discorso.
When Theo Van Ghogh was murdered in Amsterdam on November 2, 2004 by Mohammed Bouyeri, an Islamist with Dutch and Moroccan citizenships, many said that this was the failure of the Dutch model of integration by tolerance. When bombs planted by young Britons of Pakistani and Jamaican descent exploded in the London subway on July 7, 2005, many said that this signified the failure of the British model of integration by multiculturalism. A month and a half later, when levees broke in New Orleans under the onslaught of hurricane Katrina and the poor, predominantly black population was trapped in the flooded city, many said that this revealed the failure of the integrating power of the “American dream.” And when riots erupted on the outskirts of major French cities (though not in Marseille, as will be seen later) in November 2005, many said that this unmasked the weakness of the French “one-law-for-all” republican model of integration.
Now, that all major models of integration are proclaimed dead, serious analysis may finally begin, because these models often hide as much as they reveal.
Da qui
Bravo raffo. Stavolta condivido.
ohh, finalmente.
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