you’re rock

You’re rock ‘n’ fuckin roll, mi dice D. e poi se ne va in doccia.

Non conosco l’argomento perché lei parla squittendo e smozzicando le parole – mumbling, si chiama – con accento potente delle sue parti più o meno gallesi. Lei parla intercalando dei fuckin e damn anche se ha studiato nelle migliori università europeee, anche se passa la vita a salvare il culo degli oppressi di tutto il mondo. Spesso non capisco.

La osservo sparire, mi giro dall’altra parte e penso che così non va affatto bene. Mi avevi detto che saresti venuta, io ti ho detto di Sì, però nel frattempo le cose sono cambiate ma non potevo dirti non venire più: avevi il biglietto pronto porcamiseria, ed eri tutta contenta. E penso che se adesso fossimo in un film, allora dovrei ricevere un messaggio da parte di K, – ignara di tutto – che mi faccia sentire in colpa.

Non sono in un film ma il messaggio arriva lo stesso. Mi sento in colpa. Dura poco. Ma capiamoci, sono nel mezzo di una cazzo di vita irripetibile e velocissima, durante la quale posso pure incontrare cose o persone che mi facciano venire voglia di fermarmi un momento, ma qualsiasi volontà di fermarmi sarà sempre nel contesto di questa vita irripetibile e velocissima, e quindi qualsiasi volontà di fermarmi implicherà comunque una frenata brusca di quelle che lasci il segno delle ruote sull’asfalto.

Lei dice: vado alla festa che ti avevo detto, vieni?

No, ti accompagno in auto e torno a casa. Benissimo dice lei, dormirò da A. Benissimo rispondo io. Durante la notte – mentre io dormo con il telefono spento – si viene a scoprire che A. adesso sta con P. e loro si sentono in imbarazzo ad ospitarti ché sei molto amica di entrambi. Provi a chiamarmi ma ho il telefono spento. Provi a venire sotto casa mia ma il citofono non funziona. Verso le cinque prendi il bus che va in aeroporto tanto per stare al caldo. Quando accendo il telefono sono ormai le otto di mattina e tu entrando in casa posi il pan au chocolat sul tavolo e racconti di un tibetano in stazione ti ha fatto caricare la batteria del fuckin telefono scarico al suo laptop.

Nel pomeriggio c’è A. che ti aspetta, visto che ormai ha finito con P. Allora io sparisco e mi avventuro nelle campagne per dire almeno ciao a K. Nel giro di venti minuti sono in un mondo completamente diverso dove tutto scorre più lentamente e ad una certa ora si devono pure abbassare le tapparelle perché da quelle parti si usa fare così. Dalla finestra noto un recinto e le due pecore del vicino di casa. Lei mi parla di viaggi francesi e dublinesi. Mi fa intuire un entusiasmo che in questo momento vorrei frenare, provo a raccontarle quanto sia wild è l’esistenza appena oltre il confine, lei capisce e non chiede altro. Non sembra preoccupata.

Scappo via e telefono a D. e la avviso che se passa da casa troverà me che mi cibo di animali morti (pollo): lei che è vegetariana potrebbe rimanerci male. Non sembra preoccupata. Chiudo il telefono e nell’autoradio c’è De Gregori che canta sta cosa qui sotto. La prof di francese domani mi chiederà di raccontarle il weekend, e raccontare cazzate in una langue etrangere è ancora plus difficile.

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