Dopo undici anni mi ritrovo a leggere alcune pagine del Jack Frusciante – romanzo adolescenziale and generazionale and epocale and irripetibile successo commerciale di Brizzi – che all’epoca, la seconda metà degli anni 90, era impossibile non aver letto. Oggi rileggo queste pagine e mi sorprendo a trovarci dentro dei caz*o scritti con la kappa (una “kaz*o di famiglia borghese, scriveva Brizzi, ma scriveva anche cose come “kranio” ed “elettriko”) e nel rileggerle oggi, chiedermi come mai ai tempi non mi fossi sorpreso né fossi stato disgustato da questo uso diabolico della lettera kappa. Forse perchè ancora non esistevano gli sms, mi viene da pensare, e queste mitragliette di kappa erano Sì indecenti, ma comunque limitate all’interno di certi campi, come i diari scolastici, i graffiti sui muri, le scritte sugli zainetti. I quattordicenni di oggi hanno ancora gli zaini scribacchiati? Questo proprio non lo so, ma mi piacerebbe pensare di Sì.
E poi comunque pensavo che il corrispettivo attuale del Jack Frusciante, se proprio vogliamo trovarlo – non se la prendano gli estimatori dell’uno e dell’altro, anche se qui chiaramente si parteggia per l’uno e non per l’altro – sarebbe Tremetrisoprailcielo di Moccia. Il punto è, lasciando perdere tutte le critiche facilissime in cui si potrebbe perdersi non appena si mettono in fila le sei lettere che compongono la parola Moccia, di cui peraltro già si è discusso tempo fa, il punto è, dicevo, che il successo di una cosa, o il suo insuccesso, sono un segno dei tempi. E se il Jack Frusciante negli anni 90 venne fuori da un Brizzi appena diciannovenne, che nel momento in cui scriveva le sue righe aveva le mani e gli occhi ancora brucianti delle esperienze vissute da diciassettene, o se anche la Ballestra produsse la Guerra degli Antò a vent’anni, con i protagonisti del romanzo anch’essi appena ventenni, invece Moccia scrittore era autore e regista televisivo e cinematografico trentenne, e praticamente quarantenne al momento della riscrittura del romanzo stesso. Cioè uno che le storie le raccontava già per lavoro. E non storie d’amore, capiamoci. Semplicemente storie, quello che serviva in quel momento. La sceneggiatura de “I ragazzi della terza C”, per esempio.
E poi comunque pensavo che il corrispettivo attuale del Jack Frusciante, se proprio vogliamo trovarlo – non se la prendano gli estimatori dell’uno e dell’altro, anche se qui chiaramente si parteggia per l’uno e non per l’altro – sarebbe Tremetrisoprailcielo di Moccia. Il punto è, lasciando perdere tutte le critiche facilissime in cui si potrebbe perdersi non appena si mettono in fila le sei lettere che compongono la parola Moccia, di cui peraltro già si è discusso tempo fa, il punto è, dicevo, che il successo di una cosa, o il suo insuccesso, sono un segno dei tempi. E se il Jack Frusciante negli anni 90 venne fuori da un Brizzi appena diciannovenne, che nel momento in cui scriveva le sue righe aveva le mani e gli occhi ancora brucianti delle esperienze vissute da diciassettene, o se anche la Ballestra produsse la Guerra degli Antò a vent’anni, con i protagonisti del romanzo anch’essi appena ventenni, invece Moccia scrittore era autore e regista televisivo e cinematografico trentenne, e praticamente quarantenne al momento della riscrittura del romanzo stesso. Cioè uno che le storie le raccontava già per lavoro. E non storie d’amore, capiamoci. Semplicemente storie, quello che serviva in quel momento. La sceneggiatura de “I ragazzi della terza C”, per esempio.
E dunque, il romanzo giovanilistico di maggior successo degli anni duemila è stato scritto (anzi riscritto, perchè è stato modificato dopo la stesura originale) da uno che poi ha continuato a fare l’autore dei programmi di Bonolis alla tivvù. Negli anni novanta invece le storie venivano fuori da chi ci stava ancora dentro, a quelle storie raccontate, o da chi ne era appena uscito fuori con la testa ancora fumante. Poi noi possiamo anche perdere qualche ora a discutere cosa è cambiato nel mondo adolescenziale fra gli anni novanta e gli anni duemila, ma sta cosa del Raccontare da una parte, e del Farsi Raccontare dall’altra, già da sola rappresenta abbastanza bene – secondo me – questa differenza.
"Guardando l’azzurro del cielo si capiva che stava tornando primavera?
No, non credo. Però lui lo capiva. E insomma, vi giuro, qualsiasi immagine
si potesse avere di lui dall’esterno, illo si sentiva
aperto e spontaneo come mai in vita sua."
No, non credo. Però lui lo capiva. E insomma, vi giuro, qualsiasi immagine
si potesse avere di lui dall’esterno, illo si sentiva
aperto e spontaneo come mai in vita sua."
E.Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo.
Tutto vero, Rafaè.
Però, se posso dissentire: ci vuole spontaneità, e viverle direttamente quelle cose, e non fingersi giovani per raccontarle, ma a volte è necessario staccarsi da quelle cose e da quelle emozioni per raccontarle senza troppi patemi.
Anche se, l’azzurro del cielo.
infatti l’abisso si nota tutto
ma forse no.
forse questa generazione si esprime in altre forme che non siano il”romanzo giovanile” non lo so. Esiccome adesso mi sento proprio un sociologo da Porta a porta, proprompo in un irrefrenabile:
kakkio!
Annuzza:
si ok ma i patemi in letteratura non sono un male, anzi.
Lise:
ma proprio, guarda.
Latteo:
certamente non si esprimono con il romanzo giovanile, pero’ comprano in massa un romanzo giovanilistico scritto per loro. Non si esprimono, comprano qualcuno che si esprima per loro. Facciamo suonare la campana di Porta a Porta, subito.
Questo post mi è piaciuto tanto tanto, ma mi è venuta nostalgia .Ma non fa niente.
Baci.
Entina, sloggata.
io di jack frusciante è uscito dal gruppo ricordo di aver trascritto su uno dei miei quaderni di pensieri – il blog di quando non c’era il blog – l’intera lettera di martino a alex.
la leggevo e la rileggevo.
ero piccola e mi ricordo che volevo essere una “incazzata sociale” anche io come era alex agli occhi di martino.
comunque.
le k non me le ricordavo, effettivamente, forse l’ho anche vista come una trovata interessante a suo tempo. ma evidentemente non assecondabile… e mi piace pensare che se fossi stata quindicenne ora, neanche, avrei ficcato due k a buffo nel nome del mio blog, ecco.
alla facciaccia di moccia.
…
e dire che ora che ci penso il nome del mio blog si presterebbe benissimo a un paio di k.
…
uddio.
…
stai a vedere che adesso devo cominciare a domandarmi se non faccio parte pure io, in fondo in fondo, della generazione di moccia.
brrr.
un bacio L
p.s.: bel post, bel blog: ci torno.
no ma in realtà son daccordo con te. Ma non vorrei esserlo,ecco, vorrei dirti: no invece vedi pensa a…. ma cacchio non mi viene in mente un esempio! se lo trovo prima di capodanno salivamo l’umanità ok?